Stile repressore e benessere: Il concetto di Benessere
Il concetto di benessere
“Benessere, qualità della vita, star bene, allegria, “benestare” o star bene, insegnamento del benessere, felicità, gioia. Sono tutti sinonimi di quello che comunemente si chiama piacere” (Spaltro, 1995).
Il tema del benessere si configura come uno degli argomenti più attuali di discussione fra diverse discipline: la psicologia, la filosofia, la politica, l’economia, l’urbanistica, la sociologia e altre ancora. Già Epicureo, nel IV sec. A. C., parlava della felicità nell’Epistola a Miceneo, scrivendo: “…bisogna esercitare ciò che procura felicità, perché se abbiamo questa, abbiamo tutto, ma se manca, facciamo di tutto per averla”.
Per poter parlare di benessere occorre conoscerne la definizione; purtroppo è difficile trovare una risposta esaustiva, ancora di più se si spera di trovare una spiegazione omnicomprensiva del concetto. La difficoltà di definire il benessere riguarda il fatto che esso “non è un’entità unitaria semplice e non riguarda solo un costrutto specifico” (Aureli et al., 1999); spesso accade che ogni autore riporti la propria definizione, in antitesi con altri, e basi il suo lavoro su queste premesse.
La psicologia si è interessata al benessere fin dalle sue origini, anche se Spaltro (1995) ha sottolineato come la psicologia contemporanea si sia occupata più che altro della faccia opposta della medaglia, ovvero del malessere. Si pone, infatti, spesso l’attenzione sulle condizioni in cui il benessere manca, vale a dire l’infelicità e la sofferenza umana (Argyle, 1987; Legrenzi, 1998; Myers & Diener, 1995; Ryff, 1989; Strack et al 1991). La presenza di stati di benessere viene pertanto definita come “assenza di sintomi di malessere”, cioè emozioni negative e disturbi ad esse legati, come ansia, depressione, sintomi fisici.
L’OMS, ormai da un trentennio, parlando di promozione della salute con la conferenza d’Alma Ata (1971) prima, e con la carta d’Ottawa (1986) poi, ha ribadito il concetto di salute e di benessere nella loro dimensione positiva (Zani & Cicognani, 2000).
L’OMS definisce la salute come “uno stato di benessere fisico, mentale e sociale e non solamente assenza di malattia o infermità”; tale spiegazione costituisce una svolta storica che permette l’abbandono dell’interpretazione medicalista del benessere. Quest’ultima considerava, infatti, il benessere l’opposto del disagio e si poneva dunque nell’ottica della mancanza, in cui il “sano” diventa “appendice del patologico” (Lavanco & Novara, 2002).
A proposito della salute mentale, l’OMS la definisce come “uno stato di benessere emotivo e psicologico nel quale l’individuo è in grado di sfruttare le sue capacità cognitive o emozionali, esercitare la propria funzione all’interno della società, rispondere alle esigenze quotidiane della vita di ogni giorno, stabilire relazioni soddisfacenti e mature con gli altri, partecipare costruttivamente ai mutamenti dell’ambiente, adattarsi alle condizioni esterne e ai conflitti interni ”.
Una prima direzione di ricerca sulla condizione di benessere, intesa nelle sue dimensioni positive, si è concentrata sull’analisi dell’esperienza soggettiva del benessere o “benessere soggettivo” (Diener, 1984; Andrews & Robinson, 1991).
L’attenzione per il benessere soggettivo nasce in alcuni settori disciplinari specifici come la salute mentale, la qualità della vita e la gerontologia, nel tentativo di scoprire misure della qualità della vita più valide dei soli indicatori oggettivi. Alcune ricerche in questo campo hanno concettualizzato il benessere come esperienza emozionale positiva (presenza di affetti piacevoli e assenza di affetti spiacevoli) e presenza di sentimenti di soddisfazione nei confronti della propria vita (Diener, 1984).
Un secondo filone d’indagine nasce dal tentativo di andare oltre la visione del benessere come “assenza di malessere”, proponendo una serie di criteri del benessere psicologico, inteso come “funzionamento psicologico ottimale” o “ salute mentale positiva” (Ryff, 1989).
Il benessere soggettivo è quindi considerato un indicatore del benessere psicologico, legato ad altri ma di per sé non sufficiente a definire lo stato di salute mentale (Diener et al., 1997).
Queste due direzioni d’indagine si concentrano prettamente su un tipo di benessere individuale, ponendo al centro degli studi il soggetto stesso. Negli ultimi anni si sta riconoscendo sempre più l’importanza della dimensione sociale e quindi del contesto, nell’influenzare la salute fisica e psicologica. Alcuni autori hanno proposto il costrutto di “benessere sociale”, intendendo con esso la qualità delle relazioni sociali dell’individuo e il proprio funzionamento all’interno della società (ad esempio Keyes, 1998; Larson, 1993).
© Stile repressore e benessere – Margherita Monti