La nascita del Counseling
Prima di addentrarci nel vivo dell’argomentazione mi sembra doveroso fare chiarezza dinanzi ad una storica diatriba che vede in causa alcune figure professionali, in particolare quella dello psicologo, dello psicoterapeuta e del Counselor, il cui fine comune è rivolto ad “aiutare”, secondo modalità e tecniche diverse, “la persona”. Si può intuire facilmente la difficoltà nel delineare la sottile linea di confine esistente tra i diversi ambiti ed è per questo che mi limiterò esclusivamente a descrivere sinteticamente le tre distinte professioni, lasciando liberamente captare al lettore le relative differenze.
Lo psicoterapeuta è un professionista che tratta pazienti con disagio e sofferenza psichica all’interno di un quadro disarmonico della personalità. Può risolvere problematiche psicologiche ed emotive permanenti, strutturali della personalità o legate a forme di dipendenza patologica. Laureato in psicologia o medicina, ha seguito una scuola di specializzazione di quattro anni nell’ambito delle psicoterapie.
Lo psicologo è un professionista abilitato mediante un anno di tirocinio e il superamento di un esame di stato al libero esercizio della professione. Si muove nell’ambito del disagio, può effettuare una diagnosi mediante l’ausilio di testistica adeguata. Laureato in psicologia, nel corso di studio ha scelto una specializzazione (es. psicologia clinica, dello sviluppo, etc.).
Il Counselor è un operatore della salute che tratta clienti con profilo di personalità armonico e livelli di benessere ed equilibrio psichico nella norma, che presentano disagi legati alla realtà presente. La figura del Counselor richiede una buona conoscenza della personalità umana e un training professionale che garantisca il superamento di quella tendenza dell’io ad “esercitare un Counseling sulla base dei propri, più o meno rigidi, pregiudizi” (Rollo May, 1991).
Il Counseling si fonda sull’ipotesi che momenti di difficoltà e di crisi facciano parte della normalità della vita e che sia possibile sostenere il rilancio della normale capacità di risposta della persona, prima di pensare ad interventi di cura. Fino ai nostri tempi, la persona che si trovava a vivere una particolare condizione di vita poteva trovare sostegno e cura solo attraverso un mirato intervento di tipo psicologico o psicoterapeutico. Spesso però dinanzi al timore di essere etichettati come personalità problematiche o a causa di negativi stereotipi e pregiudizi ancor tutt’oggi, presenti nella cultura popolare, si finiva col restare soli con il proprio disagio accettando di convivere con la propria sofferenza (Mazzara, 1997).
Oggi invece, attraverso un crescente sviluppo nell’area del Counseling, si inizia a denotare il Counselor come una figura professionale che attraverso la “relazione d’aiuto” restituisce alla persona in difficoltà quella possibilità di affrontare in maniera decisa i normali problemi della vita e che consente di alimentare nuovamente quel desiderio di riprenderne il controllo. Il Counseling, dunque, non è terapia ma “relazione d’aiuto”, rivolta a quelle persone che desiderano un momento d’ascolto per comprendere meglio i loro problemi, compiere scelte, cambiare le situazioni problematiche della loro vita. L’intervento di Counseling può essere definito come la possibilità di offrire un orientamento, un sostegno a singoli individui o a gruppi, per i quali si favorisce lo sviluppo e l’utilizzazione di potenzialità proprie. Uno degli aspetti fondamentali per comprendere l’ampia diffusione del Counseling, non solo in Italia, ma soprattutto su scala europea, è sicuramente legato ad un interrogativo: la sofferenza psichica è necessariamente condizione di malattia?
La possibilità di differenziare una sofferenza psichica di natura esistenziale da una che affondi le sue radici in elementi distorti o patologici della personalità, rappresenta un quesito a cui è veramente impossibile dare una riposta certa. La cultura occidentale sembra aver creato nel tempo una concezione di sofferenza legata ad ogni modo ad un qualcosa che ha del patologico, sofferenza quindi associata ad una condizione di malattia che rimanda e giustifica l’intervento terapeutico. In realtà non sempre la sofferenza è la risultante di un disagio psichico ingestibile dalla persona che ne soffre, anzi spesso ci si ritrova dinnanzi a quella sofferenza che ha a che fare con la ricerca e la crescita della persona e che, con Jung e Hillmann, sarebbe più corretto far rientrare nelle cosiddette malattie dell’anima, intendendo con questo termine quella ricerca di senso e di integrazione delle varie componenti dello psichismo anche al di fuori di concezioni fideistiche o trascendentali.
In definitiva il Counseling, indipendentemente dal tipo di orientamento utilizzato, si pone al fianco di colui che sceglie, attraverso una propria lettura della sua esistenza, di riprendere in mano la propria vita o semplicemente di migliorarne alcuni aspetti personali e relazionali, al fine di garantire un migliore adattamento dello stesso con il proprio ambiente. Infatti, alla base di una qualsiasi attività di Counseling, il Counselor sarà proiettato verso la costruzione di una relazione empatica autentica, non considerando l’altro come un paziente ma “cliente”, prenderà parte a quel modo di essere e di vivere che rende la persona unica e libera, per delinearne insieme la strada che si è scelto di seguire.
La prima attestazione dell’uso del termine Counseling per indicare un’attività rivolta a problemi sociali o psicologici trova la sua origine nel 1908 (F. Parsons). Ma la nascita ufficiale risale al 1942, negli Stati Uniti, con la pubblicazione del libro di Rogers “Counseling and Psycotherapy” e agli anni settanta in Europa, in particolare in Gran Bretagna, sia come servizio di orientamento sia come strumento di supporto nei servizi sociali e nel volontariato. Uno dei suoi primi campi di applicazione su vasta scala è stato il reinserimento dei reduci di guerra nella società civile statunitense dopo la seconda guerra mondiale, dovendo sopperire alla contingente necessità di offrire sostegno e consulenza secondo modalità più rapide, ma non per questo meno efficaci della psicoterapia. Lo sviluppo del Counseling negli Stati Uniti avviene poi in determinati ambiti, come l’orientamento scolastico rivolto agli studenti al termine delle scuole superiori, quello professionale rivolto prevalentemente a ex-lavoratori che necessitano di una nuova collocazione, o ancora l’assistenza sociale e infermieristica. Tale sviluppo viene influenzato da varie correnti culturali e di pensiero, alcune antecedenti di parecchio la sua nascita ufficiale: non solo le psicoterapie comportamentiste e psicoanalitiche, ma soprattutto quelle a orientamento umanistico-esistenziale, con il sostanziale contributo dei movimenti olistici finalizzati alla prevenzione dei problemi psicologici e basati sull’abbandono dei modelli centrati sulla psicopatologia in favore di criteri orientati alla salute e alla prevenzione psichica. Il primo programma, varato negli Stati Uniti nel 1885 dal movimento di orientamento e guida professionale e teso a indirizzare e ottimizzare le scelte di chi termina le scuole superiori, riscuote un tale successo da stimolare una serie di cambiamenti normativi a supporto della pratica dell’orientamento. Sempre tra i prodromi del Counseling possiamo citare i test di abilità mentale, sviluppati fin dal 1917, per valutare l’idoneità dei soldati impegnati nella prima guerra mondiale, o i primi test attitudinali, dal 1920, per misurare i reali interessi professionali. È nei primi anni Cinquanta che si assiste invece al tentativo di spiegare i processi di sviluppo e di gestione della carriera e le modalità con cui gli individui prendono una certa direzione piuttosto che un’altra, per giungere poi a studiare i meccanismi decisionali: ed è appunto in questo ambito che comincia ad affermarsi un primo utilizzo del Counseling in senso moderno. Grazie allo sviluppo delle teorie della personalità promosse dalla ricerca psicoanalitica e più in generale psicoterapeutica, il Counseling diventa un intervento sempre più rivolto ai problemi personali e sociali. Ma è con la psicologia umanistico-esistenziale, e in particolare con autori come Carl Rogers e Rollo May, che si sviluppa questo tipo specifico di relazione d’aiuto. Se infatti fino a quel momento i paradigmi e le tecniche applicate in psicoterapia fanno riferimento soprattutto al modello psicoanalitico e a quello comportamentista, cominciano a farsi strada temi cari all’esistenzialismo, come la libertà di scelta, l’importanza del dialogo Io-Tu, l’impegno del singolo, la responsabilità, la necessità di riportare l’individuo al centro del proprio mondo riconoscendogli potenzialità di autodeterminazione, crescita e trasformazione. Nel frattempo, sempre negli Stati Uniti, nel 1946 nasce la Division of Counseling and Guidance dell’American Psychological Association (APA), che nel 1951 diventa Division of Counseling Psychology. Tale divisione organizza tra il 1949 e il 1987 quattro congressi rimasti di fondamentale importanza nella definizione di che cos’è il Counseling, della sua formazione e della sua pratica negli Usa. Sempre nel 1951 si costituisce l’American Personnel and Guidance Association, che l’anno dopo diventa American Association of Counseling and Development. Nel 1963, all’insegna del motto “prevenire è meglio che curare”, vengono sanciti per legge, il principio e la necessità di riorganizzare territorialmente i servizi psichiatrici, per poter prevenire i problemi psicologici non solo negli ospedali, ma anche nei centri di igiene mentale delle piccole comunità. Avendo ormai capito che i fattori ambientali influenzano il comportamento e che un intervento a livello comunitario può aiutare sia il singolo sia la società nel suo complesso, i problemi di salute mentale vengono messi in relazione con elementi di stress sociale, come la povertà o il razzismo. Il vantaggio dei nuovi centri, che offrono una serie di servizi e sono facilmente accessibili da parte dei residenti di una certa zona, è di poter essere sostenuti all’interno della propria comunità, ma soprattutto di sottolineare l’importanza della prevenzione. Si passa dunque, a poco a poco, da un modello centrato sulla malattia a uno orientato alla salute dell’individuo, portando negli anni Settanta allo sviluppo della cosiddetta “psicologia del benessere”, fondata su una concezione evolutiva e sostanzialmente positiva dell’essere umano, con l’obiettivo di migliorare la qualità della vita e di accrescere la competenza della società in relazione alla salute. Il concetto di crisi perde parte della valenza negativa o quantomeno problematica e ci si focalizza maggiormente su quella di “transizione” o passaggio, come alternativa possibile e occasione di cambiamento.
La professione del Counselor approda in Europa alla fine degli anni Cinquanta attraverso la Gran Bretagna, ed è proprio questo Paese che può rappresentare un utile riferimento per un confronto con la situazione italiana. Il Counseling, all’epoca, viene utilizzato soprattutto all’interno di ambulatori, consultori e centri giovanili, anche se già fin dagli anni Venti e Trenta ne esistevano esempi nel sistema della pubblica istruzione, soprattutto come orientamento scolastico nei college, e del volontariato. È solo negli anni Settanta che nascono le prime associazioni per la gestione della professione: nel 1971 viene istituito a Londra lo Standing Council for the Advancement of Counseling (SCAC), che riunisce organizzazioni di volontariato, enti statali e organizzazioni professionali in una sorta di forum per la condivisione di informazioni e contatti. Nel giro di pochi anni viene pubblicato un primo elenco di servizi locali e documenti con le norme etiche sul Counseling e nel 1976 lo SCAC si trasforma in British Association for Counseling (BAC), introducendo criteri di formazione e accreditamento per rendere il Counseling sempre più professionale. Nel 2000 la BAC è diventata BACP (British Association for Counseling and Psychotherapy), arrivando così a distinguere con maggiore chiarezza gli ambiti delle due professioni: il cambio di nome riconosce che il Counselor e gli psicoterapeuti desiderano appartenere a una professione unica, che possa incontrare la comunanza di interessi degli uni e degli altri. Il numero dei Counselor iscritti alla BAC e poi alla BACP è cresciuto esponenzialmente: dai 1.000 del 1977 ai 16.446 del 2000, per arrivare agli oltre 35.000 di oggi e questo dà l’idea di quanto il Counseling si sia sviluppato in Gran Bretagna, fino al punto di poterne parlare come di una “istituzione sociale” (Di Fabio, 2005). Anche se la professione continua a non essere formalmente regolata e la legge non pone limiti alla sua pratica, la BACP richiede ai suoi membri accreditati che abbiano un diploma o abbiano conseguito un master in counseling con un minimo di quattrocentocinquanta ore di formazione; il corso deve basarsi su un modello teorico di riferimento e garantire un equilibrio tra teoria, pratica e sviluppo personale, con un preciso sistema di valutazione e di supervisione. Oltre alla formazione per diventare Counselor professionisti indipendenti, in Gran Bretagna vengono proposti corsi di counselling skills, insieme di abilità che possono essere applicate ad altre professioni (insegnanti, assistenti sociali), mentre per diventare Counselor psicologico è necessario seguire un master universitario triennale, cui si accede avendo la laurea in psicologia. Tale titolo è riconosciuto dalla British Psychological Society (BPS) come una specializzazione in psicologia che permette l’iscrizione all’albo degli psicologi britannici. Poiché in Gran Bretagna anche la psicoterapia non è regolata per legge (possono accedere alla professione, tra l’altro, persone che non sono laureate in medicina o psicologia) il Counseling presenta notevoli aree di sovrapposizione con questa professione e il dibattito sulle similitudini tra l’una e l’altra è aperto.
La European Association for Counselling (EAC) è nata nel 1991 con la finalità di promuovere lo sviluppo e il riconoscimento del Counseling a livello europeo, nonché di stabilire gli standard formativi comuni tra le varie associazioni dei differenti paesi. Nel 2010, l’ingresso nell’EAC della Russia e dell’Italia (quest’ultima tramite il Coordinamento Italiano delle Associazioni di Counseling prima e di Federcounseling dopo) ha dato un nuovo impulso all’associazione.
Questa la definizione di Counseling adottata dall’EAC nel 1995: “Il counseling è un processo interattivo tra uno (o più) counselor e uno (o più) clienti – individui, famiglie, gruppi o istituzioni – che affronta in una modalità olistica temi sociali, culturali, economici e/o emozionali. Il counseling può occuparsi di affrontare e risolvere problemi specifici, favorire un processo decisionale, aiutare a superare una crisi, migliorare i rapporti con gli altri, agevolare lo sviluppo, promuovere e accrescere la conoscenza e la consapevolezza di sé e permettere di elaborare emozioni, pensieri, percezioni, oltre che conflitti interni ed esterni. L’obiettivo globale è quello di offrire ai clienti l’opportunità di lavorare, con modalità da loro stessi definite, per condurre una vita più soddisfacente e ricca di risorse, sia come individui sia come membri della società più vasta”.
All’interno del panorama italiano la diffusione del Counseling appare lenta e sicuramente in ritardo rispetto al contesto anglosassone. Esaminando i due contesti, del resto, si nota che la realtà italiana appare diversa se comparata al mondo anglosassone. La Seconda Guerra Mondiale e il periodo successivo hanno segnato per l’Italia un vero e proprio passaggio storico durante il quale un paese prevalentemente agricolo si è trasformato in una nazione urbanizzata e industrializzata. Un elemento di forte differenziazione tra la cultura italiana e quella anglosassone sembra essere la famiglia e la sua diversa concezione. In Italia il fenomeno dell’abbandono delle campagne a favore delle città e la nascita dei grandi centri urbani determina il passaggio da una famiglia di tipo patriarcale a una di tipo nucleare caratterizzata dalla riduzione del numero dei componenti e da una maggiore responsabilizzazione per ognuno di essi. In questo processo il ruolo del nucleo familiare rimane indubbiamente centrale, ma si assiste ad una chiusura sempre più spiccata degli elementi che lo compongono al loro interno, data la frequente mancanza di collegamenti con l’esterno. È infatti alla famiglia che lo Stato delega le più varie responsabilità sociali e culturali piuttosto che offrirle sostegno: la tendenza dello Stato risulta quella non di aiuto alle famiglie con la creazione di servizi, ma piuttosto la richiesta alle famiglie di autogestirsi nel tentativo di non sovraccaricare le strutture pubbliche. L’abitudine a rivolgere tutte le proprie attenzioni all’interno e la mancanza di servizi dedicati non facilita la richiesta d’aiuto al di fuori della famiglia stessa.
Il Counseling, che troverà spazio d’azione dell’ambito dei contesti comunitari, lavorativi e ospedalieri, inizia a diffondersi in Italia nel 1990 in particolare con l’avvio della campagna informativa sull’AIDS e sulla sua diffusione. La pratica del Counseling in ambito socio-sanitario si è affermata proprio con la legge n. 135 del 1990, che ha sancito l’importanza dei colloqui di Counseling prima e dopo il test per l’HIV. Da questo, che costituisce uno dei primi ambiti di applicazione, molti altri contesti hanno mostrato interesse nei confronti del counseling, ma la sua diffusione risulta ancora incerta e non regolamentata. Tra le azioni a favore della sua diffusione nel contesto italiano si rintraccia l’inserimento del Counseling tra le nuove professioni a opera del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (CNEL), atto che sicuramente ha permesso di aprire un varco per il futuro di questa attività. Dal 2001 si è assistito, in Italia, ad una realtà di grande significato in tema di offerta formativa e di potenzialità in termini di costruzione dell’identità professionale del Counselor, ossia la nascita dell’AURAC (Associazione universitari relazione d’aiuto e Counseling) con la finalità da un lato di raccordare e implementare l’apertura di centri di Counseling universitari, dall’altro di supervisionare e fare da elemento propulsivo per la creazione di percorsi formativi universitari in grado di facilitare l’affermazione del Counseling e della relazione d’aiuto, con solide competenze psicologiche, condivisibili a vari livelli di professionalità. Negli ultimi anni, in Italia, il Counseling si è radicato in maniera veramente significativa e di conseguenza sono nate diverse associazioni di settore come: l’ASPIC (Associazione per lo Sviluppo Psicologico dell’Individuo e della Comunità); la SICO (Società Italiana di Counseling); il CNCP (Coordinamento Nazionale Counselor Professionisti); l’AICO (Associazione Italiana di Counseling); il REICO (Registro Italiano dei Counselor). Tutte queste associazioni hanno finalità dichiarate di promozione della materia e di formazione dei soci. Infine, nell’ambito della disciplina del Counseling, la professione del Counselor viene inserita all’interno della legge n. 4 del 14 gennaio del 2013, che disciplina le professioni non regolamentate. Tra gli obblighi, il Counselor dovrà riportare gli estremi della legge in ogni documento e rapporto scritto con il cliente, per esempio è possibile utilizzare questa formula “Professionista di cui alla Legge n. 4 del 14 gennaio 2013, pubblicata nella GU n. 22 del 26/01/2013” sotto i dati anagrafici e i contatti della vostra carta intestata o nella firma elettronica dell’e-mail. L’inadempimento a quest’obbligo è perseguito come pratica commerciale scorretta e sanzionata ai sensi del Codice del consumo (Dlgs 206/2005). Coloro che esercitano la professione possono costituire associazioni a carattere professionale di natura privatistica, fondate su base volontaria, senza alcun vincolo di rappresentanza esclusiva, con il fine di valorizzare le competenze degli associati e garantire il rispetto delle regole deontologiche, agevolando la scelta e la tutela degli utenti nel rispetto delle regole sulla concorrenza. Le suddette associazioni professionali saranno inserite nel sito internet del Ministero dello Sviluppo Economico (art.2.7). La legge 4/2013 vieta alle associazioni di adottare denominazioni professionali relative a professioni organizzate in ordini o collegi. Tra gli adempimenti delle associazioni: adottare un codice di condotta, promuovere la formazione permanente dei propri iscritti, vigilare sulla condotta professionale degli associati, stabilire le sanzioni disciplinari da irrogare agli associati per le violazioni del codice. È prevista anche l’attivazione di uno sportello per i consumatori, al quale rivolgersi in caso di contenzioso con i singoli professionisti. Gli associati non possono esercitare attività professionali riservate dalla legge a specifiche categorie di soggetti, a meno che non siano iscritti al relativo albo professionale. Gli iscritti potranno utilizzare il riferimento all’associazione come marchio/attestato di qualità dei propri servizi su richiesta autorizzata da parte dell’associazione. Sempre a tutela dei consumatori, le associazioni dovranno fornire attraverso il sito web tutte le informazioni utili: atto costitutivo e statuto, identificazione delle attività professionali cui l’associazione si riferisce, struttura organizzativa dell’associazione, requisiti per l’iscrizione. Nel caso in cui rilascino marchi di qualità dovranno pubblicare anche il codice di condotta, elenco degli iscritti, sedi regionali dell’associazione. Il Counselor può esercitare, ai sensi della legge 4/2013, anche senza essere iscritto alla relativa associazione professionale. Il Counselor che raggiunge gli standard previsti dalla norma tecnica UNI (di cui alla direttiva 98/34/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 giugno 1998, e sulla base delle linee guida CEN 14 del 2010) può ottenere una certificazione da parte di un organismo terzo indipendente, accreditato presso l’Ente nazionale di accreditamento.