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Lo Smart working e l’empowerment organizzativo

Lo Smart working e l’empowerment organizzativo

 

Lemergenza Coronavirus ha acceso nuovamente i riflettori sullo smart working o “lavoro agile”. Il suo predecessore, il “telelavoro”, nasce negli anni 70’ durante il  primo shock petrolifero nel quale si ipotizzò la necessità e la convenienza di lavorare da casa per ridurre gli spostamenti, sebbene il suo tramonto, per svariati motivi, non tardò molto ad arrivare (se si considera che nel 2015 la percentuale di lavoratori in telelavoro era pari al 5%) .

In Italia lo smart working è stato introdotto solo nel 2017 con la legge n. 81 al fine di aumentare la competitività delle aziende, potenziando aspetti del welfare tramite la conciliazione vita-lavoro. Ma il “lavoro agile” o  smart working nasce su una logica di benessere psicofisico del lavoratore: infatti rappresenta una vera risorsa esclusivamente se il dipendente ottiene i medesimi risultati che otterrebbe in condizioni usuali o se addirittura li incrementa.

L’ingresso dello smart working si riversa nella pratica manageriale in quanto richiede un’attenta ed accurata partecipazione della funzione HR , implicando lo sviluppo di una nuova cultura del lavoro che vede lo scardinarsi del consueto regime tradizionale delle attività lavorative, degli stereotipi relativi a luoghi e strumenti di lavoro, affacciando così su un panorama di nuovi  processi e nuovi approcci al management.

Esso presuppone  la strutturazione di un frame-work di fiducia, cultura aziendale per obiettivi, competenze professionali, ma anche di  leaders che tengano conto delle dinamiche di gruppo, gestendo attività e persone al di là e nonostante il distacco fisico.

Per tale ragione il “buon leader” dovrebbe essere presente ma non invadente, quindi in accordo all’autonomia lavorativa che è parte integrante del lavoro agile.

In conclusione la situazione d’emergenza dettata dal Covid-19 potrebbe rappresentare il momento per rivedere il gap tra una cultura del lavoro pressoché tradizionale ed una cultura rivoluzionaria che punta al benessere psicofisico del lavoratore  e dunque ad una maggiore efficienza.

Questa crisi deve insegnarci che le persone sono il vero asset delle organizzazioni, che permette loro di superare momenti difficili come quello che stiamo vivendo.” asserisce il Dr. De Carlo.

 


© Lo Smart working e l’empowerment organizzativo – Dr.ssa Federica Sapienza


 

Il modello delle 4 C

IL MODELLO DELLE “4C”

Foto di truthseeker08 da Pixabay

 

Il Modello delle “4C” è uno strumento molto utile per valutare oggettivamente l’efficacia di molte forme di comunicazione. Le “4C” sono: Comprensione, Credibilità, Connessione e Contagiosità.

Comprensione

Per migliorare la comprensione è importante che il messaggio sia il più chiaro possibile, pertanto è fondamentale ripeterlo spesso e semplificarlo attraverso esempi, metafore ed analogie. Le domande che confermano o meno se la prima C sta funzionando sono: Il pubblico può cogliere l’idea principale del discorso? Cosa deve comunicare istantaneamente il messaggio che voglio trasmettere?

Connessione Emotiva

Ciò significa che il pubblico ha capito il messaggio, e che le parole usate hanno per lui un significato e gli evocano una risposta emotiva.

Credibilità

Le persone possono comprendere il messaggio ma non avere fiducia in chi parla, quindi il messaggio non viene preso in considerazione perché esse capiscono che sono manipolate.

Contagiosità

Le persone, oltre a comprendere il messaggio, connettersi emotivamente con esso e crederci, devono recepire un messaggio energico, innovativo ed entusiasmante che possa essere facilmente e velocemente diffuso e che motivi il pubblico ad agire con una risposta emozionale positiva.

 

 

© Chiedimi se sono felice:Analisi del Clima Organizzativo e del suo effetto sulle risorse umane – Dott.ssa Sonia Barbieri

 

 

I 5 punti cardine di una comunicazione efficace

I 5 punti cardine di una comunicazione efficace [1]

Quando sono pronto per ragionare con un uomo, impiego un terzo del mio tempo a pensare a me stesso e a quello che devo dire e due terzi a pensare a lui e a quello che dirà.” Abraham Lincoln

Una comunicazione è efficace quando è chiara, carismatica, credibile e persuasiva. I punti cardine della comunicazione efficace sono:

 

  1. ASCOLTO ATTIVO

La capacità di saper ascoltare è un’opportunità per imparare dagli altri, un’opportunità di crescita. Aiuta a costruire un rapporto di rispetto e di fiducia, è importantissimo per avere una comunicazione efficace, arricchisce la propria vita e quella degli altri. Il livello della capacità di ascolto indica quanto un individuo è centrato su se stesso o sugli altri: se il focus è su se stesso è probabile che si tenda a tagliare fuori gli altri, senza dare loro la giusta attenzione e considerazione. Se il centro è sugli altri quasi sicuramente l’individuo è un buon ascoltatore, e questo gli permetterà di recepire i messaggi più profondi che sfuggono alle persone che non ascoltano.

 

  1. COMUNICAZIONE NON VERBALE

Il linguaggio non verbale è il linguaggio del corpo; include le espressioni facciali, i gesti, le posture, il contatto oculare, la tensione muscolare ed il respiro. Esso veicola gran parte del messaggio che si vuole trasmettere. Sviluppare la capacità di comprendere ed utilizzare la comunicazione non verbale aiuta ad entrare più facilmente in sintonia con gli altri e ad esprimere idee in maniera più efficace. Un modo per migliorare la comunicazione non verbale e comunicare efficacemente consiste nell’utilizzare un linguaggio del corpo aperto, caratterizzato da sorrisi, muscoli rilassati e viso espressivo.

 

Fig. 10 – Comunicazione efficace – https://image.slidesharecdn.com/presentazionecomunicazionesana-090623164310-phpapp01/95/presentazione-comunicazione-efficace-1-728.jpg?cb=1249394198

 

  1. COMUNICAZIONE PARAVERBALE

Il paraverbale si riferisce al modo in cui parliamo, ed include parametri come il tono della voce, la velocità, il timbro ed il volume. I leader di successo sanno motivare ed ispirare il loro pubblico perché sanno come modulare al meglio la loro voce, trasmettendo passione, facendo risaltare un’idea o un concetto attraverso il corretto uso delle pause, variando il volume della loro voce per enfatizzare una parola o una frase.

 

  1. COMUNICAZIONE ASSERTIVA

L’assertività è la capacità di sapere esprimere e far valere le proprie opinioni e le proprie idee usando i giusti modi e le giuste parole. Una persona che sa comunicare in maniera efficace sa come fare arrivare il proprio messaggio facendolo rispettare, e rispettando le altre persone.

 

  1. LINGUAGGIO PERSUASIVO

Questa abilità è legata al modo in cui una persona riesce a comunicare pensieri, bisogni, esperienze ed opinioni. Per riuscire ad affascinare un interlocutore durante una conversazione, a toccare le sue corde emotive, bisogna chiedersi cosa sta funzionando, cosa non sta funzionando e perché.

 

© Chiedimi se sono felice:Analisi del Clima Organizzativo e del suo effetto sulle risorse umane – Dott.ssa Sonia Barbieri

 

[1] https://www.ipermind.com/comunicazione-efficace/

La comunicazione efficace

La Comunicazione Efficace

Foto di StockSnap da Pixabay

“Il modo in cui comunichiamo con gli altri e con noi stessi determina la qualità della nostra vita”. Anthony Robbins

Saper comunicare è necessario per trasmettere pensieri, idee e visioni. Siamo animali sociali progettati per interagire con le altre persone, e la comunicazione è il mezzo che utilizziamo per fare questo. Uno stile di comunicazione errato può dare origine ad incomprensioni, problemi e discussioni; è facile urtare i sentimenti di qualcuno perché non si è riusciti a comunicare nel modo giusto.

La strada per migliorare la qualità delle nostre relazioni passa necessariamente attraverso la comunicazione. Non solo: la nostra felicità è strettamente interconnessa alle nostre capacità comunicative. Decenni di ricerche hanno infatti indicato la qualità delle nostre relazioni come l’elemento più importante al raggiungimento della felicità, più del successo e del denaro.

La comunicazione efficace è stata la chiave del successo dei grandi leader della storia. Infatti, ciò che ha fatto la differenza tra i grandi uomini della storia e le persone comuni non erano soltanto le loro idee, ma anche e soprattutto il modo in cui sapevano comunicarle e trasmetterle agli altri, usando il linguaggio delle emozioni e dei desideri delle persone. I leader sapevano che, se il loro messaggio non fosse stato compreso e sentito come proprio, non sarebbe mai stato sostenuto e condiviso.

Il manager, oggi più che mai leader, deve allineare la funzione Risorse Umane con gli obiettivi strategici dell’organizzazione al fine di migliorare le performance. Le strutture e i sistemi del personale e dell’organizzazione devono essere progettati per supportare la strategia dell’organizzazione, e lo staff deve essere gestito e trattato in maniera tale che sia impegnato nell’organizzazione e nel perseguimento dei suoi obiettivi.

A tal fine è imprescindibile avere come base una corretta comunicazione interna, che rappresenta uno scambio finalizzato a stabilire e migliorare i principi di efficienza del proprio lavoro. In particolare, sono due i tipi di comunicazione su cui va posta attenzione:

  • La comunicazione top-down, ossia quella dall’alto (organi dirigenziali) verso il basso (impiegati, dipendenti). Per attuare questo tipo di comunicazione interna aziendale si possono utilizzare diversi strumenti pratici come una rete intranet che sfrutti l’organizzazione di un software gestionale, l’uso di messaggistica interna tramite mail e/o circolari, e l’organizzazione periodica di riunioni con i dipendenti per spiegare e condividere informazioni ed obiettivi.
  • La comunicazione bottom-up, ovvero il flusso di informazioni dal basso verso l’alto. Questo genere di comunicazione si realizza attraverso riunioni, colloqui individuali, procedure interne quali la compilazione di report periodici delle proprie attività, e l’inserimento di appuntamenti/attività in un calendario intranet condiviso.

In un’impresa moderna la gestione della comunicazione interna è una funzione fondamentale. Per ottimizzare questo processo il manager deve avere come obiettivo principale quello di sensibilizzare le persone a leggere e ad ascoltare, di creare il clima e gli strumenti per la libera circolazione delle informazioni e delle idee, di far sì che la politica aziendale sia recepita da tutti in modo chiaro, di favorire i contatti diretti tra imprenditore e dipendenti.

Quando si parla di impresa moderna va sottolineato, infatti, il valore della responsabilizzazione dei dipendenti in modo che essi, superato il ruolo della semplice dipendenza, si sentano portati a giocare quello della partnership. Gli obiettivi di profitto dell’impresa vengono conseguiti grazie a professionalità diverse e complementari: una rete di competenze in cui il singolo vive in relazione con i colleghi e l’organizzazione, cresce e si sviluppa grazie ai rapporti di fiducia che si instaurano tra le persone.

Alcuni economisti affermano che è proprio la fiducia l’elemento che sta alla base del sistema economico. Se non ci si fida dei colleghi, dei dipendenti, dei superiori, del partner commerciale, i rapporti non si sviluppano e non si raggiungono i risultati attesi. Questo vale anche dal punto di vista del dipendente: se non ha fiducia nell’impresa in cui lavora i risultati saranno decisamente inferiori alle attese.

Dare fiducia alle proprie risorse umane per una azienda significa adottare la mentalità che tutti debbano poter recuperare le informazioni necessarie per proseguire nelle normali attività. Una rete comunicativa in cui informazioni importanti o necessarie sono difficilmente accessibili impoverisce tutta la strategia di gestione delle risorse umane, arrivando anche a vanificarne il successo. È dunque fondamentale che il circuito comunicativo non si interrompa mai e sia gestito con continuità, interesse e soprattutto fiducia.

I processi di gestione della comunicazione verso e per le risorse umane vanno favoriti e resi efficienti tramite l’automazione delle attività, la sincronizzazione dei dati e l’evoluzione tecnologica e di business. In questo modo si riducono anche tempi, costi e margini di errore. A tale scopo è inevitabile avere come base una corretta comunicazione interna, strumento che nessuna attività lavorativa può ignorare in quanto rappresenta uno scambio finalizzato a stabilire e migliorare i principi di efficienza del proprio lavoro. Ad esempio, un manager che non risponde ad un suo diretto sottoposto o ne ignora le richieste dimostrando disinteresse contribuisce in maniera determinante alla creazione di un clima organizzativo di sfiducia, in cui gli organi dirigenziali sono visti come lontani e disinteressati, e a lungo andare demoliscono il senso di orientamento comune al raggiungimento degli obiettivi aziendali.

Ovviamente sono molti i fattori di ostacolo alla comunicazione: le differenti esperienze del personale, i diversi gradi di cultura e preparazione, le diverse abitudini, una sottostima dell’importanza della funzione, la gelosia, la mancanza di tempo. Esistono anche ostacoli di tipo diverso, in qualche modo cercati: sono tutte quelle circostanze in cui si tende ad omettere di comunicare delle informazioni per figurare in un certo modo nei confronti dei propri dipendenti o del proprio superiore.

 

 

© Chiedimi se sono felice:Analisi del Clima Organizzativo e del suo effetto sulle risorse umane – Dott.ssa Sonia Barbieri

 

 

La Leadership al Femminile ostacolo o risorsa

La Leadership al Femminile: ostacolo o risorsa?

Foto di StockSnap da Pixabay

Per entrare nello specifico della figura di leader al femminile ho estrapolato un articolo di Rossella Sobrero dal titolo:

“L’importanza delle risorse umane: focus sul welfare aziendale”[1].

“Il mondo del lavoro è ancora oggi di impronta maschile e per le donne non è semplice arrivare alle posizioni di potere. La leadership femminile è ostacolata da un’immagine stereotipata della donna che dequalifica le sue specificità. In realtà, uno stile empatico viene premiato dagli esperti e dalle ricerche più recenti.

Nel mondo, in Europa e anche in Italia, esiste ancora una grave disparità di genere nel lavoro e il gap aumenta se si pensano alle posizioni manageriali. La leadership al femminile non è valutata positivamente, cioè le doti o qualità che sono associate all’immagine stereotipata delle donne non vengono considerate utili o desiderabili.

Ciò significa eliminare dal mondo del lavoro delle competenze che possono essere comunque utili e dall’altra parte significa costringere le donne ad assumere comportamenti maschili per poi rimproverarle di essere poco femminili.

Le competenze chiave della leadership: c’è qualcosa di femminile?

Cosa manca alle donne per essere delle buone leader? Secondo Cristina Bombelli lo stereotipo femminile esclude competenze desiderabili al lavoro, come assertività, capacità di negoziare, la volontà e il comando. La leadership delle donne d’altro canto viene ostacolata da caratteristiche (in parte culturalmente trasmesse) che non rientrano nell’immagine del “buon capo“. Anche in questo caso l’ostacolo maggiore è lo stereotipo che abbiamo in mente, perché di per sé queste competenze potrebbero costituire anche delle ottime qualità, vediamone alcune:

  • empatia che porta le donne a non mettere sempre davanti le loro priorità
  • eccessiva solidarietà e considerazione dei rapporti umani
  • incapacità di mettere al di sopra di tutto gli aspetti economici-finanziari e la tendenza a sottovalutarsi.

Le qualità femminili da sfruttare al lavoro

Franco Gnocchi, HR consultant, in un’intervista fa un’analisi accurata della leadership al femminile e di come si possa inserire nella vita aziendale. Secondo Gnocchi una delle chiavi di maggior successo è l’intelligenza emotiva, che combina competenze individuali e sociali che migliorano le performance lavorative, come l’orientamento ai risultati e le competenze comunicative.

L’empatia è secondo Gnocchi l’elemento chiave di una gestione femminile, perché consente di evitare un approccio troppo freddo e quantitativo.

La leadership empatica mette il riconoscimento dei bisogni dell’altro al centro; in un’azienda ciò significa riconoscere i bisogni specifici dei dipendenti e dei gruppi di lavoro e attivare di conseguenza le giuste leve motivazionali.

L’apporto della ricerca sulla leadership

La ricerca sulla leadership si è interessata delle differenze di genere, ma i risultati non trovano un riscontro nella realtà, nonostante sia ampiamente dimostrato che un buon leader (maschile o femminile) aumenta l’impegno e la soddisfazione lavorativa.

Un esempio interessante è la meta-analisi condotta su 45 studi sugli stili di leadership (Eagly, Johannesen-Schmidt e Van Engen, 2003) che ha evidenziato che la leadership femminile è di stile più trasformazionale e che le donne sono più propense ad offrire ricompense.

Nonostante le differenze non siano enormi, un dato resta comunque evidente: le dimensioni in cui prevalgono le donne sono quelle a più alto impatto positivo sul lavoro, mentre quelle maschili non hanno forti relazioni con la buona leadership”.

 

Fig. 9 – Gli stili di leadership 

http://www.colonese.it/Immagini/Leadership.jpg

 

 

 

© Chiedimi se sono felice:Analisi del Clima Organizzativo e del suo effetto sulle risorse umane – Dott.ssa Sonia Barbieri

 

 

[1] SOBRERO R., L’importanza delle risorse umane: focus sul welfare aziendale, CSRPiemonte, Regione Piemonte ed Unioncamere Piemonte, 2012

La Leadership

LA LEADERSHIP

La parola “Leadership” deriva dal verbo inglese “To Lead”, che significa dirigere, pertanto questo termine fa riferimento alla capacità di un individuo di saper guidare un gruppo di persone. Il leader è colui che guida il gruppo al successo, che ottiene che altre persone facciano determinate cose non perché si sentono obbligate, ma perché lo vogliono. Nel fare ciò, egli combina l’abilità di comprendere quali sono gli obiettivi raggiungibili con la capacità di motivare gli altri.

Gli studi iniziali sulla leadership hanno analizzato il fenomeno a livello individuale. Era importante capire quali tratti della personalità contraddistinguevano i grandi leader, ed in che modo essi riuscivano ad attirare a sé e ad influenzare gruppi di seguaci.

Negli anni ’60 lo psicometro americano Rancis Likert ha individuato quattro stili di leadership: l’autoritario minaccioso, che prende tutte le decisioni autonomamente circa scopi, modalità d’attuazione e tempi, per poi comunicarle al gruppo; l’autoritario benevolente, che incoraggia il gruppo attraverso delle ricompense e lo coinvolge nel processo decisionale, sebbene spetti a lui l’ultima parola; il consultativo, che aumenta la partecipazione del gruppo grazie ad una comunicazione bidirezionale; il partecipativo, che si avvale di una rete di comunicazione efficace basata sulla collaborazione e sulla presa democratica delle decisioni.

In seguito si è fatta avanti una nuova psicologia della leadership, secondo la quale la leadership efficace è un prodotto che deriva da come il leader riesce a far sentire i suoi seguaci parte di un gruppo o di una squadra, e che ha quindi poco a che vedere con l’individualità e le caratteristiche “speciali” del leader. Ciò che consente ai leader di fare i leader e ai seguaci di diventare seguaci è l’identità sociale: le persone coinvolte nel processo di leadership hanno un senso di comune appartenenza ad un gruppo (ingroup) e, di conseguenza, stabiliscono dei legami che li rendono diversi da altri gruppi (outgroup).

Vi sono 4 principi che caratterizzano il nuovo leader: egli deve apparire come “uno di noi”, deve rappresentare al meglio ciò che distingue il proprio ingroup dagli altri gruppi, esserne cioè il prototipo; deve apparire come “uno che lo fa per noi”, che agisce nell’interesse dell’ingroup e non per finalità personali; deve “costruire un senso del noi”, dare cioè forma ad un’identità di gruppo, con propri valori e caratteristiche unici; deve “farci contare nella realtà”, cioè calare nella realtà le idee e i principi del gruppo, metterli in pratica per realizzarne gli obiettivi.

Fig. 8 – Le caratteristiche di un buon leader – www.qualitiamo.com/articoli/Caratteristiche leader.html

 

 

 

© Chiedimi se sono felice:Analisi del Clima Organizzativo e del suo effetto sulle risorse umane – Dott.ssa Sonia Barbieri

 

10 strategie per rendere felice i dipendenti

10 Strategie per rendere felici i dipendenti

Dagli esperti nelle risorse umane arrivano 10 consigli per favorire il benessere e la felicità dei lavoratori, migliorando rendimento e produttività.

Il benessere e la soddisfazione dei lavoratori paga, sempre. Per i manager delle risorse umane fare in modo che i dipendenti siano “felici” è un punto di partenza, più che un obiettivo, finalizzato a potenziare il rendimento dell’azienda.

Ma di cosa hanno bisogno i lavoratori per essere felici?

Esistono vari modelli di welfare aziendale, anche molto innovativi, tuttavia secondo gli esperti in HR basta focalizzare l’attenzione su poche ma fondamentali iniziative – che non richiedono ingenti investimenti – volte a migliorare la vita in ufficio e, soprattutto, favorire la conciliazione tra carriera e privato.

  1. Offrire spazi per la crescita: per i lavoratori è fondamentale sapere di avere la possibilità di avanzare nella carriera, con numerosi benefici per la produttività e il rendimento in ufficio.
  2.  Offrire un buon programma di formazione: attivare progetti formativi aziendali favorisce non solo l’effettivo miglioramento delle competenze, ma anche una il potenziamento della soddisfazione e dell’autostima dei dipendenti.
  3. Concedere piccoli bonus: i premi aziendali, anche di piccola entità, contribuiscono a rendere i lavoratori più motivati.
  4. Concedere autonomia ai lavoratori: una maggiore autonomia nella gestione delle proprie mansioni, o degli orari di lavoro, rappresenta una notevole dimostrazione di fiducia da parte del datore di lavoro.
  5. Creare un ambiente favorevole in ufficio: se i rapporti tra colleghi sono sereni anche la produttività aziendale ne gioverà.
  6. Promuovere il telelavoro: nonostante ci siano varie scuole di pensiero in merito al rapporto tra lavoro da casa e produttività, consentire ai dipendenti (se richiesto) di svolgere una parte delle loro mansioni da casa potrebbe rappresentare un ottimo incentivo per migliorare le proprie prestazioni lavorative.
  7. Favorire la concentrazione dei lavoratori: stop alle comunicazioni inutili (via email, ad esempio) che rischiano di rallentare il lavoro e far perdere la concentrazione.

 

Fig. 6 – Un esempio di personale soddisfatto – http://2.bp.blogspot.com/-0BQ5rLY_UAY/UVDJFCNmxWI/AAAAAAAAAZo/-4TZ_Xll-28/s1600/aziende-dove-si-lavora-meglio.jpg

  1. Offrire un pacchetto unico di benefici: gli esperti in HR consigliano di predisporre specifici “pacchetti di servizi” a favore dei dipendenti, ad esempio voucher finalizzati a favorire i servizi di cura (baby sitting, assistenza ai familiari anziani e simili).
  2. Aiutare i lavoratori a vivere uno stile di vita sano: le aziende dovrebbero investire il più possibile nella salute e nel benessere dei propri lavoratori.
  3. Concedere brevi ma salutari pause dal lavoro: lasciare ai dipendenti un po’ di tempo libero, per navigare su Internet o dare un’occhiata a Facebook, rappresenta un ottima strategia per migliorare il loro rendimento.

 

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[1] http://www.manageronline.it/articoli/vedi/8065/10-strategie-per-rendere-felici-i-dipendenti/

La motivazione

LA MOTIVAZIONE

La motivazione può essere definita come l’espressione dei motivi che portano un individuo a compiere una determinata azione. Essa dipende da due elementi: le competenze, cioè ciò che l’individuo è in grado di fare, ed i valori personali, ovvero ciò che l’individuo vuole fare. La spinta motivazionale inizia ogni volta che l’individuo avverte un bisogno, cioè quando percepisce uno squilibrio tra la situazione in essere e una situazione desiderata. Il bisogno è quindi uno stato di insoddisfazione che spinge l’uomo a procurarsi i mezzi necessari per porvi fine o limitarlo.

Nelle organizzazioni la motivazione dei collaboratori è una variabile strategica per l’impresa: rappresenta l’insieme degli scopi che spingono una persona ad agire e a mettere in atto un comportamento in direzione dei valori e degli obiettivi aziendali da raggiungere. Motivare i propri dipendenti significa quindi aumentarne la produttività e trattenere i talenti migliori.

Tutte le aziende, che siano ben organizzate o meno, si ispirano a dei valori, con l’auspicio che questi siano condivisi da tutte le persone coinvolte nei processi aziendali. I valori creano motivazione, perché danno identità sia all’azienda che anche al singolo lavoratore, se condivisi. I valori danno la consapevolezza di condividere non semplicemente un luogo di lavoro o degli obiettivi, ma qualcosa che va oltre il tempo e oltre il ruolo che si ha in azienda. Molto spesso capita invece che si lasci spazio all’autonoma interpretazione dei dipendenti, creando uno scostamento fra l’aspettativa dell’azienda e ciò che le risorse realmente esprimono.

 

 

 

© Chiedimi se sono felice:Analisi del Clima Organizzativo e del suo effetto sulle risorse umane – Dott.ssa Sonia Barbieri

 

Indicatori del benessere organizzativo

INDICATORI DEL BENESSERE ORGANIZZATIVO

 

La qualità del personale è il primo tassello da far quadrare per ottenere performance migliori, pertanto per poter trovare personale preparato bisogna innanzitutto operare scelte oculate nel mercato del lavoro. Un altro passo importante consiste nel far acquisire al proprio personale un maggior senso di appartenenza alla struttura aziendale, e saper trasmettere le motivazioni giuste. In tale contesto migliora anche la comunicazione interpersonale, necessaria per la trasmissione di informazioni utili per il lavoro e per l’utenza.

Sono di primaria importanza la formazione e l’aggiornamento delle capacità lavorative, legati non solo all’ambito lavorativo nel quale si è posti, ma estendendo le conoscenze anche in altri campi, favorendo una professionalità trasversale utilissima in caso di un cambiamento radicale all’interno della propria organizzazione.

Nell’ambito, quindi, delle caratteristiche e delle necessità dell’organizzazione del personale, si inserisce l’analisi del Benessere Organizzativo: la capacità di un’organizzazione di promuovere e di mantenere il più alto grado di benessere fisico, psicologico e sociale dei lavoratori in ogni tipo di occupazione.

I maggiori indicatori da considerare ed analizzare sono, tra quelli positivi: la , la collaborazione, la leadership, la comunicazione efficace; tra quelli negativi: il mobbing, lo stress lavoro correlato, il burnout.

 

 

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