Definizione, caratteristiche e fattori delle meta-attribuzioni
L’essere umano, oltre a percepire gli altri, ha la marcata tendenza ad elaborare le informazioni sulla percezione che gli altri hanno di lui: questo fenomeno, chiamato “meta-attribuzione”, consiste appunto nel pensare a come gli altri osservatori ci percepiscono.
La ricerca ha analizzato prevalentemente la meta-attribuzione che si forma in un contesto interpersonale, anche se negli ultimi anni è stata approfondita questa teoria estendendola ai contesti intergruppi. Ames (2004) ha elaborato un modello generale della formazione delle meta-attribuzioni nelle relazioni interpersonali, proponendo una serie di strumenti che le persone utilizzano nel provare a leggere le menti altrui (il “mind reader’s tool kit”). In particolare, l’autore suggerisce che la meta-attribuzione si basa sull’osservazione dei comportamenti verbali e non verbali degli altri, nella proiezione del proprio punto di vista in quello altrui e nella stereotipizzazione. Frey e Tropp (2004) aggiungono a questi tre processi di formazione della meta-attribuzione, il tentativo di assumere la prospettiva altrui.
Una delle strategie che le persone usano per capire come gli altri le percepiscono è, come accennato, l’osservazione dei comportamenti altrui; questa, pur essendo spesso l’unica strategia disponibile, porta a conclusioni sbagliate.
Infatti, generalmente si tende a pensare che differenti tipi di osservatori ci vedano in maniera analoga e che i feedback forniti siano esaurienti nel formare le proprie meta-attribuzioni (Kenny & DePaulo 1993). In realtà, è stato dimostrato che le persone non forniscono solitamente dei feedback totalmente onesti e diretti (neanche in caso di amicizia stretta) e quindi essi non sono sufficienti e determinare realmente la percezione che gli altri hanno di noi. Questi feedback sono esaurienti soltanto in alcuni casi particolari, in cui essi non dipendono neanche dalla valutazione positiva o negativa che gli altri formano nella loro mente: ciò è stato dimostrato per bambini in tenera età che esprimono liberamente ed esplicitamente la propria opinione sugli altri (Felson, 1980).
Il secondo strumento utilizzato per la formazione delle meta-attribuzioni coinvolge la tendenza a pensare che gli altri ci vedano come noi stessi ci vediamo, mediante la proiezione della propria visione di se stessi. Le persone che si vedono in maniera positiva pensano generalmente che gli altri li vedano in maniera positiva (accade il viceversa se si ha un opinione negativa di sé).
Anche chi si giudica diversamente in base all’interazione con partner diversi pensa che questi partner li percepiscano diversamente. Infine, le persone credono che i membri dei vari gruppi sociali ai quali appartengono li percepiscano in maniera simile, anche se ciò non corrisponde al vero. Queste tendenze sono dovute a due bias diversi: il primo, chiamato falso consenso fa sì che si sovrastimi il grado con cui gli altri pensano e agiscano in modo simile a se stessi, assumendo che ci sia una corrispondenza tra la propria percezione e quella degli altri; il secondo, chiamato sovrastima della trasparenza fa sì che, all’aumentare dell’autoconsapevolezza della persona, essa tenda a credere che i proprio pensieri e le proprie emozioni siano egualmente chiari e accessibili anche agli altri (Frey & Tropp, 2004).
Quando si tenta di prevedere pensieri e opinioni degli altri (come avviene nella meta-attribuzione), spesso ci si basa sugli stereotipi, in particolare in contesti intergruppi: ciò perché i membri dei gruppi spesso sono consapevoli degli stereotipi che gli altri hanno sul proprio gruppo, e quindi sono influenzati da questa consapevolezza nella formazione delle proprie meta-attribuzioni; ciò accade particolarmente se essi immaginano preventivamente di dover essere percepiti dai membri dell’outgroup.
L’ultimo processo coinvolge il tentativo di assumere la prospettiva degli altri, nel cercare di determinare come essi ci percepiscono. La ricerca sulla presa di prospettiva indica che quando si tenta di assumere la prospettiva altrui le persone attuano un processo reiterato che parte dalla propria prospettiva e si modifica progressivamente, sino a quando si crede di aver raggiunto una stima plausibile della prospettiva altrui (Epley & Gilovich, 2004). In realtà, questi aggiustamenti alla propria prospettiva sono raramente sufficienti, e non si riesce a comprendere pienamente la prospettiva altrui: in questo contesto, ciò suggerisce che è probabile che le persone si aspettino di essere percepite in maniera simile a come si percepiscono, e quindi le meta-attribuzioni che si formano non sono molto differenti da quelle che si svilupperebbero proiettando semplicemente il proprio punto di vista sugli altri.
Frey e Tropp (2004) sottolineano come le persone possano essere viste dagli altri in termini individuali o di appartenenza ad un gruppo, per cui è possibile che si basino su strategie di comprensione della mente altrui differenti se si aspettano di essere viste in un modo o in un altro. La teoria dell’identità sociale infatti distingue due livelli di identità differenti: quella personale, basata sulle proprie caratteristiche individuali, e quella sociale basata sulla propria appartenenza ad un gruppo (Hogg, 2003). La teoria della categorizzazione di sé inoltre espande questo concetto affermando che in base alla situazioni sociali possono emergere diversi livelli di categorizzazione di sé: in particolare alcuni concetti di sé possono attivarsi dipendentemente dal contesto sociale, ed esiste un antagonismo funzionale tra la salienza dell’autocategorizzazione individuale e quella di gruppo (Turner, Hogg, Oakes, Reicher & Wetherell, 1987). Nello specifico, quando l’appartenenza di gruppo è saliente le persone tendono a pensare a se stesse come membri di un gruppo, mentre se ciò non avviene esse considerano maggiormente se stesse come individui. Queste due teorie sono di notevole importanza per stabilire se le meta-attribuzioni che si formano sono di tipo interpersonale o di tipo intergruppi, ed esistono diversi fattori situazionali o individuali che incidono su come la persona si aspetta di essere vista dagli altri (ovvero come singola persona o come membro di un gruppo).
I fattori situazionali che influiscono sulla salienza dell’appartenenza di gruppo sono il conflitto intergruppi, la semplice presenza di un membro di un gruppo, la numerosità relativa dei gruppi e la stigmatizzazione. La presenza di conflitti di gruppo (di tipo materiale o solamente psicologico) ha una notevole influenza nel determinare quanto fortemente le persone siano percepite come membri del rispettivo gruppo. All’intensificarsi di questi conflitti, è più probabile che le persone si percepiscano maggiormente sulla base del proprio gruppo di appartenenza piuttosto che sulle proprie caratteristiche individuali, ed aumenta anche la tendenza a percepire gli altri in base alla loro appartenenza di gruppo. Relativamente alla meta-attribuzione, ciò aumenta la tendenza ad aspettarsi che gli altri ci percepiscano come membri di un gruppo anziché come individui.
Anche in assenza di conflitti intergruppi, la semplice presenza di un membro dell’outgroup promuove il confronto tra gruppi, e il fatto che si percepiscano simultaneamente una somiglianza maggiore con i membri del proprio gruppo e delle differenze più grandi rispetto all’altro provoca la tendenza a percepire sé e gli altri in termini di appartenenza al gruppo. Anche questo fattore porta quindi ad immaginare che gli altri percepiscano noi stessi principalmente come membri di un gruppo.
Analogamente, l’appartenenza ad un gruppo minoritario fa aumentare la salienza dell’appartenenza di gruppo, perché ci si sente maggiormente consapevoli della propria appartenenza e rappresentativi del proprio gruppo.
Infine, l’essere membro di un gruppo stigmatizzato porta ad una maggiore attenzione sulla percezione degli altri verso il proprio gruppo nel tentativo di prevedere come si verrà trattati e di evitare di essere stereotipizzati (come avviene per le donne nel campo della matematica). Anche ciò porta ad aspettarsi percezioni altrui basate sull’appartenenza di gruppo.
I fattori individuali che influiscono sulla salienza dell’appartenenza al gruppo sono invece l’identificazione con l’ingroup, la consapevolezza di appartenervi e la sensibilità ad essere respinti per la propria appartenenza. Gli individui che si identificano fortemente con il proprio gruppo mostrano una maggiore probabilità di considerarsi membri dell’ingroup, di sentirsi simili ai suoi membri, e di essere attratti da essi (in particolare se essi rispecchiano fortemente i valori del gruppo): ciò può portare ad aspettarsi di essere visti in termini di gruppo piuttosto che individuali. Vi sono casi in cui, anche se non vi è una forte identificazione con l’ingroup, la mera consapevolezza di essere membro di un gruppo può aumentare la salienza di appartenenza percepita (Tropp & Wright, 2001): in questo caso, anche se si resiste alla categorizzazione di sé di come membro di un gruppo, distanziandosi da esso, si può ugualmente percepire che gli altri ci vedono come appartenente ad esso (Branscombe & Ellemers, 1998). Inoltre, chi ha questa percezione può interpretare situazioni ambigue in termini di appartenenza al gruppo, aspettandosi di essere respinto dall’outgroup solo in quanto membro dell’ingroup (Mendoza-Denton, Downey, Purdie, Davis & Pietrzak, 2002).