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Teorie sullo stress

Teorie sullo stress

Foto di John Hain da Pixabay

A partire dalle ricerche di Selye, Rees (1976) individuò una distinzione tra stress, distress e disagio. Definì lo stress come modificazione dell’ambiente interno o esterno di una durata ed intensità tale da raggiungere i limiti della capacità di adattamento dell’organismo. Lo stress, per Rees, era costituito da sintomi fisici o cambiamenti inerenti la sfera psicologica e sociale. Il termine distress, invece, denotava un’esperienza emotiva spiacevole che poteva derivare dai succitati cambiamenti dell’ambiente interno o esterno, oppure come reazione al disagio. Il termine disagio denotava invece disfunzioni mentali o corporee che comportano delle difficoltà nello svolgimento delle attività quotidiane, interferendo con il benessere del soggetto. Rees elaborò un modello psicosomatico che spiegò il modo in cui i fattori psicologici e sociali abbiano un ruolo causale nei cambiamenti fisiologici. Il modello era formato da fattori stressanti, da caratteristiche individuali e dai conseguenti processi fisiologici. Per quanto riguarda i fattori stressanti, Rees affermò che tra i principali fattori associati all’insorgenza di malattie psicosomatiche vi fossero ad esempio: il lutto, i problemi di salute della persona amata, i conflitti sessuali, le esperienze traumatiche, i problemi lavorativi e finanziari. In tutto ciò, un ruolo centrale era svolto dalle caratteristiche di ciascun individuo che determinavano il tipo di risposta al fattore stressante, sottolineando l’importanza sia di fattori genetici sia di caratteristiche di personalità. In particolare, tra i più comuni tratti di personalità riscontrati in persone affette da malattie psicosomatiche vi erano: instabilità, timidezza, mancanza di autoaffermazione, marcata sensibilità, propensione all’ansia, tratti ossessivi. Allo stesso modo, sosteneva che un insieme di tratti di personalità non fosse specifico di un particolare disturbo. Infatti secondo tale modello, l’eziologia dei disturbi psicosomatici poteva essere spiegata come un’interazione dinamica tra fattori intrinseci ed estrinseci. Questa interazione determinava poi il tipo di risposta allo stress (Rees, 1976).

Si approda al concetto di stress psicologico grazie a Lazarus (1966). Per il teorico la reazione di stress dipendeva sia dai diversi fattori di personalità sia dalla valutazione cognitiva in grado di attribuire significato allo stimolo. Alla luce di ciò: se l’individuo riteneva lo stimolo come rilevante, si produceva un’attivazione emozionale con conseguenti rispostesomatiche, viscerali e psichiche. Lazarus propose un approccio relazionale per comprendere la relazione stressante individuo-ambiente: essa è data dal relativo equilibrio di forze tra le richieste ambientali e le risorse possedute dalla persona. L’Autore aveva postulato che: se le risorse della persona e le richieste ambientali si bilanciano non si ha alcuna situazione stressante; invece nel caso in cui quest’ultime fossero eccedenti le risorse dell’individuo, si instaurava una relazione stressante individuoambiente. Questo equilibrio era mediato dal significato relazionale, ossia dalla considerazione soggettiva (danno, minaccia o sfida) che l’individuo attribuiva alla relazione persona-ambiente. Il teorico asserì che lo stress non fosse dettato da una relazione di stimolo-risposta ma da un sistema caratterizzato da: antecedenti causali, che fanno riferimento a variabili situazionali e personali; processi di mediazione; effetti sulla sfera sociale, psicologica e fisica. Gli antecedenti causali rappresentavano le caratteristiche dell’ambiente e dell’individuo, tra le quali esisteva un’interazione dinamica o transazione. Le variabili situazionali facevano riferimento non solo agli aspetti legati all’ambiente sociale e relazionale ma anche alle proprietà delle situazioni che le rendevano potenzialmente pericolose, minacciose o stimolanti. Per esempio tra le variabili situazionali citate vi erano: le prescrizioni sociali, che definivano ciò che l’individuo non dovrebbe fare, infatti se violate comportavano punizioni; l’ambiguità dell’evento, ossia la mancanza di chiarezza connessa all’evento stesso, che portava il soggetto a valutare l’evento in base alle sue caratteristiche personali. Nelle variabili disposizionali si avevano: gli obiettivi, ossia ciò che era importante conseguire per l’individuo, senza i quali non ci sarebbero neanche fonti di stress; le convinzioni personali ed esistenziali che riguardavano il modo in cui si concepiva se stessi e il proprio posto nel mondo; ed infine le risorse personali (intelligenza, competenze sociali, livello di istruzione etc.). I processi di mediazione avevano la funzione di mediare la relazione tra le caratteristiche situazionali e le caratteristiche disposizionali. Per processi di mediazione il teorico intendeva sia la valutazione cognitiva della situazione sia le strategie di coping per fronteggiarla. Per quanto riguarda la valutazione cognitiva della situazione, l’autore distingueva due tipi di valutazione: la valutazione primaria e la valutazione secondaria. La valutazione primaria era rivolta all’evento e al significato che il soggetto gli attribuiva rispetto al proprio benessere. Ad essa si aggiungeva la valutazione dei benefici derivanti dalla situazione stessa. Per valutazione secondaria, invece si intendeva la considerazione delle risorse e opzioni disponibili per gestire il danno. Il coping era considerato uno sforzo cognitivo e comportamentale che l’individuo compieva per far fronte a un evento stressante. Esso svolgeva due funzioni: cambiare la difficile relazione con l’ambiente e modificare lo stato emozionale del soggetto. Il fronteggiamento di un evento stressante comportava degli effetti sulla sfera sociale, psicologica e somatica. Per quanto riguarda la sfera sociale, Lazarus ha affermato che percepire una situazione come una minaccia può portare le persone al ritiro sociale o ad assumere comportamenti antisociali. Viceversa, il saper cogliere la sfida incoraggiava l’iniziativa, aumentando gli scambi comunicativi con gli altri.Per quanto riguarda la sfera psicologica, il teorico ha sottolineato l’impatto che l’affrontare degli eventi stressanti può esercitare sui vissuti emotivi: l’impatto emotivo che, a lungo andare, influenzava lo stesso benessere psicologico (Lazarus, 1966).

A partire da tale lavoro, Endler e Parker (1990) hanno asserito l’esistenza di tre diverse tipologie di coping:

  • coping centrato sul compito (task coping), facendo riferimento alla tendenza ad affrontare il problema direttamente fronteggiando la crisi;
  • coping centrato sulle emozioni (emotion coping), il quale allude al controllo delle proprie emozioni o abbandono ad esse in una situazione di disagio;
  • coping centrato sull’evitamento (avoidance coping), in cui emerge il tentativo di evitare la minaccia impegnandosi in altre attività o ricercando supporto sociale.

Pertanto si verrebbero a costituire dei veri e propri stili di coping, attuati dagli individui a seconda delle situazioni che si presentano e che rappresentano atteggiamenti, tipici del soggetto, di adattamento agli eventi potenzialmente stressanti. A questo punto, emerge l’importanza della percezione soggettiva dello stress e della sensazione, altrettanto soggettiva, di fronteggiarlo: infatti, man mano si è andata consolidando l’idea che la risposta allo stress fosse fortemente dipendente sia dalla valutazione attuata dall’individuo sia dall’evento, sia dalle proprie capacità di affrontarlo (Compare e Grossi, 2012).


© Il Burnout negli insegnanti – Federica Sapienza


Cos’è lo stress

Lo stress

“L’eliminazione dello stress sarebbe equivalente alla morte.”(Selye,1936)

Cos’è lo stress 

Il termine “stress” deriva dal latino “stringere” (legare strettamente, spremere con forza), dalla stessa radice viene anche la parola “strain” più usata nel senso di sforzo doloroso, peso, affanno, lotta. In ingegneria, i due termini hanno conservato il loro rapporto semantico di causa, noto anche come stress, ed effetto, noto come strain. In psicofisiologia invece, si distinguono anzitutto due diverse forme dello stress biopsicosociale: lo stress positivo o eustress, nonché una reazione fisiologica di adattamento a condizioni o eventi ambientali, e lo stress negativo o distress, cioè quella condizione di squilibrio (reale o percepito) tra pressioni o richieste ambientali e le capacità e risorse individuali a farvi fronte. In entrambi i casi, lo stress comprende una risposta ad esigenze poste all’organismo: tali esigenze possono superare i limiti di ciò che l’individuo può affrontare oppure restare in tali limiti. Nel secondo caso, la mobilizzazione e l’uso di risorse personali può aumentare le capacità adattative dell’individuo (Sibilia, 2010).

Da un punto di vista teorico il meccanismo alla base dello stress e le relative conseguenze sull’organismo risalgono a Darwin (1872) che descrisse le manifestazioni somatiche degli stati di attivazione emozionale e comportamentale tra cui: la tachicardia, la sudorazione, la dilatazione pupillare etc. (Prunetti, 2010).

I successivi pionieri degli studi sullo stress furono Cannon (1915) e successivamente Selye (1936). Cannon (1915) iniziò le sue ricerche servendosi dei raggi X per osservare il processo di digestione negli animali. Durante gli esperimenti in un animale sottoposto a stress il processo digestivo si interruppe; ciò gli suggerì alcune ipotesi sulle risposte con cui l’organismo reagisce a situazioni come il pericolo, la paura ed il dolore. Da qui introdusse la teoria del “fight or flight response” per la quale l’uomo risponde alla percezione di una minaccia con una attivazione rapida del sistema nervoso autonomo e dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene. Il sistema nervoso autonomo è costituito da una componente detta simpatica, che entra in azione quando c’è necessità di mobilitare le risorse dell’organismo, e da una componente chiamata parasimpatica che invece ha il compito di ripristinare le risorse spese durante l’azione. Ipotalamo, ipofisi e surrene sono parte del sistema endocrino che hanno la funzione di rilasciare ormoni che alterano il metabolismo durante l’attivazione simpatica. Il risultato finale di entrambe le vie è il rilascio di ulteriori ormoni che inducono, nella maggior parte dei casi, un’azione motoria che può essere la fuga (flight) o l’attacco (fight) (Cannon, 1915).

Selye (1936) riprese gli studi di Cannon, introducendo per la prima volta in ambito psicofisiologico il termine “stress”, tanto da essere noto in America come “Dottor Stress”. Dai suoi esperimenti con i topolini emerse che, indipendentemente dal tipo di sostanza somministrata (batterio o tossina) o di procedura nociva (eccesso di caldo o di freddo) applicata al topolino, era possibile identificare tre fasi della risposta (allarme, resistenza, esaurimento): ciò diede origine alla “sindrome generale di adattamento” (General Adaptation Syndrome, GAS), caratterizzata da precise modificazioni a carico degli organi dell’animale. Il dato più interessante fu che anche uno stress psicologico (la visione di un predatore o l’immobilizzazione in una gabbia stretta) poteva causare la medesima sindrome (Selye, 1936). 

La successiva ricerca di Selye (1946) si concentrò sullo studio dell’adattamento dell’organismo animale e umano ai diversi tipi di agenti stressanti (tossici, fisici e psichici). Lo stress poteva così essere prodotto da un’ampia ampia di stimoli denominati “stressor”, i quali producevano essenzialmente la medesima risposta biologica. La sindrome generale di adattamento prevedeva così tre fasi: 

  • Fase di allarme: in cu si hanno reazione di allarme sostenute da attivazioni neurovegetative con il rilascio di adrenalina e noradrenalina, permettendo così una rapida reazione del sistema nervoso autonomo che innesca un insieme di cambiamenti fisiologici che hanno come scopo l’autoconservazione. Negli animali questo è il momento del pericolo e dell’attacco.
  • Fase di resistenza: l’iperproduzione di cortisolo continua, mentre l’organismo è impegnato nel fronteggiare lo stressor. In questa fase si assiste ad un progressivo adattamento dell’organismo ed un progressivo recupero dell’omeostasi.
  • Fase di esaurimento: questa fase prende piede quando l’esposizione all’agente stressante si protrae eccessivamente. La corteccia surrenale entra in uno stato di esaurimento funzionale. I cambiamenti psicofisici che si producono nell’organismo durante questa fase, danno origine a modificazioni patologiche.

È opportuno aggiungere che in relazione a come gli stressor vengono percepiti, può subentrare la mobilitazione globale delle risorse energetiche dell’organismo, in cui gli eventi che minacciano la sopravvivenza stessa dell’individuo richiedono una risposta immediata e potente; oppure può sopraggiungere l’ansia, quando la minaccia non è immediata e oggettiva, ma è una aspettativa di minaccia. Lo stress del primo tipo di per sé non è dannoso, anzi: di fronte a un reale pericolo immediato può salvare la vita, innescando risposte altrettanto immediate ed energiche: risposte di attacco o di fuga (in inglese: fight or flight). Ma nel caso in cui la minaccia sia di tale entità da provocare uno shock emotivo (come quando l’individuo si trova coinvolto in una situazione disastrosa o catastrofica), il risultato può essere quello del Disturbo Post-Traumatico da Stress.Lo stress disadattivo più frequentemente si verifica quando la situazione stressogena diventa abitudine, subentrando così una tendenza alla preoccupazione, uno stato d’ansia perdurante. Viene definito sindrome di attivazione perché una costante attivazione delle risorse dell’organismo è logorante e, alla lunga, produce danni: i cosiddetti disturbi da stress (Anchisi e Dessy, 2008).

Per Selye (1976) lo stress è “l’essenza della vita”, non è un fenomeno legato all’emergenza: ci può essere una buona o una cattiva gestione dello stress (rispettivamente, eustress e distress). Nel caso del distress, ciò che è negativo non è la risposta allo stimolo, ma i sentimenti negativi che l’accompagnano. Sono i sentimenti negativi che di per sé procurano danno (Anchisi e Dessy, 2008). Il concetto strettamente connesso a questa visione è quello di “adattamento”, il quale presuppone modificazioni fisiologiche o patologiche (malattie da disadattamento). Per designare questo processo dinamico, Selye coniò il termine eterostasi (Bottaccioli,2006). 


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Il burnout negli insegnanti

Introduzione

Quando le richieste provenienti dall’ambiente esterno spingono costantemente l’individuo a fornire prestazioni superiori al normale, è possibile che si venga a creareuno squilibrio che può essere definito “stress”. Selye (1936), uno dei più grandi studiosi dello stress, lo definì come “una condizione aspecifica in cui si trova l’organismo quando deve adattarsi alle esigenze imposte dall’ambiente”, ossia una reazione che ognuno di noi ha di fronte a diverse richieste, difficoltà o prove.

Esso è parte del nostro vivere; ha valenza positiva (eustress) quando è caratterizzatoda una durata breve, mentre diventa nocivo (distress) nel momento in cui si protrae per lunghi periodi di tempo.

A tal proposito,una o più condizioni stressogene, se particolarmente intense o protratte nel tempo, possono indurre l’ormai nota sindrome del burnout (Maslach, 1982). Questo fenomeno avviene quando si creano due forti discrepanze tra alte richieste del lavoro e la persona che lo svolge, creando così alti livelli di stress cognitivo, emotivo e sociale, vissuti come ingestibili (Rossati & Magro, 1999).

Secondo un primo modello del burnout di Maslach (1982), la sindrome è caratterizzata da esaurimento emotivo, depersonalizzazione e ridotta realizzazione personale.

I sintomi dell’esaurimento psicofisico riconducibili al burnout sono dati da: insonnia e disturbi da somatizzazione (ad es. cefalea, disturbi gastrointestinali); un rilevante senso di affaticamento dopo il lavoro ed alta incapacità di concentrazione. La depersonalizzazione si manifesta invece con: atteggiamenti colpevolizzanti nei confronti degli utenti; cinismo; perdita di sentimenti positivi verso gli utenti (ad es: respingere le telefonate); assenteismo e resistenza a recarsi a lavoro. La ridotta realizzazione professionale si associa al disinvestimento, al senso di fallimento personale e professionale.  

Secondo alcuni autori sembrano essere più esposti al burnout coloro che possiedono una ridotta resistenza individuale agli stimoli (nota come hardiness), la quale permette di reagire alle sollecitazioni con tenacia (Marck, 1990). La personalità hardy possiede tre caratteristiche:  •è consapevole del proprio ruolo nella società e del significato attribuito alla propria esistenza

  • percepisce le novità come stimolo anziché come insidia
  • sente di poter controllare gli eventi senza esserne sopraffatto.

Il burnout degli insegnanti è stato ampiamente discusso a livello internazionale. Fino ad oggi sono stati ottenuti dei risultati sovrapponibili riguardo al burnout degli insegnanti appartenenti a Paesi diversi (Chan, 1995; Manthei, 1988); dai essi è possibile dedurre che il burnout si classifica come un fenomeno psicosociale molto complesso, in cui entrano in gioco fattori di rischio personali, relazionali e ambientali.


© Il Burnout negli insegnanti – Federica Sapienza


Clima organizzativo: conclusioni

Conclusioni

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“Trova un lavoro che ti piace e aggiungerai alla tua vita cinque giorni a settimana” – H. Jackson Brown Jr.

In questo lavoro ho trattato il tema del clima organizzativo poiché, mai come oggi, nella gestione delle risorse umane e nelle prassi manageriali delle imprese più attente ai propri dipendenti, emerge forte l’esigenza di cogliere sentimenti e sensazioni delle persone nelle organizzazioni.

Il fattore umano è l’elemento in grado di fare la differenza all’interno del mercato: le persone, infatti, possiedono una pluralità di conoscenze, competenze e capacità fondamentali per lo sviluppo delle organizzazioni, le quali hanno il compito non facile di gestire al meglio le proprie risorse umane per tradurre in valore il loro potenziale.

Ma le persone sono anche portatrici di sentimenti ed aspettative che le organizzazioni non possono trascurare: per loro il lavoro individua un tassello importante della loro vita. Diventa quindi fondamentale per un’organizzazione avere la capacità di riconoscere e soddisfare bisogni e necessità dei singoli individui, poiché godere di risorse umane motivate, che nutrono sentimenti positivi verso l’organizzazione e che vivono il proprio lavoro con positività ed entusiasmo, significa avere maggiori possibilità di raggiungere performance di eccellenza.

In conclusione, a mio parere l’obiettivo che le imprese dovrebbero perseguire nel contesto economico italiano attuale, dovrebbe essere quello di sviluppare pratiche e strumenti di gestione delle risorse umane che permettano loro di ascoltare sempre meglio i propri dipendenti. E’ solo in presenza di azioni che incoraggiano sentimenti positivi verso l’organizzazione ed il proprio lavoro che ogni persona può sentirsi bene con se stessa e tradurre questo sentimento nella capacità di creare valore per l’azienda.

BIBLIOGRAFIA

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© Chiedimi se sono felice:Analisi del Clima Organizzativo e del suo effetto sulle risorse umane – Dott.ssa Sonia Barbieri


Elenco di item sul clima organizzativo

Appendice-Elenco di item di tre strumenti di misura del clima

Di seguito sono elencati alcuni item di esempio di tre questionari sul tema del Clima organizzativo: QCE (Questionario sulla Competenza Emotiva), WES (Work Environment Scale = Questionario sull’Ambiente di Lavoro) e IMPC (Inductive Measurement of Psychological Climate = Misura Induttiva del Clima Psicologico).

ALCUNI ITEM QCE

  1. Il mio lavoro è chiaramente definito
  2. La mia azienda è aperta al progresso sociale
  3. Le informazioni circolano spesso secondo modalità confidenziali
  4. Il mio lavoro mi permette di utilizzare tutte le mie capacità e conoscenze
  5. Nel mio lavoro dispongo di una certa autonomia
  6. Nella mia azienda le persone possono esprimere liberamente i propri sentimenti
  7. Questa azienda ha la reputazione di essere retrograda da un punto di vista sociale
  8. I tempi del mio lavoro (o i traguardi del mio lavoro) sono stabiliti senza la mia partecipazione
  9. Qui si incoraggiano le idee innovative e originali
  10. In questa azienda si discute regolarmente con il personale dell’avanzamento professionale
  11. Le promozioni si concedono sulla base delle relazioni personali
  12. Le informazioni importanti circolano sempre agli stessi livelli
  13. Viene incoraggiato il lavoro di gruppo
  14. Nel mio reparto vige la regola “ciascun per sé …”
  15. Mi viene lasciata libertà nell’esecuzione del mio lavoro
  16. I locali dove lavoro sono confortevoli
  17. Nel mio reparto le persone sono solidali
  18. Qui è difficile che le decisioni siano prese velocemente
  19. Io posso parlare facilmente dei miei problemi personali con i superiori
  20. Ho un ruolo più importante nelle mie attività extra-lavorative che non qui
  21. Qui si incoraggiano le persone ad adottare prospettive a lungo termine
  22. Solo i quadri dirigenti sono informati degli obiettivi e dei risultati dell’azienda
  23. In questa azienda c’è un buon clima
  24. Nel mio reparto le ambizioni personali di ciascuno prevalgono sullo spirito di gruppo
  25. Le comunicazioni dai vertici alla base consistono essenzialmente nel trasmettere direttive

ALCUNI ITEM WES

  1. Il mio lavoro è veramente una sfida continua
  2. Si fa tutto il possibile per facilitare l’inserimento di un nuovo assunto
  3. Quando parlano ai dipendenti, i superiori tendono ad adeguarsi al loro livello
  4. Sono pochi i dipendenti che hanno responsabilità importanti
  5. Il personale porta a termine il proprio lavoro con molta attenzione
  6. C’è una costante pressione affinché si mantenga un certo ritmo di lavoro
  7. Talvolta c’è una certa disorganizzazione
  8. Si pone molta enfasi sulla rigida osservanza di regole e ordini
  9. Si apprezza chi esegue il proprio lavoro con originalità
  10. Talvolta fa troppo caldo
  11. Non c’è abbastanza spirito di gruppo
  12. Talvolta l’atmosfera è troppo fredda
  13. Di solito i superiori si congratulano con chi ha svolto bene il proprio lavoro
  14. Ognuno ha la possibilità di svolgere il proprio lavoro come preferisce
  15. Molto tempo viene sprecato per varie inefficienze
  16. Tutto sembra sempre urgente
  17. Le attività sono pianificate bene
  18. Ognuno sul lavoro può vestirsi come preferisce
  19. Le nuove e diverse idee vengono sempre messe alla prova
  20. L’illuminazione è ottimale
  21. La maggior parte del personale sembra puntuale
  22. C’è un interessamento reciproco tra colleghi
  23. I superiori tendono a scoraggiare le critiche da parte del personale
  24. Il personale è incoraggiato a prendere le proprie decisioni in modo autonomo
  25. Raramente si rimanda qualcosa a domani
  26. Non c’è un attimo di relax
  27. Regolamenti e norme sono talvolta ambigui e confusi
  28. Il personale è tenuto ad osservare determinate regole nello svolgere il proprio lavoro

 

ALCUNI ITEM IMPC

  1. Nella mia azienda le persone si aiutano attivamente l’una con l’altra
  2. Quando sono a casa qualche volta temo di sentir suonare il telefono perché può essere qualcuno che chiama per problemi di lavoro
  3. I miei superiori non fanno favoritismi
  4. Lavorare in questa azienda è stressante
  5. I miei superiori conoscono le mie capacità e fanno in modo che anche io le riconosca
  6. Posso contare sulla lealtà dei miei superiori
  7. È improbabile che i miei superiori mi facciano ingoiare bocconi amari
  8. Nella mia azienda i dipendenti pensano solo al proprio tornaconto individuale
  9. I miei superiori sono pronti a riconoscere una buona prestazione lavorativa
  10. Molto spesso sento commenti positivi sul mio operato
  11. I miei superiori promuovono continuamente nuovi modi di fare le cose
  12. Mi sento molto legato ai dipendenti della mia azienda
  13. Mi sembra di non avere mai una giornata libera
  14. Posso confidarmi con i miei superiori
  15. C’è un forte spirito di squadra tra i dipendenti della mia azienda
  16. È improbabile che i miei superiori mi diano consigli sbagliati
  17. È facile parlare con i superiori di problemi legati al mio lavoro
  18. Sono ragionevoli gli obiettivi di lavoro stabiliti dai miei superiori
  19. I miei superiori hanno una grande integrità personale
  20. I miei superiori sono persone con cui posso confrontarmi
  21. Vengo gratificato dai superiori se eseguo bene il mio lavoro

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Clima organizzativo: Follow up

Follow up

La capacità dell’intervento formativo di incidere concretamente sui risultati di impresa si concretizza al meglio affiancando i partecipanti anche nei day after. L’efficacia della formazione sarà verificata nel tempo, ed i professionisti che la realizzano saranno presenti in azienda, collaborando con la Direzione, in diversi momenti successivi di verifica e/o affiancamento delle risorse.

I risultati vengono presentati al management attraverso la stesura di un report che tiene conto di tutte le informazioni, quantitative e qualitative, raccolte durante la diagnosi di clima, unitamente a quanto emerso dalle riunioni coi diversi gruppi aziendali nel momento del feedback.

Il management viene supportato per l’attività di comunicazione interna degli stessi dati da professionisti esperti in materia. E’ possibile concordare diversi momenti di verifica e/o di affiancamento delle risorse, ed ottenere da queste un feedback collaborativo utile a raggiungere lo scopo degli interventi.

Fig. 21 – L’importanza del follow-up – https://www.bing.com/images/search?view=detailV2&ccid=dUxKO3DB&id=C283C30DF0724BFE6A480119A79E686E738064EB&thid=OIP.dUxKO3DBQBoTirzzXjjrOgHaGu&q=action+plan+e+follow+up&simid=608001039894249679&selectedIndex=41&ajaxhist=0

Le nuove competenze e i comportamenti virtuosi acquisiti nel corso del tempo necessitano di allenamento costante per potersi consolidare. Il follow-up ha lo scopo di garantire un’applicazione metodica nel tempo, fino al punto in cui il singolo operatore è in grado di gestire il cambiamento autonomamente, senza più l’intervento esterno dei consulenti.

Al termine della formazione vengono avanzate proposte di miglioramento e prospettati gli sviluppi futuri. Inoltre, si misurano: la consapevolezza del ruolo; l’assunzione di responsabilità rispetto ai comportamenti espressi, lontani dai valori aziendali individuati; il livello di impegno nei confronti dell’azienda (commitment); l’attivazione di una motivazione spontanea verso l’integrità aziendale.

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Clima organizzativo: Piano di Intervento

Piano di Intervento

L’assessment produce spunti da scegliere ed adattare per organizzare un buon intervento formativo. Il risultato viene analizzato insieme alla dirigenza ed orienta ed ispira il successivo programma.

L’obiettivo, per la Direzione dell’azienda ma anche per i consulenti che intervengono, è incidere sulla produttività economica, e su ciò si deve valutare l’efficacia del progetto.

Gli spunti di seguito elencati costituiscono il layout dell’intervento formativo. Contenuti e argomenti sono da scegliere e adattare sul risultato dell’assessment.  L’esito dei test verrà analizzato insieme alla dirigenza, e orienterà il successivo sviluppo del programma. L’obiettivo finale, per la direzione dell’azienda e per i consulenti che intervengono, è di incidere positivamente sulla qualità della vita aziendale e sulla sua produttività economica.

Le persone giuste al posto giusto

Conoscere i propri collaboratori, saperli scegliere e posizionare nei ruoli più adatti alle loro capacità è difficile, ma riuscire a farlo porta grandi risultati, in termini di qualità del lavoro e di business. Ogni risorsa, se sta facendo quello per cui è più portata, darà il meglio di sé e collaborerà veramente al risultato economico dell’intera azienda. Di norma, invece, sono molti coloro che – demotivati e convinti di essere incompresi – applicano nel lavoro il minimo sforzo indispensabile. Per non parlare di conflitti, assenteismo, ecc.  Mettere le persone al posto giusto crea autostima, disinnesca problemi, aumenta la produttività in senso qualitativo e quantitativo.

La collaborazione

La collaborazione di per sé è un concetto astratto. In realtà le persone si muovono insieme solo se sentono di avere lo stesso obiettivo e lo stesso interesse, se no non lo fanno. Devono sentire come propria la mission aziendale, avere senso di appartenenza ad una realtà importante e riconosciuta, un’organizzazione che fa qualcosa di utile, e lo fa bene.

Per collaborare bisogna soprattutto sapersi mettere nei panni dell’altro, capirne il modo di comunicare, il punto di vista, e capire il valore della diversità, perché è proprio grazie alla diversità che un’azienda funziona. Collaborare implica avere fiducia nei colleghi, e saper delegare problemi e soluzioni. Questo è strettamente legato alla comprensione profonda del ruolo degli altri in una organizzazione complessa. Per impegnarsi a fare questo servono però le giuste motivazioni personali.

Oltre alle diversità potenzialmente critiche fra singoli individui, è da considerare quella che esiste fra diverse “mentalità tipiche”. In un’azienda esistono reparti operativi, come quello tecnico, quello amministrativo/gestionale, quello commerciale, ecc. I reparti raggruppano persone che presentano generalmente un certo modo comune di ragionare; ad esempio, un approccio molto razionale per i tecnici, uno flessibile e orientato alla relazione per i commerciali, quello affidabile ma a volte puntiglioso degli amministrativi, ecc.  Questa diversità è evidentemente un valore per l’organizzazione nel suo complesso, ma spesso nei rapporti fra reparti genera forti incomprensioni e conflitti che si ripercuotono pesantemente sui risultati.

La leadership

Le persone, anche se spesso non lo ammettono, hanno bisogno di essere guidate e quindi di avere un leader. Un leader riconosciuto, non solo eletto dall’alto. La differenza fra autorità e autorevolezza è fondamentale per motivare i propri collaboratori e farsi seguire con convinzione ed efficacia. Essere considerati capaci e credibili non è la stessa cosa che essere obbediti “per forza”. Tutto questo è tanto più vero in un contesto organizzato e complesso quale un’azienda.

Una leadership autorevole è in grado di trattenere le risorse migliori e di influire concretamente sulla loro motivazione, sviluppare al meglio i talenti potenziali, trasmettere efficacemente ai collaboratori strategie, modi e ritmi di lavoro.

D’altro canto, non è da sottovalutare il ruolo reale dei leader negativi. Anche se involontariamente, alcuni collaboratori sono in grado, se non vivono bene la loro situazione, di danneggiare gravemente le dinamiche di relazione. Disinnescare le potenzialità negative è un aspetto delicato e difficile, e riguarda le competenze di un vero leader.

La comunicazione efficace

Argomento che sembra riguardare più tipicamente le reti di vendita, la comunicazione è in realtà alla base di tutti i ruoli in azienda, ed è il lubrificante delle relazioni fra i singoli individui. Tutti i livelli di collaborazione possono beneficiare della capacità di comunicare efficacemente.

La comunicazione orizzontale, fra colleghi di pari grado, e quella verticale tra livelli diversi, richiedono sensibilità e accorgimenti che pochi, nella pratica quotidiana, conoscono ed utilizzano. Tecniche come PNL (Programmazione Neuro Linguistica), utilizzo di parole chiave, conoscenza della comunicazione non verbale consentono agli individui un salto di qualità nell’efficacia delle relazioni e nel raggiungimento degli obiettivi. In particolare, esistono ruoli non tipicamente commerciali, dove la capacità di comunicare efficacemente fa la differenza, e a volte determina l’immagine stessa che l’azienda offre di sé, quali centralinisti, ruoli di segreteria, ricambi e customer care. Anche questi ruoli possono trarre grande vantaggio da una formazione specifica.

Fig. 21 – La scala della comunicazione efficace – https://www.schenck.de/wp-content/uploads/2013/06/225_evaluation_climb.jpg

© Chiedimi se sono felice:Analisi del Clima Organizzativo e del suo effetto sulle risorse umane – Dott.ssa Sonia Barbieri

L’assessment center

L’assessment center

L’assessment center è una metodologia utile ad individuare il possesso delle capacità necessarie a svolgere ogni tipo d’attività professionale; capacità fondate su comportamenti che consentono di raggiungere risultati in collaborazione con altre persone, di presidiare ed affrontare specifiche situazioni complesse, di tenere sotto controllo tensioni interpersonali, di innovare.

L’Assessment Center si avvale di simulazioni di situazioni organizzative che consentono la rilevazione, da parte degli osservatori, dei comportamenti fondamentali che dovranno essere messi in atto dalle persone valutate. Si tratta di un insieme di diversi test situazionali che richiedono alla persona di eseguire uno o più compiti e che si propongono di misurare gli aspetti emotivi del comportamento. Tali esercitazioni, richiamando il più possibile la realtà aziendale, agiscono da stimolo per attivare i comportamenti che si vogliono osservare e valutare.

Le esercitazioni possono essere individuali o di gruppo, e possono simulare situazioni e finalità diverse quali: analizzare e risolvere uno o più problemi; valutare alternative; prendere delle decisioni; organizzare delle attività; impostare un progetto; presentare dati e proposte.

Tra le esercitazioni di gruppo è molto utilizzata la dinamica di gruppo: è una discussione in gruppo di un caso aziendale, oppure di situazioni uniche quali la sopravvivenza nel deserto o il naufragio, ed ha una durata fra i 45 e i 90′. Se ci sono più esercizi di gruppo i valutatori devono ruotare fra i vari esercizi in modo da non osservare mai gli stessi candidati. A conclusione della dinamica è utile far compilare al partecipante una scheda in cui egli esprime le sue percezioni della performance propria e del gruppo.

Le esercitazioni individuali più utilizzate sono: in-basket, un vero caso aziendale che richiede di affrontare problemi e prendere decisioni in merito a problemi trovati sulla scrivania sotto forma di posta in arrivo, memo e messaggi telefonici; case presentation: caso di strategia aziendale da elaborare individualmente e successivamente esporre in pubblico, che prevede cambiamenti inaspettati per verificare capacità di flessibilità e gestione del cambiamento; check-list autovalutativa, che presenta una serie di quesiti comportamentali basati sulle competenze da indagare.

L’Assessment center è oggi uno degli strumenti più utilizzati in azienda per la valutazione del potenziale e la valutazione delle attitudini dei dipendenti, cioè le sue possibilità di crescita e di sviluppo che quindi possono permettere di valutare la possibilità di ricoprire una posizione organizzativa più complessa. Obiettivo è infatti quello di scoprire e valutare le caratteristiche a disposizione di un individuo, aldilà di quelle richieste per soddisfare gli obiettivi del ruolo già ricoperto.

Gli strumenti dell’assessment center, cioè le prove ed i test, devono simulare la realtà, quindi richiamare contenuti aziendali, e devono avere un obiettivo esplicito. E’ importante che il valutatore non decida a priori e quindi non comunichi al gruppo chi deve guidare il gruppo nella prova: è una cosa che deve emergere dal gruppo e di cui poi il valutatore deve tenere nota.

I campi d’applicazione dell’Assessment Center sono:

  • verifica del grado di copertura del ruolo nell’organigramma aziendale;
  • verifica e possibilità di un adeguamento rispetto ad un ruolo, o diversi ruoli, di medesima o maggiore complessità;
  • valutazione del potenziale;
  • analisi estemporanea delle risorse disponibili per la verifica del possesso di determinate capacità in momenti di forte e improvvisa necessità di copertura di nuovi ruoli o di ruoli critici;
  • individuazione dei bisogni formativi in modo mirato;
  • verifica del possesso delle capacità necessarie per ricoprire posizioni diverse (orientamento, sviluppo, piani di carriera, rotazioni);
  • processi di selezione interni/esterni;
  • processo di verifica dell’architettura organizzativa dell’impresa;
  • audit a seguito d’esigenze derivanti da ristrutturazioni, fusioni, acquisizioni, collocazione di personale ed esuberi.

 

Fig. 20 – L’assessment ed i suoi valori – http://salescoach.us/wp-content/uploads/2015/07/Assessment-1.jpg

 

 

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Clima organizzativo: assessment

Assessment

Foto di Wokandapix da Pixabay

 

Per assessment si intende la valutazione globale della persona, il suo potenziale, le attitudini, le competenze, la coerenza e adeguatezza ad un profilo lavorativo, considerando anche le sue risorse e i suoi limiti. La parola assessment deriva dal latino “assidere”“sedere come giudice” e anche da “assise”“sessione di giudici nei municipi”, tradotta dall’inglese significa appunto “valutare, stimare, giudicare”.

Un’analisi iniziale delle risorse umane, innanzitutto di quadri e dirigenti ma anche estendibile verso il basso, è il presupposto base per progettare interventi mirati. Le skills personali possono guidare cambiamenti di ruolo in azienda, e suggerire aree di miglioramento in chiave relazionale e di prestazioni lavorative.

La somministrazione di adeguati test ed i relativi risultati crea le condizioni per costruire un vero progetto di crescita di tutta l’organizzazione. Tale progetto viene concordato fra dirigenti e consulenti, tenendo conto degli obiettivi aziendali e delle specificità, positive e negative, dei singoli.

La suddetta azienda viene affiancata con l’obiettivo di individuare i valori percepiti al suo interno e di analizzare lo scostamento esistente fra i valori ideali che secondo loro sarebbe corretto esprimere e quelli realmente espressi.

Lo scopo di tale attività è quello di riuscire a diffondere in maniera omogenea l’identità aziendale e l’immagine della stessa all’esterno.

L’intervento è sviluppato nella logica dei gruppi di lavoro, facendo percorrere ai dipendenti un viaggio ideale partendo dalla definizione stessa dei valori ed identificando quelli che, secondo il gruppo, si esprimono in azienda. La scelta del management dell’azienda di far individuare i valori ai dipendenti è determinante sia sotto l’aspetto motivazionale, sia per raggiungere un elevato tasso di qualità e creare un prodotto condiviso e su misura per l’azienda.

Viene somministrato alle figure individuate un test per rilevare correttamente le competenze personali, le attitudini e la relativa coerenza con i ruoli assegnati. Inoltre viene fatta un’analisi di clima aziendale, per definire il contesto globale di relazione, la motivazione delle risorse, le aree di rischio potenziale, ed impostare la risoluzione dei conflitti interpersonali e tra diversi reparti dell’Azienda.

Per la rete di vendita è previsto un assessment specifico mirato a identificare lo stile di vendita personale di ogni Agente, l’orientamento all’obiettivo, l’attitudine alla relazione e le competenze nella sfera della comunicazione interpersonale.

In Psicologia del lavoro l’assessment può essere utilizzato come:

  • verifica del grado di adeguatezza del ruolo nell’organigramma aziendale
  • rilevazione e valutazione delle attitudini
  • valutazione del potenziale
  • analisi delle risorse disponibili per la verifica del possesso di determinate capacità
  • individuazione dei bisogni formativi in modo mirato
  • verifica del possesso delle capacità necessarie per ricoprire posizioni diverse quali: orientamento, sviluppo, piani di carriera, rotazioni
  • processi di selezione interni/esterni
  • processo di verifica dell’architettura organizzativa dell’impresa
  • audit a seguito d’esigenze derivanti da ristrutturazioni, fusioni, acquisizioni, collocazione di personale ed esuberi.

 

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Benessere Organizzativo: Analisi all’intervento

Analisi preliminare all’intervento

“Le ricerche si costruiscono insieme fin dall’inizio; insieme si individuano obiettivi, contenuti, tempi, strumenti. Questo è il senso di un rapporto di forte responsabilità reciproca”. G. Piero Quaglino

Per gestire un’analisi di clima aziendale è assolutamente necessario, da un lato, avere chiarezza riguardo gli obiettivi, dall’altro, ottenere il consenso di tutti i membri dell’organizzazione. Si deve comunicare a chiunque sarà coinvolto nel processo quali sono le finalità dell’intervento e gli strumenti che verranno utilizzati, in modo da rendere il processo il più familiare possibile e scongiurare l’insorgere di aspettative distorte o eventuali timori. Si devono valutare con attenzione tutti i passi da fare, iniziando con incontri preliminari con i vertici aziendali e con il successivo coinvolgimento delle rappresentanze delle componenti aziendali significative, per informarle preventivamente e per favorirne la partecipazione attiva nel processo di progettazione della ricerca. Anche tutti gli altri componenti dell’organizzazione devono essere informati e coinvolti, per evitare che l’intervento venga vissuto come imposto dall’alto.

Aspetti generali concordati e problematiche emerse

La motivazione che ha spinto il management a richiedere un intervento formativo è la necessità di studiare la cultura organizzativa, per favorire margini di miglioramento e di benessere collettivo in azienda.

L’Azienda si muove in un contesto di forte crescita del mercato di riferimento, ed intende posizionarsi su di esso in modo competitivo, pur operandovi da tempo relativamente breve. Si ritiene quindi opportuna una strategia di consolidamento dei punti forti, agendo contemporaneamente sulle aree di miglioramento già genericamente individuate ma da definire con precisione in base ad ulteriori analisi.

Alcune risorse che ricoprono ruoli aziendali di rilievo lamentano insoddisfazione sui compiti loro affidati e tendono a sottrarsi a responsabilità decisionali;  in alcuni di questi casi si nota un tasso di assenteismo difficilmente spiegabile da reali motivi di salute. Sono inoltre emerse difficoltà di relazione fra le persone, in particolare quando appartenenti a reparti diversi, che impediscono una collaborazione fluida ed efficace e generano evitabili conflitti e perdite di tempo.

La rete di vendita presenta aree di scarsa efficacia, e opera in un contesto di anarchia metodologica, specie in relazione alle modalità di trattativa coi clienti. Questo è in contrasto con l’obiettivo del Marketing Aziendale che prevede un modello di approccio commerciale coerente, ed un incremento progressivo ma deciso delle vendite, sia nelle filiali italiane che all’estero.

In sintonia con il budget di investimenti previsto per la formazione, la proposta è quindi di un progetto a step progressivi, da svilupparsi nel tempo, dove viene data la priorità ai fattori critici, risolvendo i quali verranno gettate le basi per un’azione più capillare e mirata. Complessivamente saranno coinvolti nello studio 50 impiegati dell’azienda, per un totale di 29 uomini e 21 donne.

Obiettivi

In seguito alla riunione tenutasi preso gli uffici dell’organizzazione, presenti i responsabili HR e Marketing Strategico e Operativo, gli obiettivi generali di lavoro concordati sono:

  • favorire il miglioramento della qualità dell’organizzazione attraverso l’acquisizione di metodi e strumenti finalizzati a sviluppare capacità di gestione dei processi di valutazione del personale e autovalutazione.
  • avviare una politica di coinvolgimento attivo dei singoli lavoratori e all’utilizzo del loro contributo alla crescita e al miglioramento dell’organizzazione attraverso un’analisi del clima aziendale.
  • favorire lo sviluppo di accettazione ed appartenenza all’organizzazione da parte dei lavoratori, migliorando la relazione tra individuo e impresa e individuando preventivamente segnali di malessere e fattori critici, cause di comportamenti organizzativi inadeguati, per potere intervenire ed invertire la tendenza.
  • favorire lo sviluppo del senso di appartenenza da parte dei lavoratori all’organizzazione, attraverso lo sviluppo dei processi di identificazione e di interiorizzazione dei valori aziendali ed attivando una politica di ascolto basata sul coinvolgimento attivo e sul contributo dei singoli alla crescita e al miglioramento continuo dell’organizzazione.

È molto utile elaborare un testo riassuntivo dei principali punti discussi e delle decisioni prese durante l’incontro.

Metodo di lavoro

La strategia di intervento utilizzata per l’analisi del clima organizzativo nel caso di questa azienda riprende dalle tipologie di cambiamento organizzativo definite da Daft e Noe[1]. Essa è orientata sui tre livelli:

  • cambiamento della struttura e delle strategie organizzative, attraverso l’acquisizione di strumenti e metodi da parte del management per meglio gestire lo sviluppo del know how aziendale;
  • cambiamento dei processi di lavoro e dell’ambiente di lavoro, attraverso la formazione diretta ai lavoratori sui temi del benessere organizzativo;
  • cambiamento culturale attraverso l’identificazione di segnali di malessere utili a prevenire comportamenti organizzativi inadeguati.

Si comincia con un assessment iniziale preventivo, da somministrare alle figure chiave di coordinamento dei singoli reparti e alla rete di vendita, per censire le skills delle singole risorse e mirare gli interventi di formazione ai bisogni reali dell’organizzazione.

Successivamente si procede con gli interventi formativi in aula, sia per i manager che per la rete commerciale. È previsto il coinvolgimento attivo delle varie figure con una serie di feedback programmati, per dare voce alle singole esperienze e verificare in itinere l’efficacia dell’azione stessa. Gli argomenti e i contenuti in questa fase non saranno di tipo tecnico, ma riguarderanno principalmente aspetti psicologico-relazionali della vita aziendale.

Infine, è previsto un affiancamento operativo all’interno dell’azienda con alcune di queste figure, all’interno del loro ambiente di lavoro e, per i commerciali, nel momento di contatto con la clientela. A seguire, dopo la fine dei corsi in aula, si effettuerà un follow-up per garantire la verifica ed il consolidamento nel tempo dei progressi raggiunti, nelle nuove competenze e nei comportamenti.

Le variabili di studio su cui si è focalizzata l’analisi del clima organizzativo in azienda sono: motivazione al lavoro; ambiente fisico; soddisfazione lavorativa; relazioni con i colleghi e con i superiori; senso di appartenenza; coesione di gruppo; comunicazione aziendale; collaborazione; chiarezza del ruolo; autonomia; responsabilità.

Individuazione del gruppo di lavoro

Una volta contattata l’organizzazione, la prima azione consiste nella determinazione del gruppo di lavoro o team. Vi faranno parte ricercatori che hanno competenza nella gestione dei processi di analisi di clima e alcuni membri dell’organizzazione generalmente provenienti dalla direzione generale e del personale.

Costruire un gruppo di progetto solido significa trovare il modo di coinvolgere e riunire intorno a un tavolo tutte le persone che possono assumere su di sé il presidio di questo processo organizzativo prima dell’affidamento del progetto stesso alla ricerca. Il team avrà la piena responsabilità del progetto e si incontrerà prima dell’avvio dell’analisi per chiarire la proposta, definire gli obiettivi e pianificare il percorso; successivamente avrà il compito di controllare la corretta sequenza delle fasi, monitorando lo svolgimento del lavoro.

Strumenti

La metodologia utilizzata è di tipo qualitativo e quantitativo e prevede l’utilizzo dei seguenti strumenti di raccolta dati:

  • questionari standardizzati diretti ad esplorare le variabili relative agli indicatori di benessere organizzativo, ed i gruppi di indicatori funzionali alla comprensione del fenomeno: indicatori del benessere organizzativo: positivi, negativi e di malessere psicofisico;
  • focus-group (interviste di gruppo) volti ad indagare la qualità relazionale, cioè il rapporto con l’azienda, con i colleghi, con i superiori, e la soddisfazione lavorativa rispetto al ruolo svolto in azienda;
  • colloqui individuali con figure chiave del management, durante i quali è stata somministrata un’intervista individuale semi-strutturata con lo scopo di studiare le variabili qualitative relative alla soddisfazione lavorativa, alle relazioni interpersonali e al benessere organizzativo.

In seguito alla definizione degli obiettivi e del progetto formativo insieme al management aziendale, verrà studiato il contesto organizzativo attraverso l’impiego degli strumenti di raccolta sopra elencati. I dati raccolti e le variabili osservate saranno analizzati, e verranno formulate ipotesi operative e definiti degli obiettivi.

Rete di vendita

L’ Assessment dedicato alla Rete Agenti rileverà le capacità commerciali di ogni venditore, lo stile personale, le aree critiche e di miglioramento del singolo operatore. Sempre in coerenza con gli obiettivi dell’impresa, è possibile decidere di valorizzare al massimo le differenze fra i singoli venditori, ma anche di creare un preciso stile aziendale, una trattativa di vendita coerente con i valori e l’immagine che l’azienda vuole dare di sé.

Importanza particolare rivestono la questione della percezione della qualità del prodotto, e la capacità dei venditori di ottenere adeguati feedback dal cliente, per poter mappare efficacemente cosa richiede il mercato. Queste competenze, oltre a specifiche tecniche di vendita e di comunicazione efficace, saranno l’argomento dell’intervento Formativo per i commerciali.

In conseguenza dell’Assessment sarà possibile inoltre segmentare la rete per livelli di competenza/efficienza, e procedere eventualmente ad una formazione differenziata per contenuti.

© Chiedimi se sono felice:Analisi del Clima Organizzativo e del suo effetto sulle risorse umane – Dott.ssa Sonia Barbieri

[1] DAFT R., NOE R., Organizational Behavior, Harcourt, 2000