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Il benessere organizzativo: foglietto illustrativo

Il benessere organizzativo: foglietto illustrativo.

Parliamo tanto di benessere, sentiamo parlare di benessere, ma sappiamo che cosa sia il benessere?

Intanto sappiamo che il malessere ha un costo, è quantificabile sia a livello macro che a livello micro.

Delle stime inglesi ci dicono che per ogni componente dell’azienda che ha delle problematiche psicologiche si spende, all’anno, 10.000 sterline. Su un campione di un’azienda diventano cifre molto più grandi.

Il costo complessivo, ogni anno, allo stato Italiano, ad esempio, costa un 3.3% dell’intero PIL nazionale, tra spese dirette e indirette. La cifra che pesa di più, su queste spese, è quella relativa al fatto che le persone che stanno male perdono il lavoro o non lo cercano e, se ce l’hanno, non sono produttive. Si stima una perdita annua che va dai 35 ai 54 miliardi.

Allo stesso modo abbiamo le cifre delle situazioni eccelse, dove di benessere, aziendale e quindi personale, si abbonda. Ci sono degli esempi da seguire che possono insegnarci tanto, solo dobbiamo andarceli a cercare uno per uno. Perché di esempi che sono andati male abbiamo abbondati dati, ma quelli che vanno bene sono molto gelosi del proprio funzionamento.
Abbiamo già parlato di benessere in altri frangenti, orta proviamo a definirlo meglio.

Siamo talmente tanto abituati a descrivere ‘che cosa non sia’ che dargli una definizione vera, renderlo un concetto a sé stante, diventa qualcosa di molto complicato. Forse è anche per questo che le persone e le aziende non riescono a comprenderlo in tutto e per tutto.

Viene comunemente accettata la definizione dell’OMS che definisce il benessere così:

“uno stato di benessere dove l’individuo può utilizzare le proprie abilità, riesce a cooperare con i normali stressor della vita, può lavorare produttivamente e fruttuosamente, ed è in grado di dare un contributo alla comunità”

Però, nella vita di tutti i giorni, non siamo sempre felici e produttivi al massimo delle nostre capacità. Possono anche esserci periodi della vita in cui non siamo in grado di avere a che fare con gli stressor delle nostre giornate.

Al contempo stare bene e provare benessere uccidendo persone allo stesso modo non è un sinonimo di benessere, come vorremmo intenderlo noi.

Per quanto sia difficile andare a definizione il benessere nella sua natura più intima è inevitabile che ci siano delle linee guida che possono renderla una definizione comprensiva e inclusiva, a prescindere dalle differenze dei vari luoghi di provenienza.

Ne abbiamo trovata una che ci soddisfa sa uno studio (che trovate qui) di Galderisi, Heinz, Kastrup, Beezhold e Sartorius:

La salute mentale è uno stato dinamico di equilibrio interno che rende gli individui in grado di usare le proprie abilità in armonia con valori universali della società. Abilità cognitive e sociali di base; abilità di riconoscere, esprimere e modulare le proprie emozioni, oltre all’empatizzare con gli altri; flessibilità e abilità di far fronte alle avversità della vita e alle funzioni dei ruoli sociali; una relazione armoniosa tra il corpo e la mente rappresenta un importante componente della salute mentale che contribuisce, a vari livelli, allo stato di equilibrio interno.

Una definizione tutt’altro che semplice e semplificata di benessere, che vuole contenere al suo interno tutto l’insieme di sfaccettature di cui siamo composti.

Ad esempio il concetto di ‘dinamico equilibrio interno‘ si riferisce alla capacità di far fronte e riadattarsi nei vari momenti della propria vita: le crisi adolescenziali, il matrimonio, il diventare gentiri, il perdere il lavoro, ecc. Tutti momenti che sono complicati da affrontare e che non sono per niente facili, dove le emozioni negative sono presenti. In questo senso il benessere risiede nella capacità di trovare un equilibrio interno e riassestarlo a seconda dei momenti che si stanno vivendo.

In generale, il concetto di equilibrio interno, è il cardine di tutta la presente definizione di equilibrio, in quanto permette di equilibrarsi anche quando una delle componenti non funziona come dovrebbe. Perciò nonostante determinate mancanze si riesce comunque a vivere una vita piena e soddisfacente.

La regolazione emotiva è un concetto estremamente importante, che permette di cooperare con le proprie emozioni e regolarle, permettendo di far fronte a momenti difficili. E’ un0abilità che aiuta nel far fronte allo stress e alla depressione.

L’empatia è quella capacità che permette di capire che cosa le altre persone stiano provando e di sentirlo sulla propria pelle. L’assenza di questa capacità inficia le relazioni sociali, è un fattore che aumenta la violenza e contribuisce alla strutturazione di un disturbo di personalità antisociale e inficia la socialità a tanti livelli.

La flessibilità è la possibilità di cambiare il modo di fare e le idee in corso d’opera, accogliendo differenti punti di vista e nuove prospettive. La mancanza di flessibilità, di evince da sé, può creare problematiche di rigidità, grandi difficoltà in situazioni nuove, ed è un tassello importante in alcuni disturbi come il disturbo ossessivo compulsivo.

Per ultimo un concetto a noi molto caro, ovvero che la mente e il corpo sono la stessa cosa, curi uno e curi anche l’altro. Sono profondamente interrelati e senza l’uno non ci sarebbe l’altro, e si influenzano e si ammalano insieme.

Eppure questo è così solo sulla carta. Innanzi tutto la maggior parte delle persone non sa cosa significhi davvero benessere e, soprattutto, ignora o teme la parte mentale. Non ci metteremo a ribadire, in quanto clinici, che già avere timore denota una certa resistenza che è già degna di nota.

Il considerare il benessere psicologico qualcosa di non ben definito, in qualche modo spaventoso, rema contro la realtà aziendale.

Con questa complessa definizione si riesce a capire molto meglio che cosa vogliamo dire come benessere. Spiega chiaramente tutte le componenti e le trame che si dipanano dal soggetto e tutta la catena che unisce l’interno (il nostro sé) con l’esterno (ambiente)

Un insieme di tasselli che vanno a comporre la persona, il comportamento, la cognizione e le emozioni. Si parla di consapevolezza e di analisi, della capacità di adattarsi alle situazioni che ci succedono, di mutare con le richieste interne o esterne, di essere in movimento.

Pertanto lo stesso concetto di benessere all’interno dell’azienda è un concetto estremamente sfaccettato che comprende tanti tasselli al suo interno che riguardano le persone che fanno parte di quella realtà.

Il benessere parte dalle persone singole quindi.

Occuparsene è qualcosa di complesso, che richiede grandi attenzioni e, sicuramente, non può essere messo in fondo alla lista dei ‘To do‘ dell’azienda.

Secondo delle stime un dipendente che non sta bene si assenta una media di 27 giorni all’anno, con un’impatto importante sui rate di assenteismo. Lascia anche il lavoro più frequentemente e, comunque, anche se presente al lavoro non produce come gli altri.

Riuscire a intercettare questi bisogni all’interno della propria azienda è il primo dovere dell’imprenditore e del management, che si deve occupare del proprio capitale umano. Non soltanto perché una persona che sta male gli frutta meno, ma anche perché una persona che sta bene ha un impatto che va ben oltre il fatturato aziendale, contribuisce anche a creare un mondo migliore.

E il benessere organizzativo quindi? Da cosa è composto?

Partendo dal presupposto che si basa su quello che è il benessere della singola persona e del gruppo e, di conseguenza, dell’azienda, si tratta di applicare il concetto di benessere a tutte le fasi che in un’azienda comprendono le persone.

Si parla quindi di:

  • Assessment per la selezione
  • Attenzione all’inserimento
  • Formazione continua
  • Possibilità di confronto dei dipendenti
  • Cura del dialogo e dei rapporti
  • Attenzione all’ergonomia e ai fattori strutturali
  • Creazione di sinergie
  • Focus su obiettivi condivisi
  • Coinvolgimento nelle direttive aziendali

Insomma, visto e considerato che l’azienda è un essere vivente e risponde esattamente come tale a ciò che succede, possiamo dire che comprende tutto.

Perché il benessere è la vera innovazione del domani.

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Le 3 cose che i dipendenti vogliono dal loro lavoro: crescita, appartenenza, significato

Le 3 cose che i dipendenti vogliono dal lavoro: crescita, senso di appartenenza e significato.

E sì, nel caso in cui ve lo steste chiedendo, dipende proprio dall’azienda, dare tutto questo ai proprio dipendenti.

Queste necessità emergono dal bisogno dei lavoratori, che è decisamente cambiato rispetto al passato, mostrando delle necessità nuove che bisogna sapere.

Infatti assistiamo, a livello globale, ad un turnover e assenteismo che arrivano a cifre spaventose, con una spesa stimata di 3.000 dollari circa per ciascun dipendente. Senza contare tutto il costo che sta dietro alle dimissioni di un dipendente (personale qualificato che ricerchi un altro profilo, nuova assunzione, nuovo inserimento, ecc..). Queste, ovviamente, sono cifre della Harvard Business School, perché in Italia di studi scientifici ad ampio spettro come questi non ce ne sono.

Tutti conoscerete la famosissima Piramide di Maslow, un modello motivazionale basato su una gerarchia di bisogni, disposti a piramide, in base alla quale la soddisfazione dei bisogni più elementari è condizione necessaria per fare emergere quelli di ordine superiore.

I bisogni fondamentali, una volta soddisfatti, tendono a non ripresentarsi, mentre i bisogni sociali e relazionali rinascono con nuovi e più ambiziosi obiettivi da raggiungere. Ne consegue che l’insoddisfazione, sia sul lavoro, sia nella vita pubblica e privata, è un fenomeno molto diffuso che può trovare una sua causa nella mancata realizzazione delle proprie potenzialità. Per Maslow, infatti, l’auto-realizzazione richiede una serie di caratteristiche di personalità, competenze sociali e capacità tecniche.

E’ evidente, infatti, che se non riusciamo a sopravvivere con il guadagno lavorativo che abbiamo, passeremo nottate insonni cercando il modo per sbarcare il lunario.

In generale questa piramide riassume i bisogni che ci spingono ad agire in ogni frangente della nostra vita.

Ma, per noi, questa piramide è ancora valida? Possiamo aggiungere qualche gradino che ci permetta di calare più nello specifico il bisogno di auto-realizzarsi? Il significato, il senso di appartenenza e la crescita possono diventare bisogni primari?

Lo possiamo vedere direttamente da studi del mercato, dove le realtà imprenditoriali che si sono concentrate sul soddisfare bisogni non solo primari dei loro dipendenti hanno performato rispetto ai competitor (dal 1984 fino al 2011, coloro che hanno performato hanno avuto un rendimento azionario dal 2.3% al 3.8% ogni anno). Questo non è un caso.

E’ evidente che non è sufficiente per l’azienda rispondere solo ai bisogni primari, ma deve anche saper guardare oltre, a queste 3 cose che racchiudono il mondo: riuscire a comprendere i bisogni più profondi dei propri dipendenti e sapervi rispondere.

Perciò se la Piramide di Maslow venisse fatta adesso, cosa comprenderebbe?

Innanzi tutto, quello che emerge dalle realtà e dai lavoratori, il primo intramontabile bisogno è la crescita. Attenzione! Non si intende soltanto una crescita di carriera (anche se immagino, che per la maggior parte dei dipendenti, questa sarebbe ben gradita). Lo intendiamo in un’ottica personale, di upskilling e reskilling delle competenze e delle capacità sia soft che hard. Dare la possibilità ai propri lavoratori di crescere, svilupparsi e migliorare è fondamentale per far sentire le persone in grado di poter svolgere il proprio compito, motivarle e renderle maggiormente creative.

Un pilastro fondamentale, il principale motivo per cui una persona decide di andarsene o rimanere in azienda, è quello di avere un significato. Il lavoro deve riempire di significato la vita delle persone, i dipendenti devono sentire di avere un senso, un valore, all’interno della loro attività. Devono essere attivamente coinvolti e sentire di avere un peso all’interno della loro organizzazione. Costruendo realtà anche attente al sociale e impegnate nell’ambiente, il sentimento di compartecipazione che si può arrivare ad ottenere per i propri dipendenti è molto alto.

Un altro tassello fondamentale è quello del senso di appartenenza. Il lavoratore deve sentirsi parte del tutto, deve poter sentire questo senso di unione che lo integra perfettamente all’interno della sua realtà, rendendolo parte di un organismo che può lavorare in perfetta sinergia. Solo tramite il senso di appartenenza si può fidelizzare una persona, darle una casa che non lascerà e per la quale combatterà, con motivazione e spirito.

Dare un significato alla propria vita, avere la possibilità di crescere e sviluppare un senso di appartenenza per l’azienda danno alle persone orgoglio, un motivo per alzarsi tutte le mattine, permettono di trovare la soddisfazione nel proprio impiego.

L’orgoglio, il senso di appartenenza, l’acquisizione di un significato nelle proprie giornate lavorative, incrementano quello che è il senso di appartenenza e di gratificazione della persona, la rendono più felice.

Secondo alcuni studi dell’Harvard Business School dipendenti più ‘felici‘ sono il 13% più produttivi. Questo non significa che lavorino più ore del necessario, bensì che siano più efficienti nell’orario di lavoro. Ci sono tanti studi scientifici che analizzano la correlazione tra felicità e benessere sul posto di lavoro e produttività, con successivo incremento dei guadagni aziendali (un esempio qui)

La grande sfida per ogni azienda è occuparsi della motivazione, la crescita, del significato lavorativo e del senso di appartenenza di ogni dipendente.

Uno di questi studi che abbiamo trovato estremamente interessante pone l’accento su quelli che sono gli obiettivi dell’azienda e l’impatto che essa vuole avere nel mondo, dando ai dipendenti la possibilità di partecipare a questi obiettivi e portarli nel mondo.

Per fare tutto questo è fondamentale avere massima attenzione alle proprie persone, sono tantissimi punti di vista. Innanzi tutto individuare una leadership efficace, che sia emotivamente legate alle persone e che sappia motivarle. Un tassello che molte realtà dimenticano e/o danno per scontato è quello della comunicazione. Bisogna ritagliare momenti in cui si possa comunicare con tutti i dipendenti e in cui ci sia dell’ascolto reciproco, attivo e sincero.

In questo articolo si parla di come implementare il guadagno della tua azienda. Ma ricordati che il guadagno è quello che le tue persone ti permettono di ottenere.

 

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Stanchi, pieni di noia….ma soddisfatti!

Stanchi, sfibrati, pieni di noia….ma soddisfatti!

Quante contraddizioni, tutte in una sola frase!

Come si può essere stanchi e sfibrati, provare pure un forte sentimento di noia e, alla fine, esserne pure soddisfatti?

Suggeriamo di leggere anche articoli scientifici che trattano di questo specifico argomento e di come la noia sia un sentimento così diffuso e poco studiato, da avere un’importanza chiave nella vita di ognuno di noi.

Alla fine dei nostri pensieri di questa settimana siamo giunti a tirare un filo conduttore tra quella che è la noia e la nostra stanchezza, quella che sembra non mollarci già da un pò di tempo.

Perché è indubbio che la noia si accompagni ad un sentimento di scoramento, che risucchi la nostra motivazione e, quindi, anche le nostre energie per fare quello che dovremmo fare.

Questo si può unire in modo molto chiaro anche alle grandi dimissioni che stiamo vivendo nel nostro paese. Per chi non lo sapesse, a seguito dei lockdown, si è visto crescere un fenomeno in tutto il mondo: le dimissioni di massa.

Da varie analisi che sono state fatte ciò è accaduto per varie motivazioni:

  • il fermo immagine della pandemia ci ha mostrato una vita più lenta, una quasi decrescita felice;
  • il lockdown ci ha insegnato che si può vivere il lavoro in un modo differente, con una maggiore ecologia per le nostre vite quotidiane, svolgendo la nostra mansione ovunque nel mondo;
  • lo stare chiusi in casa ci ha riportati al sicuro nelle nostre vite e, per alcuni di noi, è stato un grande momento di ricongiunzione con le nostre radici;
  • la pandemia ci ha insegnato a dare valore ai nostri momenti, che il lavoro deve darci qualcosa altrimenti non ne vale la pena.

Tutto questo ha comportato che, finalmente, le persone si sono rivolte a guardare la qualità delle loro vite e non esclusivamente la quantità delle stesse. Siamo riusciti a vedere, fermandoci qualche secondo, che la vita non è un continuo correre dietro a scadenze e deadline.

La vita è un momento che va fermato e assaporata, è il nostro diritto di avere quel momento di stop e di soddisfazione oltre alle ansie delle nostre giornate frenetiche.

Un esempio che possiamo trarre dai libri è in Alice nel Paese delle Meraviglie, quando alice cade nella tana del Bianconiglio. Cadendo senza sosta, in quello che sembra un buco infinito, Alice pensa che quella alla fine sia come la sua vita di tutti i giorni. La sua attenzione passa velocemente sulle varie cose che vede attorno a sé, proprio come succede nelle sue giornate. Simula, nella caduta, anche le conversazioni che avrebbe se non stesse cadendo nel buco. Un paragone molto azzeccato.

L’intensità delle emozioni del momento scivola via e lascia, al suo posto, la noia e la ricerca di stimoli continuamente nuovi.

Perciò molte persone, guardandoci indietro, hanno pensato: ma chi me lo fa fare? Così si sono lasciate alle spalle lavori stressanti, con datori di lavoro crudeli e ambienti tossici, per aprirsi ad un mondo del lavoro insicuro e provato.

Un salto della fede verso l’ignoto.

‘What can possibly be more existentially disturbing than boredom?’

Jon Hellesnes

Un sentimento che, sicuramente, è stato fomentato anche dalla noia che abbiamo provato in quel momento e che, probabilmente, proviamo tutt’ora. Un senso di scoramento che ci pervade in quello che prima trovavamo appassionante e motivante.

La noia che porta a cambiare i nostri valori, che mette in discussione il nostro mondo, che ci lascia in quella piccola buca costruita nel terreno dove rintanarci.

Una noia che ci drena le energie rimaste e ci lascia stanchi e sfibrati.

Questo però è stato un sentimento importante, di svolta. La noia ci dice quando quello che stiamo facendo smette di avere importanza per noi, e giunge quindi il momento di fare qualcosa di nuovo.

E’ proprio quando ti ritrovi completamente annoiat* che puoi fare una summa di tutto quello she stai facendo e vederlo da un punto di vista differente.

Una lettura interessante, dal punto di vista filosofico, si può trovare qui.

Nel momento del picco di noia puoi dare un cambio ai valori e mutare ciò in cui credi e, di conseguenza, quello che fai. La noia è un potentissimo motore di cambiamento.

Nelle vite di tutti i giorni, quelle frenetiche, quelle continuamente a fare qualcosa, non riusciamo a provare la noia. Anzi spesso non ce lo permettiamo nemmeno. Come possiamo avere il lusso di essere annoiati quando dobbiamo stare dietro ai figli, sistemare il lavoro del collega, essere sempre alla rincorsa di lavori impossibili, di clienti introvabili.

Il lockdown ci ha dato questo grande lusso, quello della noia. E lei, a molti di noi, ha indicato la via. Una via nuova, fatta di svolte, di cambiamenti e di rinnovazione.

Siamo convinti che la noia e la stanchezza abbiamo mutato, per molti, le linee tratteggiate delle vite, stimolando a scegliere qualcosa di nuovo e diverso, o anche semplicemente fare un salto nel buio.

La soddisfazione arriva proprio da questo punto, dal momento in cui abbiamo cambiato il nostro mindset e ci troviamo di fronte a qualcosa di nuovo, frutto di riflessione, che ci stimola nuovamente a fare cose diverse.

Quando la noia arriva è importante non frenarla, lasciare che scorra e prendere quello come un momento prezioso. Un momento d’incontro con noi stessi e di summa delle nostre attività e ascoltare quello che la noia ha da dirci.

Potremmo trovare il tesoro alla fine dell’arcobaleno!

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News: Corso di formazione sulla menzogna

CORSO DI FORMAZIONE SULLA MENZOGNA

La Menzogna: riconoscerla, interpretarla – Tecniche per riconoscere e far emergere la menzogna

Prossime date

MAGGIO 2013
La Menzogna: riconoscerla, interpretarla – Tecniche per riconoscere e far emergere la menzogna
 
20-27 Maggio 2013 – 4  – Orari: 10-18,30
SedeBologna. NH Hotel De La Gare, Piazza XX Settembre, 2
 
Docenti. Dott. Andrea Castello, Dott. Igor Vitale
Per maggiori informazioni contattaci
Corso accreditato per Avvocati: 12 crediti totali (di cui 3 in deontologia)
La ricerca sulla menzogna è concorde sul fatto che mentire è un’attività cognitivamente ed emotivamente impegnativa, i correlati neurofisiologici, psicologici ed emozionali della menzogna, spesso, producono indizi di falso, verbali e non verbali, osservabili mediante particolari tecniche di osservazione.
Obiettivi del corso
I primi due moduli si propongono di illustrare una serie di tecniche osservative per il riconoscimento della menzogna. Verranno analizzati gli indicatori non verbali prodotti delle microespressioni facciali secondo il metodo Facial Action Coding System (FACS), dalla risposta neurovegetativa, dal linguaggio del corpo in generale e gli indicatori verbali, estratti dalla ricerca su Statement Validity Assessment (SVA) e Criteria Based Content Analysis (CBCA). Nel terzo e nel quarto modulo vengono illustrate le principali modalità per formulare domande di approfondimento finalizzate a mettere in luce il vero e ad avere il maggior numero di informazioni possibili. Il corso alterna spiegazioni teoriche ad esercitazioni pratiche.

 

I Modulo – Riconoscere il falso dal linguaggio del corpo
1. Struttura e tipi di menzogna.
2. Indizi di falso nella gestualità
  • Gesti illustratori e menzogna
  • Gesti manipolatori e menzogna
3. Indizi di falso e sistema neurovegetativo
4. Indizi di falso nella voce
5. Emblemi gestuali
6. Esercitazioni pratiche e analisi di casi reali

 

 II Modulo – Riconoscere il falso dalle microespressioni facciali
7. Codifica e decodifica delle microespressioni facciali
8. Facial Action Coding System (FACS)
9. Riconoscere le emozioni tramite l’analisi delle microespressioni facciali
10. Riconoscere il falso tramite il sistema FACS
11. Esercitazioni pratiche e analisi di casi reali
12. Role playing

 

III Modulo – Riconoscere il falso dalle forme linguistiche. Come far emergere il falso.
13. Forme linguistiche e indizi di falso
14. Criteria Based Content Analysis (CBCA)
15. Il metamodello (PNL)
16. Come far emergere il falso
17. Esercizi di calibrazione
18. Esercitazioni pratiche e analisi di casi reali.
19. Costruzione di un piano di allenamento

 

I docenti
Dott. Andrea Castello – Psicologo – Psicoterapeuta, Associate Trainer in PNL, specializzato in Training Autogeno, Terapia Ipnotica Ericksoniana, comunicazione persuasiva, psicografologia, è stato Direttore Nazionale per il settore Manageriale presso l’ARCOM e consulente tecnico del giudice e perito penale nella categoria Psicologi del Tribunale di Bologna. Presso Studio Castello si occupa di formazione e consulenza aziendale, ha lavorato per Banca Fideuram, Banca Intesa, Caterpillar, San Paolo Invest, Tecnocasa, Banca Fineco, Gabetti, Sociedad Espanola de Psicologia e altre…
Dott. Igor Vitale – dottore con lode in Psicologia Sociale, del Lavoro, della Comunicazione. Specializzato in linguaggio del corpo con certificazione Facial Action Coding System (FACS) di Ekman, Friesen, Hager, (A Human Face, Arizona, AZ), in Counseling Strategico nelle sedi del Centro di Terapia Strategico diretto dal prof. Giorgio Nardone di Arezzo e Verona, si è formato in Tecniche Rapide di Induzione Ipnotica (CIICS, col prof. Regaldo), e Ipnosi Non Verbale (CSR-CNV, col dott. Pacori), ha lavorato presso Conform (Confartigianato Foggia) come Esperto di Selezione, collabora con Studio Castello Borgia.

 

Quota di partecipazione

Quota comprensiva di materiale didattico: 200€ + iva

Sconti e riduzioni per Associati alla Camera Civile di Bologna e studenti: 160€ + iva
I costi sono da intendersi per il corso completo (entrambe le giornate).

Verrà rilasciato un attestato di partecipazione con frequenza minima del 75% delle lezioni.

 

 Per informazioni e  iscrizioni telefonare al Dott. Andrea Castello 347 4526318

 

Eventi passati
09-10-15-16 Aprile 2013 – Corso di formazione sulla menzogna, Federmanager Bologna.
22-23 Marzo 2013 – Corso di formazione sulla menzogna, c/o Fedro  Roma
20-28 Novembre 2012 – Corso di formazione sulla menzogna, Federmanager Bologna.
05 Luglio 2012 – Corso di formazione sulla menzogna –  Camera Civile di Bologna.
27 Giugno 2012 – Corso di formazione sulla menzogna – I modulo, Camera Civile di Bologna.
18 Maggio 2012 – Corso di formazione sulla menzogna, col dott. Andrea Castello. ITT Cannon Veam, Milano (MI)
30 Marzo 2012 – Corso di formazione sulla menzogna, col dott. Andrea Castello. Hotel City, Bologna.
24 Febbraio 2012 – Corso di formazione sulla menzogna, col dott. Andrea Castello. Hotel City, Bologna.

 

L’importanza dei bisogni: il marketing interno

L’importanza dei bisogni: il marketing interno

 

Sino a qualche anno fa un errore comune, dal punto di vista della gestione manageriale, è stato quello di pensare al marketing come ad una funzione completamente rivolta all’esterno: il mercato. Molto trascurato è stato invece il versante interno.

I nuovi orientamenti di marketing  propongono una visione del prodotto-servizio come un insieme di asset tangibili ed intangibili, o comunque come il risultato di un più ampio processo di creazione del valore.

Va da se che uno degli asset principali che il prodotto-servizio deve contenere è proprio la componente di lavoro, intesa in un’accezione allargata, ossia la dose di entusiasmo, energia, precisione, empatia, conoscenza e passione immessa dal lavoratore.

Parimenti ogni prodotto-servizio dovrebbe incorporare una quota di valore-lavoro, concetto questo da interpretare non da un punto di vista contabile, ne marxianamente inteso, ma come valore del lavoro, ossia insieme di condizioni di lavoro ottimali a determinare l’eccellenza del prodotto-servizio stesso.

Le tendenze pioneristiche del marketing hanno coniato l’espressione di prosumer , per indicare che oggi il cliente dovrebbe essere sempre più partecipe della realizzazione di un bene attraverso l’esplicitazione delle sue esigenze, tanto da dover essere allo stesso tempo consumatore e produttore.

Simmetricamente è possibile affermare che il lavoratore, per meglio comprendere le esigenze del cliente, dovrebbe immedesimarsi egli stesso nella figura dell’utente, fornendo così all’azienda una sorta di testing continuo sull’appropriatezza della configurazione dei benefit che si vogliono offrire al cliente finale (il modello giapponese, come si è visto, insegna).

Il  processo osmotico di valore fra l’azienda e i suoi clienti andrebbe pertanto presidiato su una dimensione globale, che prenda cioè in considerazione non solo i bisogni degli utenti finali del prodotto-servizio, ma anche e soprattutto i bisogni e le motivazioni degli utenti intermedi del prodotto “azienda”. Una volta soddisfatto il cliente interno (lavoratore), si saranno costruite le basi per una efficace soddisfazione del cliente esterno.

Per questi motivi accanto alla tradizionale visione del marketing mix, che prevede l’impiego di quattro leve di marketing (le famose “quattro P”, ossia product, price, place, promotion), si fa sempre più strada una visione a cinque P, in cui l’elemento innovativo è people , ovvero l’attenzione verso le persone.

Oggi si parla quindi di marketing interno, intendendo l’insieme delle attività finalizzate a creare e mantenere una cultura aziendale in cui ogni risorsa umana è al servizio del cliente.

È ormai ampiamente riconosciuto come le Risorse Umane interne all’impresa rivestano un ruolo centrale per ottenere vantaggi nel mercato finale.

Ciò in conseguenza della loro importanza nell’accrescere la soddisfazione del cliente, tramite la valorizzazione delle componenti relazionali dello scambio  e, per tale via, nel contribuire alla creazione di fiducia e fedeltà del cliente esterno, risorsa fondamentale per il successo di un’azienda; ecco perché è importante il marketing interno.

L’internal marketing  mira quindi ad accelerare lo scambio di informazioni e a rendere partecipi i lavoratori, avvalendosi di due fattori: motivazione e coinvolgimento.

Le persone possono così esprimere le proprie considerazioni o raccontare esperienze utili, condividendo le informazioni e proponendo nuove tematiche da approfondire.

Soprattutto nel settore dei servizi, o nelle aree di realizzazione di un prodotto che richiedono l’innesto di servizi aggiunti (quali la logistica, la ricerca dei fornitori, la progettazione, la R&S, gli ordini, la commercializzazione, il post-vendita, etc.) l’idea base del marketing interno è di mettere tutto il personale in grado di dare un contributo al miglioramento del marketing esterno, attraverso una interazione con il cliente che aggiunga valore al prodotto-servizio e l’abbattimento delle barriere interfunzionali.

In tale prospettiva il personale riveste il duplice ruolo di erogatore e fruitore di una prestazione orientata alla massima qualità, in quanto è chiamato a proporre soluzioni sempre nuove. Per raggiungere questo obiettivo, il coinvolgimento del personale nelle strategie aziendali è di vitale importanza.

La disponibilità a condividere le informazioni e la propensione all’interazione sono delle caratteristiche innate nelle persone, pertanto va stimolata la loro espressione con strumenti ad hoc. Il soggetto è chiamato comprendere i vantaggi ottenibili dall’utilizzo di questo strumento e deve sentirsi attore principale in questo processo.

La motivazione di ogni singolo crea così nuovi input costruttivi, portando ad un miglioramento crescente che il collaboratore percepisce essere creato in parte da lui stesso.

In definitiva, l’implementazione di un sistema di marketing interno consente notevoli vantaggi. Innanzitutto riduce drasticamente il time-to-market .

Viene inoltre aumentata la produttività e la collaborazione, dando vita a sinergie, stimolando la manifestazione delle “skill” (qualità personali), di idee nuove e di suggerimenti costruttivi.

Forse l’aspetto più importante è però che un sistema di internal marketing permette il monitoraggio del livello di soddisfazione delle persone verso l’azienda, in quanto è un modo per ascoltare i colleghi e saggiare la condivisione spontanea alle decisioni aziendali, rappresentando una bussola motivazionale per il top management.

L’importanza di un approccio di marketing nella gestione delle risorse interne, suggerisce infine l’analisi dell’oggetto verso cui è tradizionalmente orientato il marketing esterno: il bisogno del cliente.

Come il cliente esterno, anche quello interno ha dei bisogni che devono essere rilevati dal marketing strategico, e successivamente soddisfati attraverso il marketing operativo.

Allo stesso modo dell’approccio classico di marketing, anche in questo caso il problema principale è individuare i valori ricercati dal soggetto che viene in contatto con l’azienda, per poi tradurli in concetti di prodotto (posizione lavorativa) adatti alle sue attese.

Il motivo che spinge alla redazione di questa sezione poggia sulle considerazioni fatte nell’introduzione, riguardanti le recenti tendenze in ambito manageriale rivolte alla soddisfazione delle risorse umane, in conseguenza delle quali è possibile individuare un percorso metodologico di analisi che, come il marketing classico, ponga al centro il consumatore, in questo caso consumatore di occasioni di impiego, cioè il lavoratore.

Quest’approccio, trova tra l’altro una ulteriore giustificazione concettuale dalla tendenza, sempre più riconosciuta in ambito manageriale, dell’impiego di una gestione per processi, il cui punto fondamentale è la relazione del tipo fornitore-cliente tra un soggetto è un alto, tra un’area e un’altra, secondo una logica di reciproco servizio e di soddisfazione dei reciproci bisogni. È quanto si evidenzierà nel prossimo paragrafo.

Generalmente al concetto di bisogno viene comunque attribuita una funzione motivazionale, nel senso che esso viene ritenuto come un’esigenza avvertita da un soggetto, collettivo o individuale, di entrare in possesso di risorse, materiali o immateriali, per conquistare uno stato di maggior benessere o per superare una situazione di malessere. Il concetto di bisogno che così emerge si presta tuttavia a molteplici interpretazioni, tante quanti sono i significati che si attribuiscono al concetto di benessere.

Si prenderà pertanto in considerazione, nei successivi pargrafi, il contributo che i teorici hanno dato nel definire la nozione di benessere in un’ottica di marketing, mettendo in luce la struttura pluridimensionale delle motivazioni alla base dei diversi comportamenti.

Tali teorie sono focalizzate esplicitamente sul contenuto della dimensione motivazionale, dal momento che cercano di sviluppare una comprensione dei bisogni fondamentali dell’uomo, o dei fattori ad essi associati, che determinano le scelte di azione o non-azione nel contesto lavorativo.

L’approccio maggiormente utilizzato è stato quello di compilare un elenco di bisogni descrittivi del fenomeno motivazionale nei suoi molteplici aspetti. Si passeranno pertanto brevemente in rassegna le teorie motivazionali del marketing rivolto al consumatore e quelle della psicologia dell’acquisto, con i dovuti adattamenti, dato che è mutato il soggetto di analisi, e il concetto di bisogno. Tale percorso includerà anche la trattazione della theory of planned behavior di Ajzen, relativamente recente, molto importante nell’interpretazione dei processi decisionali, nella progettazione delle mansioni e nella previsione del comportamento organizzativo.

Concluderà la sezione un altrettanto breve accenno di un approccio alla motivazione molto in voga al momento, pur essendo assolutamente poco diffuso, se non nell’ambiente anglosassone, perchè ancora scarsamente codificato all’interno di un quadro teorico di riferimento, nonostante il suo estremo rilievo di natura pratica: la Programmazione Neuro-Linguistica (PNL) e le sue nuove tecniche del cambiamento, dello sviluppo personale e della comunicazione.

© Analisi dei processi di motivazione nella gestione delle risorse umane – Davide Barbagallo