La percezione di controllo sullo spazio
La percezione di controllo sullo spazio
Per quanto riguarda nello specifico il grado di autonomia e controllo dello spazio, ci teniamo innanzitutto a specificare che ciò che intendiamo in questa sede per “controllo sullo spazio di lavoro” va distinto dal concetto molto studiato di locus of control. Seppure la denominazione possa sembrare simile, i due concetti sono chiaramente differenti in quanto il controllo sullo spazio si riferisce specificatamente alla gestione dell’ambiente fisico, in particolare alla percezione di controllo piuttosto che al livello di controllo oggettivo, mentre il locus of control si riferisce alla tendenza ad attribuire i risultati ottenuti nella propria vita a fattori intrinseci od estrinseci. Un altro concetto molto affine, ma più ampio, è quello di autonomia e controllo sul lavoro, secondo Duffy l’autonomia corrisponde al grado di controllo, responsabilità e discrezione che ciascun lavoratore ha sui contenuti, i metodi, la posizione e gli strumenti del processo di lavoro (in Noorian, 2009); nel nostro caso però ci interessa focalizzare l’attenzione sul controllo dello spazio fisico, quindi possiamo dire che l’autonomia lavorativa è in un certo senso la categoria più ampia e comprensiva.
Nonostante dalle ricerche sul controllo dello spazio di lavoro emergano risultati contrastanti, vi è infatti da un lato chi sostiene che faccia sentire i lavoratori più soddisfatti (con benefici sia a livello di comportamenti lavorativi positivi sia di commitment organizzativo), dall’altro chi invece ritiene che riduca la performance e la produttività degli individui, la tendenza generale è tuttavia quella di valutare positivamente la percezione di controllo sullo spazio lavorativo (Samani, 2015). A tale proposito, lo studio condotto da Samani (2015) ha proprio l’obiettivo di indagare l’impatto che il controllo sullo spazio di lavoro ha sulla soddisfazione per l’ambiente e sulla performance. L’autore propone una serie di definizioni circa cosa si intenda per controllo sull’ambiente che, riassumendo, fanno riferimento alla possibilità di intervenire e modificare l’ambiente, dal punto di vista fisico, per migliorare le proprie condizioni di lavoro.
La scelta di occuparsi della soddisfazione per l’ambiente è motivata anche dal fatto che essa è in grado di influenzare la soddisfazione per il lavoro; al contrario l’insoddisfazione per l’ambiente di lavoro può portare a scarsa produttività e performance. Alla fine della sua rassegna, Samani conclude sottolineando come la percezione di controllo sullo spazio di lavoro risulti essere un fattore critico per la soddisfazione circa l’ambiente di lavoro, non solo, egli scrive anche: «il risultato di questa rassegna ha indicato l’importanza dell’ effetto dell’ambiente fisico di lavoro sul benessere, la soddisfazione e la performance delle persone. Infatti l’ambiente fisico di lavoro è in grado di influenzare i canali informativi degli impiegati, le interazioni interpersonali e l’accesso alle conoscenze ed alle attrezzature.» (p.169). Non sorprende dunque che uno degli aspetti negativi degli uffici open-space risulti essere proprio la mancanza di controllo individuale sullo spazio: all’interno di questi ambienti infatti l’illuminazione, la temperatura e la densità sono fissati ad un certo livello, con scarse possibilità di essere modificate. Già negli anni ’80 diversi studi, nell’ambito della teoria della “Person-Environment Fit”, avevano rilevato come la percezione di autonomia e di controllo avesse effetti positivi sulla soddisfazione per il lavoro (Caplan, 1987; French, Caplan e Harrison, 1982). Secondo questa teoria l’atteggiamento e il comportamento individuale sono il risultato dell’incontro tra le caratteristiche dell’individuo e quelle dell’ambiente, che, applicato all’ambito organizzativo, è inteso come ambiente di lavoro. Tanto più armonico è questo “match”, tanto migliori sono le conseguenze in termini di soddisfazione, efficacia e benessere in generale (Cable e Edwards, 2004; Samani, 2015). Diverse ricerche hanno inoltre mostrato che oltre a soddisfazione e produttività, anche altri importanti fattori sembrano beneficiare di un buon livello di controllo sullo spazio di lavoro, quali la creatività, il morale e l’impegno verso il lavoro (Milne e Perkins, 2017; Samani, 2015). Anche la percezione di privacy sembra beneficiare del controllo sullo spazio fisico, nello studio di Smith e Kearny (1994) infatti, tra i fattori fisici in grado di influenzare la privacy nei luoghi di lavoro, vengono citati: il controllo sulla stimolazione uditiva, il controllo sulla stimolazione visiva, la luce e i colori ed il controllo sulla qualità dell’aria, la temperatura e l’umidità. Una ricerca molto interessante è quella condotta da Lee e Brand (2005), i quali si sono interessati proprio allo studio delle conseguenze – sia a livello individuale che di gruppo – della percezione individuale di controllo e di flessibilità nell’utilizzo dello spazio, le ipotesi formulate dagli autori sono quattro e riguardano la relazione tra variabili quali: il livello di distrazione percepita, la performance, la percezione di controllo sullo spazio fisico di lavoro, la coesione di gruppo, la soddisfazione per l’ambiente fisico, la propensione a lavorare da soli ed in spazi chiusi e la soddisfazione lavorativa. Da questo studio sono emersi diversi punti rilevanti in quanto sono stati esaminati molteplici aspetti associati alla percezione di controllo sullo spazio, è risultato infatti positivamente associato alla soddisfazione per l’ambiente lavorativo, alla soddisfazione per il lavoro ed alla percezione di coesione di gruppo, suggerendo quindi un impatto positivo del controllo personale anche sulla comunicazione tra colleghi. Poiché i dati non hanno supportato l’ipotesi secondo cui la distrazione percepita sarebbe negativamente correlata con l’autovalutazione della performance lavorativa, è stato ipotizzato che il problema potesse essere dovuto al tipo di misura scelta per la performance o magari al fatto che il controllo personale abbia funzionato come un moderatore della relazione tra la distrazione e la performance. Qualche anno dopo gli stessi autori hanno perciò deciso di condurre una ricerca proprio per verificare se gli effetti negativi della distrazione percepita potessero essere in qualche modo ridotti dalla percezione di controllo sull’ambiente. Gli autori hanno ipotizzato dunque che il controllo personale sullo spazio sia in grado di mediare la relazione tra la distrazione percepita e la prestazione lavorativa. In questa ricerca per “controllo sull’ambiente” gli autori hanno inteso la possibilità dei partecipanti di: scegliere l’organizzazione delle postazioni di lavoro, personalizzare le aree di lavoro, controllare i contatti sociali e modificare la temperatura, l’illuminazione e il processo di lavoro. Per distrazione hanno invece inteso la sensazione di essere distratti, disturbati, irritati da stimoli presenti nell’ambiente di lavoro. Come ci si aspettava, i dati hanno confermato che la percezione di controllo personale sugli aspetti fisici dell’ambiente è in grado di mediare gli effetti negativi della distrazione sulla performance lavorativa. Minore sicurezza vi è invece nell’affermare che il controllo personale medi e non moderi la relazione tra distrazione percepita e performance, in quanto, secondo gli autori, la mediazione e la moderazione potrebbero coesistere simultaneamente nella maggior parte dei contesti applicati (Lee e Brand, 2010).