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PNL e Thinking strategies: rafforzare il potere della mente

PNL e Thinking strategies: rafforzare il potere della mente

 

L’oggetto dell’insegnamento è il pensiero: istruire il bambino alla pratica del pensare significa offrirgli la possibilità di migliorare la sua vita futura.
Ci sono molti soggetti che risultano essere vincenti in determinati ambiti e attività, e proprio questi soggetti possono essere degli utili strumenti per facilitare l’insegnamento ad atri elementi con maggiori difficoltà: come Bandler negli anni ’70 aveva osservato e modellato le strategie di Milton Erickson, così i bambini, attraverso la maestra, possono imparare a modellare le strategie di un bambino con alta capacità di apprendimento.
Si possono far emergere o scoprire le tecniche usate, chiedendo al bambino come fa una determinata cosa, come si accosta ad una materia nuova: la sua spiegazione risulta utile sia per i compagni, che comprendono maggiormente un linguaggio a loro vicino, ma soprattutto per l’educatore, che può analizzare l’uso dei predicati e i segnali d’accesso come il suo linguaggio non verbale.
Una semplice strategia (V-A-K) da sfruttare per risolvere un problema di aritmetica potrebbe essere: Osservo il problema (V), decido il da farsi (analizzo il processo) e lo metto in pratica.
Per individuare quale canale sensoriale un bambino predilige o quale sequenza d’azioni mette in atto per conoscere la realtà, il formatore deve focalizzare la sua attenzione sulle dinamiche mentali che il soggetto mostra e di conseguenza quale comportamento esprime. Ad esempio, quando gli viene illustrato un nuovo compito o test, analizzare quali sono le sue reazioni, i movimenti del viso, il ritmo della respirazione, il tono che usa. Tutti questi sono elementi che determinano il sistema di pensiero che, se troppo laborioso e complesso, deve essere modificato.
Per raggiungere quest’ultimo obiettivo, ovvero lavorare sul cambiamento della strategia di pensiero, si possono scegliere diverse vie:
    1. Se un bambino ha un sistema lento e inefficace, l’insegnante deve determinare quella parte che rallenta il processo, per renderla più leggera, o attraverso la ripetizione e l’interpretazione del ruolo, oppure attraverso l’ancoraggio.
    1. Facendo lavorare insieme due bambini con strategie diverse allo stesso problema, ci sono alte opportunità che ognuno insegni all’altro le strategie vincenti e modifichi quelle inadatte.
    1. Si può insegnare al bambino un’altra strategia per gestire la stessa cosa, invitandolo ad osservare i comportamenti dei suoi compagni e perciò le loro strategie.
Mutare l’approccio mentale che un soggetto ha nell’affrontare la risoluzione di un problema, non vuol dire snaturarlo, ma insegnargli a lavorare su se stesso e su quei processi che apparentemente sembrano automatici e immutabili, ma che al contrario, soprattutto nei bambini, sono malleabili e flessibili. Il cambiamento, certamente, deve essere lento e a piccole dosi, che non dissesta il sistema mentale, ma lo addolcisce e lo modella; solo in questo modo si avranno risultati positivi.
Nella thinking strategy è compresa anche la capacità organizzativa di pensiero, che molto spesso non è sviluppata nei bambini, semplicemente perché non è stata insegnata loro. Gli esempi per migliorare quest’ abilità che ci mostra Linda Lloyd sono molteplici:
    1. Mostrare l’organizzazione del libro di testo – contenuti, indice, prefazione, introduzione ecc..- come sono strutturati i capitoliindividuare o meno la presenza dei sommari- come si presenta fisicamente il libro ecc..
    1. Leggere gli appunti di un compagno e annotarli sulla lavagna, per capire l’organizzazione del pensiero, per migliorare l’attenzione ai dettagli.
    1. Insegnare a focalizzare, sottolineare e sintetizzare delle letture.
    1. Mostrare un’intera struttura in immagini, foto, schemi e altro materiale visivo e spiegare un pezzo alla volta ricollegandolo al processo completo (ottima tecnica per insegnare la matematica).
Per insegnare ai propri alunni a pensare, a snellire il proprio processo mentale o ad ancorare una strategia più efficiente ed opportuna, bisogna lavorare costantemente con loro ed osservarli, comprenderli, ascoltarli, dargli spazio e centralità. È il rapporto empatico, anche questa volta, la base minima per fare un buon lavoro.
Allenare uno studente ad un corretto pensare significa renderlo più curioso, attento e vigile alla realtà che lo circonda e quindi anche agli altri.
Blackerby a riguardo attesta che, porre delle domande ai bambini e fare notare loro la varietà esistente nel rispondere, alimenta il funzionamento corretto del pensiero. Ad esempio, si possono proporre le seguenti domande su un brano o un’immagine:
Ricordo effettivo: Come si chiamava quel signore?
Memoria dettagliata: Di che colore era il cappello?
Interferenze, presupposizioni: Cosa stava pensando in quel momento?
Esempi: Dai un esempio di come cercava di trovare il tesoro.
Indovinare: Cosa succederà ora?
Teorizzare: Cosa voleva dimostrare facendo ciò?
Ipotizzare: Come avrebbe potuto fare per risolvere il suo problema?
Valutare e giudicare: Quale è stato il pensiero più giusto che ha fatto?
Il bambino deve imparare ad utilizzare il suo pensiero, sapendo che per alcune domande esistono delle risposte esatte, mentre per altre esistono solo opinioni o giudizi.
Quando il soggetto non conosce la risposta ad una domanda, è ottimo esercizio, dice Lloyd, invitarlo ad indovinare. Il Guess Game è uno strumento per incrementare l’immaginazione e la creatività del bambino, per rafforzare la sua autostima in quanto è in grado di rispondere correttamente con le abilità che possiede, per renderlo aperto agli altri punti di vista. L’insegnante non correggerà né giudicherà nessun pensiero, ma apprezzerà e incoraggerà ogni bambino a fidarsi dei propri pensieri e idee e valorizzare quelli degli altri.

 

© Un criterio di analisi dell’efficacia della Programmazione Neurolinguistica applicata al processo educativo infantile – Leila Schrott

 

PNL: Imparare ad imparare

 PNL: Imparare ad imparare

 

Essere consapevoli di qualcosa non è come impararlo: si può essere consapevoli di un nuovo atteggiamento positivo in diverse aree ( come smettere di fumare, non ritardare agli appuntamenti, fare ginnastica per dimagrire ecc..), ma non si cambia o si migliora solo avendone la conoscenza. Bisogna avere la volontà di imparare nuovi comportamenti, sapere come apprenderli, metterli in pratica ed essere convinti dell’esito positivo e saperli applicare in qualsiasi contesto della propria vita.
Seguiranno in questo paragrafo la descrizione di alcune tecniche di PNL applicate al processo educativo.
La PNL propone una strategia per imparare come imparare, ed è composta da diversi punti:
    • MOTIVAZIONE – avere la voglia di imparare e cambiare.
    • OBIETTIVO – sapere cosa apprendere.
    • COME – sapere come apprendere.
    • CONVINCIMENTO – sapere che hai già imparato e puoi farlo anche questa volta.
    • COLLEGAMENTO – con altre aree – sapere quando e dove farlo.
    • FEEDBACK – modificare ciò che si apprende attraverso il feedback.

 

Prima di insegnare qualsiasi cosa, bisogna indirizzare i soggetti in un atteggiamento d’apprendimento:
1) Aiutarli a sentirsi vincenti:
a) usare posters, slogans,materiale visivo.
b) Insegnargli a pretendere da loro stessi e recitare come se già fossero ciò che vorrebbero.
c) Condurre loro a visualizzare gli obiettivi e i risultati come se fossero già stati raggiunti, focalizzandosi sullo stato d’animo e le sensazioni che ciò porta.
2) Insegnargli a focalizzarsi sull’attenzione, eliminando le possibili distrazioni.
3) Dare rilevanza al loro apprendimento:
a) discutendo dell’importanza
b) riferendosi alle conoscenze passate.
Questi atteggiamenti focalizzeranno l’attenzione del soggetto sulle motivazioni e sui risultati e gli forniranno le giuste basi per facilitare l’apprendimento di qualsiasi idea o concetto.
Una volta individuata la competenza che si vuol sviluppare nel bambino, per raggiungere un determinato scopo, l’insegnante deve costruirsi la strategia più consona all’abilità sulla quale vuole lavorare. Per far ciò deve porsi degli interrogativi:
1) Quale input o informazione sono necessari? Quale canale sensoriale è più adatto all’acquisizione dell’informazione?
2) I bambini come possono assumere l’informazione? Cosa devono pensare?
3) A cosa servirà il raggiungimento del risultato?
4) Quale feedback è necessario per migliorare il comportamento?
5) Qual è la migliore sequenza per ottenerlo?

 

Bisogna essere certi che:
1) il risultato sia specificato all’inizio della strategia.
2) tutti i sistemi rappresantazionali siano coinvolti (V, K, A)
3) se un sentimento conduce ad una decisione, riscontrare che la sensazione sia positiva.
4) non ripetere solo due comportamenti (V-A-V-A-V-A-V-A-V)
5) esistono delle verifiche dall’ambiente esterne.

 

L’insegnante può anche decidere di installare una nuova strategia:
1) provandola e verificandola passo dopo passo.
2) dimostrandola anche attraverso l’osservazione dei bambini
3) parlandone con i bambini e tra di loro, anche interpretando il ruolo dell’insegnante.
4) indirettamente ponendo delle domande ai bambini (Quando ti dico una parola e visualizzi la sua immagine, che sensazione provi?).
Il compito dell’insegnante, che vuole applicare le strategie di PNL, è ancora più delicato e di responsabilità di qualsiasi altro tipo di insegnante:
ogni strumento è una potente arma che se utilizzata malamente o per scopi insani, può rilevarsi non solo diseducativo, ma destabilizzante per la formazione della personalità del bambino. Per installare delle strategie è necessario un lavoro costante e ripetuto, che deve essere condotto con serietà e professionalità. L’insegnante deve essere la prima persona a vivere coerentemente ciò che insegna e a credere nell’efficacia delle metodologie che mette in pratica.

 

 

 

 

 

 

 

PNL: Insegnare come imparare

PNL: Insegnare come imparare

 

Una volta che l’insegnante ha individuato i movimenti oculari, i stemi rappresantazionali attraverso i predicati usati, il formatore cerca di ricorrere ai segnali d’accesso per ottimizzare l’apprendimento. Ad esempio, un bambino dice: “ Quando vedo il compito (occhi in alto verso dx), mi dico che posso farcela (occhi in basso verso sx ) ma mi sento troppo spaventato”.
Il modello (V) visual – (A) auditory – (K) kinestetic è una strategia che probabilmente egli utilizzerà in diverse aree della propria vita.
Questa è solo una delle tante strategie che un soggetto può metter in atto e che può essere trasferita in qualsiasi settore.
Nonostante non tutte le strategie abbiano gli stessi risultati, lo dimostra il fatto che ci sono bimbi che rendono molto più di altri, la mission dell’educatore deve essere il gruppo e non il singolo. Egli deve coinvolgere tutti i bambini, spiegando, mostrando, facendo vivere loro un’esperienza focalizzata su ciò che si sta acquisendo, e trasferire la conoscenza di svariate tecniche d’apprendimento, tra le quali essi sceglieranno la migliore.
Linda Lloyd forma il maestro a scoprire e a mettere in atto la strategia più consona alla situazione, creando un elenco di consigli come segue:
    1. Pensa all’obiettivo che vuoi che i tuoi studenti raggiungano. Immaginalo visivamente e collegalo ai canali sensoriali (cosa devono sentire, vedere ecc…).
    1. Decidi quali abilità sono necessarie per essere capaci di apprendere.
    1. Entra in un atteggiamento positivo: i tuoi alunni vogliono e sanno apprendere. Insegna loro le capacità necessarie, coinvolgendo tutti i sensi e osservando continuamente il loro comportamento.
    1. Una volta notato una risposta da parte della classe, se essa coincide con lo stato desiderato, congratulati con te stessa e con i bambini. Se non corrisponde richiediti quali possono essere le abilità da costruire e sulle quali lavorare.Continua fiducioso/a.
    1. Dopo aver provato tre o quattro volte con esito negativo, decidi di scegliere un altro scopo.
Molto spesso capita che, all’interno di un gruppo ci sia un soggetto con difficoltà di apprendimento causate dall’uso di una strategia errata che deve essere individuata dall’educatore, attraverso, ad esempio, una semplice domanda. Il bambino, per rispondere al quesito, guarda in basso a sinistra (A), in alto verso destra (V) e in basso a destra (K).
Questo è il suo modello d’apprendimento che, a questo punto, viene riprodotto dall’insegnante durante una spiegazione, dicendogli, prima qualcosa (A), mostrandogli una rappresentazione visiva del concetto (V), per indurlo, infine, a provare una sensazione, un sentimento legato a ciò che vede. Anche le domande che gli verranno poste dovranno riprodurre le stesse sequenze (Quando ascolti la parola evaporare e immagini l’acqua che va nell’aria, che sensazione proverai sulla tua pelle nel sentire l’aria che ti sfiora?)
Un’altra attività può essere quella di modificare la strategia d’apprendimento di un soggetto, al fine di renderlo in grado di acquisire conoscenze da diversi insegnanti, con diversi metodi. Prima di tutto bisogna identificare la strategia abituale del bambino, e successivamente sfruttarla per insegnargli altre strategie. Nell’esempio del soggetto precedente, se un’insegnante usa delle immagini solamente, il bambino non sarà in grado di comprendere finché il materiale visivo non verrà supportato da parole e spiegazioni orali. Il formatore di PNL gli può insegnare, invece, a prendere conoscenza del suo modello caratterizzante, invitandolo, quando è di fronte ad un’immagine, a provare una sensazione con il ricorso ad un dialogo interiore, che gli permette di significare ciò che vede. Gli può fornire un esempio concreto dicendogli (A) di guardare l’immagine (V) e di descrivere l’impressione che percepisce interiormente (K).
Questi esercizi inseriti in “Classroom magic” sono indirizzati ai formatori, insegnanti e allenatori per raggiungere il bambino, conoscerlo, e sviluppare le potenzialità che sono inespresse. Un buon allenamento, per un insegnante alle prime armi che vuole mettere in pratica le tecniche di PNL, è quello di prendere come esempio un bambino nella classe e individuare la sua naturale strategia attraverso i movimenti oculari e l’analisi del linguaggio. La seconda fase consiste nel creare una lezione compatibile alle sue caratteristiche d’apprendimento e monitorare ciò che avviene in positivo o negativo.

 

 

 

 

 

 

 

L’ancoraggio: uno strumento per crescere

L’ancoraggio: uno strumento per crescere

 

Durante l’anno, l’insegnante, a livello del tutto inconscio, crea dei forti ancoraggi in svariati modi: attraverso la semplice spiegazione di una lezione, egli ancora gli alunni alle proprie parole, al tono di voce, alla postura del corpo, alle espressione del viso ecc.., che diventano dei mezzi per catturare la loro attenzione. Anche solo un sorriso, un gesto di incoraggiamento, possono far riemergere, anche successivamente, degli stati d’animo positivi e perciò dei comportamenti corrispondenti.
Molto spesso i bambini hanno delle capacità o abilità di cui non sono consapevoli, che usano raramente, o mettono in atto solo a scuola, o semplicemente sognano di possedere. L’insegnante può aiutarli a riconoscere e mettere a frutto l’uso di tutte queste competenze, attraverso il loro ancoraggio in base agli obiettivi.
Decorare la classe o la propria stanza con cartelloni che esprimono i successi raggiunti o scrivere degli slogan sulle credenze positive sono delle ancore che tendono a modificare quegli atteggiamenti o comportamenti negativi che non conducono ad ottimi risultati.
Lo Presti, in un progetto indirizzato ai ragazzi del liceo, ha proposto delle attività per individuare quelli che lei chiama i “pensieri killer”, ovvero quei pensieri che innescano degli stati d’animo negativi, d’ansia, di paura che non permettono, ad esempio di superare delle situazioni difficili, come un’interrogazione. Sopra ogni banco gli studenti hanno applicato una frase o una parola che dà forza e consapevolezza di sé e permette loro di modificare e trasformare i pensieri negativi. Queste sono delle ancore che si accompagnano ad alcuni e semplici gesti che gli vengono insegnati per riattivare l’affermazione positiva che rimette loro nello stato migliore per affrontare il problema o il disagio.
L’ancoraggio però, secondo Lo Presti, non deve mai avvenire tramite una persona esterna, ma è consigliato l’auto-ancoraggio compiuto dallo studente stesso, altrimenti si potrebbe correre il rischio di generare dei rapporti di dipendenza che non sono affatto sani e non rafforzano la crescita del soggetto. Ciò che è possibile fare è insegnare ai bambini a creare degli ancoraggi in maniera autonoma per imprimere degli stati emotivi vincenti, che semmai sono richiamati e rinforzati dal gruppo stesso.
Linda Lloyd, al contrario è favorevole all’ancoraggio esercitato dall’insegnante e nel suo manuale spiega come eseguirlo correttamente.
Quando l’educatore si rende conto che gli studenti mostrano un atteggiamento distratto, frustrato oppure positivo, energico, egli può stabilire delle ancore attraverso le quali può ancorare gli stati d’animo corrispondenti.
Dopo aver notato le espressioni facciali, il tono di voce, il ritmo del respiro, il colore della pelle, l’insegnante è in grado di identificare il momento in cui i bambini stanno vivendo una situazione favorevole e a questo punto è possibile fissare lo stato d’animo positivo con un gesto, una parola, un tono di voce. Il movimento deve essere preciso perché successivamente, solo con la riproduzione esatta di esso, può avvenire un cambiamento positivo e si può beneficiare dell’ancoraggio.
Questa strategia possiede un gran forza e la sua gestione è estremamente delicata.
Il formatore può, sia creare delle nuove ancore, che eliminarne o rafforzarne delle vecchie. Se due ancore sono simultaneamente associate allo stesso evento, o l’ancora più incisiva prevale, oppure avviene un’integrazione in cui le due ancore ne creano una nuova.
Ad esempio, se un bambino ogni volta che compie un errore, si sente mortificato e offeso (ciò significa che un ancoraggio negativo già è stato fatto), l’insegnante può eliminare questa ancora e stabilirne una nuova, attraverso un gesto o una parola di lode (“Meno male che fai degli errori così possiamo migliorare, bravo, rendi il mio lavoro più semplice!”) che al bambino richiama un sentimento positivo, permettendogli di concepire un errore come un mezzo per apprendere.
L’influenza che l’insegnante ha sui bambini è molto più forte di ciò che si immagina, in quanto gran parte di essa avviene a livello inconscio; deve, perciò, essere consapevole di questo potere e utilizzarlo con saggezza. Se l’ancoraggio è messo in atto con amore e rispetto, può trasformarsi in un’efficace strumento di crescita.
L’educatore, insegnando con il totale coinvolgimento di tutti i sensi, crea delle ottime basi per ancorare, attraverso i canali sensoriali, ciò che i bambini apprendono, ed avere, inoltre, l’opportunità di richiamare l’esperienza ancorata con rapidità e semplicità.
Questa strategia è un ulteriore mezzo per rafforzare quelle abilità che possono essere trasferite da un campo all’altro, per migliorare la consapevolezza di sé e la propria flessibilità. Ogni volta che il bambino si imbatte in una nuova abilità, il ruolo dell’educatore sta nell’aiutarlo a visualizzare tutti i campi in cui è possibile l’applicazione: una competenza che si apprende a scuola può essere applicata a casa o nello sport o viceversa. L’ancoraggio offre le basi necessarie e sufficienti per fissare le sue potenzialità e renderlo maggiormente flessibile.

 

 

 

 

 

La PNL e il Visual learning

La PNL e il Visual learning

 

Alla base di qualsiasi strategia della PNL, come sappiamo ormai, vi è il rapport, ovvero la costruzione di una relazione empatica positiva con il proprio interlocutore che si costruisce attraverso il rispecchiamento e il ricalco.
Anche in questo campo sono valide le tecniche descritte nel secondo capitolo e un buon insegnante può usufruirne per avere immediati riscontri affermativi.
Molte persone scelgono e privilegiano un’ area sensoriale attraverso la quale prendere informazioni dall’esterno. Anche un insegnante, probabilmente, avrà sviluppato un unico modo di insegnare. Egli deve, secondo Lloyd, ampliare e arricchire il suo metodo, al fine di raggiungere tutti i bambini, con stili di apprendimenti diversi: molti hanno bisogno di vedere ciò che viene spiegato, altri hanno la necessità di ascoltare e altri ancora vogliono capire fino in fondo.
Per ottenere l’attenzione di un bambino visivo, l’educatore può sfruttare l’uso di specifiche espressioni facciali, disegni, immagini, foto, lavagne e supporti visivi; deve focalizzarsi su delle parole chiave che scriverà ben in vista. Il soggetto visivo è sensibile anche solo ad uno sguardo di compiacimento o di rimprovero: il formatore dovrà perciò usare tutte le potenzialità che possiede per comunicare efficacemente anche tramite il suo corpo.
Al contrario i bambini prevalentemente uditivi, mostreranno maggior riguardo per il tono di voce, il ritmo, le pause, tutti elementi di grande impatto sui quali l’insegnante può esercitare modifiche: velocizzare il ritmo o rallentarlo, usare un tono rassicurante, incoraggiante o anche punitivo e d’ammonizione.
I bambini prevalentemente cinestetici necessitano di essere continuamente coinvolti e stimolati, in quanto rischiano di annoiarsi o distrarsi avendo un basso livello di concentrazione. Giochi, storie e letture avvincenti devono supportare l’insegnamento di qualsiasi materia scolastica.
Individuare le strategie già in uso negli alunni può essere semplice per un insegnante osservando i movimenti oculari: ponendo loro una semplice domanda si può identificare il canale preferenziato. Il bambino che nel rispondere guarda in alto, tende ad avere un apprendimento visivo; se muove rapidamente gli occhi ai lati, da sinistra verso destra o viceversa, cerca la risposta in maniera uditiva; se guarda in basso cerca di sentire nella sua intimità la risposta esatta.
Blackerby, però, afferma che non tutti i canali sensoriali hanno la stessa rapidità ed efficacia nell’ambito dell’apprendimento e ciò può avvantaggiare alcuni e svantaggiare altri, stato che non è accettabile per un insegnante. I canali uditivi e cinestetici sono strategie estremamente lente e complicate, al contrario di quello visivo che rende l’apprendimento rapido e facile.
La strategia dell’apprendimento visivo può essere insegnata ed ancorata in ogni soggetto che mostra eccessiva lentezza e difficoltà, ad esempio nel memorizzare una poesia. Qualsiasi parola deve immediatamente visualizzarsi ed imprimersi nella mente, creando un’immagine che mano mano si arricchisce e si completa in base all’aggiungersi delle informazioni. Se il bambino viene allenato ed educato a crearsi una rappresentazione visiva di ciò che legge o ascolta, sarà in grado di accedere alle informazioni con molta più rapidità, in quanto ha inserito nella mente una struttura ordinata che difficilmente può essere rimossa. È consigliabile, ad esempio, legare ogni immagine ad una parola chiave che è in grado di farla riemergere ogni qual volta si voglia. Per acquisire un’abilità del genere è necessario diverso tempo, ma attraverso il gioco lo studente diventa consapevole che la capacità di sfruttare la memoria visiva, apporterà svariati vantaggi in tutti i campi in cui viene applicata: matematica, geografia, storia ecc.
Nelle prime fasi della crescita di un bambino la sua capacità di apprendere è estremamente elevata, e ciò gli permette per esempio di imparare una seconda lingua con semplicità. Ecco perché, se gli vengono insegnate le corrette tecniche per apprendere, memorizzare ed imparare in queste fasi, egli ha una forte sensibilità alla modifica del proprio sistema mentale.
I bambini contemporanei sono figli dell’immagine: la televisione, i video games, le pubblicità, sono gli strumenti con i quali si confrontano quotidianamente. Le informazioni che ricevono dalla realtà esterna hanno un unico formato, quello dell’immagine che è rapido, continuo, mutevole ed estremamente incisivo.
L’uomo, e non solo il bambino, rischia di diventare quello che Sartori definisce “homo videns”, un uomo che fa esperienza del mondo solo esclusivamente attraverso le immagini fornite dal sistema dei media.
Purtroppo o per fortuna, non è questa la sede per discuterne, questa è una realtà effettiva e con la quale bisogna confrontarsi.
Nella teoria di Piaget, al contrario, emerge un rifiuto verso l’uso eccessivo del materiale audio-visivo, in quanto può condurre ad una specie di verbalismo dell’immagine, che facilita le associazioni senza dar luogo ad un’autentica attività.
Il linguaggio visivo, a suo parere, viene impresso nella mente dei soggetti in maniera del tutto superficiale e non permette un’elaborazione profonda, unico mezzo affinché avvenga l’apprendimento.
Il bambino di oggi, però, è cambiato, ha altre abilità, stimoli esterni, interessi e il metodo d’apprendimento deve essere modellato su questo mutamento. Una lezione tradizionale che avviene con l’unico supporto della lettura di un libro o di una spiegazione orale, non è più pertinente e adatta ai destinatari, che hanno un nuovo linguaggio prevalentemente visivo e avranno bisogno di questo canale per apprendere.

 

 

 

 

 

 

La PNL nel processo educativo: l’ambiente

La PNL nel processo educativo: l’ambiente

 

La Programmazione Neuro Linguistica, attualmente, non dispone di ambienti o strutture particolari ed indipendenti, per poter esprimere pienamente il suo carattere innovativo.
Non esistono autori o practitioner di PNL che delineano un ambiente particolare come può avvenire in tante altre scuole che si basano su metodi, che se pur alternativi alle tradizionali visioni di educare, hanno delle strutture autonome ed autosufficienti in cui tutto, anche lo spazio rappresenta una forma di insegnamento.
Gli insegnanti che applicano, perciò, la PNL lavorano negli ambienti e nelle aule delle strutture statali che molto spesso  risultano spoglie e poco adatte alle esigenze dei bambini.
La difficoltà di stabilire una comunicazione con lo spazio circostante è, perciò, molto elevata per gli insegnanti, che si concentrano soprattutto sul rapporto di forte empatia con i bambini, per stabilire tra loro un’atmosfera rassicurante e positiva. In questo modo anche le mura di un’angusta stanza rappresentano per il bambino un luogo di incontro e protezione, in cui egli ha la possibilità di esprimersi liberamente e di arricchirsi.
Carmela Lo Presti ha avviato diversi progetti che hanno come obiettivo la crescita emotiva e personale dei bambini, attraverso l’applicazione delle tecniche della PNL unite alla Globalità dei Linguaggi. Opera all’interno delle classi delle scuole materne, elementari e superiori pubbliche caratterizzate, molto spesso, da strutture carenti ed insufficienti, eppure, con l’utilizzo di semplici materiali e supporti, è in grado di stabilire un forte contatto anche con lo spazio che diventa funzionale alle strategie stesse.
L’ambiente in cui vivono i bambini deve divenire uno strumento per ancorare le distinte e versatili attitudini e competenze che gli educatori sviluppano quotidianamente attraverso il loro operato.
Le mura, perciò sono dei veicoli per imprimere le conquiste e i presupposti che ogni alunno si pone di raggiungere.
Un’attività che Lo Presti propone ai bambini, ad esempio, è quella di realizzare dei cartelloni colorati in cui scrivere il nome di ogni bambino appartenente alla classe, con accanto le abilità e i talenti che lo caratterizzano.
La compilazione di questi tabelloni avviene dopo un momento di confronto tra i soggetti, in cui ognuno parla di sé e contemporaneamente mette in evidenza le qualità dei compagni. Ogni qual volta un bambino apprende una nuova abilità o migliora in altre, i cartelloni, con il consenso di tutti, vengono ampliati e aggiornati. Ciò rafforza la consapevolezza di sé e degli altri, aumenta l’auto-stima e l’auto-valutazione, creando contemporaneamente una crescita dei rapporti interpersonali nella classe.
Il bambino si sente valorizzato, apprezzato e invogliato a migliore. L’idea di attaccare i cartelloni sui muri rappresenta una strategia, un ancoraggio che rafforza l’apprendimento visivo collettivo: vedere scritto ogni giorno i propri talenti e le abilità e monitorare i miglioramenti, rappresenta per il bambino un input costante che consolida la crescita personale.
Un’attività analoga, chiamata “What do you want?” (Cosa vuoi?) è consigliata da Linda Lloyd in Classroom Magic, relativa all’ottenimento dei propri scopi. Dopo aver fornito ai bambini gli strumenti per prendere consapevolezza di ciò che vogliono, desiderano e sognano cambiare di se stessi, vengono indirizzati alla realizzazione di disegni, scritte o qualsiasi cosa ricordi loro visivamente e rapidamente lo stato desiderato.
Attraverso colori, tessuti, disegni, materiali e strumenti, canzoni, filastrocche, rappresentazioni, il bambino crea il proprio ambiente che lo descrive e lo rappresenta nelle sue intenzioni e valori positive, che alimenta la sua fantasia e creatività. È uno spazio che parla di lui e delle sue conquiste che avvengono con e grazie agli altri: sono proprio i compagni che incoraggiano il bambino ad andare oltre il possibile fallimento, che lo valorizzano, lo apprezzano per quello che è realmente.
Lloyd consiglia ai bambini di ricrearsi nella propria stanza ciò che è presente nell’aula per rafforzare l’ancoraggio e il riconoscimento di esso.
Lo spazio e i materiali scelti sono componenti fondamentali e parti integranti di un metodo di insegnamento, attraverso i quali si facilita l’apprendimento e la comunicazione.
Nell’asilo steineriano, ad esempio, i bambini giocano con semplici materiali naturali (lane, stoffe, bambole di pezza, carretti di legno, cere colorate, ecc.), cantano, recitano filastrocche, ascoltano fiabe, dipingono, preparano il pane, fanno euritmia (arte del movimento guidata dalla musica e dalla parola fondata da Steiner stesso).
Pertanto l’ambiente viene considerato in modo che semplici attività della vita casalinga o attività artigianali possano venir osservate ed imitate con ricchezza di fantasia. I bambini si esprimono in piccoli giochi di rappresentazione, in girotondi e versi ritmati, ma anche in un ascolto pieno di meraviglia di fiabe e in uno spontaneo fluire nel canto.
Abitualmente queste scuole hanno strutture realizzate interamente in legno e materiali naturali, site in ambienti campestri e rustici, in cui l’apprendimento delle normali materie accademiche vengono accompagnate con altrettanta serietà da attività come falegnameria, taglio e cucito, arte.
Per la Montessori, è proprio l’ambiente a rivestire un ruolo fondamentale per lo sviluppo e la crescita dei bimbi; la scuola deve essere in grado di coinvolgerli e stimolarli nelle attività individuali e di gruppo, accrescendo in loro, il senso d’appartenenza ad una collettività e nello stesso tempo dando loro piena libertà di movimento e di azione.
Anche gli arredi devono essere pensati e studiati tenendo conto della corporatura dei piccoli, costruiti all’insegna della leggerezza in modo che, proprio la loro fragilità, possa rivelare un utilizzo sbagliato o una mancanza di rispetto da parte di coloro che ne fanno regolarmente uso. Per questo motivo, nelle scuole montessoriane vengono utilizzati piatti di ceramica, bicchieri di vetro e soprammobili fragili. I bambini sono, in questo modo, invitati a coordinare i movimenti con esercizi quotidiani di autocontrollo, autocorrezione e prudenza.
Importante è anche il concetto di ordine, il cui mantenimento è il compito principale del bambino, nella convinzione che solo un ambiente ordinato e organizzato è in grado di far emergere le virtù nascoste di chi lo frequenta e lo vive.

 

 

 

 

 

La PNL nel processo educativo: l’educatore

 La PNL nel processo educativo: l’educatore

 

Quello che la PNL propone è un nuovo modo di fare scuola attraverso il ruolo dell’educatore.
Di fronte alle difficoltà di apprendimento, all’eccessiva lentezza o al cattivo rendimento, nessuno si è mai chiesto: “Il bambino sa come imparare? ”.
La mission della PNL e quindi dell’educatore che mette in atto le sue tecniche, è appunto, insegnare ai bambini come si impara. Fin da piccoli siamo stati messi di fronte a libri, a poesie, pagine e pagine di storia, espressioni e logaritmi senza avere gli strumenti necessari per poter apprendere con successo.
Molti insegnanti si limitano a pronunciare la frase Rendi poco perché non hai metodo, così si entra in un circolo vizioso in cui la sfiducia dell’alunno per gli scarsi risultati, influenza negativamente il ruolo dell’insegnante che non è in grado di catturare l’attenzione dei propri studenti, avendo come esito una diffusa frustrazione.
Esistono strategie per insegnare a memorizzare date, eventi, formule, espressioni matematiche, a leggere con attenzione interiorizzando il significato, a rendere interessante ciò che risulta essere noioso e poco entusiasmante agli occhi dei bambini; ci sono metodi per prendere appunti, per migliorare la memoria visiva, per superare l’ansia da test o da interrogazione, per affrontare positivamente qualsiasi tipo di fallimento.
La PNL offre tutto questo, cercando di formare prima di tutto delle figure professionali, dei comunicatori e mediatori per eccellenza che siano insegnanti, educatori e allenatori contemporaneamente.
L’elemento catalizzatore è questa figura, ossia un adulto nel cui atteggiamento, l’allievo deve poter cogliere il convincimento profondo che ogni essere umano può modificare strutturalmente il proprio modo di apprendere.
L’obiettivo che devono prefissarsi gli educatori è quello di formare degli esseri umani in grado, innanzitutto, di riconoscere e gestire le proprie emozioni e i propri stati d’animo che sono alla base di qualsiasi tipo di comportamento; di essere consapevoli dei propri talenti, abilità e limiti per modificarli con atteggiamento positivo, di affrontare qualsiasi insuccesso come occasione di crescita e miglioramento.
Inoltre, le tecniche della Programmazione Neuro Linguistica vogliono creare dei comunicatori in grado di usufruire delle potenzialità del linguaggio verbale e soprattutto analogico, per intessere delle relazioni positive e sane, per individuare e raggiungere non solo gli obiettivi personali ma anche quelli collettivi, elementi che risultano inscindibili.
In quest’ ottica, l’interesse dell’educatore non si rivolge tanto a ciò che l’allievo sa fare, alla valutazione quantitativa della sua intelligenza ma a tutte quelle condizioni che possono indurre un’evoluzione: in quali aree si realizza maggiormente, quali sono i fattori che lo stimolano o lo rallentano, come promuoverne l’estensione ad altri ambiti, a quali condizioni il progresso rilevato si consolida e si autoimplementa.
Linda Lloyd è l’autrice di Classroom Magic, un manuale per insegnanti ed educatori che vogliono applicare le tecniche della PNL. Il libro è strutturato come fosse un piano di lezioni settimanali ed analizza gli esercizi e le abilità che l’insegnante deve stimolare quotidianamente nell’alunno.
L’autrice delinea chiaramente la figura dell’educatore ideale che innanzitutto deve lavorare su stesso per raggiungere gli obiettivi prefissati, formarsi e credere fortemente al potere del cambiamento.
Nelle primissime pagine del suddetto libro emergono incisivi i valori e le credenze che sono alla base dell’ottenimento della mission:
    • Insegnare a tutti i bambini;
    • Insegnare attraverso tutti i sensi (vista, udito, gusto, olfatto, sentire interiore);
    • I bambini apprendono più rapidamente e imparano meglio quando si divertono;
    • I bambini apprendono ciò che viene inciso nel loro livello di consapevolezza;
    • Rendere consapevole il bambino su ciò che sta imparando, unendo pratica e teoria;
    • Successo chiama successo;
    • L’oggetto dell’insegnamento è il pensare;
    • Insegnare ai genitori a saper apprezzare i propri figli;
    • Dare ai bambini la speranza di diventare ciò che essi vogliono;
    • Usare un linguaggio positivo ( dire “stai attento”- non dire “non cadere”).
Il bambino deve essere guardato nella sua totalità ed aiutato a crescere intellettualmente, fisicamente e spiritualmente.
Si possono rilevare numerose similarità nel metodo pedagogico sia di Montessori che di Steiner per quanto riguarda la definizione del ruolo dell’insegnante.
Il presupposto del primo metodo è la massima fiducia nell’interesse spontaneo del bambino, nel suo impulso naturale ad agire e conoscere.
Ogni bambino, se posto in un ambiente adatto, e accompagnato da una figura adulta motivata, seguendo il proprio disegno interiore di sviluppo e i suoi istinti-guida, accende naturalmente il proprio interesse ad apprendere, a lavorare, a costruire, a portare a termini le attività iniziate, a sperimentare le proprie forze, a misurarle e controllarle.
A questo principio l’adulto deve inspirare la sua attenzione e in particolare due sono i suoi compiti fondamentali: saper costruire un ambiente suscitatore degli interessi che via via si manifestano e maturano nel bambino; evitare con interventi inopportuni, un ruolo di disturbo allo svolgimento del lavoro, pratico e psichico, a cui ciascun bambino va dedicandosi.
Ha scritto Maria Montessori che l’obiettivo a cui puntare “ …..é lo studio delle condizioni necessarie per lo sviluppo delle attività spontanee dell’individuo, è l’arte di suscitare gioia ed entusiasmo per il lavoro. Il fatto dell’interesse che spinge ad una spontanea attività è la vera chiave psicologica dell’educazione.(….) Colui il quale nell’educare cerca di suscitare un interesse che porti allo svolgere un’azione e seguirla con tutta l’energia, con entusiasmo costruttivo, ha svegliato l’uomo.”
Continua dicendo “(i bambini) hanno bisogno di ricevere risposte complete, che provocano l’entusiasmo e suscitano il bisogno di nuove ricerche e di attività intensa”. Gli insegnanti, perciò, dovranno essere all’altezza del bisogno di conoscere e di esplorare dei bambini, ampliando la loro vita psichica, aprendosi a più larghi orizzonti, impadronendosi di nuove conoscenze di cui forse non sospettano l’esistenza”.
L’insegnante montessoriano opera dunque, con la fondata speranza che ogni individuo è chiamato dalla natura a realizzare la propria evoluzione psichica, secondo un disegno da essa preordinato, purché egli viva in un ambiente adatto alle forme del suo lavoro. L’insegnante allora non giudica i risultati conseguiti dal bambino, ma le cause che ne impediscono o ritardano l’ascesa, provvedendo ad osservarle, capirle e a modificare la circostanze che ostacolano il naturale sviluppo. Per questo motivo, egli non ha un centro e una periferia nella classe ed è contemporaneamente assente e presente, figura di aiuto, di organizzatore e osservatore della vita psichica, fisica e culturale dell’alunno.
Quest’aspetto è centrale anche nella pedagogia steineriana, che si pone come arduo compito quello di aiutare e sostenere lo sviluppo nel bambino di tutte quelle forze spirituali, animiche e fisiche che si presentano solo in germe alla sua nascita.
Il bambino, infatti, avrà bisogno per la sua crescita, tanto di un nutrimento materiale, che ne sviluppi il corpo fisico, quanto di un nutrimento spirituale, che sviluppi l’anima e lo spirito; non solo, ma egli richiederà anche quella giusta educazione che metta in rapporto la parte spirituale con quella fisica, e viceversa.
Secondo Steiner, quando il bambino viene al mondo è dotato di un corpo fisico, mentre le sue altre parti costitutive sono presenti solo in germe, come sono presenti nel seme della pianta tutte le sue future trasformazioni: e come la pianta ha bisogno di nutrimento e tempo affinché si sviluppino le foglie, fiori e frutti, così anche il bambino dovrà ricevere il giusto nutrimento dall’ambiente affinché sviluppi forze autonome di crescita.
Queste considerazioni non hanno solo un carattere teorico ed un valore soggettivo, ma sono il prodotto di un’indagine scientifica, con la quale vengono poste delle solide basi per un insegnamento capace di intervenire nel delicato processo di crescita in modo esperto ed efficace, grazie ad una profonda conoscenza dell’essere umano.
L’educatore deve conoscere perfettamente “le leggi evolutive della natura umana” e senza questa conoscenza non può insegnare.
Il suo ruolo è immenso, soprattutto perché secondo la scuola steineriana, egli è libero di prendere qualsiasi iniziativa e non è soggetto a limitazioni o regolamenti. Egli dovrà attenersi al programma ideale così come è stato delineato da Steiner stesso, ma nello stesso tempo, facendo continuo riferimento alle sue conoscenze dello sviluppo del bambino, quelle che sono le esigenze della classe che ha di fronte, quelle del mondo esterno.
La sua abilità sta nel mantenere in equilibrio queste diverse richieste, avendo però sempre di mira il sano sviluppo e la formazione del soggetto.
La Programmazione Neuro Linguistica, anche riprendendo i metodi tradizionali, propone con forza, un educatore che viva personalmente le tecniche e le strategie che presenta alla classe, e sostiene che deve tenere un atteggiamento genuino, autentico, esprimendo i propri sentimenti positivi o negativi. È un essere umano che cresce insegnando, ma le cui convinzioni e modo di essere rappresentano continuamente un modello per i bambini che ha intorno.
Come dice Lo Presti lo stile educativo del tipo “Fate quello che dico, ma non fate quello che faccio” è del tutto improbabile.10 I bambini, per il principio di imitazione che li sostiene dai primissimi giorni di vita, fanno solo ed esclusivamente quello che vedono fare ripetutamente dai propri caregiver e in questo modo imparano ad esprimersi, a relazionarsi a vivere.
Il concetto, però, che troviamo in tutte le scuole di pensiero da Piaget a Gordon11 e nei libri di PNL è l’autoeducazione. L’adulto deve essere talmente abile da diventare “trasparente” come dice Steiner, capace, perciò, di fornire gli strumenti necessari affinché il bambino sia in grado di autogestirsi sotto tutti i punti di vista. L’educatore deve andare oltre la sua centralità, “perderla” per formare dei soggetti autonomi e autosufficienti.
Questa frase di Gibran mi sembra l’essenziale nelle tante parole e teorie che circondano il bambino:
Due cose può dare un adulto ad un bambino: le radici e le ali.

 

 

 

 

 

 

 

Il bambino

La PNL nel processo educativo: Il bambino

 

In passato, concezioni antiquate dello sviluppo infantile e del suo apprendimento si basavano su di un sistema teorico facente riferimento ad un modello intrapsichico; l’assunto dominante della letteratura psicopedagogica dell’età evolutiva considerava il bambino come un organismo relativamente passivo, le cui azioni e reazioni apparivano finalizzate primariamente alla riduzione degli stimoli.
Attualmente, nell’osservazione del bambino si indaga il tipo di esperienza che egli fa nel momento stesso dell’acquisizione di nuove competenze, cioè l’esperienza soggettiva del bambino durante le interazioni sociali, quando e come sperimenta affetti, apprende, comprende gli altri e se stesso.
Sameroff propone un’ottica seconda cui lo sviluppo di ogni persona è configurabile come un sistema regolato su due versanti principali, esterno ed interno, biologico e sociale. La componente biologica, genotipo che fornisce la base per l’organizzazione comportamentale, domina alcune fasi dello sviluppo e dell’apprendimento, quali lo stadio prenatale e postatale, la pubertà e la vecchiaia. Nei periodi intermedi sembra svolgere una regolazione silente.
Il sistema sociale interagisce con la medesima intensità in tutte le fasi della crescita, e per tutta la vita di un individuo, per la formazione di modelli adattativi di funzionamento. Le relazioni hanno, quindi, un ruolo di primaria importanza, essendo lo strumento con cui si attuano le regolazioni evolutive che modificano le esperienze infantili in sintonia con le trasformazioni corporee e comportamentali. Attraverso scambi con i sistemi di regolazione, i bambini acquisiscono via via competenze di autoregolazione biologica e comportamentale, rimanendo comunque per l’intero corso della vita ancorati a contesti interni ed esterni.
Stern si è dedicato a costruire una teoria che tenesse conto dell’esperienza soggettiva del bambino, ha tentato di descrivere l’emergenza e lo sviluppo normale del senso del sé quale principio organizzatore dell’esperienza. La premessa è che fin dai primi giorni, e forse anche prima della nascita, molto prima quindi dell’autoconsapevolezza e del linguaggio, esiste nel neonato una qualche forma di senso di sé e dell’altro. Un sé, diciamo, preverbale. Per “senso” Stern intende una semplice coscienza, da distinguere dalla consapevolezza autoriflessiva; non pensiero formulato ma esperienza vissuta.
Il bambino, nelle prime settimane di vita, è un essere molto attivo ed ha una ben delineata tendenza alla ricerca di stimolazioni sensoriali. Durante questi momenti egli sembra impegnato ad apprendere i rapporti tra le esperienze sensoriali: esplora l’ambiente e discrimina le stimolazioni che predilige tra tutte quelle che gli vengono offerte (visive, gustative, olfattive, di intimità corporea, ecc..).
Il neonato dimostra una tendenza innata a formulare ipotesi sul mondo che lo circonda ed a verificarle, da cui gli deriva la capacità di confrontare esperienze diverse ed individuarne le caratteristiche comuni.
La componente affettiva dell’esperienza è fondamentale ed inscindibile da quella percettiva. In altre parole, non è possibile separare i processi cognitivi da quelli affettivi con i loro caratteri costanti e variabili.
Ci si potrebbe domandare se, ed in che modo, il bambino sia capace di integrare ed associare esperienze sensoriali distinte.
La scoperta più rilevante ai fini di una comprensione della capacità del neonato di formare rappresentazioni, riguarda la sua abilità di ricevere informazioni in una modalità sensoriale specifica e di tradurle in modalità sensoriali diverse.
Questa capacità, chiamata percezione amodale, comincia con la vita mentale ed indica la necessità di formare rappresentazioni astratte delle qualità primarie della percezione.
I bambini sono in grado di percepire attraverso ogni modalità sensoriale, e in grado di rappresentarle astrattamente e trasferirle in altre modalità. Cogliere le caratteristiche più globali delle modalità sensoriali diverse e ridurle in forma di modelli è la capacità emergente del bambino, che attribuisce così un ordine alle cose e acquisisce una consapevolezza circa le caratteristiche, la forma, l’intensità e gli schemi temporali.
L’ipotesi di Stern è che, a livello preverbale e presimbolico, al di fuori quindi di ogni consapevolezza, l’esperienza di riscontrare coincidenze tra modalità percettive diverse produca una sensazione di familiarità.
L’esperienza presente e quella già vissuta sono messe in relazione: questo permette al bambino di costruirsi un’esperienza integrata di sé e degli altri.
Carmela Lo Presti, insegnante e practitioner di PNL, che applica le sue strategie negli asili nidi e nelle scuole elementari, afferma che l’educatore deve costruire nei bambini le abilità e le competenze per raggiungere i seguenti obiettivi:
I. Riconoscere se stessi
II. Riconoscere l’altro
III. Riconoscere l’ambiente
L’ottenimento di ciò avviene se il bambino, prima di tutto, viene messo in grado di riconoscere tutti i sensi, le sensazioni e le emozioni che gli appartengono, e solo così può instaurare un continuo feedback con chi sta accanto e la realtà che lo circonda.
La PNL, come già esposto in precedenza, pone la sua massima attenzione allo sviluppo di tutti i sensi, Sistemi Rappresentazionali, attraverso i quali si comunica e si interpreta il mondo.
Blackerby è un insegnante americano che nel 1981 ha fondato Success Skills, una scuola di apprendimento e formazione in Oklahoma City, che ha come obiettivo quello di applicare e diffondere le strategie della Programmazione Neurolinguistica nel processo di apprendimento.
Il bambino, secondo Blackerby, è fin dalla nascita in totale comunicazione con l’esterno attraverso tutti i sensi, proprio come affermava Stern, ma venendo a contatto con le figure adulte, tende a concentrarsi e a prediligere le loro mappe mentali e comportamentali, in cui non appare l’armonia tra vista, udito, olfatto, gusto e sentire emotivo.
Ogni soggetto, perciò, inizia a rafforzare uno specifico Sistema Rappresentazionale che lo caratterizzerà anche nello stile di apprendimento.
Recenti studi a riguardo hanno individuato tre fasi distinte attraverso le quali passano gli individui, caratterizzata ognuna da un diverso sistema di percezione sensoriale, analisi, elaborazione, archiviazione e uscita delle informazioni.
Fra i 5 e i 7 anni il bambino predilige mediamente una modalità di insegnamento/apprendimento basata sulle sensazioni tattili- cinestetiche.
Tra gli 8 e i 12 anni predilige una modalità basata sul canale uditivo; dai 13 anni in poi la modalità diventa di tipo visivo, basata sulle immagini e sulle rappresentazioni interne di concetti astratti.
Rudolf Steiner, pedagogo di fama internazionale, già un secolo fa analizzava le fasi d’apprendimento di un bambino in relazione ai sensi, dichiarando, come anche la PNL, che le attività didattiche devono evolversi e modellarsi in base alle varie abilità che si formano nelle diverse fasi di sviluppo.
Nel metodo steineriano, i primi tre anni di vita del bambino sono i più importanti e fruttuosi, caratterizzati dallo sviluppo dell’udito e del linguaggio, come pure da tutte le altre funzioni sensoriali. Il metodo propone in questa fase, giochi di rappresentazione, versi ritmati, un ascolto di fiabe e canto; inoltre si insegna a dare vita a materiali naturali, come ramoscelli di legno, pigne, oppure teli colorati, trasformandoli di volta in volta secondo le intuizioni degli alunni e adattandoli agli usi più diversi. Il principio dell’apprendimento, in questa fase, è l’imitazione, che prende avvio dall’osservazione e dalla riproduzione di semplici attività casalinghe o attività artigianali che gli adulti di riferimento compiono. Nelle fasi successive i bambini sviluppano una forte capacità visiva che viene rafforzata attraverso attività di disegno pittorico, canti e poesie.
La Montessori inaugura un metodo del tutto differente per la sua epoca. Invece dei metodi tradizionali, che includevano lettura e recita a memoria, istruisce i bambini attraverso l’uso degli strumenti concreti, il che da risultati assai migliori. Venne dunque rivoluzionata da questa straordinaria didattica il significato stesso della parola “memorizzazione”, parola che non venne più legata ad un processo di assimilazione razionale e/o puramente celebrale, ma veicolata attraverso l’empirico uso dei sensi, che comportano ovviamente il toccare e manipolare oggetti. L’educazione dei sensi, anche per Maria Montessori è un momento preparatorio per lo sviluppo dell’intelligenza e l’educazione del bambino deve far leva sulla sensibilità, parte centrale della psiche.
Anche la PNL modella le proprie strategie in base alle fasi di sviluppo dei sensi del bambino, ma cerca, con la stessa intensità, di sviluppare tutte le abilità necessarie e presenti nel bambino stesso, che fanno riferimento ai tre Sistemi Rappresentazionali. Per fare ciò, parte dall’assunto che solo quando le sfere visive, uditive e cinestetiche sono proporzionalmente presenti, il soggetto è in armonia con se stesso e in attenta propensione verso la realtà che lo circonda. Nel caso del processo d’apprendimento la presenza totale dei sensi garantisce al bambino un alto e rapido livello di apprendimento e un coinvolgimento attivo nel rapporto con l’educatore, che risulta essere maggiormente influente nel processo educativo.
Prima di procedere all’analisi dei vari sistemi di apprendimento che caratterizzano ogni bambino, percorriamo rapidamente il ciclo della competenza che secondo la PNL rappresenta le fasi dell’apprendimento che avvengono in ogni soggetto:
    1. Incompetenza inconscia: non so fare una cosa e al momento non ho le idee chiare su cosa mi occorre ( come quando i bambini vogliono fare il capostazione o guidare l’auto).
    1. Incompetenza conscia: ancora non so fare quella cosa, ma comincio a scoprire cosa occorre ( in termini di distinzioni sottili, micro, non semplicemente macro).
    1. Competenza conscia: area della goffaggine; ci metto tutta la mia attenzione consapevole per fare la cosa che sto imparando, come imparare a leggere e a scrivere ( in prima elementare, allenarsi a scrivere una “a”, ricordarsi come si fa una “q”: da dove deve uscire il ricciolo? Come farla bella tonda?) o a guidare l’auto ed usare il computer le prime volte che l’abbiamo fatto.
    1. Competenza inconscia: dopo un certo numero di volte o tempo di allenamento, lo facciamo senza pensarci più, in automatico, e lì scatta l’abilità di performance.
Ogni bambino, come abbiamo detto, impara attraverso i tre principali canali, uditivo, visivo e cinestetico. Molto spesso i bambini scelgono e privilegiano un canale di memorizzazione che diventa esclusivo finché l’insegnante-formatore non insegna loro a sfruttare tutti i canali.
Se l’insegnante sfrutta come supporto alla lezione, per esempio solo delle letture, raggiungerà solo ed esclusivamente quei soggetti che preferiscono e si identificano nel canale uditivo.
È perciò opportuno selezionare vari materiali di supporto come grafici, diagrammi, disegni utili per rappresentare ciò che si sta leggendo; una canzone per la memoria uditiva, una sigla scritta sulla lavagna per la memoria visiva e per la memoria cinestetica, proporre un esercizio come quello di scrivere il proprio nome con la mano non- dominante e cercare di fissare la sensazione o l’emozione che quest’ atto provoca.
Le lezioni svolte devono coinvolgere tutti i sensi dei bambini, e ciò non solo aumenta l’attenzione, ma anche il livello di apprendimento.
Anche Piaget nel suo celebre libro Où va l’education parla di apprendimento attivo, affermando che, capire vuol dire inventare, ovvero che l’insegnante deve essere in grado di stimolare continuamente l’attenzione e la curiosità degli alunni, che non devono essere contenitori di nozioni e informazioni, ma reinventare le verità per riscoprirle autonomamente.
Il bambino che dispone di un visual thinking ha la possibilità di pensare a molte cose contemporaneamente perché crea delle continue immagini mentali che si possono disporre in sequenza o accostare; le risoluzioni sono infinite.
I bambini che prediligono questo canale hanno spesso ottimi risultati in matematica, logica, spelling e problem solving; sono soliti usare un linguaggio non verbale.
Per facilitare l’apprendimento di questi soggetti l’insegnante usa soprattutto materiale visivo, prediligendo le immagini alle parole.
Vengono affascinati anche dalle espressioni del volto dell’insegnante che può sfruttarle per una più efficace comunicazione.
I soggetti che tendono ad un auditory thinking hanno come caratteristica quello di pensare in modo lineare, ovvero un’idea segue l’altra, e difettano di un’eccessiva lentezza.
Rendono maggiormente nella comprensione, nella corretta applicazione delle indicazioni date loro, nell’espressività della forma scritta; preferiscono la comunicazione verbale a quella analogica.
L’insegnamento rivolto a questi studenti deve rispettare i loro tempi prolungati per imparare una nuova nozione e concentrarsi su un’informazione alla volta.
Il formatore potrà sfruttare la propria voce per modulare e assecondare i cambiamenti di espressione e stati d’animo; il tono della voce è lo strumento necessario per catturare l’attenzione.
L’ultima categoria è quella relativa al kinestetic thinking, attitudine propria di soggetti che prescelgono i settori in cui possono esprimere i loro sentimenti, sensazioni, emozioni, come l’arte e la letteratura.
Coinvolgere questo tipo di pubblico vuol dire creare continuamente storie, giochi avvincenti ed entusiasmanti, che permettono ai bambini di interpretare dei ruoli capaci di suscitare loro nuove emozioni e sconosciute sensazioni.

 

 

 

 

 

 

La PNL nel processo educativo

 La PNL nel processo educativo

 

Come detto finora, la Programmazione Neuro Linguistica è il metodo che può essere applicato con successo a tutti quei settori in cui la comunicazione risulta essere centrale.
La mia analisi, in questa seconda parte, si concentra sul mondo della scuola e sull’ interazione che avviene tra bambini e tra bambino e insegnante.
E’ un campo, quello dell’educazione, in cui la comunicazione è sempre presente, come processo dinamico che cambia, cresce e si evolve.
Molto spesso però, invece di aiutare questo naturale e fruttuoso dinamismo, si tende a cristallizzare e a stabilizzare il processo educativo.
Il ruolo che la PNL può assumere è di straordinaria efficacia ed innovazione, e l’educatore, che mette in atto le sue strategie, risulta essere il protagonista di un profondo e radicale cambiamento, il cui beneficio è collettivo.
Prima di addentrarmi in questo immenso ambito, mi preme sottolineare la differenza tra due termini che comunemente vengono utilizzati senza distinzione: insegnare ed educare.
L’insegnante è colui che in-mette informazioni nei soggetti: l’immagine di quest’ azione è un trasferimento da un pieno (insegnante) ad un vuoto (bambino) al fine di riempire quest’ultimo.
Il verbo educare rimanda all’allevare, ovvero tirar fuori qualcosa da qualcun’altro. Il bambino, in questo caso, non è un “vuoto”, ma un luogo dal quale si estraggono competenze e abilità.
Da questa seconda immagine parte la PNL, e la sua concezione di feedback tra educatore e bambino si distacca dal tradizionale e stantio modo di insegnare, che si riduce ad un semplice trasferimento di dati, nozioni e informazioni.
Al centro c’è il bambino come essere umano.
Come ci insegna la PNL, prima di una qualsiasi azione bisogna focalizzare l’obiettivo, la mission; perciò prima di applicare un metodo o una strategia di insegnamento bisogna aver chiaro ciò che desideriamo.
La domanda alla quale qualsiasi tipo di operatore, educatore, insegnante, allenatore è obbligato a rispondere prima di operare è: che tipo di essere umano voglio formare?
È alquanto evidente la responsabilità implicita in tale quesito.

 

 

 

 

 

 

La PNL e le professioni sanitarie

 La PNL e le professioni sanitarie

 

Negli ultimi anni molti studi hanno dimostrato che, una parte sorprendentemente elevata di malattie, oggi, è dovuta a cause che hanno a che fare con lo stress. Si è visto che una percentuale significativa di disturbi cardiocircolatori, ulcere, artriti, emicranie, infermità degli occhi e di altri sintomi fisici ha un rapporto diretto con lo stress, che è un risultato naturale delle strategie esistenti in molti individui. Lo stress di per sé può essere estremamente funzionale e non del tutto negativo e risultare come motivatore e meccanismo positivo.
La mente (i processi neurologici) e il corpo (meccanismo governato da questi processi) sono parti interconnesse dello stesso sistema biologico.
I nostri Sistemi Rappresentazionali sono un’ interfaccia con gli altri sistemi neurali, per cui i risultati neurologici sono delle strategie che influenzano le risposte motorie, la respirazione, il controllo autonomo delle secrezioni ghiandolari, la chimica corporea, il cuore e la pressione sanguigna, il metabolismo e persino il sistema immunitario.
L’attività neurale di una parte del nostro sistema biologico non può non avere effetto sul resto del sistema.
La Programmazione Neuro linguistica è una valida risorsa per la medicina preventiva e nel trattamento delle malattie psicosomatiche.
Cambiando il modo di dirigere e organizzare neurologicamente il proprio comportamento, attraverso le proprie strategie (ciò che comporta delle modificazioni di segnali d’accesso e risultati, ci si riorganizza fisiologicamente.
Da molto tempo ormai, nelle professioni medico-sanitare si riconosce che l’atteggiamento psicologico è un contributo alla facilità e alla rapidità con cui il paziente riesce a guarire. Con la PNL si gestiscono processi di portata assai più ampia e profonda del semplice atteggiamento. Servendosi di questo metodo, molte persone hanno interrotto delle strategie che favorivano l’indisposizione, progettandone e mettendone in funzione altre destinate al controllo e alla regolazione dei principali aspetti dei loro disturbi fisiologici.
Gli esperti di PNL hanno osservato che i soggetti con strategie simili sono predisposte a disturbi simili e che si possono prevedere i tipi di infermità più probabili per una persona con un certo insieme di strategie.
Una valida tattica è quella di trovare una persona che sia riuscita a guarire in modo facile e rapido da una data malattia e prenderne a modello le strategie, seguita dall’insegnamento di queste strategie o dalla loro installazione in altri che abbiano la stessa malattia.
Questo non vuol dire che la PNL svaluti la medicina tradizionale o dissuada la gente dal servirsene, ma afferma con decisione, che le cause di molti sintomi fisici possono essere fatte risalire agli schemi di comportamento e possono essere alleviate con modificazioni del comportamento.
L’avvento del bio-feedback ha dimostrato abbondantemente, che i processi fisiologici autonomi possono essere controllati in misura assai maggiore di quanto non si ritenesse possibile qualche anno fa. Così come l’effetto placebo che sembra indicare l’esistenza di classi di sintomi e processi patologici che è possibile guarire da soli, senza il ricorso a farmaci attivi.
È certamente molto, quello che si può fare con il comportamento per evitare le infermità. Lo sviluppo e l’installazione di strategie può favorire l’accesso più diretto a forme di autoesame e autoregolazione.
Il procedimento di ricalcare strategie di motivazione e di apprendimento, può essere molto efficace per stimolare e promuovere abitudini salutari e piani di cura e programmi preventivi.