La PNL nel processo educativo: l’educatore
Quello che la PNL propone è un nuovo modo di fare scuola attraverso il ruolo dell’educatore.
Di fronte alle difficoltà di apprendimento, all’eccessiva lentezza o al cattivo rendimento, nessuno si è mai chiesto: “Il bambino sa come imparare? ”.
La mission della PNL e quindi dell’educatore che mette in atto le sue tecniche, è appunto, insegnare ai bambini come si impara. Fin da piccoli siamo stati messi di fronte a libri, a poesie, pagine e pagine di storia, espressioni e logaritmi senza avere gli strumenti necessari per poter apprendere con successo.
Molti insegnanti si limitano a pronunciare la frase Rendi poco perché non hai metodo, così si entra in un circolo vizioso in cui la sfiducia dell’alunno per gli scarsi risultati, influenza negativamente il ruolo dell’insegnante che non è in grado di catturare l’attenzione dei propri studenti, avendo come esito una diffusa frustrazione.
Esistono strategie per insegnare a memorizzare date, eventi, formule, espressioni matematiche, a leggere con attenzione interiorizzando il significato, a rendere interessante ciò che risulta essere noioso e poco entusiasmante agli occhi dei bambini; ci sono metodi per prendere appunti, per migliorare la memoria visiva, per superare l’ansia da test o da interrogazione, per affrontare positivamente qualsiasi tipo di fallimento.
La PNL offre tutto questo, cercando di formare prima di tutto delle figure professionali, dei comunicatori e mediatori per eccellenza che siano insegnanti, educatori e allenatori contemporaneamente.
L’elemento catalizzatore è questa figura, ossia un adulto nel cui atteggiamento, l’allievo deve poter cogliere il convincimento profondo che ogni essere umano può modificare strutturalmente il proprio modo di apprendere.
L’obiettivo che devono prefissarsi gli educatori è quello di formare degli esseri umani in grado, innanzitutto, di riconoscere e gestire le proprie emozioni e i propri stati d’animo che sono alla base di qualsiasi tipo di comportamento; di essere consapevoli dei propri talenti, abilità e limiti per modificarli con atteggiamento positivo, di affrontare qualsiasi insuccesso come occasione di crescita e miglioramento.
Inoltre, le tecniche della Programmazione Neuro Linguistica vogliono creare dei comunicatori in grado di usufruire delle potenzialità del linguaggio verbale e soprattutto analogico, per intessere delle relazioni positive e sane, per individuare e raggiungere non solo gli obiettivi personali ma anche quelli collettivi, elementi che risultano inscindibili.
In quest’ ottica, l’interesse dell’educatore non si rivolge tanto a ciò che l’allievo sa fare, alla valutazione quantitativa della sua intelligenza ma a tutte quelle condizioni che possono indurre un’evoluzione: in quali aree si realizza maggiormente, quali sono i fattori che lo stimolano o lo rallentano, come promuoverne l’estensione ad altri ambiti, a quali condizioni il progresso rilevato si consolida e si autoimplementa.
Linda Lloyd è l’autrice di Classroom Magic, un manuale per insegnanti ed educatori che vogliono applicare le tecniche della PNL. Il libro è strutturato come fosse un piano di lezioni settimanali ed analizza gli esercizi e le abilità che l’insegnante deve stimolare quotidianamente nell’alunno.
L’autrice delinea chiaramente la figura dell’educatore ideale che innanzitutto deve lavorare su stesso per raggiungere gli obiettivi prefissati, formarsi e credere fortemente al potere del cambiamento.
Nelle primissime pagine del suddetto libro emergono incisivi i valori e le credenze che sono alla base dell’ottenimento della mission:
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- Insegnare a tutti i bambini;
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- Insegnare attraverso tutti i sensi (vista, udito, gusto, olfatto, sentire interiore);
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- I bambini apprendono più rapidamente e imparano meglio quando si divertono;
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- I bambini apprendono ciò che viene inciso nel loro livello di consapevolezza;
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- Rendere consapevole il bambino su ciò che sta imparando, unendo pratica e teoria;
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- Successo chiama successo;
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- L’oggetto dell’insegnamento è il pensare;
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- Insegnare ai genitori a saper apprezzare i propri figli;
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- Dare ai bambini la speranza di diventare ciò che essi vogliono;
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- Usare un linguaggio positivo ( dire “stai attento”- non dire “non cadere”).
Il bambino deve essere guardato nella sua totalità ed aiutato a crescere intellettualmente, fisicamente e spiritualmente.
Si possono rilevare numerose similarità nel metodo pedagogico sia di Montessori che di Steiner per quanto riguarda la definizione del ruolo dell’insegnante.
Il presupposto del primo metodo è la massima fiducia nell’interesse spontaneo del bambino, nel suo impulso naturale ad agire e conoscere.
Ogni bambino, se posto in un ambiente adatto, e accompagnato da una figura adulta motivata, seguendo il proprio disegno interiore di sviluppo e i suoi istinti-guida, accende naturalmente il proprio interesse ad apprendere, a lavorare, a costruire, a portare a termini le attività iniziate, a sperimentare le proprie forze, a misurarle e controllarle.
A questo principio l’adulto deve inspirare la sua attenzione e in particolare due sono i suoi compiti fondamentali: saper costruire un ambiente suscitatore degli interessi che via via si manifestano e maturano nel bambino; evitare con interventi inopportuni, un ruolo di disturbo allo svolgimento del lavoro, pratico e psichico, a cui ciascun bambino va dedicandosi.
Ha scritto Maria Montessori che l’obiettivo a cui puntare “ …..é lo studio delle condizioni necessarie per lo sviluppo delle attività spontanee dell’individuo, è l’arte di suscitare gioia ed entusiasmo per il lavoro. Il fatto dell’interesse che spinge ad una spontanea attività è la vera chiave psicologica dell’educazione.(….) Colui il quale nell’educare cerca di suscitare un interesse che porti allo svolgere un’azione e seguirla con tutta l’energia, con entusiasmo costruttivo, ha svegliato l’uomo.”
Continua dicendo “(i bambini) hanno bisogno di ricevere risposte complete, che provocano l’entusiasmo e suscitano il bisogno di nuove ricerche e di attività intensa”. Gli insegnanti, perciò, dovranno essere all’altezza del bisogno di conoscere e di esplorare dei bambini, ampliando la loro vita psichica, aprendosi a più larghi orizzonti, impadronendosi di nuove conoscenze di cui forse non sospettano l’esistenza”.
L’insegnante montessoriano opera dunque, con la fondata speranza che ogni individuo è chiamato dalla natura a realizzare la propria evoluzione psichica, secondo un disegno da essa preordinato, purché egli viva in un ambiente adatto alle forme del suo lavoro. L’insegnante allora non giudica i risultati conseguiti dal bambino, ma le cause che ne impediscono o ritardano l’ascesa, provvedendo ad osservarle, capirle e a modificare la circostanze che ostacolano il naturale sviluppo. Per questo motivo, egli non ha un centro e una periferia nella classe ed è contemporaneamente assente e presente, figura di aiuto, di organizzatore e osservatore della vita psichica, fisica e culturale dell’alunno.
Quest’aspetto è centrale anche nella pedagogia steineriana, che si pone come arduo compito quello di aiutare e sostenere lo sviluppo nel bambino di tutte quelle forze spirituali, animiche e fisiche che si presentano solo in germe alla sua nascita.
Il bambino, infatti, avrà bisogno per la sua crescita, tanto di un nutrimento materiale, che ne sviluppi il corpo fisico, quanto di un nutrimento spirituale, che sviluppi l’anima e lo spirito; non solo, ma egli richiederà anche quella giusta educazione che metta in rapporto la parte spirituale con quella fisica, e viceversa.
Secondo Steiner, quando il bambino viene al mondo è dotato di un corpo fisico, mentre le sue altre parti costitutive sono presenti solo in germe, come sono presenti nel seme della pianta tutte le sue future trasformazioni: e come la pianta ha bisogno di nutrimento e tempo affinché si sviluppino le foglie, fiori e frutti, così anche il bambino dovrà ricevere il giusto nutrimento dall’ambiente affinché sviluppi forze autonome di crescita.
Queste considerazioni non hanno solo un carattere teorico ed un valore soggettivo, ma sono il prodotto di un’indagine scientifica, con la quale vengono poste delle solide basi per un insegnamento capace di intervenire nel delicato processo di crescita in modo esperto ed efficace, grazie ad una profonda conoscenza dell’essere umano.
L’educatore deve conoscere perfettamente “le leggi evolutive della natura umana” e senza questa conoscenza non può insegnare.
Il suo ruolo è immenso, soprattutto perché secondo la scuola steineriana, egli è libero di prendere qualsiasi iniziativa e non è soggetto a limitazioni o regolamenti. Egli dovrà attenersi al programma ideale così come è stato delineato da Steiner stesso, ma nello stesso tempo, facendo continuo riferimento alle sue conoscenze dello sviluppo del bambino, quelle che sono le esigenze della classe che ha di fronte, quelle del mondo esterno.
La sua abilità sta nel mantenere in equilibrio queste diverse richieste, avendo però sempre di mira il sano sviluppo e la formazione del soggetto.
La Programmazione Neuro Linguistica, anche riprendendo i metodi tradizionali, propone con forza, un educatore che viva personalmente le tecniche e le strategie che presenta alla classe, e sostiene che deve tenere un atteggiamento genuino, autentico, esprimendo i propri sentimenti positivi o negativi. È un essere umano che cresce insegnando, ma le cui convinzioni e modo di essere rappresentano continuamente un modello per i bambini che ha intorno.
Come dice Lo Presti lo stile educativo del tipo “Fate quello che dico, ma non fate quello che faccio” è del tutto improbabile.10 I bambini, per il principio di imitazione che li sostiene dai primissimi giorni di vita, fanno solo ed esclusivamente quello che vedono fare ripetutamente dai propri caregiver e in questo modo imparano ad esprimersi, a relazionarsi a vivere.
Il concetto, però, che troviamo in tutte le scuole di pensiero da Piaget a Gordon11 e nei libri di PNL è l’autoeducazione. L’adulto deve essere talmente abile da diventare “trasparente” come dice Steiner, capace, perciò, di fornire gli strumenti necessari affinché il bambino sia in grado di autogestirsi sotto tutti i punti di vista. L’educatore deve andare oltre la sua centralità, “perderla” per formare dei soggetti autonomi e autosufficienti.
Questa frase di Gibran mi sembra l’essenziale nelle tante parole e teorie che circondano il bambino:
Due cose può dare un adulto ad un bambino: le radici e le ali.