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Il personal Branding Introduzione

Il personal Branding: Introduzione

La comunicazione interpersonale e virtuale attraverso i social network oggi, gioca un ruolo fondamentale per il proprio successo personale e professionale.

Viviamo in un’epoca in cui siamo in continua comunicazione con gli altri e le relazioni sono diventate sempre più delle connessioni online. La diffusione del web e dei social media ha reso indispensabile forti competenze e abilità comunicative per poter comunicare efficacemente.

Saper gestire la propria comunicazione, saper interagire con gli altri in modo efficace e riuscire a interloquire con tutti sono le chiavi per il successo professionale e il benessere personale.

Oggigiorno si vuole migliorare e perfezionare la capacità comunicativa attraverso una comunicazione strategica per agevolare il raggiungimento dei propri obiettivi, in quanto diventa sempre più necessario fare marketing di sé stessi differenziandosi dagli altri.

La strategia del Personal Brand nei social network si basa proprio sulla definizione dei nostri punti di forza e sul riuscirli a comunicare in  modo efficace ponendosi alcune domande: Cosa so fare? Come lo so fare? Quali sono i miei punti di forza e cosa offro? Perchè sono migliore o diverso dai miei concorrenti?

Il Personal Branding è un processo utilizzato da coloro che sono in cerca di lavoro o vogliono cambiare impiego, coloro che hanno una libera professione, coloro che vogliono portare il lavoro ad un livello di eccellenza e coloro che hanno un’attività professionale da sviluppare.

Le molteplici opportunità attualmente disponibili, sia per la trasmissione delle informazioni che per l’intermediazione e l’interazione, hanno dato vita all’era del Web 2.0, uno stato della continua evoluzione del World Wide Web.

L’uso dei social media per il lavoro e per la propria reputazione è ormai una necessità che non è più riservata solamente alle aziende, ma è soprattutto destinato agli individui: i veri protagonisti del web e della nostra epoca interconnessa.

Nell’economia digitale del web moderno, le interconnessioni tra le persone sono infinite, le informazioni disponibili sono globali e con un assortimento molto ampio, ma allo stesso tempo sono poco controllate o controllabili.

Internet oggi offre molte possibilità per ottimizzare e far conoscere il proprio brand: permette di controllare la diffusione della propria immagine online, grazie appositi strumenti; per tutelare la propria immagine e la propria brand identity e per ottenere contatti lavorativi, si attua un vero e proprio social networking dove ogni persona ha una propria rete sociale. Per social networking si intende il ricostruire e sviluppare, a scopo di business o di svago, una rete sociale online tramite gli strumenti digitali come i social, aggiungendo amici, clienti o colleghi e condividendo con loro svariate tipologie di informazioni. Un utente può compilare un suo profilo personale, aggiungere dei contenuti multimediali e decidere cosa condividere e come interagire con gli altri partecipanti alla rete, soprattutto in vista di una possibile assunzione lavorativa, in quanto i social network, come Facebook e Linkedin danno la possibilità di “diventare amico” di agenzie e aziende con le quali altrimenti non si sarebbe venuti a conoscenza nella vita offline.

Il personal branding quindi è la reputazione che noi ci creiamo sul web, tutto quello che facciamo con Internet, sui social network, sui forum e i valori che comunichiamo tramite il web e che servono a dare una bella immagine di noi online.

Oggi, infatti, oltre al curriculum classico, ci sono altre opportunità lavorative che ci offre la rete ovvero un curriculum in progress, che è ciò che la rete dice di noi e che viene verificato in quanto le nostre competenze e abilità possono venire effettivamente e realmente constatate.

Come dice Luigi Centenaro[1], il primo in Italia ad occuparsi di Personal Branding, ora il nostro curriculum è Google, in quanto digitando il nostro nome emerge tutto quello che abbiamo scritto, fatto, creato e condiviso in Rete e questo ha un effetto concreto su cosa e come la Rete parla di noi. Quindi, bisogna gestire bene il proprio profilo digitale, bisogna fare anche pulizia di stati e post incoerenti con i nostri valori perchè il web è una presentazione di noi stessi, soprattutto per quelle persone che lo usano come strumento lavorativo.

La decisione di affrontare nell’elaborato un tema pressochè nuovo e ancora poco conosciuto in Italia, come quello del Personal Branding, nasce dal desiderio di coniugare due interessi, il primo per le risorse umane, che deriva dalla mia precedente formazione triennale in Psicologia del lavoro e il secondo per il marketing, la comunicazione e i social media.

Nell’elaborato si vuole comprendere e successivamente analizzare il funzionamento in chiave teorica e pratica del fenomeno del Personal Branding.

Il capitolo uno e due approfondiscono il tema in chiave teorica: nel capitolo uno si cerca di spiegare in dettaglio cos’è il Personal Branding e quali vantaggi permette di raggiungere; nel secondo viene invece approfondito il personal brand in funzione ai social network che ci permettono di creare il brand di noi stessi.

L’ultimo capitolo analizza invece in chiave pratica tre esempi di Personal Branding: tre analisi qualitative di cui una ricerca sulle differenze di genere di un gruppo di 30 utenti di Linkedin per indagare le strategie utilizzate  per costruire, tutelare e promuovere la propria immagine e posizione professionale online; e due studi di caso sull’uso efficace dei social media di due donne e blogger italiane che si sono affermate in breve tempo nel panorama internazionale, Clio Make up e Chiara Ferragni. Queste due personalità si sono ampliamente confermate nel mondo online come nella vita offline e hanno avuto successo con il proprio brand personale, sinonimo del fatto che, se si rispettano le leggi base della Rete, qualsiasi business si può affermare con successo.

[1] Centenaro L., Sorchiotti T., Personal Branding. Promuovere se stessi online per creare nuove opportunità, Hoepli, 2013.

 

© Il personal Branding – Marika Fantato

 

La Triade negoziale Il negoziato

La Triade negoziale: Il negoziato.

 

In una situazione di crisi, in senso lato, la questione fondamentale è capire se esista uno spazio di contrattazione (negoziato). La soluzione tattica equivale ad un fallimento negoziale.

Al contrario il successo negoziale è raggiunto con la stabilizzazione dell’incidente attraverso “contenimento verbale” (ovvero tenere il soggetto occupato tramite scambi verbali continui), trattenendo le forze dell’ordine dall’effettuare “interventi” pericolosi, guadagnando tempo per la raccolta di informazioni e l’arrivo di risorse, e prevenendo ulteriori perdite di vite.

L’intervento negoziale comprende quattro fasi principali (Hammer e Rogan, 1997; Rogan, 1997; Womack e Walsh, 1997):

  1. trattare con le emozioni;
  2. stabilire una comunicazione;
  3. identificare l’evento scatenante;
  4. problem solving.

1) È una competenza indispensabile per un negoziatore, poiché le emozioni intense sono una caratteristica delle situazioni di crisi (Noesner e Webster, 1997; Rogan, 1997; Webster, 1998a).
Tuttavia, rispondere alle emozioni di una persona sulla base delle circostanze può non essere produttivo. Per esempio, durante una situazione in cui un soggetto si è barricato nella sua casa e minaccia di suicidarsi, il negoziatore tenta di dimostrare empatia dicendo “So come ti senti”. Ma il soggetto non crede che il negoziatore abbia mai cercato di suicidarsi; indipendentemente dal fatto che questo sia vero o no, questa è la realtà che percepisce il soggetto.

Un approccio alternativo potrebbe essere quello di affermare “Non sono mai stato nella tua situazione prima, ma immagino che tu ti senta molto depresso e solo”. In questo modo il negoziatore dimostra che sta cercando di capire la situazione dal punto di vista del soggetto in crisi.

  • Importante è il contenuto della comunicazione, così come il tono di voce del negoziatore. Col contenuto si può informare il soggetto che si sta cercando di capire. La comunicazione deve essere deliberata, metodica e, soprattutto, non giudicante, in modo che il soggetto percepisca che i suoi sentimenti, valori, pensieri, opinioni sono ritenuti degni di attenzione.

L’accettazione non comporta che il negoziatore sia d’accordo con i valori del soggetto e il disaccordo può essere comunque trasmesso, per esempio, con una affermazione del tipo “Da quello che stai dicendo, posso immaginare come tua moglie ti abbia fatto arrabbiare tanto da ucciderla, avrebbe fatto arrabbiare anche me, ma non penso che avrei fatto quello che hai fatto tu”.

  • È fondamentale nel gettare le basi per la soluzione dei problemi, in quanto evidenzia il conflitto che deve essere risolto nel processo di negoziazione. Il soggetto, a causa di un alto livello di emotività, è spesso confuso a proposito dell’impatto dell’evento scatenante.

Per esempio, in un possibile scenario, un soggetto depresso è stato informato dalla sua ex-moglie che vuole ottenere la custodia completa dei loro figli, impedendogli di vederli. Egli risponde barricandosi in casa con i figli, rifiutandosi di uscire e di rilasciarli.

Il punto focale, a cui agganciarsi da parte del negoziatore, è la perdita prevista dei figli. Il negoziatore allora gli fornisce una giustificazione per questo comportamento e minimizza i suoi intenti ostili, dicendogli, per esempio “Tu non vuoi fare del male ai tuoi figli, sei preoccupato per loro e vuoi proteggerli”. Questo serve per alleviare il conflitto interno, disinnescare le emozioni negative, impostare le basi per il problem solving (Dalfonzo, 2002).

  • Le emozioni sono controllate, la comunicazione è stata stabilita, l’evento scatenante è stato identificato e discusso. Ora il negoziatore esplora con il soggetto alternative e soluzioni concrete.

Anche questo processo si svolge in fasi (D’Zurilla e Goldfried, 1971; Goldfried e Davison, 1994):

  • definizione del problema
  • brainstorming delle possibili soluzioni
  • eliminazione di soluzioni inaccettabili
  • scelta di una soluzione accettabile sia per il negoziatore che per il soggetto
  • programmare l’attuazione
  • realizzazione del piano

Il soggetto ha cognizioni distorte nella percezione di sé e della situazione; esse influenzano la sua reazione agli eventi e il suo pensiero disfunzionale lo porta a stress emotivo. A volte queste distorsioni incidono sulle prospettive per la soluzione dei problemi e devono, quindi, essere affrontate dal negoziatore.

Si può fare l’esempio di un tossicodipendente in crisi di astinenza che tenta una rapina in farmacia, ma la polizia, avvisata, circonda il luogo. Il soggetto diventa depresso, minaccia di uccidersi perché non vuole andare in carcere.

Il suo pensiero distorto gli presenta solo due opzioni: essere libero o andare in prigione.

Il negoziatore gli offre un’altra scelta, la possibilità di essere inviato presso una struttura di recupero. Questa proposta reindirizza il pensiero del soggetto, che ora vede una soluzione più accettabile.

Il modello BCSM.

Il Behavioral Change Stairway Model (BCSM) sviluppato dall’F.B.I. delinea il processo di costruzione e relazione che coinvolge il negoziatore e il soggetto (Dalfonzo, 2002; Noesner e Webster, 1997; Webster, 1998a, 1998b).

Questo modello è stato costantemente convalidato nella risoluzione di una vasta gamma di situazioni di crisi (Dalfonzo, 2002; Flood, 2003). Esso si compone di cinque tappe: ascolto attivo, empatia, rapporto, influenza, cambiamento comportamentale.

La progressione attraverso queste fasi si verifica in modo sequenziale e cumulativo. In particolare, il negoziatore procede in sequenza dalla fase uno alla cinque ma, per stabilire un rapporto (fase tre) con il soggetto, l’ascolto attivo e l’empatia devono essere messe in atto, e mantenute, durante tutto il processo. La riuscita del processo, e quindi dell’ultima fase, può avvenire solo quando le precedenti siano state effettuate con successo (Vecchi et al., 2005).

Fase uno : ascolto attivo

La maggior parte delle persone in una situazione di crisi hanno il desiderio di essere ascoltate e comprese. Le competenze di ascolto attivo sono componenti essenziali del BCSM e formano il fondamento dell’intervento di crisi.

L’ascolto attivo è composto da un nucleo centrale e tecniche supplementari.

Il nucleo centrale comprende:

  • Mirroring: consiste nel ripetere le ultime parole o il succo del discorso del soggetto, poiché ciò gli dimostra che il negoziatore è attento. Inoltre, evidenzia le preoccupazioni specifiche e i problemi dell’individuo che devono essere affrontati nel processo negoziale.
  • Parafrasare: consiste nel riaffermare il contenuto di ciò che il soggetto ha detto con le parole del negoziatore. È il tentativo da parte del negoziatore di mettersi nella prospettiva dell’altro.
  • Etichettatura emozionale: identifica le emozioni del soggetto. Anche se il negoziatore inizialmente non identifica o identifica in modo sbagliato un’emozione, questo sforzo comunque dimostra alla persona in crisi che il negoziatore sta cercando di capire la situazione e tenta di disinnescare l’emotività (Es.:“Sembri arrabbiato”, “Sento frustrazione nella tua voce”).
  • Riepilogare: il negoziatore ricapitola sia il contenuto, sia l’emozione espressa dal soggetto. Questo non solo chiarifica ciò che egli sta vivendo, ma rinforza il tentativo del negoziatore di vedere la situazione dal punto di vista dell’altro. Un esempio di sintesi potrebbe essere “Vorrei essere sicuro di capire quello che stai dicendo, hai perso il lavoro senza alcun motivo apparente (parafrasi) e questo ti fa arrabbiare (etichettatura emozionale)”.

Fase due : empatia

L’empatia è un naturale sottoprodotto di un efficace ascolto attivo.

Essa implica la comprensione dei sentimenti e delle motivazioni dell’altro.

Per dimostrare empatia è importante il tono della voce (Romano, 2002). Il tono permette all’altro di percepire il significato di ciò che dice il negoziatore; il tono riflette preoccupazione e autenticità, ma anche emozione, contegno, sincerità.

La competenza empatica riguarda “l’essere in grado di sperimentare affettivamente e personalmente le emozioni di un’altra persona, (…) porsi cognitivamente nel ruolo di un altro ed essere capace di assumere l’altrui prospettiva” (Davis, 1980). A questo si collega l’empatia relazionale, che è la capacità di sentire e pensare l’altro come parte imprescindibile del rapporto, capirne il ruolo e lo spazio occupato. La figura seguente visualizza tale rapporto (Zara, 2006).

Fin qui il rapporto è stato a senso unico; la persona in crisi ha parlato e il negoziatore ha utilizzato l’ascolto attivo e ha dimostrato empatia.

Si apre una fase di maggiore fiducia, in cui il soggetto è più probabile che ascolti, e accetti, ciò che il negoziatore ha da offrire. Quest’ultimo, in collaborazione col primo, comincia ad elaborare argomenti logici per spiegare, giustificare, attenuare o scusare il comportamento errato dell’altro e affrontare il suo pensiero distorto attraverso una riformulazione positiva della situazione. Gli fornisce anche giustificazioni per permettergli di “salvare la faccia”, minimizzazioni per sminuire il suo comportamento negativo. Insieme tenderanno a ridurre le differenze reali o percepite e a trovare un terreno comune.

Fase quattro : influenza

Ora un rapporto è stato stabilito e il soggetto è disposto ad accogliere i suggerimenti del negoziatore per modificare il suo comportamento.

Nel linguaggio del negoziatore, egli ha “ottenuto il giusto”; ora entrambi lavoreranno insieme per individuare soluzioni non violente.

Fase cinque : cambiamento comportamentale

Se le precedenti quattro fasi sono state completate con successo, è molto probabile che il soggetto modifichi il proprio comportamento, poiché ha instaurato un rapporto positivo col negoziatore.

Per concludere con successo questo processo, il negoziatore non deve avere troppa fretta di passare da una fase all’altra, né saltarne alcune per raggiungere un prematuro problem solving.

 

 

 

© Lo strumento della negoziazione nelle situazioni di crisi. – Dott. Gabriele Candotti

 

Lo strumento della negoziazione nelle situazioni di crisi Introduzione

Lo strumento della negoziazione nelle situazioni di crisi: Introduzione

Abstract
Nel presente articolo viene esaminato lo strumento della negoziazione applicato alle situazioni di crisi. Queste si configurano principalmente in eventi con ostaggio, barricamento con vittima e barricamento senza vittima.
Viene presentata la cosiddetta Triade negoziale, composta dagli attori principali operanti nella situazione di crisi: il negoziatore, il sequestratore e l’ostaggio/vittima.
Successivamente la trattazione analizza le linee guida dell’intervento negoziale e si focalizza sul modello BCSM usato dall’FBI per gestire le situazioni di crisi. Infine vi è un breve riferimento allo strumento della negoziazione e alla figura del negoziatore rispetto alla situazione italiana.
Parole chiave: negoziato, negoziatore, crisi, ostaggio, sequestratore, modello BCSM.

 

Introduzione.
Il 5 settembre 1972, undici atleti israeliani, che partecipavano ai Giochi Olimpici a Monaco di Baviera, furono presi in ostaggio da terroristi palestinesi, che si erano introdotti nel villaggio olimpico.
Le richieste dei terroristi riguardavano il rilascio di 234 detenuti in Israele, di alcuni detenuti nella Germania Federale, tra cui i capi della banda BaaderMeinhof, arrestati nel giugno di quell’anno. Chiedevano inoltre tre aerei per essere trasportati in un “luogo sicuro”, dove promettevano di liberare gli ostaggi. La scadenza dell’ultimatum era fissata per le 9 del mattino successivo, prorogata poi a mezzogiorno e infine alle 21. Poco dopo le 22, due elicotteri trasportarono i nove atleti e gli otto fedayin all’aereoporto, da dove sarebbero dovuti partire per Il Cairo. Qui entrarono in azione tiratori scelti e ci fu un lungo scontro a fuoco. Uno dei terroristi lanciò una bomba all’interno dell’elicottero con cinque ostaggi, che saltò in aria; altri due spararono ai restanti quattro ostaggi nel secondo elicottero. Tutto finì all’una e mezza del mattino seguente con l’uccisione dell’ultimo terrorista.
In seguito a questo incidente, i governi e le forze di polizia di quasi tutto il mondo occidentale hanno cominciato a riconsiderare le proprie politiche di intervento.
Nel Gennaio del 1973 il New York City Police Department mise in atto un programma di recupero ostaggi che includeva non solo l’uso di armi e squadre d’intervento specializzate ma anche agenti addestrati come negoziatori (Bolz e Hershey, 1979; Schlossberg, 1980).
Il successo nella progettazione e gestione di questo programma, ottenuto dallo psicologo della Polizia Harvey Schlossberg e dal Capitano della stessa Frank Bolz, catturò l’interesse del Federal Bureau of Investigation. L’F.B.I. creò quindi la SOARU (Special Operations and Research Unit), con sede presso l’Accademia a Washington D.C. I membri di questa unità si occupano di ricerca e formazione dei negoziatori per conto dell’Agenzia. Ogni distaccamento dell’F.B.I. ha almeno un agente speciale addestrato come negoziatore. La SOARU svolge anche corsi di formazione per le Forze Statali e quelle Locali.
Dal 1973 l’impiego di questi agenti specializzati è costantemente aumentato in tutti gli Stati Uniti.

 

© Lo strumento della negoziazione nelle situazioni di crisi. – Dott. Gabriele Candotti

La comunicazione persuasiva: Discussione

La comunicazione persuasiva: Discussione

I risultati della ricerca confermano in modo chiaro le ipotesi del presente studio: la scelta e l’utilizzo delle metafore è propedeutico al fine della comunicazione persuasiva. In altri termini, il messaggio inviato dalla fonte influenza l’atteggiamento specifico adottato dal ricevente. La scelta dei corrispondenti letterali invece, risulta essere propedeutica ad una comunicazione informativa la quale, non avendo lo scopo di persuadere il ricevente, orienta la scelta dei partecipanti verso un linguaggio più oggettivo e dunque privo di metafore.

Dai risultati ottenuti si può quindi rilevare come il campione, impegnato in una comunicazione persuasiva che chiede di rivolgersi ad un interlocutore immaginario influenzando in lui un atteggiamento specifico, prediliga l’utilizzo della metafora piuttosto al corrispondente letterario.

Tale risultato è evidente in entrambe le variabili dipendenti di scelta e di utilizzo del linguaggio. La metafora infatti implica un’economia linguistica e cognitiva utile nella comunicazione quotidiana,  rendendola diretta ed efficace. La stessa inoltre trascende la pura finalità di trasmissione delle informazioni descrittive contenute nel messaggio, entrando in una sfera più sociale che individuale.

A differenza della comunicazione informativa quella persuasiva consente di creare un legame empatico tra gli interlocutori, determinando una maggiore efficacia nell’influenzare atteggiamenti specifici nel ricevente. Attraverso la metafora infatti vengono create immagini aventi un universo semantico condiviso. Esse si adattano meglio alle esperienze individuali influenzando così gli atteggiamenti del ricevente.

Nella comunicazione persuasiva dunque l’utilizzo delle metafore consente di far leva sul piano emozionale in modo del tutto personale, in quanto ognuno attribuirà un significato preciso e parzialmente diverso al concetto espresso. Nell’esercizio di scelta multipla l’elevato indice di affidabilità dimostra appunto la coerenza della scelta del completamento in funzione dello scopo della comunicazione. I partecipanti intenzionati a informare l’interlocutore mantenendo un atteggiamento il più possibile oggettivo, scelgono per la maggior parte i corrispondenti letterali che, a differenza delle metafore capaci di orientare l’opinione del lettore, implicano elementi meramente descrittivi.

Nella produzione scritta l’utilizzo coerente della metafora è particolarmente evidente in associazione al tema astratto della noia. Quest’ultimo infatti suggerisce maggiormente la creazione di immagini semantiche rispetto a concetti più concreti e oggettivati come la stimolazione. Nel definire la noia i partecipanti hanno utilizzato metafore come quella del “circolo vizioso”, che richiama un senso incessante di monotonia senza soluzione di continuità.

La noia, nella sua accezione negativa, è associata ad un “appiattimento del cervello” che tende ad “andare in stand-by” inibendo la creatività, una volta calato il livello di attenzione. In alcuni casi i partecipanti hanno distinto tra gli effetti della noia infantile e quella adulta. Nel primo caso essa può portare il bambino alla creatività, spinto dal desiderio di vincerla. Nel secondo caso invece la noia è esclusivamente intesa in termini negativi di assopimento o addirittura di morte cerebrale. Nella sua accezione positiva invece viene valutata come antecedente causale della creatività. L’implicita capacità di “portare alla luce” elementi inconsci proponendoli in una nuova forma, garantisce l’unicità del pensiero prodotto. Viene quindi fatto maggiore riferimento, in questo caso, all’attivazione di schemi di pensiero nuovi che mettono in risalto ragionamenti creativi conseguenti l’aumento dell’attenzione. Sono riportate di seguito le risposte più significative, tenendo in considerazione che 6 partecipanti, su 140 intervistati, non hanno riportato risposte coerenti con la consegna proposta:

“…nei momenti di noia il nostro cervello si “addormenta” entrando in un circolo vizioso…”

“…la noia porta con sé altra noia…”

“…la noia è qualcosa che paralizza la nostra mente inibendo qualsiasi spunto creativo. È una sensazione di “calma piatta”, di “bonaccia” in cui viene a mancare il vento della creatività.”

“…la noia assopisce le persone, quando siamo annoiati entriamo in un tunnel sempre più buio, ma ad un certo punto la noia può diventare illuminante. Cerchiamo di vincerla in modo involontario riflettendo e così, spesso, nascono idee geniali.”

“…la noia è come una tela bianca per un pittore in cui vi può essere un “blocco creativo” o un punto di partenza per un’opera incredibile.”

“la noia è paragonabile all’assenza di luce. L’occhio non riesce ad identificare gli oggetti che lo circondano, se presenti, e nemmeno a farci realizzare che non ci sono. L’attenzione e la curiosità sono paragonabili alla luminosità: se anche la luce è fioca, sarà possibile identificare delle forme e, soprattutto, scoprire dov’è la sorgente di luce per vedere in modo chiaro.”

Viene così ad evidenziarsi il motivo della scelta del tema della noia.

Si tratta di una preferenza guidata dalla caratteristica principale di astrattezza che ha permesso di analizzare l’associazione di metafore al tema. Il confronto con la soluzione opposta di stimolazione costante della mente, la quale essendo più concreta e più facilmente associabile ad oggetti o esperienze facilmente rappresentabili e riconoscibili nella quotidianità, ha portato all’evidente distinzione nell’utilizzo dei riferimenti metaforici.

Un secondo criterio guida è stato la caratteristica di ambiguità intrinseca nelle sue applicazioni nei processi educativi infantili. Il presente tema, infatti, è argomento molto discusso in riferimento allo sviluppo della creatività dei bambini.

Per alcuni la creatività si origina in momenti di noia e solitudine, in cui il bambino ha la possibilità di rielaborare i pensieri inconsci portandoli all’attenzione con contributi personali unici. Per altri invece la noia corrisponde solo alla bassa attivazione dei processi cognitivi che conduce ad un sentimento di monotonia e inibisce la creatività. Per chi si affianca a quest’ultima interpretazione è necessario mantenere alta l’attenzione nei bambini, sottoponendoli a continui giochi ed esercizi, al fine di favorire uno sviluppo creativo produttivo.

Il tema tuttavia non poteva essere proposto ad un campione con figli, in quanto la loro vicinanza al tema e la necessità di prendere decisioni a riguardo in riferimento alle esperienze passate con i propri bambini avrebbe condizionato le loro risposte in modo consistente.

 

© Metaforicamente parlando. Il ruolo della metafora nella comunicazione persuasiva – Alice Spollon

La comunicazione persuasiva: il questionario

La comunicazione persuasiva: il questionario

E’ stato creato un questionario da utilizzare in un disegno di tipo between subject. Ai partecipanti viene mostrato lo stesso contenuto, ma in due diversi contesti riferiti a due diverse tipologie di comunicazione: quella informativa e quella persuasiva. Metà dei partecipanti ha compilato il questionario relativo alla comunicazione persuasiva, mentre l’altra metà il questionario relativo alla comunicazione informativa, distribuiti in modo del tutto casuale. La scelta di una duplicità del contesto è data dall’interesse nel testare l’attivazione spontanea di schemi mentali differenti in funzione all’obbiettivo della comunicazione.

Entrambi i questionari si compongono di tre parti, rispettivamente suddivise in parte anagrafica, elaborazione personale e scelta multipla.

Sezione anagrafica

In questa sezione si richiede al partecipante di indicare, attraverso una check list, il genere di appartenenza, l’età in anni compiuti e l’area geografica di residenza a scelta tra Nord, Centro, Sud e Isole in territorio nazionale o indicare Estero, in caso di residenza estera.

Sezione di elaborazione personale

In questa sezione è stata introdotta da un breve testo di riferimento utile a delineare un campo di risposta preciso. Il tema scelto nel suddetto testo è quello della noia, che è presentato al soggetto attraverso due asserzioni contrastanti tra loro.  La prima a favore dello stato di noia come un antecedente causale di uno stato di attenzione e creatività, la seconda invece a sostegno della noia come uno stato di monotonia che inibisce la creatività e l’attività di pensiero.

Di seguito è proposto il testo utilizzato :

“ Secondo alcuni la noia serve a stimolare attenzione e creatività. Nei periodi in cui crediamo di essere annoiati il nostro cervello rielabora i pensieri inconsci per poi portarli all’attenzione della coscienza.

Secondo altri invece la noia porta la mente ad un abbassamento del livello di attenzione e quindi ad una sensazione di monotonia che riduce la creatività e la capacità di produrre pensieri nuovi.

Vengono così a crearsi due approcci equivalentemente validi che vertono però su considerazioni opposte del concetto di noia e della sua applicazione nei processi educativi infantili.”

 

A seguito del testo introduttivo, al partecipante è richiesto quindi di formulare un breve elaborato su quanto precedentemente letto.

Per quanto riguarda il questionario informativo il soggetto deve descrivere ad un interlocutore immaginario le due asserzioni, mantenendo un atteggiamento informativo ed evitando di far trapelare la propria opinione sull’argomento.

E’ riportata in seguito la consegna utilizzata:

“Per favore, descrivi con parole tue quanto hai letto, mantenendo un atteggiamento informativo nei confronti di un interlocutore immaginario. Quindi per favore rimani obiettivo e cerca di  non far trapelare la tua opinione sull’argomento.”

 

Differentemente, per quanto riguarda il questionario persuasivo, il soggetto deve descrivere le asserzioni sul tema della noia, che sono presentate senza variazioni, adottando un atteggiamento persuasivo nei confronti dell’interlocutore immaginario.

In questo caso, quindi, il partecipante deve esprimere la sua opinione personale facendola emergere, in modo evidente, all’interno del testo prodotto.

E’ riportata in seguito la consegna utilizzata:

“Per favore, prendi posizione su quanto hai letto e argomenta il tuo punto di vista per persuadere un interlocutore immaginario. La tua opinione sull’argomento dovrebbe essere evidente nel testo che produrrai.”

 

Sezione a scelta multipla

 

Quest’ultima parte è stata proposta sotto forma di un esercizio suddiviso in quattro frasi a completamento. Il contenuto delle frasi è indipendente dal testo antecedente alla sezione seconda e propone il completamento, per mezzo di un’ aggettivazione,di proposizioni semplici che presentano il medesimo contenuto per ambo i questionari. L’alternativa proposta per completare la frase è a scelta tra una metafora e il suo corrispondente letterale.

La scelta delle metafore e i rispettivi corrispondenti letterali è stata guidata da un pre-test, svolto in separata sede, attraverso un focus group con lo scopo di individuare in una situazione di brainstorming, un insieme di metafore che potessero riferirsi a possibili target ancora da definire; successivamente, attraverso un questionario in cui e stato chiesto di attribuire aggettivi corrispondenti alle metafore presentate, sono state calcolate la frequenza d’uso e la facilità di attribuzione attraverso una scala Likert da 1 a 5 punti.

La valenza semantica delle proposizioni utilizzate nella terza parte del questionario è positiva o negativa in posizione alternata, secondo lo schema negativo-positivo-positivo-negativo.  Anche le alternative di completamento inserite tra parentesi sono state proposte con un’alternanza variabile.

Nel questionario di tipo informativo è stata sollecitata una compilazione delle frasi, strettamente legata alla scelta tra metafora o corrispondente letterale, con il fine di promuovere un’informazione obbiettiva verso un destinatario immaginario.

Di seguito sono riportate le frasi della terza sezione del questionario di tipo informativo:

“Completa ora le seguenti frasi, cercando di dare informazioni obiettive a chi legge:

Paolo è sempre stato ______(un asino/ ignorante)

Marco si allena da un mese, ormai è diventato ______(un fulmine/ molto veloce)

Mi hanno parlato di lui, dicono sia _______(buono/ un pezzo di pane)

Hai mai conosciuto Andrea? È davvero un _____(parassita / approfittatore)”

 

Diversamente, nel questionario di tipo persuasivo, il partecipante è sollecitato dalla consegna a completare le frasi in modo da suscitare un atteggiamento specifico in un destinatario immaginario.

La modalità di aggettivazione delle frasi tuttavia rimane costante, per cui di seguito è i riportata solo la consegna del questionario persuasivo:

“Completa ora le seguenti frasi, cercando di creare un atteggiamento specifico in chi legge:”

 

È bene precisare che si tratta di questionari  autosomministrati in forma cartacea. Il ruolo della ricercatrice è stato limitato alla mera presentazione dello scopo generale di ricerca, ovvero lo studio della comunicazione informativa, o persuasiva, a seconda del singolo caso.

Ai partecipanti non è stato elargito nessun tipo di ricompensa , per cui sono da escludere effetti devianti ad essa relativi.

 

© Metaforicamente parlando. Il ruolo della metafora nella comunicazione persuasiva – Alice Spollon

La Comunicazione persuasiva: Obiettivi di ricerca e ipotesi

La Comunicazione persuasiva: Obiettivi di ricerca e ipotesi

 

All’interno di una società composta da soggetti che interagiscono tra loro, assume un ruolo di importanza sempre maggiore la necessità di una comunicazione efficace e diretta.

Per questo motivo è interessante analizzare le caratteristiche della comunicazione persuasiva che, grazie alla capacità di entrare nella sfera emozionale del soggetto, risulta essere recepita più incisiva rispetto alla comunicazione informativa.

Nella comunicazione informativa l’oggetto è presentato in modo puramente descrittivo, la fonte dunque ha lo scopo di esplicitare al ricevente, in modo chiaro e completo, soltanto  le caratteristiche di contenuto.

In quella persuasiva l’oggetto, in particolar modo nel caso di un oggetto astratto, è concretizzato attraverso l’uso della metafora, con l’obbiettivo di indurre un atteggiamento specifico nel  ricevente.

L’atteggiamento mostrato dall’interlocutore è dunque il risultato di una comunicazione persuasiva efficace che, grazie all’utilizzo della metafora, tocca la sfera emotiva e permette a due soggetti interagenti di raggiungere un’intesa empatica.

Lo scopo della ricerca è analizzare se l’utilizzo e la scelta della metafora da parte di un campione siano coerenti o meno con il fine della comunicazione.

Quindi verificare in che termini i partecipanti siano propensi a scegliere spontaneamente un linguaggio metaforico, nel momento in cui vene attivato un contesto  di riferimento persuasivo, piuttosto che informativo.

Si ipotizza che gli atteggiamenti attivati in relazione alla sfera comunicativa risultino coerenti secondo lo schema: persuasione – metafore e informazione – corrispondente letterario.

 

© Metaforicamente parlando. Il ruolo della metafora nella comunicazione persuasiva – Alice Spollon

Metaforicamente parlando. Il ruolo della metafora nella comunicazione persuasiva. Introduzione

Metaforicamente parlando.

Il ruolo della metafora nella comunicazione persuasiva.

Introduzione

Le metafore, la loro natura, le loro caratteristiche e il loro ruolo nella comunicazione sono stati per secoli oggetto di riflessione, e lo sono ancora oggi. A partire dall’antica Grecia, discipline quali retorica e filosofia, seguite da studi di linguistica, psicologia, sociologia, antropologia e altro hanno analizzato ed elaborato distinti modelli teorici. Alla metafora come evento linguistico descritta dalla tradizione classica, la prospettiva cognitiva e strumentalista oppone la metafora concettuale, capace di rendere i concetti più astratti agevoli e fruibili.

Di seguito è presentata l’evoluzione storica delle diverse concezioni elaborate intorno alle metafore e al loro ruolo nella comunicazione persuasiva. Il presente studio si concentra prevalentemente sull’ipotetico potere persuasivo della metafora nella comunicazione quotidiana e sul conseguente atteggiamento mostrato dal destinatario. In concreto, si analizzano le scelte e le modalità attuate dai partecipanti a seconda dello scopo della comunicazione. Alcun riferimento viene sviluppato in merito alla sfera applicativa di propaganda, pubblicitaria o quant’altro.  Si procederà invece ad introdurre uno studio di ricerca mirato per lo più alla comunicazione quotidiana e all’atteggiamento mosso dalla dimensione persuasiva che la metafora sottende. Si andrà poi ad analizzare i comportamenti di scelta e di utilizzo che i partecipanti dello studio mettono in atto per soddisfare lo scopo della comunicazione attivato sperimentalmente.

L’intenzione è quindi quella di trasferire l’interesse sull’argomento da un piano pubblico e volto all’esplicita intenzione di influenzare il pubblico in vista di un’azione utilitaristica, ad un piano più privato, se così si può dire, legato maggiormente agli scambi di informazione propria del dialogo interpersonale tra interlocutori potenzialmente paritetici.

© Metaforicamente parlando. Il ruolo della metafora nella comunicazione persuasiva – Alice Spollon

Metaforicamente parlando. Il ruolo della metafora nella comunicazione persuasiva: Sommario

Metaforicamente parlando.

Il ruolo della metafora nella comunicazione persuasiva.

Sommario

L’argomento attorno al quale si sviluppa questo studio di ricerca è il ruolo della metafora nella comunicazione persuasiva quotidiana. Lo scopo principale è quello di analizzare il potere persuasivo di tale strumento linguistico e l’influenza da esso  esercitata sul ricevente.

Facendo riferimento ad argomenti e a situazioni che riguardano la sfera quotidiana della comunicazione tra interlocutori paritetici, si vuole andare ad indagare quale sia la scelta e l’utilizzo della metafora, da parte dell’attore, in relazione all’obiettivo  della comunicazione.

Sulla base di un excursus storico e teorico che evidenzia le diverse concezioni sull’argomento, è stata posta maggiore attenzione al pensiero di   Lakoff e Johnson (1980) sulle quali è stato costruito il materiale utilizzato per lo sviluppo della ricerca.

Lo strumento utilizzato è stato un questionario, costruito ad hoc, da utilizzare in un disegno di tipo between subject.

Attraverso tale metodo è stato proposto lo stesso contenuto ad un campione di 140 partecipanti, selezionato in aree geografiche di convenienza, facendo però  variare il contesto comunicativo di riferimento.

Dalle analisi dei dati raccolti è emerso ciò che viene presentato nelle ipotesi.

È stata  infatti dimostrata con evidenza la coerenza tra la scelta del linguaggio e il tipo di comunicazione a cui si fa riferimento.

Le caratteristiche della comunicazione persuasiva, contrapposte a quelle della comunicazione informativa, rendono salienti schemi cognitivi che sono finalizzati all’attivazione di atteggiamenti specifici nell’interlocutore.

La scelta della metafora risulta così  necessaria in vista del suddetto obiettivo relazionale.

© Metaforicamente parlando. Il ruolo della metafora nella comunicazione persuasiva – Alice Spollon

Programmazione Neuro Linguistica: Come comunichiamo

Programmazione Neuro Linguistica: Come comunichiamo

 

Come comunichiamo
L’essere umano ha una peculiarità fondamentale, tra le tante, se comparato agli altri animali: la parola. Questo primato ci porta ad enfatizzare l’importanza del contenuto verbale del messaggio comunicativo.
Alcuni sperimentatori hanno studiato gli elementi componenti la comunicazione e la percentuale dell’impatto comunicativo di ogni componente, e ne hanno ricavato un grafico (vedi fig. 2). La rappresentazione ci indica come tanto interesse dedicato da parte nostra alla componente verbale (contenuto = cosa diciamo) è del tutto fuori luogo, racchiudendo questa, in termini di impatto, solo il 7%. Al contrario, tendiamo a non considerare la parte non verbale, cioè il come si dice qualcosa, che rappresenterebbe il 93% dell’impatto comunicativo.
 
Il linguista John Grinder, di cui tratteremo più avanti, è stato uno dei due studiosi creatori della Programmazione Neuro Linguistica. Egli, consapevole della preminenza della comunicazione non verbale, si fece trasportare in piena Amazzonia presso uno tribù di cui era del tutto sconosciuto il codice linguistico, per completare uno studio di cui si stava occupando. Pur non conoscendo una parola, riuscì dopo circa tre mesi a farsi eleggere capo tribù semplicemente ricalcando1 il modo di atteggiarsi del capo in carica, il suo tono, ritmo, volume della voce, la sua mimica e gestualità.
Questo esempio è illuminante e paradigmatico, perché bene ci illustra l’ampio margine di impatto comunicativo che il linguaggio del corpo possiede. Elemento questo che è difficilmente controllabile a livello conscio e volontario.
Quando parliamo con un interlocutore la nostra mente conscia è impegnata nella codifica del messaggio verbale (digitale), la maggioranza dei messaggi vengono, al contrario, elaborati a livello inconscio. Ne consegue che la comunicazione è una funzione espressa e ricevuta soprattutto a livello inconscio.
Gli elementi fondamentali della comunicazione sono il contenuto e la relazione.
Il contenuto del messaggio viene normalmente trasmesso con il linguaggio verbale, mentre la relazione con quello analogico.
L’eccellenza della comunicazione è funzione della congruenza tra contenuto e relazione: qualsiasi transazione comunicativa può condurre ad una situazione di scontro e di incontro, che può verificarsi sia a livello di contenuto, che a livello di relazione.
La situazione ottimale è caratterizzata da un completo accordo in entrambii livelli e darà come risultato:
• una situazione di confronto
• probabile produzione di risultati
• stato interno: benessere
• posizione reciproca: parità
Al contrario, la situazione peggiore, che avviene quando gli interlocutori hanno una percezione sgradevole dell’altro e per giunta non condividono le argomentazioni trattate, è di totale scontro. In sintesi avremo:
• una situazione di scontro
• non si producono risultati
• stato interno: malessere-tensione
• posizione reciproca: disparità (one up/one down)
 Tra i due estremi si verificano anche le situazioni intermedie, che creano situazioni meno radicali, ma di facile cambiamento.
Il buon comunicatore si deve sentire completamente responsabile dei risultati che ottiene (o non ottiene). È vero che la reale responsabilità è da ripartire tra i comunicanti, ma l’atteggiamento di chi vuole raggiungere gli obiettivi prefissati deve mirare alla totale assunzione di responsabilità.
Se si attribuiscono le responsabilità agli altri si diviene passivi rispetto ad un processo comunicativo che, al contrario, è attivo e dinamico. Qualora dovessimo trovarci in una situazione in cui un’altra persona non ci consente di raggiungere un obiettivo è buona norma porsi il quesito:
Cosa posso fare io perché lui faccia ciò che io desidero e ciò che desideriamo insieme?

 

 

Programmazione Neuro Linguistica: Elementi di Comunicazione

PROGRAMMAZIONE NEURO LINGUISTICA

 

1. 1. Elementi di comunicazione
Penso sia un’esperienza abbastanza comune quella di entrare in un ambiente, vedere una persona per la prima volta, e prima ancora di poter scambiare con quella una parola, aver chiara la sensazione, positiva o negativa, che ci trasmette.
Quando ciò accade, usiamo l’espressione volgare “a pelle” per descrivere tale pregiudizievole impressione; che può in molti casi dipendere dalla comunicazione non verbale emessa inconsapevolmente dal soggetto. Anche la semplice osservazione di una fotografia di un soggetto è in grado di generare delle simili reazioni in noi. La sola presenza, apparentemente neutra, di un individuo, condiziona il nostro stato interno e quindi la nostra comunicazione.
Ogni comportamento, microscopico o macroscopico che sia, rappresenta un comunicato in uscita per il trasmettitore A (output) e un comunicato in entrata (input) per il ricevente B. Ogni input comunicativo genera una elaborazione, che attraverso processi psiconeurologici interni (S.I), produce cambiamenti psicofisiologici percepibili all’esterno che danno informazioni su di essi (C.E.). A loro volta, essi rappresentano un output per B e un input per A, che riceve questo dato tramite gli apparati sensoriali, elaborati attraverso il S.I., producendo un comportamento esterno. Per questa ragione si parla della comunicazione come di un ciclo di feedback (Fig. 1).
Mentre siamo tutti, chi più chi meno, consapevoli delle risposte macroscopiche (gesticolazione, linguaggio verbale), ci risulta più difficile l’attenzione ai processi micro-comportamentali.
 
Figura 1
I micro-comportamenti (movimenti degli occhi, cambiamenti del colore della pelle, modificazioni del respiro), danno importanti informazioni sulla persona, sui suoi processi di elaborazione interna e sul suo stato interno. Un attento osservatore, è in grado di ricevere consapevolmente molte più informazioni di quanto il comunicatore stesso pensi di trasmettere. Attraverso il riconoscimento di questi linguaggi del corpo, che essendo inconsci sono difficilmente falsificabili, il comunicatore eccellente trarrà indicazioni per meglio orientare la comunicazione successiva.
In un qualsiasi sistema comunicante, ciò che accade dipende dal feedback, dove ogni risposta è conseguenza della precedente comunicazione e causa della successiva, qualunque sia il risultato esso è strettamente dipendente da cosa si è detto e da come è stato detto.
Non esiste comunicazione corretta o sbagliata se non in relazione ad un obiettivo. Se il risultato che otteniamo ci indica di non aver raggiunto ciò che volevamo, non sarà certo ripetendo la stessa comunicazione che il risultato varierà. È necessario, quindi, analizzare il risultato e di conseguenza variare il nostro comportamento per giungere allo stato prefissatoci.
Differentemente da ciò che comunemente si pensa, il buon comunicatore non è colui che sa dare molte informazioni, ma colui che sa trarre maggior numero di informazioni dal suo interlocutore.
La comunicazione è un processo dinamico e occorre pertanto essere flessibili.
La migliore dote di un comunicatore è proprio la flessibilità, cioè la capacità di variare il comportamento per ottenere il risultato desiderato.