Deumanizzazione ed infraumanizzazione
Deumanizzazione ed infraumanizzazione
Definizioni, analogie e differenze
Per comprendere al meglio i fenomeni di infraumanizzazione e deumanizzazione legati alla percezione dei gruppi dobbiamo necessariamente considerare il processo di categorizzazione (Voci & Pagotto, 2010). Grazie all’utilizzo di categorie, infatti, le persone riescono a ridurre la complessità dell’ambiente che li circonda: l’inserimento, sulla base di un principio di somiglianza, di un numero elevato di stimoli differenti all’interno di classi più ampie, consente di ridurre gli innumerevoli casi singoli a un numero molto più limitato di categorie. La formazione stessa delle categorie sociali o di gruppi porta inevitabilmente ad una percezione di accentuata omogeneitàall’interno di un gruppo e differenziazione tra gruppi diversi (processi di assimilazione intracategoriale e differenziazione intercategoriale). Le persone non si limitano a categorizzare gli altri, ma categorizzano anche se stesse: i gruppi che coinvolgono al loro interno il sé vengono denominati ingroup, e saranno concepiti come gruppi “speciali” (in quanto nostri), mentre i gruppi in cui il sé non è incluso vengono denominati outgroup. La formazione di stereotipi, pregiudizi e discriminazioni sono il prodotto del normale funzionamento della mente umana, basato sulla categorizzazione sociale, e dei processi motivazionali di valorizzazione dei gruppi di appartenenza, legati al bisogno di raggiungere e mantenere un’identità sociale positiva (Tajfel, 1981).
Tra le molteplici forme di discriminazione, pregiudizio e ostilità nei confronti di chi è diverso da sé (gli outgroup), assistiamo spesso anche a forme particolarmente gravose, caratterizzate dalla negazione totale o parziale dell’umanità altrui, ovvero la tendenza a percepire i gruppi estranei come “meno umani”, “non umani” o “sub-umani”. La mancata o ridotta attribuzione di umanità o caratteristiche umane agli altri rappresenta infatti, per suoi contenuti, una forma “aggravata” di discriminazione, in quanto viene messa in discussione una delle proprietà basilari della persona, ovvero l’umanità. Tali processi, che richiamano alla mente tragedie e stermini di massa, sono piuttosto diffusi (anche se prevalentemente in forme sottili e implicite) e possono avere conseguenze disastrose specialmente quando avvengono in forma manifesta. In particolare, tali fenomeni sono stati studiati in due distinti filoni teorici ed empirici della ricerca scientifica (per una rassegna vedi Haslam & Loughnan, 2014): l’infraumanizzazione (Leyens et al., 2007) e la deumanizzazione (Haslam et al., 2006).
Entrambe le teorie partono dall’assunto secondo cui forme radicate di pregiudizio possono sorgere dalla percezione che l’ingroup e l’outgroup non condividano la stessa essenza in questo caso, l’essenza umana, trattandosi di gruppi di esseri umani. L’ essenzialismo (Medin, 1989; Leyens et al., 2007) consiste nella convinzione che le persone e i gruppi sono sostanzialmente differenti tra loro e che quindi esistono delle discontinuità nell’umanità degli stessi. Le conseguenze di questa percezione sono però diverse secondo i due approcci.
Secondo Leyens, Rodriguez, Rodriguez, Gaunt, Paladino, Vaes & Demoulin (2001) le persone, in determinate circostanze, possono ritenere che i membri dell’ingroup abbiano un’essenza “maggiormente umana” rispetto ai membri dell’outgroup. Nei loro studi, l’essenza umana viene connessa solamente al fatto di essere in grado di provare emozioni secondarie. Queste infatti, a differenza delle emozioni primarie (quali gioia, sorpresa, paura, tristezza, rabbia, disgusto), immediatamente visibili e poco complesse, sono stati affettivi complessi, con una caratterizzazione cognitiva e spesso legati alla moralità. Tra queste emozioni secondarie, secondo Leyens et al. (2001), possiamo citare il rimorso, la nostalgia, l’intelligenza, il linguaggio, e tutti i sentimenti. Tutti gli esseri viventi, quindi umani e animali, provano emozioni primarie, ma solo gli esseri umani sono in grado di sperimentare le emozioni secondarie. La minor attribuzione di umanità all’outgroup è legata, quindi, nella teoria dell’infraumanizzazione di Leyens, dalla capacità di provare in minor misura queste emozioni secondarie.
Un ulteriore studio (Leyens et al., 2003) dimostra che l’infraumanizzazione è un fenomeno persistente in diversi contesti intergruppi, è evidente anche in assenza di conflitti intergruppi manifesti, ma quando vi siano differenze consistenti tra ingroup ed outgroup, ed è infine indipendente dai fenomeni di denigrazione dell’outgroup e di favoritismo per l’ingroup. Infatti, riguardo a quest’ultimo punto, mentre il favoritismo per l’ingroup consiste nell’associare solamente valori e caratteristiche positive al proprio gruppo e la denigrazione dell’outgroup nell’associare ad esso valori e caratteristiche negative, nell’infraumanizzazione vengono associate all’ingroup più emozioni secondarie, (unicamente umane), sia di tipo positivo sia di tipo negativo, come ha dimostrato uno studio che ha utilizzato una tecnica implicita di rivelazione delle associazioni gruppi-emozioni secondarie (Paladino et al., 2002).
E’ necessario sottolineare altri due aspetti: l’infraumanizzazione, secondo i suoi teorici, consiste in una tendenza pervasiva dettata dal bisogno di distinguere positivamente il proprio gruppo di appartenenza, ovvero è una conseguenza del processo di categorizzazione sociale. In virtù di queste assunzioni, Leyens et al. (2000) hanno sostenuto che tutti i membri dell’outgroup vengono percepiti come meno umani rispetto a coloro che appartengono all’ingroup. Inoltre, l’infraumanizzazione ha una varietà di implicazioni comportamentali che portano non solo alla mancata percezione dell’umanità altrui, ma anche ad un’evidente riluttanza nell’accettarla.
Il secondo approccio teorico relativo alle percezioni di umanità è quello della deumanizzazione proposto da Haslam (2006). L’approccio di Haslam si rifà al dualismo già evidenziato in diverse altre teorie psicologiche (come la percezione della mente di Gray, Gray & Wegner, 2007) differenziandosi da quello di Leyens e collaboratori (2000, 2001) principalmente perché effettua una distinzione tra le caratteristiche “unicamente umane” e le caratteristiche “legate alla natura umana”. Le prime sono quelle che differenziano gli esseri umani da quelli animali: tra queste rientrano sicuramente le emozioni secondarie già considerate da Leyens, ma anche altre capacità cognitive complesse e aspetti generali legati a civiltà, razionalità, moralità, socializzazione e cultura. Le caratteristiche legate alla natura umana sono invece quelle che, anche se possono in qualche misura caratterizzare le altre specie animali, sono ritenute centrali nel differenziare il genere umano da oggetti inanimati che ne sono invece privi, costituendo il nucleo di quella che può essere definita “umanità”. Esse riguardano per Haslam l’emotività, la vitalità ed il calore. A seconda di quale caratteristica venga negata all’outgroup, si possono quindi avere due tipi di deumanizzazione: quella animalistica o quella meccanistica. Quando ad un determinato gruppo vengono negate le caratteristiche unicamente umane, i suoi membri sono percepiti come privi di controllo sugli istinti, poco intelligenti, immaturi ed immorali: in altre parole, vengono assimilati alle altre specie animali. Invece, se ad essere negate sono quelle caratteristiche legate alla natura umana, i membri dell’outgroup saranno visti come freddi, rigidi e poco profondi: in altre parole, saranno considerati al pari di apparecchi meccanici (come degli automi) assimilati quindi alle macchine.
Il modello duale di Haslam (2006) appare maggiormente completo rispetto al precedente, e per diversi motivi. Esso riesce a superare i limiti della classica distinzione tra uomo e animale, introducendo anche gli oggetti come termine di paragone. Inoltre, invece di limitarsi all’analisi di un fenomeno specifico nella percezione dei gruppi, consente di classificare secondo diversi criteri le diverse forme di deumanizzazione che possono essere latenti o manifeste, animali o meccaniche, interpersonali o intergruppi.
L’infraumanizzazione, secondo Leyens ed i suoi collaboratori (2000, 2001), è un processo che deve essere necessariamente distinto dalla deumanizzazione, poiché presenta numerose differenze rispetto ad essa.
Secondo la loro teoria, mentre nel processo di deumanizzazione l’outgroup viene considerato totalmente disumano, nell’infraumanizzazione l’outgroup è semplicemente percepito come qualcosa di meno umano e più simile agli animali rispetto all’ingroup. Inoltre, mediante la deumanizzazione si giunge necessariamente a conflitti armati o manifesti (generando inoltre un’esclusione morale verso l’outgroup), mentre l’infraumanizzazione è per certi versi più sottile: essa si presenta come una variazione simultanea dei fenomeni di amore verso l’ingroup e odio verso l’outgroup, che in questo caso sono fortemente associati poiché avvengono insieme (Brewer, 1999). L’infraumanizzazione è teorizzata includendo entrambi questi fenomeni come un doppio movimento che incrementa la valorizzazione dell’ingroup e abbassa il valore dell’outgroup. Tra le altre differenze, secondo questa teoria, l’infraumanizzazione riguarda solamente le relazioni intergruppi e non quelle interpersonali (Leyens et al., 2007); infine, questi teorici evidenziano che la relazione per cui l’ingroup si crede più umano rispetto all’outgroup è legata maggiormente al nazionalismo, che viene chiaramente distinto dal patriottismo. Quest’ultimo si riferisce soltanto all’avere un forte orgoglio verso il proprio gruppo, mentre il nazionalismo unisce a questo orgoglio anche una svalutazione e denigrazione dell’outgroup.
Per concludere, Leyens e i suoi colleghi (2007) sostengono che sia la deumanizzazione animalistica ad essere una branca dell’infraumanizzazione, mentre Haslam ed i suoi colleghi (2006) sostengono l’opposto, ovvero che l’infraumanizzazione sia una forma di deumanizzazione animalistica. La diatriba tra le due scuole di pensiero è attualmente ancora in corso, ma di certo questi fenomeni sono intimamente legati tra di loro.
Verranno adesso analizzati nel dettaglio i diversi aspetti della deumanizzazione e dell’infraumanizzazione, basati sul modo in cui avvengono, sulle caratteristiche dei gruppi e delle persone che la subiscono o la causano, sui fattori situazionali e motivazionali in cui si verificano. Infine, verranno discussi i loro diversi effetti e le strategie di riduzione potenzialmente più efficaci.