La Teoria del Comportamento Pianificato
La Teoria del Comportamento Pianificato (Theory of Planned Behaviour, TPB)
Un comportamento come il riciclare rifiuti ad esempio, è virtualmente impossibile se non sono disponibili sistemi di raccolta appropriati, e abbandonare l’uso dell’automobile privata può rivelarsi poco pratico se, quanto meno, non esiste un sistema di trasporto pubblico; o ancora, l’acquisto di prodotti alimentari biologici può essere inattuabile se la distribuzione commerciale non comprende i prodotti atti a soddisfare la domanda.
La Teoria del Comportamento Pianificato (Theory of Planned Behaviour, TPB) (Ajzen,1991; Ajzen e Madden, 1986) è l’estensione della TRA, resa necessaria dal fatto che quest’ultima considera solo i comportamenti che sono completamente sotto il controllo dell’individuo. La TPB considera in aggiunta alle variabili della TRA anche una misura delle percezione del controllo che può essere esercitato sul comportamento; il livello di controllo esercitabile sulle azioni è influenzato da una serie di fattori personali interni (possesso di informazioni e abilità personali, emozioni) e situazionali (opportunità, risorse disponibili nell’ambiente, dipendenza da altri).
Il controllo comportamentale percepito (Perceived Behavioral Control, PBC) corrisponde alla percezione del livello di controllo che si ritiene di avere sull’esecuzione di un comportamento, cioè alla percezione dell’individuo relativa alla facilità/difficoltà dell’esecuzione di un dato comportamento (Ajzen, 1991).
Il PBC si differenzia dal controllo effettivo e reale (actual control), funziona come una misura indiretta, sostitutiva della misura reale dell’effettivo controllo esercitabile dall’individuo sull’esecuzione del comportamento, essendo difficile ottenere una misura diretta dei molti fattori interni ed esterni che possono influenzare direttamente l’esecuzione del comportamento. Il PBC riflette l’esperienza passata, gli impedimenti e gli ostacoli anticipati. Il controllo comportamentale percepito, è influenzato dalle cosiddette credenze di controllo (control beliefs), che riguardano la probabilità stimata che fattori specifici possano facilitare o impedire l’esecuzione del comportamento.
Il PBC può avere un effetto indiretto e un effetto diretto sul comportamento; infatti, l’effetto di PBC sul comportamento può essere mediato dall’intenzione comportamentale (BI), che rappresenta l’antecedente immediato del comportamento. Se una persona dubita del proprio controllo sul comportamento, sarà scarsamente motivata e disposta a metterlo in atto, anche in presenza di atteggiamento favorevole (A) e percezione di pressione sociale (SN), mentre una persona sarà motivata e disposta (BI) a realizzare il comportamento se lo valuta positivamente (A), se percepisce pressione sociale a realizzarlo (SN) e crede che sia realizzabile. L’effetto diretto di PBC sul comportamento si basa invece sull’assunto che la realizzazione di un comportamento dipende non solo dalla motivazione (BI), ma anche da quanto il comportamento è considerato sotto il controllo dell’oggetto (Figura 2.2).
Figura 2.2 La Teoria del Comportamento Pianificato
Algebricamente il modello della TPB è espresso dall’equazione di regressione lineare:
? = ?1 ?? + ?2 ???
dove: B è il comportamento; BI è l’intenzione comportamentale; ?1 , ?2 sono i pesi di regressione; PBC è il controllo comportamentale percepito. I pesi variano a seconda della popolazione considerata e l’importanza di BI e PBC varia a seconda dei comportamenti considerati.
Il costrutto di controllo comportamentale percepito (PBC), differisce dal costrutto di locus of control di Rotter (1966), con il quale in psicologia viene indicata la credenza individuale nella propria abilità di influire attraverso il proprio comportamento su eventi riguardanti se stessi e/o il contesto sociale e fisico circostante .
Si può dire che il locus of control venga generalmente utilizzato per riferirsi a tendenze relativamente stabili nella percezione individuale delle proprie capacità di modificare gli eventi. Può essere utilizzato quando si voglia classificare e distinguere gli individui in base alla fiducia nelle proprie capacità d’azione, mentre quando si voglia soprattutto capire quanto un certo comportamento possa risultare semplice o complicato da mettere in atto per le persone, indipendentemente dai tratti di personalità che caratterizzano queste ultime, è più appropriato fare riferimento al concetto di controllo comportamentale percepito (PBC), che è simile al concetto di autoefficacia (self-efficacy) di Bandura (1986) (Bonnes et al., 2006).
Il controllo comportamentale si riferisce alla percezione delle persone riguardo alla facilità o difficoltà di eseguire un dato comportamento e quindi può variare a seconda delle situazioni e dei comportamenti messi in atto. Una persona può credere che in generale i suoi risultati siano determinati dal proprio comportamento (locus of control interno) e allo stesso tempo può ritenere che le possibilità di effettuare un dato comportamento siano molto basse (basso controllo comportamentale percepito). La percezione di controllo si riferisce ad uno specifico contesto comportamentale quindi, e non ad una aspettativa generalizzata; il PBC riflette credenze sulla presenza di fattori sia interni sia esterni alla persona che possono facilitare o impedire l’esecuzione di un comportamento. Come accennato in precedenza, il PBC è più simile al concetto di self-efficacy, che si riferisce infatti alla convinzione degli individui di avere la capacità di organizzare e realizzare il corso di azioni necessario per gestire adeguatamente le situazioni che si incontreranno in modo da raggiungere i risultati prefissati. Secondo Fishbein e Ajzen (2010), self-efficacy e PCB sono due aspetti inscindibili della percezione soggettiva di controllo intesa come il grado in cui le persone credono di avere controllo, di essere capaci di mettere in atto un dato comportamento. Le persone (indipendentemente dalle loro caratteristiche di personalità), prima di intraprendere una qualsiasi azione, cercano di valutare le possibilità di successo, basandosi sulla percezione delle proprie capacità e dei propri limiti, in relazione alla situazione considerata. La TPB ha il merito di inserire il costrutto della self-efficacy e del controllo comportamentale percepito all’interno della struttura più generale delle relazioni tra credenze, atteggiamento, intenzione e comportamento.
Secondo la TPB perciò, l’intenzione comportamentale (BI), che viene subito prima del comportamento (B), dipenderà da come è valutato il comportamento (A), dalla percezione dell’individuo relativamente al fatto che altri significativi pensino che debba o meno attuare il comportamento (SN), e da quanto controllo la persona percepisce di avere sul comportamento (PBC). L’intenzione comportamentale può essere espressa algebricamente dall’equazione di regressione lineare:
?? = ?3 ? + ?4 ?? + ?5 ???
dove: BI è l’intenzione comportamentale; A è l’atteggiamento; SN è la norma soggettiva; PBC è il controllo comportamentale percepito; ?3, ?4, ?5 sono i pesi di regressione che indicano la relativa importanza di ciascuna delle determinanti delle intenzioni. I pesi variano a seconda delle popolazione considerata. L’importanza di A, SN e PBC varia a seconda dei comportamenti considerati e delle situazioni. L’aggiunta del PBC migliora in modo considerevole il potere predittivo della TRA, soprattutto quando si considerano comportamenti non pienamente sotto il controllo dell’individuo (Ajzen e Madden, 1986; Ajzen, 1991).
La TPB dunque studia il comportamento ragionato, che implica la consapevolezza delle conseguenze (ossia dei pro e dei contro) della sua messa in atto. Inoltre si focalizza sui comportamenti deliberatamente messi in atto dall’individuo, ossia manifestati successivamente allo sviluppo di una consapevole intenzione di agire.
Un aspetto riguardante la misura delle variabili considerate nella TPB, fa riferimento al cosiddetto principio di compatibilità; tale principio, è nato a seguito di ricerche poco soddisfacenti e che presentavano basse correlazioni tra atteggiamento e comportamento.
Il principio prevede che per sopperire a difetti di metodo, dev’esserci coerenza/corrispondenza tra le diverse componenti misurate in termini di TACT (Target, Azione, Contesto, Tempo), dove ciascuno dei quattro elementi può essere definito a vari livelli di specificità/generalità. Se atteggiamento e comportamento sono misurati considerando lo stesso livello di specificità/generalità rispetto ai TACT, risulterà un’alta corrispondenza/compatibilità tra atteggiamento e comportamento (Ajzen e Fishbein, 2005), e l’atteggiamento sarà in grado di prevedere il comportamento, con correlazioni elevate tra queste due variabili. La non corrispondenza tra i diversi livelli di specificità delle misurazioni sarebbe, secondo Fishbein e Ajzen, una delle ragioni della bassa corrispondenza tra atteggiamento e comportamento spesso emersa in letteratura.