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Come scegliere il canale social per il Personal Brand

Come scegliere il canale social per il Personal Brand

Come già detto in precedenza i Social Media sono degli ottimi alleati per creare una community e indirizzare le diverse attività per il Personal Brand, ma allo stesso tempo se non vengono gestiti e coordinati in modo adeguato, possono diventare strumenti negativi all’immagine e brand reputation.

La scelta dei Social Media dipende sempre dagli obiettivi stabiliti e dall’utilizzo da fare per la nostra mission pianificata a monte.

Spesso si fa il grande errore di aprire canali Social di ogni tipo, ma ovviamente se non vengono seguiti e curati perderanno la loro efficacia.

Molte case study negative l’hanno insegnato, oggi non è importante solo che se ne parli, ma anche il come se ne parli sui social. (@JuliusDesign | Retweet)

La scelta del canale social deve essere ponderato all’inizio seguendo la comunicazione, il target e gli obiettivi prefissati del brand: solo in questo modo si avranno le idee più chiare sulla scelta.

Non dobbiamo essere presenti in tutte le piattaforme, ma dobbiamo capire prima cosa vogliamo comunicare, perchè un canale di un Brand gestito male, o addirittura presente, ma assente di contenuti, è un aspetto molto negativo e controproducente alla nostra brand reputation.

Scegliere il social adatto prevede una serie di step:

  • l’individuazione del brand: storia, valori che si vogliono comunicare e posizionamento del brand;
  • gli obiettivi: brand awareness (consapevolezza del brand e del servizio/prodotto che vogliamo comunicare), credibilità del brand, esperienza del cliente e supporto alla vendita di se stessi come brand;
  • pubblico: chi è il nostro pubblico? Dove si trova? Come lo raggiungiamo?;
  • canale social: scegliere quale canale ci soddisfa, scegliere il tono di voce, studiare la concorrenza e fare un piano di comunicazione.

Concludendo, usare i Social Media, significa prima di tutto saper scegliere e saper gestire un canale parallello alla propria comunicazione, in modo da offrire un valore aggiunto e concreto durante la pianificazione di comunicazione e strategie di marketing. Usare in modo corretto i diversi social media può portare vantaggi notevoli a livello di visibilità, e attirare potenziali clienti. Esserci e basta non funziona più, quindi se vogliamo potenziare la nostra visibilità sui social dobbiamo sapere cosa fare e in che modo.

Il contenuto è importante, ma se rimaniamo nascosti, nessuno mai arriverà a conoscerci.

 

 

© Il personal Branding – Marika Fantato

 

 

Approfondimento sul Metodo Canvas

Approfondimento sul Metodo Canvas

Il Personal Branding Canvas, ideato da Luigi Centenaro ( creato insieme all’azienda italiana Beople SRL specializzata in Business Design) è lo strumento visivo per lo sviluppo rapido di una strategia di Personal Branding. L’idea è di rendere il più semplice possibile:

  • descrivere, progettare e re-inventare il proprio Personal Brand anche senza basi di Branding e di Marketing;
  • insegnare e fare coaching sul Personal Branding in maniera semplice ed efficace. Il Personal Branding Canvas è basato sull’approccio Business Model You®, sviluppato da Tim Clark e sulla metodologia Business Model Generation resa famosa da Alex Osterwalder e Yves Pigneur nel loro best-seller.

Il punto di forza del Personal Branding Canvas è quello di far spostare l’attenzione dal lungo sviluppo di una strategia, che può richiedere molto tempo e risorse, a quello della progettazione, del ragionare per modelli: realizzare un primo prototipo, testarlo sul mercato e imparare dai feedback.

La metodologia che vi è alla base comprende, molti strumenti e pratiche visive, alcuni originali e altri presi in prestito dal Business Design e dal Design Thinking: mappa empatica, customer journey, Value Proposition Canvas, mind mapping, mappe di posizionamento, ecc.

Fare Personal Branding significa implementare il processo con cui una persona identifica il suo valore, lo fa conoscere al giusto pubblico (audience) e ottiene risultati per se stessa. Per attivare questo processo è necessario disporre di un modello chiaro e dell’immagine generale, la big picture: di dove stai andando, perché lo stai facendo, come e se stai raggiungendo il risultato che desideri.

Il Personal Branding Canvas permette di fare tutto questo molto velocemente.

Figura 3. Metodo Canvas disponibile all’indirizzo: http://personalbrandingcanvas.com/it/canvas-ita/

Il Personal Branding Canvas è un nuovo strumento “visual” che in nove passi può aiutare chiunque a creare, valutare, riprogettare e migliorare il proprio Personal Brand. Questo approccio è rivolto a tre segmenti di persone:

  • per chiunque voglia scoprire o re-inventare il proprio Personal Brand, ma vuole un approccio concreto e senza gergo tecnico: artisti, professionisti, avvocati, dottori, dentisti, imprenditori, startupper, manager, studenti, politici, celebrity, influencer, blogger, etc;
  • per tutti quei professionisti nel campo del successo personale: career coach, consulenti d’immagine, portavoce, PR, digital PR, community manager, talent agents, web e social media marketing, ecc. Tutti coloro che necessitano di un metodo pratico per sviluppare una strategia allineata con la vera identità e gli obiettivi reali dei loro clienti e studenti;
  • questo metodo visivo può anche semplificare il lavoro di qualsiasi Personal Branding Strategist perchè l’approccio sottolineato dal Canvas può sostenere qualsiasi stile di personal branding.

 

 

 

© Il personal Branding – Marika Fantato

 

 

Roadmap per una social media strategy

Roadmap per una social media strategy

Foto di Free-Photos da Pixabay

Come scrive Massarotto, gli elementi costitutivi di una scocial media strategy sono[1]:

  • ricordare che la community del proprio brand vivrà al 90% distribuita su property non vostre;
  • pianificare sui social media;
  • avviare un monitoraggio preliminare ampio e strutturato prima di delineare la strategia;
  • inserire l’ascolto strutturato e in real time come primo elemento continuativo della propria strategia;
  • scegliere un tipo di strategia: presidio, promozione, progetto o solo ascolto;
  • scegliere in base alla strategia quali spazi presidiare:
  • programmare la crescita della propria presenza (promozionale, organica, media);
  • definire uno stile di relazione;
  • definire una policy per i social media e le regole;
  • verificare la propria strategia in rapporto alla brand identity.

Riassumendo quindi, gli elementi di primaria importanza, se vogliamo usare i social media in modo efficace attirando potenziali clienti, da non dimenticare di aggiornare nei nostri account personali sono:

  • le foto: l’immagine di un profilo è molto importante, è meglio non utilizzare foto non vere, ma scegliere una nostra foto che ci faccia ricordare di noi e cercare di non utilizzare foto diverse, ma un massimo di 3 foto simili, per non confondere il potenziale cliente;
  • Link SitoWeb o Blog: quasi ogni social media permette nel proprio account di inserire un URL, che indentifichi il sito web o blog principale. Questa è una informazione molto utile per avere una nuova finestra nella quale intercettare potenziali clienti;
  • biografia: trovare la possibilità di inserire una breve descrizione, per informare la nostra attività. Se non cè la possibilità di scrivere troppo testo basta il titolo professionale, altrimenti bisogna cercare di spendere qualche paragrafo per la nostra presentazione;
  • contatti: oltre ad inserire informazioni su di noi, accertiamoci di lasciare la possibilità di contattarci tramite altri social media o email. Diversi progetti permettono nel proprio account di aggregare altri social, è opportuno fare tale collegamento solo con quelli che si utilizzano davvero.

 

 

© Il personal Branding – Marika Fantato

 

 

[1] Massarotto M., Social Network. Costruire e comunicare identità in Rete.,Apogeo, 2011 pag.39

Social media strategy per la promozione del Personal Brand

Social media strategy per la promozione del Personal Brand

Foto di Gerd Altmann da Pixabay

 

Il mondo dei social media in continua evoluzione e mutazione può essere visto da più punti di vista, in base alle risorse e agli obiettivi che le persone vogliono raggiungere. Si possono intraprendere diverse strategie, per rendere i social media il miglior strumento di marketing utile alla comunicazione del proprio brand.[1]

Strategia di presidio: identifica i social media come lo spazio di massima importanza per la comunicazione del brand, la strategia è molto impegnativa sia economicamente che come utilizzo di risorse. Gli elementi chiave di una strategia di presidio sono:

  • piano dei contenuti
  • community management
  • reportistica strutturata
  • coinvolgimento aziendale elevato

Facebook è il social network più adatto per questa strategia, grazie alle pagine riservate ai brand opera proprio in termini di presidio; YouTube invece è quello meno adatto per il troppo impegno che richiede per costruire una produzione video di lungo periodo e per i limiti strutturali della piattaforma.

Le strategie di presidio richiedono una grande pianificazione ed un sistema di metriche innovative per calcolare il ROI[2]. E’ bene programmare anche un’analisi di banchmark della concorrenza[3]. Il vantaggio di queste strategie è che lavorano sulla ottimizzazione della reputazione dell’azienda, che è un concetto fondamentale per la buona percezione del brand.

Strategia di promozione: riguarda l’insieme delle strategie utilizzate per supportare il lancio di una campagna o di una singola iniziativa. Il vantaggio è che sono programmate e gestite con uno sforzo organizzativo contenuto, ma non sfruttano totalmente la potenzialità dei social media. Di solito sono caratterizzate da: temporaneità, promozionalità/offerte e contenuti limitati in quanto le persone tendono a rifiutare le conversazioni che non sono strettamente legate al servizio/prodotto che si vuole promuovere. Di conseguenza possono anche creare delle insoddisfazioni negli utenti le cui domande non trovano risposte.

Strategia a progetto: prevede di coinvolgere i social media in un periodo temporale definito per promuovere o lanciare un progetto che può essere di:

  • co-creazione di contenuti;
  • feedback ovvero raccolta di opinioni;
  • creativo come un progetto collaborativo;
  • sociale come un’operazione di beneficenza.

Gli elementi chiave di una strategia progetto sono:

  • l’obiettivo;
  • la community di riferimento;
  • la community management;
  • la sinergia con il resto della comunicazione.

Perchè il progetto abbia successo deve essere di interesse, coinvolgente, innovativo e rivolto alla community adatta.

Strategia di solo ascolto: é la scelta di alcuni brand di mettersi solo in ascolto e di confrontarsi solo così con i social media. Ovviamente risulta essere una strategia poco dispendiosa, ma comunque se fatta in maniera professionale può essere molto utile.

Vede alcuni vantaggi:

  • basso impegno;
  • pochi rischi;
  • prepara la persona che vuole comunicare successivamente, conoscendo prima la cultura del web attraverso la fase di ascolto.

Questa strategia, quindi non utilizza per nulla i social media per comunicare, ma non si preclude la possibilità di intervenire, in casi di necessità, senza attivare i social media. Queste sono le quattro principali strategie di utilizzo dei social media per rendersi visibili agli occhi della Rete.

Ma ci sono anche altre strategie, sotto forma di accorgimenti, che possono essere utilizzati dalle persone per avere una buona presenza sul web e conservarla, quali:

  • creare e aggiornare i propri spazi sui social networking;
  • gestire un blog tecnico puntuale e aggiornato:
  • partecipare alle discussioni online per dare testimonianza della propria professionalità, della propria competenza e del proprio track record (precedenti esperienze, curriculum professionale);
  • le conversazioni degli utenti del web: possono avere un grande impatto sulla reputazione di persone e brand quindi trascurarle o ignorarle può essere fatale

(effetto passaparola);

  • le foto: un modo di trasmettere umanità, calore, vicinanza, facilmente da mettere online, ma potenzialmente utilizzabili da altri. Le foto postate possono essere riprese e pubblicate in spazi dove non figura il nome dell’utente che le ha pubblicate. Le foto su Internet sono uno strumento molto potente e usarle come strategia per il personal branding è utile, ricordandosi però che non si ha il controllo sulle foto in sé, ma sulle parole associate nel titolo, tag o post connessi;
  • i domini: registrare il proprio nome e cognome per marcare il territorio, nei motori di ricerca. Riservare i domini è un modo per evitare che si verifichi un furto d’identità, un omonimia scomoda o cybersquatting;
  • username o URL personalizzato: è importante perchè più è semplice e uguale al nome della persona più è facile da comunicare e far circolare;
  • il curriculum nel web: la gestione del proprio personal brand e della propria digital reputation riguarda anche la vita professionale, quindi mantenere le relazioni professionali attive attraverso i social, ottenere gli endorsement e gli accrediti accademici e professionali, come in Linkedin le raccomandazioni/referenze, sono la strategia utile a mantenere un profilo professionale per la ricerca di un lavoro;
  • SERP stategy: deve prevedere il monitoraggio dei risultati, un piano di contenuti per ottenere SERP (Search Engine Result Page ovvero pagina dei risultati dei motori di ricerca) sempre più ottimali e delle linee guida condivise sui risultati indesiderati;
  • un network attivo e con post recenti a cadenza regolare è una strategia per aiutare a capire se una persona è veramente quella che dice di essere;
  • il lifestream: una strategia per aggregare automaticamente in un’unica pagina ogni cosa che ognuno di noi crea online: possono essere messaggi, video o foto che si inviano, libri, articoli, blog che si leggono, programmi che si usano o musica che si ascolta. Può essere qualsiasi cosa che è fatta di bit e che è online, basta che il servizio da cui parte il messaggio la possa esportare e che quello a cui arriva la possa aggregare. I flussi vengono raccolti attraverso diverse tecnologie e la più utilizzata è il feed RSS: ogni servizio che abbia un feed pubblico raggiungibile dal web può virtualmente essere aggregato al proprio lifestream;
  • il monitoraggio di sé stessi, del proprio nome.

Grazie a tutte queste strategie si allarga la rete di relazioni e si crea una digital reputation solida ed efficace, perchè il personal branding oggi si costruisce partecipando alla conversazione online e dal momento che su Internet non ci siamo noi, ma la nostra immagine, è bene indirizzarla nella prospettiva giusta. Se ognuno di noi non cura la propria reputazione online, ci penserà qualcun’altro con conseguenze negative per il proprio personal brand.

Il personal branding è nato come effetto collaterale del fatto che grazie al web le nostre vite sono diventate pubbliche e consultabili e impaginate dentro a griglie simili a quelle di una marca.

Creando accout e profili nei vari social network creiamo un’immagine di noi caratterizzata da: nome=brand, avatar=logo e status=payoff (slogan/una frase breve che accompagna il nome di un prodotto).

Di conseguenza le nostre vite impaginate dentro a queste griglie simili a quelle di una marca, sono diventate pubbliche e i contenuti dei profili creati per noi stessi possono avere delle conseguenze positive, nuovi amici, complimenti, contatti di lavoro, ma anche negative perchè dobbiamo rispondere di cose che non vorremmo o ci viene chiesto di rendere conto delle nostre azioni.

Tutto quello che pubblichiamo su Internet è permanente e consultabile così come quello che gli altri dicono di noi o del nostro brand. Quindi importante è la gestione della propria immagine, ma anche quella della propria reputazione.

 

 

© Il personal Branding – Marika Fantato

 

 

[1] Massarotto M., Social Network. Costruire e comunicare identità in Rete, Apogeo, 2011

[2]  ROI= Return on investment è il rapposrto tra costi e profitti netti, viene utilizzato per calcolare il ritorno sull’investimento di un sito web ad esempio. Si calcola attraverso la formula: ROI= Utile derivato/ Capitale investito, dove per utile derivato si intende il reddito totale dell’operazione meno il capitale investito. Si utilizza il ROI per decidere come impiegare il budget e scoprire poi quanto si guadagna.

[3]   L’analisi di banchmark consente di: confrontare risultati, trend e caratteristiche di aziende e brand tra loro concorrenti, individuare i fattori chiave per operare con successo nel settore di appartenenza e comprendere le dinamiche competitive operanti nel settore. Questa analisi permette di capire immediatamente il posizionamento dei brand, in funzione dei diversi aspetti economico-finanziari indagati.

Social Media e Personal Branding

Social Media e Personal Branding

L’arrivo del web 2.0 e l’affermazione dei social media ha cambiato la relazione tra emittente e destinatario: i mercati sono diventati conversazioni.

Le caratteristiche di Internet, ovvero l’interattività, la partecipazione, la conversazione, la formazione di community, la fruizione di informazioni in tempo reale e la loro persistenza per molto tempo, hanno reso possibile una nuova forma di comunicazione non più unidirezionale come con i media tradizionali.

Alla base di ogni media sociale ci sono i contenuti, il materiale che gli utenti generano e condividono. La rete non connette computer, ma persone e per essere accettati all’interno delle conversazioni è necessario essere trasparenti e autentici.

Come afferma il blogger Mike Arauz:

Il valore di un brand online è il prodotto dell’investimento per il tempo speso per l’attività sociale svolta.

I social media quindi, essendo dinamici e aperti, rappresentano un canale ideale per affermare e comunicare il proprio brand personale.

Nel web 2.0 la reputazione e l’immagine di una persona dipendono da quello che gli altri dicono sul suo conto in rete, quindi il nostro personal brand non è ciò che diciamo, ma piuttosto quello che condividiamo, le conversazioni e la capacità di mantenere la promessa di valore che sosteniamo.

I social media sono molto importanti per sviluppare e rafforzare il posizionamento SEO. Per questo motivo come affermano Centenaro e Sorchiotti[1] per un buon personal brand si devono rispettare alcuni elementi chiave:

  • creare contenuti interessanti e coinvolgenti: la chiave di tutto, utili a farsi trovare; più link si riceveranno e migliore sarà il posizionamento sui motori di ricerca;
  • creare contenuti attuali: occorre essere costantemente aggiornati per capire quali siano gli argomenti di interesse dei lettori e dei propri utenti. La rete evolve velocemente e in alcune comunità gli argomenti possono diventare “in” o “out” anche nel giro di poche ore;
  • incoraggiare l’interazione: perchè il primo obiettivo deve essere quello di invitare gli utenti a contattarti, a comunicarti le proprie considerazioni e a confrontarsi con te, in modo tale che ogni discussione permetta uno scambio di opinioni,oltre che una nuova modalità di incontro;
  • promuovere la condivisione: ovvero la possibilità di condividere un contenuto che si apprezza anche con i tuoi contatti nella modalità preferita;
  • aggiornare con costanza e frequenza: in quanto qualsiasi attività sui social media richiede aggiornamenti costanti e in linea con le attività del brand, attraverso la coerenza con lo stile e il linguaggio utilizzati per diventare attendibili agli occhi delle persone;
  • ascoltare il proprio pubblico: leggendo quanto si dice a proposito del brand e della categoria di riferimento, per entrare in contatto con le persone che scrivono e rispondono e avviare così discussioni. Se i commenti sono positivi, si può pensare di rendere disponibili queste opinioni ai potenziali clienti e quindi promuoversi, al contrario, con giudizi negativi, sarà opportuno analizzarli e capire se rappresentano spunti per migliorare il servizio e quello che offriamo;
  • promuovere l’attività: sia con attività di marketing e comunicazione tradizionali, sia attraverso i social media, per promuovere ogni iniziativa offrendo un nuovo spazio di incontro e confronto.

Per mettere in pratica questi suggerimenti e dar vita ad un buon personal brand, si deve comunicare e restare in contatto con amici e conoscenti, ma soprattutto definire quali saranno i nostri punti di partenza.

Se fino a qualche anno fa, lo strumento più idoneo a costruire una forte presenza online era quello di crearsi il proprio sito personale, oggi i social network ci forniscono piattaforme sociali semplici, immediate e facili da gestire per definire e comunicare la propria identità online. Facebook, Twitter, Google+, LinkedIn, YouTube, Instagram e tutti gli altri social network, infatti, sono servizi che permettono di rappresentare al meglio il proprio brand e se stessi. Come i blog, che rimangono il miglior spazio per condividere testo, audio, video e immagini, approfondendo in maniera efficace e non breve e concisa, come nei social, ogni tema.

 

 

© Il personal Branding – Marika Fantato

 

 

[1]  Centenaro L., Sorchiotti T., Personal Branding. Promuovere se stessi online per creare nuove opportunità, Hoepli, 2013 pp. 107-108

Social media e social network: dalle origini ad oggi

Social media e social network: dalle origini ad oggi

Che differenza c’è tra social media e social network?

Spesso questi due termini sono usati in modo interscambiabile, ma in realtà sono due concetti con significati diversi.

Viene definito social media, da medium che in latino significa mezzo/strumento, un gruppo di applicazioni basate sul web che permettono la creazione e lo scambio di contenuti generato dagli utenti.

Social network, rete sociale in italiano, invece, nasce all’interno delle scienze sociali come concetto usato per descrivere le relazioni tra individui, gruppi e organizzazioni; è un servizio che per funzione primaria consente o agevola l’organizzazione e la gestione via Internet di una mappa di una parte delle proprie relazioni sociali attraverso la possibilità di creare e condividere contenuti, conversazioni o attraverso altri strumenti di socialità. I social network rappresentano un reticolo di persone unite tra loro da interessi di varia natura, che decidono di costruire una community, intorno agli interessi che hanno da condividere.

La differenza sostanziale è che i social media sono i veicoli necessari per condividere le informazioni con la nostra community e ciò rende possibile l’interazione con gli altri; mentre il social network, in quanto rete, la si può esprimere attraverso un grafo, in cui i nodi rappresentano gli individui e gli archi i legami che gli uniscono, si basa sulle conversazioni, secondo un modo di comunicare bidirezionale.

Ultimamente si parla molto di social network, ma il concetto stesso di rete sociale esiste da moltissimo tempo: esistono come reti fisiche, basti pensare ai sindacati o alle comunità religiose, persone unite da molteplici interessi che condividono e creano contenuti. Oggi quando si parla di social network si pensa immediatamente al web 2.0, in realtà è un concetto molto più antico e concreto.

I Social Media vengono definiti i figli del web 2.0, ma in realtà nascono nel 1971, con l’invio della prima e-mail tra due Pc. All’inizio degli anni ’90 Internet cominciò la sua divulgazione di massa. Tim Berners-Lee caricò sui server del CERN di Ginevra la prima pagina del progetto World Wide Web e gli Internet provider cominciarono ad offrire ai privati la possibilità di collegarsi al web, di avere un account e-mail e i primi servizi online: news, shopping, community.

Verso la fine degli anni ’90 nasce quello che oggi chiamiamo Web 1.0: nascono le prime web company che cercano di offrire esperienze online sempre più ricche e complete. Sono gli anni in cui nascono i portali e le community, dove gli utenti possono aprirsi un profilo, consultare forum e mandarsi messaggi. È in questo momento che nasce il primo sito riconducibile forse alle prime forme dei social network on line: era il 1997, quando uno statunitense di nome Ellison creò e lanciò in rete SixDegrees.com, un sito che aveva come obiettivo la creazione di relazioni digitali tra persone. Questo fu l’inizio di una nuova era. Il sito è stato attivo dal 1997 al 2001 ed è stato il primo sito che inglobava le caratteristiche distintive di un social network: profilo personale, lista di amici, messaggistica e instant messaging/chat, pubblicazione di status, visita dei profili degli amici e non e consultazione dei network.

Con l’inizio degli anni 2000 Internet subisce una battuta d’arresto a causa del disastro finanziario, ma è proprio nei primi anni 2000 che nascono i servizi collaborativi come Wikipedia, Youtube, Google e Facebook. Nasce così il Web 2.0.

Nel 2003 assistiamo alla nascita di LinkedIn dedicato ai professional dei social networking, nello stesso anno nasce anche MySpace, come spazio di espressione artistica online con riferimento soprattutto al mondo della musica.

Nel 2004 va in Rete Facebook, inizialmente come versione online dell’annuario di Harvard, ma oggi come social network dominante del pianeta.

Nel 2005 nasce YouTube, oggi come primo sito di entertainment al mondo.

Nel 2006 nasce Twitter, un servizio di microblogging.

Per la diffusione dei principali social network, Vincenzo Cosenza[1] ha elaborato una mappatura, che evidenzia il servizio più usato da desktop in ogni nazione, costruita usando i dati di Alexa e di altri servizi similari.

Anche se parziali, perché non evidenziano la componente mobile del traffico, che però ancora non è predominante, certificano lo stato dei social network nel mondo e la crescita inarrestabile di Facebook.

Il fenomeno si espande in tempo reale, a livello globale, con grandi differenze a seconda delle aree geografiche.

Grafico 1. Mappa dei social network nel mondo aggiornata a Giugno 2014, disponibile all’indirizzo: http://vincos.it/2014/09/04/la-mappa-dei-social-network-nel-mondo-luglio-2014/

Per comprendere ancora meglio questo fenomeno, Cosenza ha rappresentato i social media come delle scatole, nelle quali ogni area è proporzionale al numero mensile degli utenti attivi.

Grafico 2. I social media nel mondo: numero di utenti attivi al mese. Gennaio 2014, disponibile all’indirizzo: http://vincos.it/social-media-statistics/

Come si può vedere dal grafico, Facebook è la più grande piattaforma e conta 1,19 miliardi utenti attivi ogni mese, seguito da Qzone, il più importante social network cinese con 623,3 milioni di utenti. Google+ è al terzo posto con 300 milioni di utenti attivi. Tencent Weibo lanciato dallo stesso proprietario di Qzone e WeChat, conta 220 milioni di utenti attivi al mese, seguito da Twitter, suo modello d’ispirazione, con 218 milioni. Poi abbiamo Instagram, la piattaforma sociale che sta crescendo velocemente, che ha raggiunto i 150 milioni di utenti attivi. Infine, Forsquare con appena 8 milioni di appassionati.

Grafico 3. Social mondo: età utenti attivi. Report Gen2014 –GlobalWebIndex. Tratto da Social Brand Day 2014, l’evento sui Social Media per le aziende 8-9 Maggio a Bologna.

Numeri e statistiche in Italia: Facebook, Twitter, YouTube, Google

Plus e LinkedIn

Grafico 4-5-6-7. Panoramica dei Social Media in Italia: numeri e statistiche. Tratto dalla presentazione dell’evento: Social Brand Day 8-9 Maggio 2014, di Giuliano Ambrosio e Cristina Simone.

Da questi dati possiamo confermare anche in Italia, quello che è un fenomeno sociale nel mondo: la piattaforma Facebook si aggiudica il primato degli utenti attivi italiani, ben 26 milioni. Seguito da Youtube (24 milioni), Twitter (4,5 milioni), Instagram e Linkedin (con 4,5 milioni), e ultimo Google+ (3,8 milioni).

Con una popolazione di 61,5 milioni di abitanti, l’Italia ha 35,5 milioni utenti Internet e ben 97 milioni di abbonamenti mobile attivi, il 58% in più rispetto al totale della popolazione, ossia una persona su due ha due SIM.

We Are Social ha pubblicato il report Social, Digital & Mobile in Europa 2014, una fotografia della popolazione europea sull’utilizzo di Internet, social e mobile che sottolinea quando il mondo online sia penetrato nella nostra vita di tutti i giorni. Molto interessante il confronto tra l’Italia e gli altri paesi europei. In breve:

  • penetrazione di Internet: in Italia è del 58%, la media europea è del 68%;
  • penetrazione dei social network, utenti attivi: in Italia è del 42%, la media europea è del 40%;
  • abbonamenti mobile attivi: in Italia è del 158%, la media europea è del 139%.

Se da una parte l’Italia è sotto la media per quanto riguarda la possibilità di accedere alla Rete, dall’altra è senza dubbio davanti rispetto al continente europeo in termini di ore trascorse online e di utilizzo dei social media soprattutto via mobile.

In Italia il tempo medio speso su Internet ogni giorno è di 4,7 ore tramite laptop/desktop, e di 2,2 ore accedendo tramite mobile. Un tempo molto alto, se pensiamo che in Germania non si raggiungono le 4 ore e in UK le 4,1 via desktop, e che i francesi, per esempio, ne spendono 1,4 e gli inglesi 1,6 via mobile.

Per quanto riguarda il tempo speso sui social media, l’Italia è uno dei paesi in Europa dove si spende più tempo sui social media, ben 2 ore, circa mezz’ora in più al giorno rispetto la media europea.

 

© Il personal Branding – Marika Fantato

 

[1]   Vincenzo Cosenza è social media strategist e responsabile della sede romana di BlogMeter. Dopo tre anni di esperienza nelle relazioni pubbliche di Microsoft, ha deciso di occuparsi delle nuove forme di comunicazione aziendale e di monitoraggio delle conversazioni in rete prima in Digital PR e ora in BlogMeter. Dell’impatto della rete su società, individui e imprese riflette su vincos.it. Ha scritto Social media ROIi (Apogeo, 2014) e l’ebook La società dei dati (40k, 2012).

Le 4P del marketing tradizionale applicate al Personal Brand

Le 4P del marketing tradizionale applicate al Personal Brand

Foto di Gerd Altmann da Pixabay

Noi siamo un brand in tutto e per tutto, il mercato di riferimento adatto alla nostra unicità è rappresentato dai datori di lavoro che sono costantemente bombardati dai messaggi della concorrenza, gli altri professionisti del settore e che sono sempre alla ricerca di qualcosa di innovativo.

Anche se i confini del marketing tradizionale non esistono più, a causa dei media online e delle nuove tecnologie digitali, le sue tattiche di base possono essere rielaborate per condurre una strategia online di personal branding.

Le 4P del marketing sono: prodotto, prezzo, posizione e promozione, di conseguenza noi siamo il prodotto in vendita.

  • Prodotto: Per sviluppare una strategia di personal branding online, si deve determinare chi siamo come professionisti e costruire un personal brand intorno ai punti di forza, alle capacità ed esperienze. È importante creare un brand coerente e riconoscibile intorno alla nostra personalità, che abbia una mission, degli obiettivi e alcuni elementi brand visivamente riconoscibili. Il pubblico dovrà sapere immediatamente che cosa offriamo e che cosa può ottenere lavorando con noi e per far questo bisogna decidere quali saranno i messaggi chiave e usare un solo nome come brand.
  • Prezzo: rappresenta il valore che vogliamo far conoscere ai nostri potenziali clienti. I risultati raggiunti e l’esperienza si traduce in un prezzo: stabilendo quanto valiamo a seconda del livello di retribuzione medio nel nostro settore.
  • Posizione: nel marketing tradizionale, i prodotti venivano distribuiti in base a diverse regioni geografiche. Come professionisti è bene selezionare una sfera di influenza e rimanere fedeli ad essa: trovare la nostra nicchia. È utile cercare le persone che hanno bisogno del nostro servizio e scoprire in che luogo della rete si concentrano. Spargersi a caso nelle diverse comunità dove i nostri servizi non sono necessari porterebbe solo a scarsi risultati.
  • Promozione: per comunicare il nostro brand dobbiamo selezionare i mezzi adeguati e per farlo bisognar far riferimento al nostro pubblico di interesse, assicurandoci che i messaggi siano presenti nei canali che scegliamo. Ancora una volta, che ciò implichi la costruzione di un sito per vendere i vostri servizi o la creazione di una campagna pubblicitaria su un giornale locale o blog, la tattica più efficace dipende interamente dal pubblico di riferimento.

Oggi le nuove tecnologie hanno profondamente plasmato le nostre interazioni professionali e sociali quindi dobbiamo tenere in considerazione i precetti del marketing tradizionale. Che si cerchi un lavoro o si desideri essere considerati esperti nel proprio settore, gli obiettivi possono essere raggiunti costruendo un brand attorno a noi stessi, dando una buona prima impressione e facendo sì che le persone vogliano scoprire qualcosa in più su di noi suscitando curiosità.

Riassumendo il Personal Branding non è un’attività dedicata solo alle star o alle aziende, ma è di grande interesse ed utilità soprattutto per le persone comuni, per migliorare la propria attività professionale e per aprirsi la strada a nuove opportunità professionali. Se si è in grado di costruire un Personal Brand forte sia nel mondo online che in quello offline, i benefici saranno molti.

 

 

© Il personal Branding – Marika Fantato

 

 

PNL e comunicazione del personal brand

PNL per la comunicazione del Personal Brand

Foto di John Hain da Pixabay

PNL vuol dire Programmazione Neuro Linguistica ed è conosciuta come la scienza dell’eccellenza umana.

  • Programmazione: l’abilità di scoprire e utilizzare i programmi che facciamo funzionare (la comunicazione con noi e con gli altri) nel nostro sistema neurologico per ottenere obiettivi specifici e desiderati.
  • Neuro: il sistema nervoso (la mente) attraverso il quale le nostre esperienze vengono processate attraverso i 5 sensi: visivo, auditivo, cinestesico, olfattivo e gustativo.
  • Linguistica: il linguaggio e gli altri sistemi di comunicazione non verbale attraverso cui le nostre rappresentazione neurali vengono codificate, ordinate e a cui viene assegnato un certo significato. Includono: immagini, suoni, sentimenti e sensazioni, sapori e odori.[1]

In altre parole la PNL (Programmazione Neuro Linguistica)è come usare il linguaggio della mente per raggiungere in modo coerente degli obiettivi specifici desiderati.

La PNL è una recente tecnica psicologica che offre la possibilità di influire sul comportamento di un individuo tramite la manipolazione di processi neurologici attuata attraverso l’uso del linguaggio. Aiuta a capire come relazionarsi con l’altra parte, in modo da recepire tutti i messaggi che questa trasmette, in maniera volontaria ed involontaria, ed utilizzarli poi al meglio per ottenere il risultato desiderato.

È nata come modello di comunicazione con noi stessi e gli altri e ci aiuta a capire in che modo processiamo le informazioni che riceviamo dall’esterno e come queste influenzano il nostro comportamento e i nostri stati emozionali.

Attraverso la PNL i problemi si possono risolvere in modo particolare: si tratta di migliorare una certa situazione portando al massimo le aspettative e impegnandosi nella ricerca della strada migliore per farla avverare. La ricerca e la comunicazione di noi stessi attraverso la PNL può essere utile come strumento per migliorare il nostro storytelling.

Ogni persona percepisce le cose diversamente da un’altra e questa diversità forma il processo interno mentale che è composto dalle rappresentazioni mentali di quanto percepito, influendo sui valori e le convinzioni, i quali avviano uno stato interno composto da emozioni, sentimenti e sensazioni che formano i metaprogrammi, le strategie delle persone ancora sotto forma di rappresentazioni mentali. Dopo tutto questo lavoro interno, la persona risponde agli stimoli con un suo linguaggio, di due tipi, verbale e non verbale. Il linguaggio non verbale è molto più importante di quello verbale e spesso rappresenta la vera comunicazione in quanto è inconscio, automatico, simbolico, e lo possiamo vedere dalle foto che pubblichiamo nei social network e perchè no ,anche dai selfie.

Nella nostra mente ciascuna parola è associata a un’immagine mentale: attraverso i canali sensoriali visualizziamo immagini, ascoltiamo suoni, avvertiamo sensazioni associate a una determinata esperienza e ad un determinato oggetto.

Lo studio del personal brand affrontato dal punto di vista della PNL ci conferma che l’accoglienza buona o cattiva che una persona riceverà dal pubblico, è questione di percezione. Un brand non è migliore o peggiore di un’altro, ma la percezione è tutto, quindi un individuo avrà un brand più efficace se si è costruito un’identità che ha suscitato credibilità e fiducia nel pubblico.

Non si deve lasciare al caso ciò che le persone pensano di noi, ma bisogna sfruttare la percezione umana a nostro vantaggio e fare in modo di trasmettere agli altri ciò che vogliamo e la PNL ci aiuta a raggiungere tale scopo.

 

 

© Il personal Branding – Marika Fantato

 

 

[1] Di Lauro D., Manuale di comunicazione assertiva,XeniaEdizioni, 2011

La PNL nella psicoterapia

La PNL nella psicoterapia

Tratto da Scuola di Formazione in Psicologia

In che modo la PNL (Programmazione Neuro Linguistica) può essere utili nella psicoterapia?

“La psicoterapia è una pratica terapeutica della psicologia clinica e della psichiatria, ad opera di uno psicoterapeuta (psicologo o medico, adeguatamente specializzato), che si occupa della cura di disturbi psicopatologici di natura ed entità diversa, che vanno dal modesto disadattamento o disagio personale fino alla sintomatologia grave, e che possono manifestarsi in sintomi nevrotici oppure psicotici tali da nuocere al benessere di una persona fino ad ostacolarne lo sviluppo, causando fattiva disabilità nella vita dell’individuo” (Wikipedia).

“Si definisce psicoterapia un sistema di cura pianificato che, nel trattamento di malattie di origine essenzialmente psichica, si basi sull’utilizzo di mezzi psicologici attraverso la relazione terapeutica, con il fine di ottenere la riduzione dei sintomi oppure la modificazione della struttura della personalità. Le teorie di riferimento rispetto alla salute mentale sono numerose quanto le metodologie tecniche nelle loro varie applicazioni” (Treccani).

Concordo con le due descrizioni date sopra, aggiungerei che la psicoterapia non è solo una pratica utile alla riduzione dei sintomi e che si occupa della cura dei disturbi psicopatologici, ma può essere utile al miglioramento ed al rinforzo di comportamenti e caratteristiche personali, partendo quindi non necessariamente da una condizione di sofferenza o di disagio.

Ma veniamo al punto: in che modo può la PNL essere utile alla psicoterapia?

Innanzitutto bisogna precisare che la PNL non è “psicoterapia”, quindi non rientra nei modelli psicoterapici come l’analisi transazionale, la gestalt, la cognitivo comportamentale, ecc.

Personalmente ritengo che utilizzata insieme ad altre tecniche, quindi come “strumento in più” possa portare a ottimi risultati.

Ecco alcune descrizioni sommarie e tutt’altro che esaustive, ma puramente indicative per fornire un’idea di come stanno le cose.

    • Può essere utile nel creare la “relazione terapeutica”, instaurando così quel “clima” che favorisce il cambiamento
    • Può aiutare ad individuare quali sono gli eventi attivanti (vedi Albert Ellis) ovvero che cosa fa scattare il comportamento disfunzionale, aumentando così la consapevolezza e fornire tecniche per modificare la risposta a tali eventi
    • Può aiutare ad individuare la nostra visione del mondo e fornirci gli elementi per cambiare il modo di rappresentarsi la realtà modificando in tal modo comportamenti disfunzionali
    • Può aiutare ad individuare i sistemi di credenze/convinzioni (convinzioni, pregiudizi, pensieri, percezioni, interpretazioni, norme, regole, valori…) disfunzionali e fornire strumenti per modificarli

Per ulteriori esempi e approfondimenti consiglio di cercare nella letteratura esistente sul tema.

Nei prossimi articoli parlerò di altri campi nei quali la PNL può trovare applicazione.

 

© La PNL  nella psicoterapia – Andrea Castello

Epistemologia della PNL

Epistemologia della PNL

Articolo tratto da Scuola di Formazione in Psicologia

“La credenza che la realtà che ognuno vede sia l’unica realtà è la più pericolosa di tutte le illusioni “ (Paul Watzlawick, La realtà della realtà)

L’epistemologia (dal greco episteme, conoscenza certa, e logos, discorso) è quella branca della filosofia che si occupa di stabilire le condizioni di validità della conoscenza scientifica e dei metodi connessi allo sviluppo della conoscenza stessa, essa non si pone quindi l’obiettivo di formulare nuove ipotesi sul mondo (leggi e teorie) o di scoprire nuovi fenomeni (attraverso l’osservazione), bensì di affrontare problemi legati ai fondamenti stessi della conoscenza scientifica, in particolare il problema della giustificazione della conoscenza stessa, ovvero come gli scienziati arrivino a provare la validità delle loro teorie e quello di distinguere la scienza dalla pseudo-scienza.

Il mio intento nello scrivere questo articolo non è quello di dimostrare la scientificità della PNL ma, semplicemente, di portare alla luce le eventuali correlazioni con altre discipline e teorie psicologiche.

Credo che la corrente filosofica che più ha prodotto contributi non solo alla PNL ma anche alla psicologia (sistemica, strategica, cognitivo comportamentale, ecc), nella sociologia ed altre branche sia il costruttivismo.

La teoria costruttivista sostiene che la vita è un processo cognitivo, ed è attraverso tale processo, che nasce dall’esperienza individuale, che ogni essere vivente genera il proprio mondo. Soggetti diversi rispondono in maniera diversa ad uno stesso stimolo o ad una stessa realtà e la risposta sarà determinata dal modo in cui l’osservatore è strutturato e da come “interpreterà tale informazione o realtà. È la struttura dell’osservatore e di come si rappresenta l’informazione ricevuta che determina come esso si comporterà e non l’informazione ricevuta. L’informazione in sé (o la realtà) non ha un significato se non quello che le attribuisce il soggetto che riceve tale informazione.

Tutte quelle proprietà e/o quei significati che si credeva facessero parte della realtà che si sta vivendo, si rivelano così proprietà dell’osservatore, o, comunque, significati attribuirti dall’osservatore, per cui l’oggettività che conta non è quella esterna e indipendente dal soggetto, ma quella data dal soggetto stesso.

Di seguito elenco solo alcuni dei principi che per la Programmazione Neuro Linguistica diventano dei presupposti su cui basare i propri modelli e rappresentano le basi epistemologiche su cui si basa l’impianto della PNL


La mappa non è il territorio


Le origini risalgono al concetto espresso da A. Korzypsky: “La mappa non è il territorio e il nome non è la cosa designata” …. ”non esiste esperienza oggettiva (tratto da Mente e Natura di Gregory Bateson).

Il principio della soggettività (dell’esperienza) sancisce che ogni persona è unica e diversa dalle altre e pur vivendo esperienze simili reagisce in modo differente (ad esempio i gemelli che, pur vivendo nello stesso ambiente, sviluppano caratteristiche diverse).

Vivere la stessa esperienza non significa provare gli stessi sentimenti, fare lo stesso lavoro non significa pensarla nello stesso modo.

Sono stati molti i pensatori che nella storia della cultura hanno sostenuto questo punto: che c’è una irriducibile differenza tra il mondo e l’esperienza che abbiamo.

L’uomo, non può avere accesso alla realtà che lo circonda in modo diretto, l’esperienza avviene attraverso i cinque sensi: vista, udito, tatto, gusto ed olfatto.

La “realtà”, essendo quindi “filtrata” dai nostri cinque sensi è soggetta anche a quelli che nella Grammatica Trasformazionale (N. Chomsky) vengono detti processi del modellamento umano: generalizzazione, cancellazione e deformazione (che vedremo quando parleremo di Linguaggio).

Noi essere umani non abbiamo una conoscenza assoluta del mondo (territorio), bensì ciascuno di noi crea una rappresentazione (mappa) del mondo in cui vive; creiamo in pratica una specie di mappa o modello, che usiamo par orientare il nostro comportamento. La nostra rappresentazione del mondo, quindi, determina in larga parte l’esperienza del mondo che avremo, il modo in cui lo percepiremo, le scelte che ci sembrano disponibili vivendoci dentro.

In ogni situazione reagiamo in modo diverso dagli altri perché mentalmente la affrontiamo secondo una prospettiva diversa, essendo diversa la nostra mappa cognitiva della situazione stessa.

La mappa, quindi, rappresenta la visione del mondo di ogni individuo ed è il risultato delle sue esperienze personali (il risultato delle esperienze precedenti, influenza il modo di vedere le esperienze sia presenti, sia future).

La mappa di ogni individuo si forma mediante le sue rappresentazioni sensoriali personali elaborate successivamente a livello cerebrale in modo da formare: punti di vista, sensazioni, dubbi, opinioni, valori, credenze, automatismi, ecc.

La mappa di ogni individuo struttura (condiziona) la sua esperienza nel mondo.

Un primo ed interessante studio lo troviamo nella Teoria dell’apprendimento per segni (Tolman) ove si afferma che un soggetto che sia diretto verso una meta seguendo i segni (o i simboli) che lo indirizzano nella direzione voluta, stia in realtà apprendendo ad orientarsi formandosi una mappa cognitiva del luogo dove si trova. Tolman introdusse per la prima volta il concetto di mappa cognitiva ossia una rappresentazione mentale della meta e dello spazio che conduce ad essa, grazie a tale mappa, secondo il principio del minimo sforzo, la meta viene raggiunta per mezzo del percorso più semplice e meno dispendioso. (Tolman E. – Honzik C.H. 1930 Introduction and removal of reward, and maze performance in rats, University of California Publications in Psychology, 4, 257-275) Il suo studio rappresenta il passaggio da concezioni di tipo comportamentista a idee cognitiviste

Schemi di pensiero

La nostra mente risponde agli stimoli ed alle situazioni in base a schemi acquisiti.

Ogni organismo animale agisce in conformità ad un meccanismo di stimolo/risposta, da cui ad ogni stimolo (ad esempio – pericolo) corrisponde una risposta (fuga). Per gli uomini, nel corso dell’evoluzione, con il tempo e l’esperienza si creano automatismi che determinano sequenze (schemi) di comportamento e di pensiero che saranno poi utilizzati in maniera costante.

Sono un tipico esempio le abitudini, ad uno stimolo (ambiente/situazione/emozioni) si tenderà a rispondere con lo stesso schema di comportamento (abitudine).

Altro esempio di automatismo è la guida dell’auto dove ad ogni situazione (stimolo) i movimenti (risposta) vengono attuati completamente a livello inconscio.

Oltre agli schemi comportamentali abbiamo schemi mentali che utilizziamo per decidere, motivarci, entusiasmarci, deprimerci, preoccuparci, agitarci, farci prendere dal panico, ed anche in questo caso tenderemo a riprodurre, in situazioni simili, gli stessi schemi.

Qualche cenno di approfondimento sul tema S/R, particolarmente importante, per meglio comprendere le logiche concettuali sulle quali si basano le affermazioni precedenti.

La Psicologia Stimolo/Risposta

“Ciò che noi osserviamo negli organismi viventi non sono i contenuti di coscienza, quali sentimenti, affetti o percezioni ma il comportamento ” (J.B. WATSON)

La tradizionale relazione che esiste tra stimolo – risposta nasce dal COMPORTAMENTISMO, teoria di valore storico (dovuta a J.B. Watson), che circoscrive il campo della psicologia allo studio del comportamento e delimita il compito di questa alla ricerca, mediante metodi sperimentali e di osservazione, delle risposte (motorie, ghiandolari, neurologiche) a stimoli conosciuti (“..ogni risposta è funzione di uno stimolo..”).

Il Comportamentismo è una teoria psicologica che afferma che è possibile (anzi auspicabile e scientificamente valido) studiare soltanto gli eventi osservabili dell’azione umana, contrariamente alle deduzioni psicanalitiche sulla vita inconscia e sull’importanza annessa all’introspezione.

Secondo il COMPORTAMENTISMO (Watson) il comportamento viene considerato come uno schema o sequenza di più risposte provocate da altrettanti (uno o più) stimoli esterni.

Esempi di schemi Stimolo- Risposta:

–    la pupilla si restringe (risposta motoria) in presenza di una forte luce (stimolo),
–    la salivazione aumenta (risposta ghiandolare) alla vista di una tavola imbandita (stimolo),
–    la sensazione di vertigine (risposta neurologica) viene avvertita di fronte ad un precipizio (stimolo).

L’opera di Pavlov, scienziato russo, ha fornito il complesso stimolo-risposta, elaborato in seguito nella PNL come struttura dell’ancoraggio (ed é citata in La Programmazione Neuro-Linguistica – Lo studio della struttura dell’esperienza soggettiva di Robert Dilts, John Grinder, Richard Bandler, Leslie Cameron-Bandler, Judith Delozier _ Astrolabio – Milano, 1982).

In seguito il concetto di “risposta” è stato ampliato da Skinner sino a considerare “la risposta” non solo una semplice reazione fisiologica ma anche sequenze di COMPORTAMENTI complessi come pranzare, guidare l’automobile o scrivere una lettera. Occorre specificare che i singoli gesti volontari o involontari (movimenti semplici) come muovere un braccio, alzare le sopracciglia, ecc. sono considerati comportamenti semplici, mentre i comportamenti complessi sono costituiti da associazioni di più movimenti semplici.

Per il COMPORTAMENTISMO, quindi, ciò che apprendiamo sono COMPORTAMENTI.

Il bambino impara per prova ed errore un determinato comportamento e tende a riprodurlo in situazioni simili.

Successivamente altre teorie hanno affermato che la “risposta” non comprende solo comportamenti semplici o complessi ma anche processi di pensiero e stati emotivi e che lo stimolo può essere sia esogeno che endogeno rispetto all’organismo umano.

In altri termini, il soggetto in questione apprende non semplici movimenti o comportamenti, ma significati che concorrono alla creazione di una sua mappa mentale e di strategie che sottendono ogni comportamento..


Strategie (T.O.T.E.)

Ogni nostro comportamento manifesto è controllato da strategie operanti internamente. Ciascuno di noi ha un proprio insieme di strategie per motivarsi, per alzarsi dal letto la mattina, per delegare ai dipendenti le responsabilità di lavoro, per imparare e insegnare, per condurre negoziati d’affari e così via.

Eppure i nostri modelli culturali, non ci insegnano esplicitamente gli aspetti specifici delle strategie necessarie per conseguire gli obiettivi comportamentali espressi o impliciti in ciascun modello.

Per descrivere una specifica sequenza di comportamento, la PNL sfrutta lo studio che per la prima volta fu formulata in “Plans and the structure of Behavior”, pubblicato nel 1960 da Gorge Miller, Eugene Galanter e Karl H. Pribram (“Piani e struttura del comportamento” – F. Angeli, Milano 1973) nel quale ipotizzavano che il comportamento fosse guidato da una serie di piani o schemi di azione nidificati l’uno dentro l’altro secondo un ordine gerarchico a complessità crescente.

Secondo gli autori un Piano o schema di comportamento è l’equivalente di un programma di un calcolatore che predispone l’individuo a una particolare strategia d’azione:

“Un Piano è ogni processo gerarchico nell’organismo che può controllare l’ordine in cui deve essere eseguita una serie di operazioni.” (p. 32)

Questo studio si chiama T.O.T.E., che significa Test, Operate, Test, Exit e riprende una sequenza basata sul modello del computer.

Ma in che modo la PNL può essere applicata ai vari contesti professionali, come la psicoterapia, il coaching, la formazione, la vendita,  l’assessment, la leadership ?  …. nei prossimi articoli

© Epistemologia della PNL – Andrea Castello