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Target deumanizzati e infraumanizzati

Target deumanizzati e infraumanizzati

I ricercatori hanno documentato il fenomeno della deumanizzazione considerando una serie numerosa di gruppi target, tra cui possono essere citati gruppi etnici (in cui la deumanizzazione viene considerata una forma di etnocentrismo), gruppi razziali e gruppi che non hanno una diversa etnicità bensì mostrano differenze di tipo sociale e storico-culturale. Inoltre, espandendo la gamma di soggetti deumanizzati, sono state osservate altre forme latenti di deumanizzazione con gruppi occupazionali (disoccupati), persone appartenenti a basse classe sociali, pazienti, malati mentali, maniaci sessuali, criminali violenti e omosessuali (Haslam & Loughnan, 2014). Una categoria frequentemente soggetta a deumanizzazione è quella delle donne. Alcuni studi confermano che focalizzarsi sull’apparenza delle donne a discapito della personalità porta a percepirle come mancanti di natura umana (e quindi di tratti come valore e competenza), soprattutto se i loro corpi vengono sessualizzati: se in alcuni casi tutto ciò porta a percepirle come più simili agli animali (Vaes, Paladino & Puvia, 2011), in altri esse vengono assimilate ad oggetti inanimati, privi cioè della natura umana (Heflick, Goldenberg, Cooper & Puvia, 2011).

Finora abbiamo analizzato la deumanizzazione come un processo che riguarda individui e gruppi nei confronti di altri gruppi, ma secondo Haslam e Loughnan (2014) essa può avvenire anche a livello individuale. Ciò porta l’individuo ad attribuirsi più umanità rispetto agli altri (effetto auto-umanizzante); inoltre, se si verificano alcune condizioni, può anche avvenire una autodeumanizzazione, ovvero una percezione di minor umanità di se stessi. Essa è riscontrabile soprattutto in chi ha subito o subisce episodi di esclusione sociale (Bastian & Haslam, 2011), che mostra la tendenza a definirsi come mancante di alcuni tratti della natura umana.

Ma quali sono dunque gli elementi in comune dei target deumanizzati? Per rispondere a questa domanda Haslam e Loughnan (2014) citano alcuni esperimenti che esaminano la percezione verso molteplici gruppi. Il primo di questi (Harris & Fiske, 2006) è basato sul modello del contenuto degli stereotipi (SCM) e mostra che la corteccia mediale prefrontale, legata alla cognizione sociale, si disattiva con membri di gruppi appartenenti al quadrante basso-basso, ovvero caratterizzati da un basso valore percepito sia riguardo al calore sia alla competenza. Questo avviene durante il contatto con persone che appartengono alle classi sociali più basse, come ad esempio barboni o drogati. Analogamente, Vaes e Paladino (2010) rilevano che gli Italiani del Nord infraumanizzano diversi gruppi etnici, in particolare quelli stereotipati a cui vengono attribuiti minor calore e competenza. Anche Vaes e Paladino (2007) analizzano, tramite l’SCM, la funzione di moderazione dello status dei gruppi sull’infraumanizzazione.

Effettuando un’analisi sistematica su prototipicità di ingroup e outgroup, umanità e valenza, essi trovano come i diversi outgroup vengono distribuiti lungo due dimensioni ortogonali (calore e competenza); inoltre, la prototipicità dell’ingroup è predetta dall’umanità percepita così come le differenze di tipicità tra ingroup e outgroup (mostrando infraumanizzazione).Le caratteristiche valutate tipiche per gli outgroup bassi sia in calore sia in competenza sono quelle percepite come meno umane. Inoltre, diversi studi evidenziano anche come i gruppi vengono infraumanizzati anche in assenza di un aperto conflitto: per la scuola di pensiero di Leyens il conflitto non è una condizione necessaria, anche se in caso di conflitti lievi viene ad aumentare la possibilità di infraumanizzazione. Di fatto, visto che lo status non modera l’infraumanizzazione e che non è necessario un conflitto aperto, nessun gruppo è escluso dalla tendenza ad essere infraumanizzato, e ciò rende particolarmente complicato il fenomeno perché non solo è molto diffuso ma può anche essere difficile da individuare. Secondo Leyens et al. (2007) l’infraumanizzazione avviene anche verso i gruppi di altro status; essa è legata però solamente alle emozioni secondarie e non agli altri tratti della natura umana. In ogni caso, lo status non permette di predire i livelli di deumanizzazione: nello studio di Rodriguez-Perez, Delgado-Rodriguez, Betancor-Rodriguez, Leyens e Vaes (2011), l’attribuzione di emozioni secondarie ai membri di 27 gruppi diversi non risulta correlata con la percezione dello status di questi gruppi. Leyens et al. (2007) ne deducono che i gruppi dominanti usano più criteri di deumanizzazione rispetto a quelli dominati, giudicando questi ultimi meno umani sia sulla dimensione del calore (ovvero le emozioni secondarie) che su quella della competenza (ovvero le proprietà definite da Haslam come appartenenti alla natura umana).

Uno studio condotto nel contesto italiano (Capozza, Andrighetto, Di Bernardo & Falvo, 2012) suggerisce che tra gli attributi di calore e competenza siano questi ultimi ad essere più rilevanti; inoltre i gruppi di basso status sono deumanizzati più facilmente e, poiché la deumanizzazione avviene solo dall’alto verso il basso, le differenze intergruppi basate su stereotipi collegati alla competenza moderano la deumanizzazione. Gli autori infatti dimostrano che i gruppi di alto status deumanizzano implicitamente i gruppi di basso status, che invece non si percepiscono affatto come più umani dei gruppi di alto status (generando un’asimmetria). In conclusione, i target bassi-bassi (sia in termini di calore che di competenza) sono i più vulnerabili. La deumanizzazione verticale è legata allo status sociale e alla dominanza, mentre le altre forme di deumanizzazione orizzontale sono basate sulla distanza e sulla disconnessione tra gruppi; un esempio di questo fenomeno è nella medicina, dove i pazienti vengono trattati con un distacco emozionale (Lammers & Stapel, 2011).

Secondo Haslam e Loughnan (2014) un ruolo fondamentale è svolto anche dalla familiarità con l’outgroup, infatti gli effetti di deumanizzazione maggiori vengono riscontrati per gruppi che sono socialmente più distanti, o per quelli subordinati (ad esempio, in un rapporto schiavo-padrone). Secondo Leyens e colleghi (2007) invece ciò è legato alla rilevanza dell’outgroup, che viene descritta come una sorta di interdipendenza sociale tra i due gruppi: più essa è elevata (e quindi i due gruppi sono vicini geograficamente e “costretti” alla coesistenza con conseguenze reciproche) e maggiore è la probabilità che avvenga deumanizzazione.

© La relazione tra amicizie dirette ed estese e attribuzioni di mente: Uno studio sul rapporto tra Meridionali e Settentrionali in Italia – Elisa Ragusa

 

 

 

 

 

Deumanizzazione ed infraumanizzazione

Deumanizzazione ed infraumanizzazione

Definizioni, analogie e differenze

Per comprendere al meglio i fenomeni di infraumanizzazione e deumanizzazione legati alla percezione dei gruppi dobbiamo necessariamente considerare il processo di categorizzazione (Voci & Pagotto, 2010). Grazie all’utilizzo di categorie, infatti, le persone riescono a ridurre la complessità dell’ambiente che li circonda: l’inserimento, sulla base di un principio di somiglianza, di un numero elevato di stimoli differenti all’interno di classi più ampie, consente di ridurre gli innumerevoli casi singoli a un numero molto più limitato di categorie. La formazione stessa delle categorie sociali o di gruppi porta inevitabilmente ad una percezione di accentuata omogeneitàall’interno di un gruppo e differenziazione tra gruppi diversi (processi di assimilazione intracategoriale e differenziazione intercategoriale). Le persone non si limitano a categorizzare gli altri, ma categorizzano anche se stesse: i gruppi che coinvolgono al loro interno il sé vengono denominati ingroup, e saranno concepiti come gruppi “speciali” (in quanto nostri), mentre i gruppi in cui il sé non è incluso vengono denominati outgroup. La formazione di stereotipi, pregiudizi e discriminazioni sono il prodotto del normale funzionamento della mente umana, basato sulla categorizzazione sociale, e dei processi motivazionali di valorizzazione dei gruppi di appartenenza, legati al bisogno di raggiungere e mantenere un’identità sociale positiva (Tajfel, 1981).

Tra le molteplici forme di discriminazione, pregiudizio e ostilità nei confronti di chi è diverso da sé (gli outgroup), assistiamo spesso anche a forme particolarmente gravose, caratterizzate dalla negazione totale o parziale dell’umanità altrui, ovvero la tendenza a percepire i gruppi estranei come “meno umani”, “non umani” o “sub-umani”. La mancata o ridotta attribuzione di umanità o caratteristiche umane agli altri rappresenta infatti, per suoi contenuti, una forma “aggravata” di discriminazione, in quanto viene messa in discussione una delle proprietà basilari della persona, ovvero l’umanità. Tali processi, che richiamano alla mente tragedie e stermini di massa, sono piuttosto diffusi (anche se prevalentemente in forme sottili e implicite) e possono avere conseguenze disastrose specialmente quando avvengono in forma manifesta. In particolare, tali fenomeni sono stati studiati in due distinti filoni teorici ed empirici della ricerca scientifica (per una rassegna vedi Haslam & Loughnan, 2014): l’infraumanizzazione (Leyens et al., 2007) e la deumanizzazione (Haslam et al., 2006).

Entrambe le teorie partono dall’assunto secondo cui forme radicate di pregiudizio possono sorgere dalla percezione che l’ingroup e l’outgroup non condividano la stessa essenza in questo caso, l’essenza umana, trattandosi di gruppi di esseri umani. L’ essenzialismo (Medin, 1989; Leyens et al., 2007) consiste nella convinzione che le persone e i gruppi sono sostanzialmente differenti tra loro e che quindi esistono delle discontinuità nell’umanità degli stessi. Le conseguenze di questa percezione sono però diverse secondo i due approcci.

Secondo Leyens, Rodriguez, Rodriguez, Gaunt, Paladino, Vaes & Demoulin (2001) le persone, in determinate circostanze, possono ritenere che i membri dell’ingroup abbiano un’essenza “maggiormente umana” rispetto ai membri dell’outgroup. Nei loro studi, l’essenza umana viene connessa solamente al fatto di essere in grado di provare emozioni secondarie. Queste infatti, a differenza delle emozioni primarie (quali gioia, sorpresa, paura, tristezza, rabbia, disgusto), immediatamente visibili e poco complesse, sono stati affettivi complessi, con una caratterizzazione cognitiva e spesso legati alla moralità. Tra queste emozioni secondarie, secondo Leyens et al. (2001), possiamo citare il rimorso, la nostalgia, l’intelligenza, il linguaggio, e tutti i sentimenti. Tutti gli esseri viventi, quindi umani e animali, provano emozioni primarie, ma solo gli esseri umani sono in grado di sperimentare le emozioni secondarie. La minor attribuzione di umanità all’outgroup è legata, quindi, nella teoria dell’infraumanizzazione di Leyens, dalla capacità di provare in minor misura queste emozioni secondarie.

Un ulteriore studio (Leyens et al., 2003) dimostra che l’infraumanizzazione è un fenomeno persistente in diversi contesti intergruppi, è evidente anche in assenza di conflitti intergruppi manifesti, ma quando vi siano differenze consistenti tra ingroup ed outgroup, ed è infine indipendente dai fenomeni di denigrazione dell’outgroup e di favoritismo per l’ingroup. Infatti, riguardo a quest’ultimo punto, mentre il favoritismo per l’ingroup consiste nell’associare solamente valori e caratteristiche positive al proprio gruppo e la denigrazione dell’outgroup nell’associare ad esso valori e caratteristiche negative, nell’infraumanizzazione vengono associate all’ingroup più emozioni secondarie, (unicamente umane), sia di tipo positivo sia di tipo negativo, come ha dimostrato uno studio che ha utilizzato una tecnica implicita di rivelazione delle associazioni gruppi-emozioni secondarie (Paladino et al., 2002).

E’ necessario sottolineare altri due aspetti: l’infraumanizzazione, secondo i suoi teorici, consiste in una tendenza pervasiva dettata dal bisogno di distinguere positivamente il proprio gruppo di appartenenza, ovvero è una conseguenza del processo di categorizzazione sociale. In virtù di queste assunzioni, Leyens et al. (2000) hanno sostenuto che tutti i membri dell’outgroup vengono percepiti come meno umani rispetto a coloro che appartengono all’ingroup. Inoltre, l’infraumanizzazione ha una varietà di implicazioni comportamentali che portano non solo alla mancata percezione dell’umanità altrui, ma anche ad un’evidente riluttanza nell’accettarla.

Il secondo approccio teorico relativo alle percezioni di umanità è quello della deumanizzazione proposto da Haslam (2006). L’approccio di Haslam si rifà al dualismo già evidenziato in diverse altre teorie psicologiche (come la percezione della mente di Gray, Gray & Wegner, 2007) differenziandosi da quello di Leyens e collaboratori (2000, 2001) principalmente perché effettua una distinzione tra le caratteristiche “unicamente umane” e le caratteristiche “legate alla natura umana”. Le prime sono quelle che differenziano gli esseri umani da quelli animali: tra queste rientrano sicuramente le emozioni secondarie già considerate da Leyens, ma anche altre capacità cognitive complesse e aspetti generali legati a civiltà, razionalità, moralità, socializzazione e cultura. Le caratteristiche legate alla natura umana sono invece quelle che, anche se possono in qualche misura caratterizzare le altre specie animali, sono ritenute centrali nel differenziare il genere umano da oggetti inanimati che ne sono invece privi, costituendo il nucleo di quella che può essere definita “umanità”. Esse riguardano per Haslam l’emotività, la vitalità ed il calore. A seconda di quale caratteristica venga negata all’outgroup, si possono quindi avere due tipi di deumanizzazione: quella animalistica o quella meccanistica. Quando ad un determinato gruppo vengono negate le caratteristiche unicamente umane, i suoi membri sono percepiti come privi di controllo sugli istinti, poco intelligenti, immaturi ed immorali: in altre parole, vengono assimilati alle altre specie animali. Invece, se ad essere negate sono quelle caratteristiche legate alla natura umana, i membri dell’outgroup saranno visti come freddi, rigidi e poco profondi: in altre parole, saranno considerati al pari di apparecchi meccanici (come degli automi) assimilati quindi alle macchine.

Il modello duale di Haslam (2006) appare maggiormente completo rispetto al precedente, e per diversi motivi. Esso riesce a superare i limiti della classica distinzione tra uomo e animale, introducendo anche gli oggetti come termine di paragone. Inoltre, invece di limitarsi all’analisi di un fenomeno specifico nella percezione dei gruppi, consente di classificare secondo diversi criteri le diverse forme di deumanizzazione che possono essere latenti o manifeste, animali o meccaniche, interpersonali o intergruppi.

L’infraumanizzazione, secondo Leyens ed i suoi collaboratori (2000, 2001), è un processo che deve essere necessariamente distinto dalla deumanizzazione, poiché presenta numerose differenze rispetto ad essa.

Secondo la loro teoria, mentre nel processo di deumanizzazione l’outgroup viene considerato totalmente disumano, nell’infraumanizzazione l’outgroup è semplicemente percepito come qualcosa di meno umano e più simile agli animali rispetto all’ingroup. Inoltre, mediante la deumanizzazione si giunge necessariamente a conflitti armati o manifesti (generando inoltre un’esclusione morale verso l’outgroup), mentre l’infraumanizzazione è per certi versi più  sottile: essa si presenta come una variazione simultanea dei fenomeni di amore verso l’ingroup e odio verso l’outgroup, che in questo caso sono fortemente associati poiché avvengono insieme (Brewer, 1999). L’infraumanizzazione è teorizzata includendo entrambi questi fenomeni come un doppio movimento che incrementa la valorizzazione dell’ingroup e abbassa il valore dell’outgroup. Tra le altre differenze, secondo questa teoria, l’infraumanizzazione riguarda solamente le relazioni intergruppi e non quelle interpersonali (Leyens et al., 2007); infine, questi teorici evidenziano che la relazione per cui l’ingroup si crede più umano rispetto all’outgroup è legata maggiormente al nazionalismo, che viene chiaramente distinto dal patriottismo. Quest’ultimo si riferisce soltanto all’avere un forte orgoglio verso il proprio gruppo, mentre il nazionalismo unisce a questo orgoglio anche una svalutazione e denigrazione dell’outgroup.

Per concludere, Leyens e i suoi colleghi (2007) sostengono che sia la deumanizzazione animalistica ad essere una branca dell’infraumanizzazione, mentre Haslam ed i suoi colleghi (2006) sostengono l’opposto, ovvero che l’infraumanizzazione sia una forma di deumanizzazione animalistica. La diatriba tra le due scuole di pensiero è attualmente ancora in corso, ma di certo questi fenomeni sono intimamente legati tra di loro.

Verranno adesso analizzati nel dettaglio i diversi aspetti della deumanizzazione e dell’infraumanizzazione, basati sul modo in cui avvengono, sulle caratteristiche dei gruppi e delle persone che la subiscono o la causano, sui fattori situazionali e motivazionali in cui si verificano. Infine, verranno discussi i loro diversi effetti e le strategie di riduzione potenzialmente più efficaci.

© La relazione tra amicizie dirette ed estese e attribuzioni di mente: Uno studio sul rapporto tra Meridionali e Settentrionali in Italia – Elisa Ragusa