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Il ruolo della soddisfazione lavorativa nella costruzione del benessere organizzativo

Il ruolo della soddisfazione lavorativa nella costruzione del benessere organizzativo

 

Cosa si intende per soddisfazione lavorativa e quanto essa incide sulle performance del lavoratore? Studiando la relazione tra i fattori che intervengono nella costruzione della relazione tra questi due aspetti, si può arrivare a migliorare il benessere organizzativo.

Negli ultimi anni si è rafforzata l’importanza del ruolo del lavoratore come parte integrante del sistema aziendale in quanto essenza di esso ed è cresciuto l’interesse verso i diversi aspetti che incidono sulla sua salute, sia fisica sia psichica, focalizzandosi maggiormente sulla prevenzione piuttosto che sulla sola cura, dando nuovo significato al malessere psicofisico dell’individuo e al riflesso negativo che ciò ha sull’organizzazione stessa (1).

Mettendo in relazione la soddisfazione e il benessere del lavoratore con la percezione degli aspetti organizzativi della struttura nella quale è inserito, è stato riscontrato che, a tutti gli effetti, il clima emotivo dell’organizzazione ha una forte influenza sulla partecipazione del lavoratore alla mission aziendale, in particolare in base alla percezione e al grado di identificazione con l’azienda.

Occorre perciò assumere una visione di causalità circolare, secondo la quale l’individuo, il gruppo e l’organizzazione sono fortemente interdipendenti tra loro e la compromissione della salute di uno ha conseguenze negative anche sugli altri: tutto ruota intorno al concetto di scambio per cui il lavoratore scambia la soddisfazione e immediata delle pulsioni con una più complessa, differita nel tempo e costruita dall’intervallarsi di fattori positivi e negativi (2).

Autori come Feldman (3) e Weick (5) introdussero il concetto di sensemaking per indicare i modi in cui le persone interpretano ciò che producono e danno senso alla realtà in cui si trovano; questo senso auto-costruito del lavoratore è un ottimo predittore della performance lavorativa e della soddisfazione individuale ed è proprio quest’ultima ad avere un peso preponderante nel sistema azienda.

La soddisfazione lavorativa racchiude la congruenza tra interessi personali e mansione, le sensazioni sperimentate nel poter utilizzare al meglio le proprie competenze, la visione personale dell’azienda, la possibilità di costruire una propria identità personale e professionale, che incidono sul suo modo di relazionarsi con la struttura e di affrontare il compito lavorativo.

La prevalenza di emozioni negative e la demotivazione sono fattori di rischio che possono portare a situazioni limite come il burnout (4), in cui vi è un eccessivo coinvolgimento in risposta ad uno stress emotivo cronico e persistente, con conseguente esaurimento fisico ed emotivo e calo della produttività. In situazioni caratterizzate da insoddisfazione dei lavoratori, occorre fornire buone motivazioni, incrementare la capacità di gestire efficacemente le emozioni negative e cercare di assumere una visione che renda prevalenti quelle positive, fornire fonti di soddisfazioni e di crescita nel sapere e nel saper fare.

È perciò di fondamentale importanza dare al lavoratore la possibilità di utilizzare le proprie risorse, competenze e abilità (comprese in particolare quelle di organizzazione e coordinamento, se presenti), di esprimere sé stesso, favorire le relazioni inter e intra gruppi, al fine di alimentare l’essenza stessa dell’individuo nel contesto lavorativo di appartenenza e quindi la sua auto realizzazione. La persona soddisfatta emana e trasmette entusiasmo, ha voglia di fare e si impegna in ciò in cui crede: il successo non sta solo in quanto si ottiene, ma in ciò che si riesce a costruire in sé.

 

© Il ruolo della soddisfazione lavorativa nella costruzione del benessere organizzativo – Dott.ssa Alice Franceschini

 

 

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clima organizzativo introduzione

Clima Organizzativo: Introduzione

La sfera relazionale ricopre un ruolo di fondamentale importanza per l’equilibrio di qualunque rapporto interpersonale. Ciò vale anche all’interno delle organizzazioni lavorative, tra le risorse umane, cioè il personale che presta la propria attività lavorativa col proprio capitale umano in cambio di una retribuzione economica.

Il clima organizzativo rappresenta lo stato di salute di un determinato ambiente lavorativo, così come percepito dalle persone che in esso operano: esso condiziona l’andamento delle attività aziendali ed i comportamenti dei lavoratori, creando un circolo benefico o vizioso a seconda dei casi.

È importante osservare un’organizzazione per capire se esiste un clima collaborativo oppure ostile. Storicamente si è rivolta poca attenzione alle condizioni di lavoro delle persone, soprattutto in riferimento ai fattori di tipo psicologico, che non si reputavano importanti ai fini di incrementare la produttività di un’azienda; ci si concentrava su altre variabili aziendali, come ad esempio la tecnologia presente.

Oggi il punto di vista è cambiato: nelle organizzazioni aziendali è nata l’esigenza di analizzare il grado di benessere lavorativo delle risorse umane, considerate il motore dell’organizzazione stessa, per progettare interventi mirati all’aumento della produttività.

All’interno del clima organizzativo rientrano una serie di percezioni che sono legate a variabili organizzative quali: la struttura organizzativa, il rapporto con i colleghi e con i superiori, il carico di lavoro e gli stili gestionali. Il clima è inoltre in relazione con altre variabili di tipo soggettivo, come la motivazione e la soddisfazione lavorativa.

L’essere umano, per esprimere al meglio le proprie potenzialità, necessita di una condizione motivante e stimolante. Sul fronte lavorativo il suo operato diventa più efficace ed efficiente, permettendo all’organizzazione di avere a disposizione una forza attiva e massimamente produttiva in quanto positivamente sollecitata e soddisfatta. Se diminuisce o scompare il fattore motivazionale, si rischia di passare a stati fisici e psicologici difficili, che vanno dallo stress lavoro correlato al burnout, il totale annientamento. Questi ultimi, se non affrontati e superati in maniera professionale, possono portare alla crisi aziendale.

Muovendo da queste premesse, il mio lavoro si propone come una riflessione sull’importanza che rivestono le risorse umane nelle organizzazioni, e sottolinea il legame positivo tra le attività rivolte alla valorizzazione del capitale umano e le performance dell’impresa.

La tesi si articola in 4 capitoli, più una appendice finale.

Nel primo capitolo viene introdotto l’argomento del clima organizzativo: si percorre un’evoluzione storica che parte dagli anni ’30 del 1900, con riferimento a ricerche sul tema, e si sviluppa fino all’epoca attuale. Vengono poi descritti gli approcci teorici strutturale, percettivo, interazionista e culturale, ed analizzata la figura delle risorse umane. Infine, si prendono in considerazione le emozioni e vengono brevemente analizzate le emozioni primarie.

Per valutare il benessere di un’organizzazione vi sono degli elementi cardine, che vengono analizzati nel secondo capitolo del presente lavoro. La motivazione, unitamente ad altri indicatori positivi come la collaborazione, la leadership, la comunicazione efficace, si affianca ad elementi negativi quali il mobbing, lo stress lavoro correlato ed il burnout.

Il terzo capitolo misura il clima organizzativo, in maniera sperimentale attraverso un approccio quantitativo: l’analisi di un questionario che misura il burnout. Ho sottoposto l’MBI (Maslach Burnout Inventory) ad un campione di 10 tra lavoratori e lavoratrici di età compresa tra i 35 e i 65 anni impiegati, con contratto di lavoro dipendente oppure liberi professionisti, in un’organizzazione che si occupa della vendita di prodotti assicurativi e finanziari sul territorio del Comune di Bologna. Obiettivo della misurazione è mettere in luce le eventuali criticità relazionali vissute dal singolo lavoratore, e come queste si ripercuotano sul risultato aziendale oltre che sugli aspetti personali del singolo.

I dati misurati sono stati raccolti in una tabella che correla le risposte date ad ognuno dei 22 item con il voto da 0 a 6, assegnato da ogni intervistato per ogni singolo item. Ciò ha consentito di avere il quadro completo della situazione e di trovare delle correlazioni utili per valutare il livello di clima organizzativo di quella specifica realtà aziendale, e di pianificare un eventuale intervento per migliorarlo.

Nel quarto ed ultimo capitolo si esemplifica una strategia di analisi di clima organizzativo: viene proposta una case history per la formazione aziendale sottoposta ad un’azienda del Comune di Bologna che si occupa di apparecchiature informatiche. Le sue fasi principali – l’assessment, il piano di intervento con i relativi risultati, il follow up – ne caratterizzano la forma di presentazione.

Le conclusioni del mio trattato includono una valutazione complessiva, con opportune considerazioni.

 

© Chiedimi se sono felice:Analisi del Clima Organizzativo e del suo effetto sulle risorse umane – Dott.ssa Sonia Barbieri

 

Management del benessere organizzativo

Management del benessere organizzativo: ciò che può fare la differenza

Il benessere psicologico è un costrutto multidimensionale in cui si integrano l’aspetto fisico e l’aspetto mentale, in relazione a ciò che avviene nell’ambiente circostante; in ambito lavorativo, parlando di management del benessere organizzativo si intende il benessere come sinonimo della piena espressione del potenziale di ciascun individuo (1,7), sia a livello emotivo sia cognitivo, che rappresenta un aspetto preponderante del clima organizzativo.

Il clima diventa quindi un tema centrale nell’analisi della salute di un’organizzazione, è condiviso dai suo membri, si compone di percezioni e rappresentazioni cognitive, è relativamente stabile nel tempo, è capace di influenzare i comportamenti e può essere usato dai lavoratori stessi come base per interpretare le situazioni e i cambiamenti che sopraggiungono.

Sommariamente, il raggiungimento dei livelli attesi di crescita e benessere può avvenire tramite il soddisfacimento dei fondamentali bisogni di competenza personale, autonomia e relazionalitá, in tutte le loro sottodimensioni (4).

Parlando di management del benessere organizzativo, si può fare riferimento ai diversi studi nell’ambito del benessere lavorativo, tra i quali emerge il modello JD-R (Job Demands-Resources model) per cui ogni occupazione è caratterizzata da richieste e risorse, intendendo come richieste quegli aspetti fisici, psicologici, sociali e organizzativi del lavoro che, richiedendo sforzi o abilitá, intensi comportano costi fisiologici e psicologici, mentre le risorse sono tutti gli aspetti che sono funzionali al raggiungimento degli obiettivi, riducono le richieste lavorative e i costi ad esse associati, stimolano l’apprendimento e la crescita personale (2).

Un importante indicatore di benessere psicologico è rappresentato dalla soddisfazione lavorativa, in relazione alle diverse caratteristiche dell’organizzazione e delle attività svolte, tra cui il carico di lavoro, la chiarezza dei ruoli e le relazioni con superiori e colleghi (8,9).

Da questa breve analisi si può comunque dedurre che sono numerosi gli aspetti in grado di danneggiare il benessere dell’organizzazione, tra i quali si possono riscontrare frequentemente la scarsa chiarezza e i conflitti riguardanti i ruoli e le procedure di lavoro, la non equa giustizia relazionale dei supervisori, il supporto scarso o addirittura assente dei colleghi: tali aspetti devono essere attentamente e costantemente valutati ed riaggiustati poiché possono portare a problematiche profondamente incidenti sul lavoratore, fino alla comparsa di reazioni fisiologiche e comportamentali allo stress quali ad esempio disturbi del sonno e aumento dell’assenteismo, che si riflettono poi sulla salute organizzativa dell’intera azienda, innescando un circolo dal quale diviene complesso uscire (3).

Un ulteriore indicatore di assenza di benessere emotivo a lavoro è l’esaurimento emotivo, conseguenza a lungo termine di stress e richieste/pressioni lavorative, in grado di influenzare le prestazioni dell’individuo: una distribuzione non equa dei compiti o un eccessivo carico di lavoro dovuto a richieste elevate non accompagnate da un’adeguata preparazione o sostegno, una gestione incoerente delle priorità, possono contribuire a incrementare il vissuto di malessere del lavoratore fino ad arrivare a veri e propri fenomeni come ad esempio il burnout, in cui i soggetti sviluppano un lento processo di logoramento o decadenza psicofisica dovuta alla mancanza di energie e di capacità per sostenere e scaricare lo stress accumulato, con conseguente esaurimento e depersonalizzazione (5).

La rilevazione del clima e del benessere organizzativo è perciò un intervento molto importante che dota l’azienda di un proprio barometro sociale interno, fornendo al management un quadro aggiornato sulle percezioni del personale, utile per poter comprendere eventuali problematiche emergenti e per poter intervenire repentinamente laddove ve ne sia necessità.

Non bisogna sottovalutare quindi il vissuto dei lavoratori sia come singoli sia come gruppo e occorre focalizzarsi sul potenziamento delle risorse personali e aziendali (6), come l’auto efficacia e il supporto esterno, oltre che attuare progetti di prevenzione a partire dalla predisposizione di tavoli di lavoro durante i quali rivedere periodicamente le procedure, al fine di semplificarle il più possibile, nonché pianificare interventi formativi con particolare attenzione al management, per incrementarne la capacità di gestione dei collaboratori, di valutazione delle prestazioni e di gestione dei feedback.

In questo articolo abbiamo quindi parlato di management del benessere organizzativo e del ruolo fondamentale che ricopre nell’analisi della salute aziendale, aspetto spesso sottovalutato nelle valutazioni e nei controlli periodici; se avete commenti, dubbi, domande o volete esprimere il vostro parere, non esitate a contattarci.

 

© Il management del benessere Organizzativo – Dott.ssa Alice Franceschini

 

Bibliografia

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Il lavoro emozionale in ambito sanitario: Conclusioni e Bibliografia

Il lavoro emozionale in ambito sanitario: Conclusioni e Bibliografia

I risultati del presente studio mostrano l’effetto negativo del lavoro emozionale sullo stato di salute del lavoratore.

Coerentemente con studi precedenti (Grandey, 2006) si evidenzia come l’attuazione della gestione delle emozioni surface acting eserciti un impatto positivo sull’esaurimento emotivo, inoltre si dimostra l’influenza negativa di questa strategia su uno stato positivo legato al lavoro come il work engagement.

Oltre a questo, l’indagine presentata contribuisce, da un lato, a confermare l’esistenza del processo energetico del modello Job Demands Resources dall’altro contribuisce a inserire degli elementi di innovazione, ampliando le relazioni tra risorse e richieste lavorative rispetto a quelle presentate nel modello. Su questa linea, i dati confermano come il surface acting, (considerato come una domanda lavorativa eccessiva, dato il continuo sforzo richiesto per il mascheramento delle emozioni realmente provate per attenersi alle norme imposte dal contesto), incide sullo stato di malessere generale tramite la mediazione dell’esaurimento emotivo confermando così l’esistenza del processo energetico.

D’altro canto però le analisi mostrano anche come una job demand come il surface acting abbia un impatto negativo sul work engagement e come ,esaurimento emotivo, work engagement e lo stesso acting possano essere elementi di mediazione all’interno della relazione tra richieste e risorse lavorative andando  oltre i classici processi motivazionale e energetico postulati dal modello.

Infatti, l’impatto del carico di richieste emotive eccessive sul malessere generale viene mediato dall’esaurimento emotivo e del surface acting e le richieste emotive eccessive hanno un effetto sull’identificazione organizzativa, attraverso la mediazione in serie del surface acting e del work engagement .

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© Il lavoro emozionale in ambito sanitario: effetti sul benessere e il malessere lavorativo – Jessica Capelli

Il lavoro emozionale in ambito sanitario: Discussione

Il lavoro emozionale in ambito sanitario: Discussione

 

Intento dello studio riproposto, come già esplicitato, era valutare l’impatto del lavoro emozionale sulla salute del lavoratore.

Come  sottolineavano Hülsheger & Scheve, (2011), l’attuazione da parte del lavoratore della strategia di gestione delle emozioni surface acting porta a modificare la propria espressione facciale e corporea lasciando però intatta l’emozione realmente provata, dato che, nel lavoro emozionale sono spesso coinvolte espressioni negative, queste non vengono eliminate ma al contrario soppresse, continuando a incidere negativamente sul benessere dell’individuo ( Gross & John, 2003).

La stretta relazione tra surface acting e esaurimento è già stata oggetto di indagini, Grandey (2006) evidenziava come il mascheramento insito nella strategia sembrerebbe portare all’esaurimento. Questo effetto negativo esercitato dal surface acting, viene confermato dai risultati del presente lavoro. Si mostra infatti, come la strategia sia associata a uno stato di esaurimento emotivo dato dalle eccessive richieste al lavoro, che generano un sovraccarico dal punto di vista emotivo.

In linea con ciò, i dati rivelano (H1a, H1b), l’influenza negativa di questa strategia di gestione delle emozioni al lavoro, sul work engagement considerato come uno stato positivo collegato al lavoro caratterizzato da tre realtà: vigore, dedizione e assorbimento (Schaufeli, Salanova, González-Romá & Bakker, 2002).

Inoltre, nella presente tesi si faceva riferimento al modello Job Demands Resources testando uno dei due processi che compongono il modello. Con tale intento, si è voluto studiare ciò che viene definito come processo energetico, cioè la relazione tra le richieste lavorative e outcomes negativi dovuto all’intervento del burnout (Schaufeli, & Bakker, 2004). Questo processo si verifica nella situazione in cui il lavoro richiede all’individuo un sforzo tale da generare ripercussioni sullo stato fisico e psicologico delle persone e su problemi diretti sulla salute.

Nel campione analizzato, l’esistenza di tale processo è stata confermata ( H2a), infatti, il surface acting che viene considerato in questo caso come una domanda lavorativa eccessiva, dato il continuo sforzo richiesto per il mascheramento delle emozioni realmente provate per attenersi alle norme imposte dal contesto, incide sullo stato di malessere generale tramite la mediazione dell’esaurimento emotivo, considerato il cuore del burnout ( Masclach & Jackson, 1981). Altro aspetto del modello Job Demands Resources che si è approfondito , riguarda quei legami che sono al di fuori dei classici processi energetico e motivazionale precedentemente descritti ed ampliamente dimostrati da numerosi studi in letteratura. (Bakker et al., 2005; Bakker et al., 2003) Queste relazioni esterne riguardano la possibilità che le risorse lavorative, moderino l’effetto delle domande lavorative sugli esiti lavorativi negativi. Questi vengono denominati effetti buffer, dimostrati da diverse indagini (Bakker, Demerouti & Euwema , 2005). Questo effetto che occorre quando le risorse assumono una funzione di moderatore rispetto all’impatto che le richieste lavorative esercitano sull’insorgenza del burnout, mitigando l’effetto delle domande sul lavoro.  Non solo le risorse ma anche le richieste lavorative hanno effetto di moderazione sulle condizioni positive del processo motivazionale come il work engagement. In questo senso le domande lavorative moderano, o attenuano, la condizione di benessere esperita dal lavoratore. I risultati ottenuti, infatti, mostrano l’esistenza di questi legami, dimostrando come, nel gruppo di professionisti in analisi, una richiesta come il surface acting eserciti un impatto sul work engagement e sull’identificazione organizzativa (ipotesi H2b). Tale effetto tuttavia, non appare diretto ma mediato: il surface acting non agisce cioè direttamente sull’identificazione organizzativa ma, lo fa solamente in relazione al il work engagement.

Oltre a testare aspetti già esistenti del modello JD-R, come si è già accennato, si voleva contribuire all’estensione del modello, inserendo dei fattori di mediazione all’interno del processo energetico. Con tale fine si è studiato il carico di richieste emotive eccessive sul malessere generale ipotizzando una possibile mediazione in serie da parte prima  dell’esaurimento emotivo e successivamente del surface acting (H3).

Nel campione analizzato, entrambe le variabili considerate, mediano l’impatto positivo dell’eccessivo carico di richieste emotive sul malessere generale, confermando così l’ipotesi iniziale.

Infine nel tentativo di studiare come le richieste emotive eccessive abbiano un effetto su un esito positivo del lavoro come l’identificazione organizzativa, si sono proposti altri due fattori di mediazione ovvero il surface acting e l’engagement (H4).

Per quanto riguarda quest’ultimo aspetto si è dimostrato che i fattori presi singolarmente non mediano il rapporto tra le richieste eccessive e l’identificazione organizzativa, ma, al contrario la mediazione successiva del surface acting e l’engagement appare incidere sullo sviluppo dell’identificazione.

Dati i risultati ottenuti, complessivamente si può dire, che tutti i fattori di mediazione riproposti nelle ipotesi medino, direttamente o in serie gli effetti delle richieste gli esiti indagati

Nello specifico, le richieste emotive eccessive esercitano un effetto positivo sul surface acting, contrariamente il carico di richieste esercita un effetto negativo sul work engagement considerato un elemento positivo per la salute del lavoratore.

Dato che come già dimostrato in letteratura, il surface acting sembra avere delle ricadute negative sullo stato di benessere a causa dello sforzo che il camuffamento delle reali emozioni sperimentate richiede ( Gross & John, 2003), e che il work engagement al contrario, è associato a stati positivi (Schaufeli, Salanova, González-Romá & Bakker, 2002), si può quindi concludere che le richieste emotive eccessive appaiono influenzare negativamente lo stato di benessere del lavoratore.

© Il lavoro emozionale in ambito sanitario: effetti sul benessere e il malessere lavorativo – Jessica Capelli

Interazione tra Job Demands e Resouces: l’effetto Buffer

Interazione tra Job Demands e Resouces: l’effetto Buffer

 

Tuttavia oltre agli effetti diretti delle richieste e delle risorse lavorative, che sembrano avere come già descritto nel paragrafo precedente, un considerevole impatto sul benessere del lavoratore, il modello JDR propone che anche l’interazione tra le due componenti eserciti un impatto considerevole (Bakker & Demerouti, 2007).

Alcune prove empiriche di tale interazione erano già state suggerite da studi fatti sul modello Job Demand Control di Karasek (1979) Più precisamente Bakker & Demerouti (2007), parlano di un effetto Buffer che occorre quando le risorse assumono una funzione di mediatore rispetto all’impatto che le richieste lavorative esercitano sull’insorgenza del burnout, le risorse lavorative sembrerebbero quindi mitigare l’effetto delle richieste sul lavoro. Questa tesi è sostenuta anche da Bakker, Demerouti, Taris, Schaufeli, & Schreurs (2003) che mettono in luce come le risorse attutirebbero l’effetto delle richieste lavorative, sull’esaurimento. Kahn and Byosserie (1992), danno seguito a questa ipotesi evidenziando come l’effetto buffer può manifestarsi tra ogni variabile coinvolta nel processo.

Non sono solamente le caratteristiche della persona ma anche la sua relazione con il lavoro a poter assumere una funzione mediatrice. Bakker & Demerouti, (2007) rilevano come, tale concetto sia collegato al Demand- Control Model (Karasek, 1979, 1998) proponendosi però come un’espansione di quest’ultimo quanto considera che diverse tipologie di risorse possono avere una funzione mediatrice per una varietà di richieste lavorative, e quali demands e resources entrano in gioco dipende da quali caratteristiche lavorative prevalgono in un determinato contesto.

Molte variabili sono state proposte come potenziali difese nei confronti dello stess e del successivo burnout alcuni esempi sono: il supporto sociale, il feedback, l’autonomia (Johnson & Hall, 1988; Bakker & Demerouti, 2007).

A conferma di quanto esposto fino ad ora, la ricerca di Bakker, Demerouti & Euwema (2005) sostiene l’esistenza di quest’effetto, mostrando come l’interazione tra le domande e le risorse lavorative generano un impatto rilevante sul burnout, prendendo come campione di dipendenti di un istituto di formazione nei paesi bassi, gli esperti dimostrano che l’autonomia e il sostegno sociale o da parte dei colleghi, un buon rapporto con supervisori, e puntuali feedback delle prestazioni sono in grado di compensare il sovraccarico di lavoro sull’esaurimento.

L’effetto buffer, dato che, come è strato confermato ampliamente da studi in letteratura, dimostra un’interazione tra domande e richieste lavorative andando oltre i processi energetico e motivazionale è di particolare rilievo nel lavoro presentato ( Bakker, Demerouti & Euwema, 2005). Ci si propone  infatti, di investigare come una variabile moderatrice ( job resource) possa attenuare l’impatto di una job demand, influenzando così, in seconda istanza lo stato di benessere del lavoratore.

S’intende studiare, infatti, come il work engagement possa moderare l’impatto negativo della strategia del surface acting, considerata in questo caso come una job demand, (dato lo sforzo continuo richiesto al lavoratore nel mascheramento delle proprie emozioni per aderire alle display rules),  ed avere un impatto positivo sull’identificazione organizzativa.

© Il lavoro emozionale in ambito sanitario: effetti sul benessere e il malessere lavorativo – Jessica Capelli

Antecedenti di esaurimento emotivo e burnout

Antecedenti di esaurimento emotivo e burnout

Data l’importante diffusione del fenomeno nell’ambito sanitario, ci si è interrogati su quali fossero i fattori che potessero spiegare lo sviluppo della sindrome.

I diversi studi, hanno mostrato come, gli antecedenti possano essere legati al lavoro e alla persona. Per quanto concerne il lavoro, sono state individuate alcune variabili dipendenti dal contesto e dalle organizzazioni, all’interno delle quali si svolge il lavoro i meccanismi difensivi utilizzati per farvi fronte.

Lee e Ashforth (1996), individuano nello stess dovuto al ruolo (conflitto, ambiguità) nelle richieste sul lavoro (il monte ore settimanale, il contato diretto con la clientela), nella mancanza di appoggio e supporto da parte dei colleghi e supervisori e nella scarsità di autonomia concessa al lavoratore, le dimensioni che sembrano essere maggiormente in relazione con l’esaurimento emotivo.

A livello individuale si riscontrano delle conseguenze in termini d’ansietà, aggressività verbale e fisica, rabbia, paura. Tali condizioni negative si riflettono inevitabilmente anche sulle organizzazioni dato che questi stati portano ad avere un atteggiamento negativo verso i propri colleghi in prima istanza, tuttavia, anche verso il lavoro e i propri clienti, portando con sé problematiche di adattamento al proprio ruolo e una serie di atteggiamenti negativi (assenteismo, ritardi, mancato svolgimento dei propri compiti, scarsa produttività e un allontanamento da quelli che sono gli obiettivi dell’organizzazione) che vanno a inficiare sulla qualità del lavoro e la produttività complessiva. (Preciado, Pando & Vázquez, 2004).

Date tali considerazioni, si può concludere che, l’esaurimento emotivo e più in generale il burnout generino uno stato di malessere per la persona, mettendo a rischi il suo benessere psicofisico.

© Il lavoro emozionale in ambito sanitario: effetti sul benessere e il malessere lavorativo – Jessica Capelli

Le conseguenze della sindrome da burnout

Le conseguenze della sindrome da burnout

A livello individuale

 

La professionalità dei lavoratori che soffrono di sindrome da burnout risente delle occlusioni perpetrate nel tempo, essi assumono atteggiamenti negativi nei propri confronti, svalutandosi e ritenendo di non essere in grado di svolgere il proprio lavoro verso cui pongono minore attenzione, pertanto sono predisposti a commettere maggiormente errori. Aumenta il calo per la soddisfazione lavorativa e viene meno l’impegno nei confronti dell’organizzazione, ciò porta il lavoratore ad ostentare atteggiamenti poco consoni nei confronti dell’utenza.

Anche la sfera privata del lavoratore è plagiata, si abbassa la qualità della vita e vi è un  peggioramento dello stato di salute.

A livello organizzativo

 

Non solo il lavoratore vessato subisce le conseguenze della sindrome da burnout, anche l’organizzazione avverte le conseguenze di quanto il lavoratore sta subendo.

A seguito dell’inefficacia personale e del calo della soddisfazione lavorativa, aumentano i casi di assenteismo e di turnover, che portano ad un peggioramento della qualità del servizio offerto.

“Il lavoro che (non) fa per te”. Il disagio nelle relazioni lavorative: un’indagine psicosociale sul territorio di Venezia –  © Maurizio Casanova

Le cause della sindrome da burnout

Le cause della sindrome da burnout

 

Sovraccarico di lavoro

 

Il disadattamento è presente quando la persona percepisce un carico di lavoro eccessivo (le richieste lavorative sono così elevate da esaurire le energie individuali al punto da non rendere possibile il recupero), quando, anche in presenza di un carico ragionevole, il tipo di lavoro non è adatto alla persona (si percepisce di non avere le abilità per svolgere una determinata attività) e quando il carico emotivo del lavoro è troppo elevato (il lavoro scatena una serie di emozioni che sono in contraddizione con i sentimenti della persona).

Senso di impotenza

 

La persona non ritiene che ciò che fa o vuole fare riesca ad influire sull’esito di un determinato evento.

Mancanza di controllo 

Il disadattamento si verifica quando l’individuo percepisce di avere insufficiente controllo sulle risorse necessarie per svolgere il proprio lavoro oppure quando non ha sufficiente autorità per attuare l’attività nella maniera che ritiene più efficace.

Riconoscimento

Si ha disadattamento quando si percepisce di ricevere un riconoscimento inadeguato per il lavoro svolto.

Senso di comunità 

E’ presente disadattamento quando crolla il senso di appartenenza comunitario all’ambiente di lavoro, ovvero quando si percepisce che manca il sostegno, la fiducia reciproca ed il rispetto e le relazioni vengono vissute in modo distaccato ed impersonale.

Assenza di equità

 

Si ha disadattamento quando non viene percepita l’equità nell’ambiente di lavoro in ambiti quali, ad esempio, l’assegnazione dei carichi di lavoro e della retribuzione o l’attribuzione di promozioni e avanzamenti di carriera.

Valori contrastanti

Il disadattamento nasce quando si vive un conflitto di valori all’interno del contesto di lavoro e cioè quando la persona non condivide i valori che l’organizzazione trasmette oppure quando i valori non trovano corrispondenza, a livello organizzativo, nelle scelte operate e nella condotta.

“Il lavoro che (non) fa per te”. Il disagio nelle relazioni lavorative: un’indagine psicosociale sul territorio di Venezia –  © Maurizio Casanova

 

Il lavoratore “bruciato”: la sindrome da burnout

Il lavoratore “bruciato”: la sindrome da burnout

Attraverso l’indagine che ha notevolmente arricchito questo elaborato volto ad indagare alcuni degli aspetti inerenti il disagio all’interno delle relazioni lavorative, si è riscontrato come ai protagonisti di questo fenomeno sociale, sempre più presente nel contesto quotidiano aziendale, sia negato il senso legittimo della propria umanità.

Ricusare l’idoneità lavorativa e relazionale dei vessati costringe talvolta a commettere atti disperati, se non estremi, che portano la vittima a perdere la propria dignità e la stima in se stessi. Il mobbing, fulcro cui attorno si legano altri fenomeni sociali come straining e stalking occupazionale, ha come conseguenza principale la generazione di stress che colpisce il lavoratore vessato.

Quanto descritto da De Carlo (2012) in termini di stress, decreta come esso non debba assumere necessariamente solo connotazioni negative – distress -, bensì il suo normale funzionamento è insito anche nelle situazioni piacevoli – eustress -, generato dalle situazioni positive in cui la persona può avvicendarsi.

L’autore mette in risalto come nelle sedi lavorative è più facile imbattersi in situazioni di distress, dove il lavoratore reagisce negativamente agli stimoli stressogeni che riceve dall’ambiente che lo circonda.

Lo stress percepito sul posto di lavoro è associabile a un’enormità di variabili che in questi capitoli vengono spesso citate, in questo frangente si vuole approfondire un aspetto cruciale legato alle conseguenze derivate dallo stress.

Il burnout, o sindrome da burnout è quanto di più specifico possa essere associato allo stress e alle sue fonti, è una risposta inadeguata agli stimoli cui quotidianamente un lavoratore è sottoposto.

Maslach (1997), associa alla sindrome da burnout l’esito patologico di un processo stressogeno che colpisce le persone che esercitano professioni d’aiuto, qualora queste non rispondano in maniera adeguata ai carichi eccessivi di stress che il loro lavoro li porta a prendersi in carico.

Anzitutto è utile evidenziare come il burnout sia definito come un esito patologico. La persona in sostanza si ammala, deforma le proprie risposte psicofisiche in funzione di stimoli negativi convergenti, esasperando il proprio essere a favore di chi lo violenta.

L’esito patologico è frutto di carichi eccessivi di stress cui la persona viene sottoposta, questi possono derivare da inadeguati carichi lavorativi, scarsa formazione del personale e da richieste cui la persona non può far fronte.

Maslach e Leiter (2000) hanno distinto la sindrome da burnout in tre dimensioni:

    • deterioramento dell’impegno nei confronti del lavoro;
    • deterioramento delle emozioni originariamente associati al lavoro;
    • problema di adattamento tra persona ed il lavoro, a causa delle eccessive richieste di quest’ultimo.

In tal senso il burnout diventa una sindrome da stress non più esclusiva delle professioni d’aiuto, ma che può presentarsi in qualsiasi organizzazione di lavoro. Il burnout (Volpi, Ghirelli, e Contesini, 1993) interessa tutte quelle figure caricate da una duplice fonte di stress, ovvero quello personale e quello della persona aiutata; in particolare colpisce i medici e le altre figure sanitarie, compresi volontari e studenti, gli addetti ai servizi di emergenza, tra cui poliziotti e vigili del fuoco, psicologi, psichiatri e assistenti sociali, sacerdoti e religiosi, insegnanti ed educatori, avvocati e ricercatori.  Ne consegue che, se non opportunamente trattati, questi soggetti cominciano a sviluppare un lento processo di “logoramento” o “decadenza” psicofisica dovuta alla mancanza di energie e di capacità per sostenere e scaricare lo stress accumulato (“burnout” in inglese significa proprio “bruciarsi”).

In tali condizioni può anche succedere che queste persone si facciano un carico eccessivo delle problematiche delle persone a cui badano, non riuscendo così più a discernere tra la propria vita e la loro.

Il burnout comporta esaurimento emotivo, depersonalizzazione, un atteggiamento spesso improntato al cinismo e un sentimento di ridotta realizzazione personale. La persona tende a sfuggire l’ambiente lavorativo assentandosi sempre più spesso e lavorando con entusiasmo ed interesse sempre minori, a provare frustrazione e insoddisfazione, nonché una ridotta empatia nei confronti delle persone delle quali dovrebbe occuparsi.

Il burnout si accompagna spesso ad un deterioramento del benessere fisico, a sintomi psicosomatici come l’insonnia e psicologici come la depressione.

I disagi si avvertono dapprima nel campo professionale, ma poi vengono con facilità trasportati sul piano personale: l’abuso di alcol, di sostanze psicoattive ed il rischio di suicidio sono elevati nei soggetti affetti da burnout.

Di seguito vengono presentate le cause e le conseguenze della sindrome da burnout per come vengono proposte da De Carlo (2004) coerentemente al tipo di risposta che il lavoratore vessato fornisce all’esterno.

“Il lavoro che (non) fa per te”. Il disagio nelle relazioni lavorative: un’indagine psicosociale sul territorio di Venezia –  © Maurizio Casanova