Ricerche inerenti il burnout
Rassegna letteraria sulle ricerche inerenti al Burnout
“Lo scienziato […] deve sentirsi impegnato a comprendere il mondo e ad estendere la portata e la precisione dell’ordine che gli è stato dato. Questo impegno lo deve, a sua volta, guidare a scrutare, da solo o con l’aiuto dei colleghi, alcuni aspetti della natura fin nei minimi dettagli empirici. E se tale esame svela sacche di apparente disordine, queste lo devono allo stimolare a raffinare ulteriormente le sue tecniche di osservazione o a dare maggiore articolazione alle sue teorie.” (Kuhn, 1970).
Come nasce l’interesse della ricerca
Nel lavoro si trovano alcune delle principali fonti di stress, sia positivo che negativo (Sibilia, 2010). Basti pensare che si spende per il lavoro più del 50% delle ore di veglia, se consideriamo il tempo di trasporto (Sibilia,2010). Un livello di stress da “alto” a “moderato” viene segnalato dal 50% di un campione di lavoratori americani (Sibilia,2010). Dal 60 al 80% degli incidenti sul lavoro sono attribuibili allo stress (Sibilia,2010). Il 54% delle assenze dal lavoro sono per cause di stress-lavoro correlato (Neunan e Hubbard, 1998). Nel Congresso del 25/11/02 dell’Agenzia Europea per la sicurezza e la salute sul lavoro (OSHA-EU), lo stress lavorativo è stato riconosciuto come il secondo maggiore problema di salute e rischio per la sicurezza nella popolazione occupata in Europa: stime per difetto danno circa il 28% dei lavoratori europei sofferenti di problemi legati allo stress (Sibilia,2010). Vi sono infatti importanti motivi anche per le Aziende per occuparsi dello stress: nell’ambiente di lavoro, lo stress (negativo) riduce la prestazione, la produttività, il morale del lavoratore ed aumenta gli errori, le giornate di malattia, l’assenteismo e gli incidenti (Sibilia,2010). Si giunge così (8 ottobre 2004) ad un Accordo Quadro Europeo sullo Stress nei Luoghi di Lavoro, che prevede una serie di misure per “per prevenire, eliminare o ridurre i problemi di stress lavoro-correlato”: misure di gestione e comunicazione, formazione dei dirigenti e dei lavoratori per accrescere la loro consapevolezza e la loro conoscenza dello stress, nonché informazione e la consultazione dei lavoratori e/o dei loro rappresentanti (Sibilia,2010). In Italia, il Testo Unico sulla Salute e Sicurezza nei luoghi di lavoro (D. lgs n. 81/2008) modifica la precedente legge n. 626/94, introducendo una rilevante novità: lo stress lavorativo viene inserito come fattore complesso che incide direttamente sulla qualità del lavoro e sul benessere delle organizzazioni lavorative (Sibilia,2010). Si recepisce così l’obbligo di individuare da parte del datore di lavoro quei fattori che incidono in modo determinante sullo stress lavorativo (Sibilia,2010). Anche nel nostro Paese, le aziende devono quindi redigere un Documento della Valutazione dei Rischi che includa anche “rischi particolari, tra cui anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato, secondo i contenuti dell’accordo europeo del 8 ottobre 2004” (Sibilia,2010).
Ma tutto ciò ha posto subito alcuni interrogativi: Quali sono i fattori di stress sul lavoro? Come selezionarli? Come misurarli? Quali criteri per valutarli? Tali fattori sono stati oggetto di numerosissime ricerche, e tuttavia con modelli e strumenti molto diversi, che non ne rendono comparabili i risultati (Sibilia, 2010). Tra le fonti di stress relativi al lavoro, comunque, sono emerse alcune principali condizioni che possiamo brevemente enumerare così:
- la mancanza di autonomia o ridotti margini di discrezionalità nello svolgimento del lavoro come la mancanza di controllo sulle modalità del lavoro o sulle scelte organizzative);
- il sovraccarico di lavoro e di responsabilità lavorative;
- i vincoli troppo restrittivi, o le risorse troppo scarse nel contesto di lavoro;
- le ambiguità di richieste o di ruoli lavorativi;
- la scarsità di contatti e di sostegno sociale da colleghi e superiori, oppure veri e propri assilli o soprusi (che vanno sotto il nome di mobbing);
- le ricompense e i benefici troppo scarsi rispetto all’impegno nel lavoro (Sibilia, 2010).
Teorie diverse hanno variamente evidenziato l’importanza di fattori diversi. La ricerca sullo stress lavorativo è stata ostacolata fino alla scorsa decade dalla mancanza di strumenti di misura agevoli e standardizzati (Sibilia, 2010). Il questionario più utilizzato è l’OSI che sta per “Occupational Stress Indicator”; questo questionario è formato da 170 item e richiede un tempo di compilazione di 45 minuti circa (Williams e Cooper, 1998). Inoltre, le varie scale che lo compongono sono eterogenee dal punto di vista teorico (Sibilia, 2010). Soprattutto, questo ed altri analoghi strumenti coprono la valutazione delle condizioni organizzative ed ambientali dello stress lavorativo (fattori di contesto), oppure i fattori di stress intrinseci (specifici) delle mansioni svolte, ma non entrambe le classi di fattori (Sibilia, 2010). Inoltre, dall’articolo di Sibilia (2010) si evince che da recente si sia spostata l’attenzione sullo stress inquadrandolo come una carenza o riduzione della qualità della vita, parametro già studiato in medicina per la valutazione degli esiti di terapie croniche, ma che ha avuto recente risalto dagli sviluppi della psicologia positiva (Goldwurm, 2006; Sibilia, 2004). Pertanto, si è anche iniziato a misurare lo stress correlato al lavoro come una carenza di qualità della vita lavorativa, non solo del singolo, ma anche nel senso di scarsa salute dell’organizzazione stessa in cui si svolge il lavoro (Sibilia,2010). Indipendentemente dalle caratteristiche specifiche dei diversi profili professionali e mansioni lavorative, è stata identificata una carenza di “benessere” nel contesto di lavoro; questo “malessere” organizzativo si può esprimere attraverso vari parametri:
- alto assenteismo;
- elevato ricambio del personale;
- conflitti interpersonali;
- frequenti lamentele da parte dei lavoratori;
- frequenti incidenti sul lavoro;
- ridotta produttività;
- casi di assilli, emarginazione, violenze (Sibilia,2010).
Sono state identificate da tempo alcune “sindromi” tipiche che rappresentano variabili “endogene” dello stress lavoro-correlato: la sindrome di burnout (ben approfondito nei precedenti capitoli), con variabili “endogene” legate alle caratteristiche professionali; il quadro comportamentale “di Tipo A” (Type A Behavior Pattern, TABP) descritto per la prima volta da Rosenman e M. Friedman (1994), risulta composto da tre principali aspetti o tendenze: la tendenza all’espressione aggressiva (il potenziale di ostilità), la competitività eccessiva (o ipercompetitività), ed il senso di impazienza e di mancanza di tempo (Sibilia,2010). Il Tipo A si trova più facilmente in ambienti di lavoro molto competitivi, mentre la sindrome di burnout è più caratteristica delle “professioni di aiuto” (Sibilia,2010).
Dall’articolo “Preventing Burnout in Mental Health Workers at Interpersonal
Level: an Italian Pilot Study” (versione in lingua italiana) di Scarnera e collaboratori (2008), si legge che la sindrome del Burnout nei Servizi di Salute Mentale è un fenomeno che è stato ampiamente studiato (Shirom 2003; Schaufeli 2003; Maslach et al., 2001; Salyers e Bond 2001). Scarnera (2008) asserisce che gli studi che sono stati realizzati fino ad ora descrivono la sindrome come “un processo, piuttosto che un evento”, e tendono ad associarla a condizioni di stress cronico giornaliero, piuttosto che con eventi eccezionali ed occasionali. Il lavoro insoddisfacente può condurre a un sentimento di esaurimento emozionale (EE), poi ad una reazione difensiva quale la depersonalizzazione (DP), ed infine ad una mancanza di coinvolgimento sul lavoro e bassa soddisfazione personale (PA) (Scarnera et al.,2008). Questo processo ha implicazioni negative per le prestazioni lavorative e per le relazioni sociali (Scarnera et al., 2008). In ogni caso, nell’articolo (Scarnera et al.,2008) l’EE è considerato comunemente come la dimensione centrale della sindrome (Moore, 2000; Koeske e Koeske,1989; Roelofs et al., 2005). D’altro lato, alti livelli di EE si incontrano anche in altre malattie mentali non necessariamente coinvolte con lo stress lavorativo, quali la depressione ed i disturbi d’ansia. Per tale motivo, l’emergenza di alti livelli di DP e PA sembra un criterio più adeguato per diagnosticare i disturbi collegati al Burnout (Brenninkmeijer e Van Yperen, 2003; Schaufeli et al., 2001; Schaufeli e Taris, 2005). Nonostante i sopramenzionati bisogni di riflessioni più approfondite sulle dimensioni del Burnout e sulle loro relazioni, il numero degli interventi sulla sindrome è cresciuto negli ultimi 20 anni (Scarnera et al., 2008). Schaufeli e Enzmann (1998) hanno proposto un’ampia classificazione degli interventi tra due assi:
- il focus (individuale; interfaccia individuo-organizzazione; organizzativo);
- il proposito (identificazione, prevenzione primaria e secondaria, trattamento, riabilitazione) (Scarnera et al., 2008).
Frequentemente gli interventi sono strutturati come workshop che supportano la consapevolezza dei partecipanti sui loro problemi collegati al lavoro e migliorano la loro abilità nella gestione delle risorse attraverso formazione sulle competenze e/o fornitura ricerca di supporto sociale (Scarnera et al., 2008). Scarnera e collaboratori (2008) riportano che, in accordo con Schaufeli ed Enzmann (2003), l’approccio interpersonale al Burnout sembra supportato empiricamente. In particolare, tali autori (Schaufeli ed Enzmann,2003), ascrivono l’apparizione delle relazioni interpersonali stressanti sul lavoro alla mancanza di reciprocità (Scarnera et al., 2008). In altri termini, gli operatori sentono di consumare tempo e di entrare in relazioni molto costose, senza ricevere un beneficio comparabile (Scarnera et al.,2008). Così, considerati gli studi di diversi autori (Schaufeli 2003; Buunk et al. 2001; Bakker et al. 2000), Scarnera e colleghi (2008) ritengono che la mancanza di reciprocità nel gruppo degli operatori, come pure la comparazione sociale ed il contagio emotivo, giochino un ruolo importante nell’emergenza del Burnout. Sempre nella pubblicazione di Scarnera (2008), in relazione alla pianificazione di interventi di prevenzione del Burnout, tre argomenti sembrano i più ricorrenti tra gli operatori della salute mentale (Van der Klink et al. 2001; Murphy 1996; Scarnera 2003). Al primo posto si ha il bisogno di un migliore controllo delle emozioni emergenti dal coinvolgimento con la malattia degli altri, Mc Craty e collaboratori (1998) hanno riportato che i partecipanti ad un programma formativo di gestione delle emozioni negative hanno mostrato un significativo aumento degli affetti positivi ed un significativo decremento degli affetti negativi (Scarnera et al.,2008). Al secondo, Cummigans et al. (2005) affermano il bisogno di una grande diffusione di competenze specifiche nella guida e monitoraggio degli operatori e del coinvolgimento personale dei membri dello staff, mentre Gill e collaboratori (2006), esaminando gli effetti dei diversi stili di leadership sullo stress lavorativo e sul Burnout, hanno trovato che il livello di stress percepito è inversamente correlato al grado di supporto fornito dai manager (Scarnera et al.,2008). Infine, al terzo Lee e Crockett (1994) hanno proposto la promozione dell’assertività nella comunicazione tra membri del team (Scarnera et al., 2008). Esaminando l’efficacia del training sull’assertività nel ridurre i livelli di stress ed aumentare quelli di assertività nella comunicazione tra infermieri, essi hanno trovato che alla fine delle attività ed al follow-up, il gruppo sperimentale ha mostrato livelli più bassi di stress e più alti di assertività, rispetto al gruppo di controllo (Scarnera et al., 2008). Shimizu et al. (2003) hanno confermato i risultati precedenti, concernenti i benefici effetti dei training sull’assertività sui livelli percepiti di stress lavorativo (Scarnera et al., 2008). Presi insieme, questi risultati hanno implicazioni nella definizione dei training per manager. Infatti:
- il controllo di pensieri ed emozioni negative specialmente tra impiegati;
- la promozione di uno stile supportivo di leadership tra manager;
- il miglioramento della comunicazione assertiva tra i membri dello staff dovrebbe rappresentare un set di competenze professionali che proteggono dall’emergenza del Burnout (Scarnera et al., 2008).
Alla luce di quanto detto, si riporta lo studio di Scarnera e collaboratori (2008) che hanno focalizzato la loro ricerca su un livello di intervento interpersonale, all’interno di una cornice teorica Cognitivo-Comportamentale. Questo perché una meta-analisi quantitativa indagante l’efficacia degli interventi sullo stress lavorativo condotta da Van der Klink et al. nel 2001, ha dimostrato che gli interventi sulla gestione dello stress sono efficaci. In particolare, gli interventi Cognitivo-Comportamentali sono apparsi più efficaci degli altri (Scarnera et al., 2008). Recentemente, in un’altra meta-analisi di Richardson e Rothstein (2008), sono stati largamente confermati questi risultati. Sorprendentemente, Richardson e Rothstein (2008) hanno suggerito che più componenti sono aggiunti ad un intervento Cognitivo-Comportamentale, meno efficace diventa (Scarnera et al., 2008). In linea con questa conclusione, la parte centrale dell’intervento di Scarnera ed il suo gruppo di ricerca (2008) è stato rappresentato da un training sull’assertività coinvolgente tutti i partecipanti, riguardo al loro specifico ruolo o funzione lavorativa, poiché è atteso che un training sull’assertività possa fornire l’opportunità di armonizzare finalità professionali e bisogni personali per manager ed impiegati (Scarnera et al., 2008).In uno dei più citati studi sul Burnout, Ramirez et al. (1996) affermava che il sentimento di operare malamente con i pazienti, con i loro parenti e con i membri dello staff, e di essere diretti malamente, era considerato come un’importante fonte di stress al lavoro (Scarnera et al., 2008). Nello stesso articolo, il Burnout risultava essere più prevalente tra i professionisti che si sentivano inadeguatamente formati in competenze comunicative e di gestione (Scarnera et al.,2008). A questo proposito, l’intervento è stato pensato specificatamente per fornire formazione su questi argomenti, e può essere considerato come uno dei primi studi promuoventi un intervento sul Burnout a livello interpersonale su di un campione di operatori della salute mentale Italiano (Scarnera et al., 2008). Lo studio è stato condotto su un campione di 25 soggetti (di cui 11 donne e 14 uomini) (Scarnera et al., 2008). I soggetti erano impiegati in due differenti ma interconnesse organizzazioni del Sud Italia: il Dipartimento di Salute mentale della ASL BA/3 di Altamura (BA) e la Cooperativa Sociale “Questa Città” di Gravina in Puglia (BA) (Scarnera et al.,2008). Mentre la prima forniva servizi psichiatrici ospedalieri ed ambulatoriali, la seconda forniva attività terapeutico/riabilitative in comunità residenziali e centri diurni (Scarnera et al.,2008). Benché il numero dei partecipanti fosse piccolo, esso comprendeva tutte le categorie di operatori impiegati nei servizi terapeutico/riabilitativi psichiatrici in Italia (Scarnera et al.,2008). Quattordici persone, cinque maschi e nove femmine, erano operatori direttamente impegnati nella cura ed assistenza dei pazienti e dei loro familiari (Gruppo 1) (Scarnera et al.,2008). Otto di loro avevano una qualifica professionale specifica per la loro professione: erano infermieri, educatori ed assistenti, con una età media di anni 40,7 (Scarnera et al.,2008). Undici persone, di cui nove maschi e due femmine, occupavano un ruolo manageriale (Gruppo 2); sette di loro avevano una qualifica professionale specifica per la loro occupazione: erano psicologi, psichiatri o manager di servizi riabilitativi, con una età media di 41,9 anni (Scarnera et al., 2008). La piccola dimensione del campione precludeva la possibilità di costituire un gruppo sperimentale ed uno di controllo, quindi l’intervento fu valutato solo nel corso del tempo, attraverso misure di pre, post e follow-up dell’intervento (Scarnera et al., 2008).
Preliminarmente, fu chiesto ai partecipanti di completare il Maslach Burnout Inventory – MBI (Sirigatti e Stefanile 1993) e l’Occupational Stress Inventory – OSI di Cooper, Sloan e Williams (Sirigatti e Stefanile 2002).
Successivamente alla prima valutazione, due consulenti formati supervisionarono una serie di 6 workshop mensili di 3-5 ore, in cui si promuoveva la comunicazione tra i membri dello staff, coinvolgendo tutti i partecipanti, a prescindere dal loro ruolo e qualifica (Scarnera et al., 2008). Furono realizzati anche altri due interventi in cui si elaboravano dei propri pensieri ed emozioni negative emergenti dalle relazioni con i pazienti ed i loro familiari (Scarnera et al., 2008). L’altro intervento fu pianificato per i manager, che furono formati per acquisire consapevolezza sia del proprio stile di leadership che dei bisogni di sostegno emergenti dai loro collaboratori (Scarnera et al., 2008). Questi due programmi avrebbero dovuto migliorare l’effetto del susseguente intervento principale, coinvolgente tutti i partecipanti (Scarnera et al., 2008). Il primo workshop fu realizzato separatamente per i due gruppi, sulla base delle specifiche problematiche di ogni gruppo (Scarnera et al., 2008). Sui membri del Gruppo 1 si intervenne per ottenere una ristrutturazione cognitiva delle relazioni interpersonali con persone affette da malattie mentali gravi (Scarnera et al., 2008). L’azione denominata “Strategie ottimali di pianificazione del lavoro e gestione delle relazioni interpersonali con i subordinati” (workshop 1), fu condotto con i membri del Gruppo 2 (Scarnera et al., 2008).
I rimanenti cinque workshop di Scarnera et al. (2008), di 3 ore ognuno, consistettero in azioni didattiche ed esperenziali sulla “Assertività” (Naimo 2003). Durante la parte didattica, furono affrontati i seguenti argomenti: “gestire differenti livelli di relazione interpersonale” (workshop 1); “asserire il proprio punto di vista preservano una relazione pulita” (workshop 2); “comunicare apprensione e pregiudizi” (workshop 3); “evitare rabbia dovuta a sentimenti di inferiorità e insoddisfazione improduttiva” (workshop 4); “promuovere relazioni professionali positive” (workshop 5) (Scarnera et al.,2008). Durante la parte esperienziale, i partecipanti presentavano e valutavano collettivamente strategie per affrontare gli stressor più importanti delle loro situazioni di lavoro. Il programma formativo di Scarnera et al. (2008) era ispirato dalle ricerche di Lee e Crokett (1994) e Shimizu et al. (2003). Alla fine di ogni workshop, la soddisfazione dei partecipanti fu valutata attraverso un questionario contente domande sulla utilità, facilità di apprendimento, coinvolgimento personale e piacevolezza delle situazioni di apprendimento (Scarnera et al., 2008). Le risposte furono fornite su di una scala di tre gradi (“insoddisfatto”, “soddisfatto”, “molto soddisfatto”) (Scarnera et al., 2008). Alla fine dell’intervento (T1), fu chiesto ai partecipanti di compilare l’MBI di Sirigatti e Stefanile (1993) (Scarnera et al., 2008). Diciotto mesi dopo l’intervento, fu chiesto ai partecipanti di compilare di nuovo l’MBI (Sirigatti e Stefanile 1993) ed un questionario sviluppato appositamente per valutare l’efficacia delle competenze acquisite (Scarnera et al., 2008).
Per concludere in breve, l’analisi dell’EE non ha mostrato effetti dell’intervento (Scarnera et al., 2008). Questo risultato suggerisce che l’intervento basato sulla promozione dell’assertività nelle relazioni interpersonali non funzionava sul livello medio/basso esperito dai partecipanti a T0 (Scarnera et al., 2008). L’analisi sulla DP mostrò un significativo effetto principale del tempo, il quale dimostrava che la DP era incline ad abbassarsi linearmente dai livelli medio/alti a quelli medio bassi del Burnout dopo la formazione alla assertività, e di mantenere questo andamento dopo 18 mesi dall’intervento (analisi lineare dell’andamento (Scarnera et al., 2008).L’intervento sembra che abbia aumentato, paradossalmente, dal basso al medio/basso la mancanza di PA immediatamente dopo l’intervento (Scarnera et al., 2008).
La riduzione del DP è risultata associata con l’efficacia dell’intervento percepita al follow-up (Scarnera et al., 2008). In generale, l’intervento di Scarnera et al. (2008), è stato considerato dagli stessi come parzialmente efficace. Infatti, esso sembrerebbe funzionare bene sui livelli di Burnout che erano medio/alti prima dell’intervento (DP) ma gli effetti attesi su EE non sono apparsi (Scarnera et al., 2008). Seguendo Le Blanc et al. (2007), se i partecipanti sono caratterizzati, all’inizio dell’intervento, da un basso livello di Burnout su di un particolare indice, è meno plausibile che l’intervento possa avere un effetto ampio (Scarnera et al., 2008). Poiché l’intervento ha avuto un effetto riducente sulla DP, si possono supporre effetti positivi anche sulla PA e principalmente, sull’EE di partecipanti affetti da livelli severi di Burnout (Scarnera et al.,2008). Alla luce dei precedenti risultati, Scarnera ed il suo gruppo di ricerca (2008) concludevano che un programma di intervento finalizzato ad incoraggiare tutti gli operatori a promuovere la comunicazione assertiva, sentimenti positivi e accordo tra i colleghi potesse ridurre la loro inclinazione a depersonalizzare le relazioni con i clienti (Zellars et al. 2000). Dall’altro lato, gli stessi (Scarnera et al.,2008) sostenevano che l’accordo e l’armonia tra colleghi può aumentare la percezione di supporto sociale associata a bassi livelli di Burnout (Lee e Ashforth 1993).
Sono necessarie ulteriori ricerche per meglio distinguere le dinamiche interpersonali e le loro relazioni con l’emergere della Sindrome del Burnout (Scarnera et al., 2008). Prendendo in considerazione le limitazioni rappresentate dalle ridotte dimensioni del campione e dall’assenza di un gruppo di controllo, lo studio viene considerato come una iniziale linea guida per la disseminazione di buone pratiche all’interno delle Organizzazioni Italiane, pubbliche o private, che forniscono assistenza/riabilitazione alle persone affette da malattia mentale (Scarnera et al., 2008).
© Il Burnout negli insegnanti – Federica Sapienza