Le fasi di sviluppo del mobbing in Italia
Le fasi di sviluppo del mobbing in Italia
Gli studi sul mobbing condotti negli anni e che vengono supportati da importanti studi, presentano una situazione allarmante che evidenzia come il fenomeno sia in continua crescita e che, soprattutto, non sia ancora possibile delinearne completamente i confini, rendendo il mobbing una situazione instabile, un processo in continua evoluzione (Ege, 2001).
Leymann (1996), ha stabilito la necessità di delineare le fasi del processo del mobbing, sulle basi delle ricerche effettuate nell’ultimo ventennio.
Il modello più citato è quello a quattro fasi dell’autore, dal quale deriva la versione aggiornata e adattata in funzione del contesto italiano elaborata da Ege (1997) composta da sei fasi.
Le fasi sono legate logicamente tra loro e precedute da una sorta di pre-fase, detta “Condizione Zero”, che costituisce il presupposto di mobbing.
Condizione Zero
Non si tratta di una fase, ma di una pre-fase, di una situazione iniziale normalmente presente in Italia e del tutto sconosciuta nella cultura nordeuropea: il conflitto fisiologico, normale ed accettato. Una tipica azienda italiana è conflittuale. Sono poche le aziende che sfuggono a questa regola. Questa conflittualità fisiologica non costituisce mobbing, anche se è evidentemente un terreno fertile al suo sviluppo. Si tratta di un conflitto generalizzato, che vede tutti contro tutti e non ha una vittima cristallizzata. Non è del tutto latente, ma si fa notare di tanto in tanto con banali diverbi d’opinione, discussioni, piccole accuse e ripicche, manifestazioni del classico ed universalmente noto tentativo generalizzato di emergere rispetto agli altri.
Un aspetto è fondamentale: nella “condizione zero” non c’è da nessuna parte la volontà di distruggere, ma solo quella di elevarsi sugli altri.
Fase I: il conflitto mirato
La prima fase del mobbing è quella in cui si individua una vittima e verso di essa si dirige la conflittualità generale. Il conflitto fisiologico di base dunque prende una svolta, non è più una situazione stagnante, ma si incanala in una determinata direzione. In questo momento l’obiettivo non è più solo quello di emergere, ma quello di distruggere l’avversario.
Inoltre, il conflitto non è più oggettivo e limitato al lavoro, ma sempre più adesso sbanda verso argomenti privati.
Fase II: l’inizio del mobbing
Gli attacchi da parte del mobber non causano ancora sintomi o malattie di tipo psicosomatico sulla vittima, ma tuttavia le suscitano un senso di disagio e fastidio. Essa percepisce un inasprimento delle relazioni con i colleghi ed è portata quindi ad interrogarsi su tale mutamento.
Fase III: primi sintomi psico-somatici
La vittima comincia a manifestare dei problemi di salute e questa situazione può protrarsi anche per lungo tempo. Questi primi sintomi riguardano in genere un senso di insicurezza, l’insorgere dell’insonnia e problemi digestivi.
Fase IV: errori ed abusi dell’amministrazione del personale
Il caso di Mobbing diventa pubblico e spesso viene favorito dagli errori di valutazione da parte dell’ufficio del Personale. La fase precedente, che porta in malattia la vittima, è la preparazione di questa fase, in quanto sono di solito le sempre più frequenti assenze per malattia ad insospettire l’Amministrazione del Personale.
Fase V: serio aggravamento della salute psico-fisica della vittima
In questa fase il mobbizzato entra in una situazione di vera disperazione.
Di solito soffre di forme depressive più o meno gravi e si cura con psicofarmaci e terapie, che hanno solo un effetto palliativo in quanto il problema sul lavoro non solo resta, ma tende ad aggravarsi. Gli errori da parte dell’amministrazione infatti sono di solito dovuti alla mancanza di conoscenza del fenomeno del mobbing e delle sue caratteristiche.
Conseguentemente, i provvedimenti presi sono non solo inadatti, ma anche molto pericolosi per la vittima. Essa finisce col convincersi di essere essa stessa la causa di tutto o di vivere in un mondo di ingiustizie contro cui nessuno può nulla.
Fase VI: esclusione dal mondo del lavoro
Implica l’esito ultimo del mobbing, ossia l’uscita della vittima dal posto di lavoro, tramite dimissioni volontarie, licenziamento, ricorso al pre-pensionamento o anche esiti traumatici quali il suicidio, lo sviluppo di manie ossessive, l’omicidio o la vendetta sul mobber.
Anche questa fase è preparata dalla precedente: la depressione porta la vittima a cercare l’uscita con le dimissioni o licenziamento, una forma più grave può portare al prepensionamento o alla richiesta della pensione di invalidità.
I casi di disperazione più seri si concludono purtroppo in atti estremi.
“Il lavoro che (non) fa per te”. Il disagio nelle relazioni lavorative: un’indagine psicosociale sul territorio di Venezia – © Maurizio Casanova