Impresa 4.0: lo Smart Working
Nell’ultimo ventennio si è legittimata quella che può essere chiamata “rivoluzione digitale”, promuovendo profondi cambiamenti nel modo di lavorare grazie all’avvento di strumenti informatici e alla diffusione di Internet nella vita delle persone. In parallelo si è assistito ad uno sviluppo delle pratica HR con un focus rivolto sempre di più alla persona e ai suoi bisogni all’interno dell’ambiente lavorativo. Questo perché la crisi economica ha richiesto una riflessione obbligata intorno al tema della competitività, della produttività, della capacità d’innovazione delle organizzazioni ?. In questo rinnovato scenario socio-culturale ha iniziato a diffondersi il cosiddetto Smart Working o lavoro agile regolamentato in Italia dalla legge n.81/2017 all’interno del Disegno di legge sul lavoro autonomo (AC.N. 2233B). Esso può essere definito come ‘una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dall’assenza di vincoli orari o spaziali e un’organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, stabilita mediante accordo tra dipendente e datore di lavoro; una modalità che aiuta il lavoratore a conciliare i tempi di vita e lavoro e, al contempo, favorire la crescita della sua produttività’². Il dipendente in questo modo alterna le proprie attività tra azienda e fuori da essa, con prevalenza della prestazione in sede.
Facendo un passo indietro, l’origine va ritrovata negli anni ’70 in USA con la diffusione del telelavoro in cui si è assistito al primo punto di rottura con il sistema di lavoro tayloristico che prevedeva una parcellizzazione delle mansioni svolte unicamente all’interno dell’azienda con ritmi routinari e assenza di flessibilità. Per la prima volta si è autorizzato ai dipendenti di svolgere le proprie mansioni in un luogo differente dall’azienda di riferimento. Invariati rimanevano compiti e orario di lavoro e il dipendente era tenuto a dichiarare al proprio responsabile il luogo in cui intendeva svolgere la propria prestazione per permettergli di esercitare un controllo a distanza. Il telelavoro, però, non ha ottenuto i risultati sperati registrando poche adesioni da parte delle organizzazioni in un momento storico dove non c’era ancora l’apertura culturale necessaria. Per questo motivo si è assistito ad una sua evoluzione nel moderno Smart Working. La prima diffusione è avvenuta in USA e in Europa i primi stati che hanno iniziato a farne uso sono stati Olanda ed Inghilterra.
Lo Smart Working presenta due differenze sostanziali dal telelavoro:
1- Il lavoratore può decidere di lavorare in qualsiasi luogo a suo piacimento senza l’obbligo di comunicarlo
2- Il dipendente lavora per progetti per il cui raggiungimento agisce in maniera autonoma proponendo soluzioni creative. Nei giorni in cui non si reca in azienda, quindi, svolge compiti differenti da quelli consueti.
Nel lavoro agile il dipendente viene valutato in base ai risultati godendo di flessibilità e autonomia, aspetti ritenuti fondamentali per la soddisfazione personale e la conseguente performance organizzativa.
I lavoratori Smart Worker godono degli stessi diritti degli altri dipendenti in materia di assicurazione contro infortuni e malattie professionali, diritto alla formazione e retribuzione. Il lavoro agile può essere applicato a diverse tipologie contrattuali: dal part time al contratto a termine, dal contratto di somministrazione all’impiego nelle pubbliche amministrazioni³. Gli accordi di Smart Working (orario di lavoro) devono essere comunicati dal responsabile d’azienda al ministero del lavoro, nel rispetto del monte ore settimanale previsto dalla legge. La modalità di somministrazione è a discrezione dell’azienda come si può notare in organizzazioni differenti (es. 2gg/sett. Zurich, 8 gg/mese Intesa Sanpaolo, 32ore/mese Barilla).
Dati
In Italia aumenta lo Smart Working, sono 305 mila i lavoratori agili in crescita (2017) del 14% rispetto al 2016 (e del 60% rispetto al 2013) e sono 13,7 i miliardi di Euro di possibili benefici per il Paese. Il 36% delle grandi imprese ha già progetti strutturati di Smart Working (il 30% li ha lanciati nel 2016), ben una su due ha avviato o sta per avviare un progetto, ma le iniziative che hanno portato veramente a un ripensamento complessivo dell’organizzazione del lavoro sono ancora limitate e riguardano circa il 9% delle grandi aziende, il 7% delle piccole e medie imprese e solo il 5% delle pubbliche amministrazioni ha progetti strutturati e un altro 4% pratica lo Smart Working informalmente, ma a fronte di una limita applicazione c’è un notevole fermento, con il 48% che ritiene l’approccio interessante, un ulteriore 8% che ha già pianificato iniziative per il prossimo anno e solo il 12% che si dichiara non interessato. Gli Smart Worker sono complessivamente l’8%. Sono alcuni dei risultati dell’Osservatorio Smart Working 2017 del Politecnico di Milano ?. Le analisi statistiche dimostrano come ci sia un forte incremento di progetti Smart Working in Italia, con prevalenza in realtà multinazionali, ma una cultura sul lavoro non ancora aperta completamente ad una svolta definitiva. Questo per lo meno rispetto ad altri paesi, su tutti gli stati del nord Europa (la Norvegia fa registrare il picco più alto), dove le pratiche di lavoro agile sono da anni parte integrante del sistema socio-economico nazionale.
Vi rimandiamo al prossimo articolo dove si esporranno i pro e i contro (realisticamente pochi) del fenomeno in questione.
© Impresa 4.0: lo Smart Working – Andrea Pivetti
Bibliografia
[1] www.lavoro.gov.it (ministero del lavoro).
² Chiaro, G., Prati, G., Zocca, M. (2015). Smart working: dal lavoro flessibile al lavoro agile, Sociologia del lavoro, n. 138, 69-87.
³ www.laleggepertutti.it
? www.corriere.it (corriere della sera)