La globalizzazione e il multi-culturalismo della forza lavoro
La globalizzazione e il multi-culturalismo della forza lavoro
Servirsi di una prospettiva antropologica come quella appena descritta, nell’analisi della motivazione, risponde all’esigenza di indagare la dimensione culturale di soggetti etnicamente diversi, ma inseriti in contesti lavorativi sempre più globali. Nelle aziende globali si incontrano lavoratori diversi per sesso, cultura, origine e nazionalità, ma accomunati dagli stessi orari, dagli stessi capi, dalle stesse regole da rispettare e dal luogo in cui passano buona parte della loro giornata. Tuttavia, la necessità di aderire e condividere i valori aziendali, rischia di portare a processi di omogeneizzazione culturale che smorzano le differenze. Si assiste cioè al formarsi di una cultura globale, in cui, tra l’altro, il peso dei singoli apporti spesso non riflette un pluralismo di influenza da parte delle varie etnie componenti. Così, se è vero che la globalizzazione ha consentito forme di comunicazione prima impensabili ed ha moltiplicato le opportunità di lavoro, soprattutto grazie alla diffusione della lingua inglese e di internet, questa situazione può sicuramente portare a effetti deleteri sulla motivazione espressa nel lavoro. Spesso, infatti, il lavoratore straniero prova sentimenti di angoscia e nostalgia in quanto il suo elevato senso di adattamento lo porta a disertare la propria origine, rifuggendosi in un mondo non suo ed estraniandosi dalla propria identità culturale. Va sottolineato quindi che la gran parte delle aziende occidentali inserite nel così detto “villaggio globale” sono caratterizzate da una vicinanza di risorse plurietniche, ognuna, tuttavia, con propri bisogni e proprie radici culturali. L’ampia area di mobilità che si viene a creare in questa situazione di reciprocità culturale, rappresenta una grande opportunità per le persone di trovare lavoro e per le aziende di trovare persone che abbiano adeguate competenze, innestando un circolo di aumento dell’impiego e di crescita economica. Per raggiungere questi fini la società multietnica dovrebbe però prevedere non solo forme di convivenza delle eredità culturali diverse, ma anche nuove elaborazioni comuni, conoscenze condivise ripensate in un ottica di educazione alla diversità. Così diventa strategico gestire le persone facendo particolare attenzione alle diversità etniche, ma anche religiose e sessuali, perché ognuna di queste ha i suoi bisogni e le sue necessità, ma anche perché ogni categoria può contribuire alla crescita dell’azienda, suggerendo la realizzazione di prodotti ad hoc o la promozione di campagne di comunicazione tagliate su specifici target di mercato.
In un panorama lavorativo multietnico come quello sopra descritto, risulta di grande importanza comprendere le dinamiche attraverso le quali la coesistenza, l’intreccio e la sovrapposizione di differenti culture e sub-culture di origine dei lavoratori, contribuiscono a formare l’ambiente lavorativo . In definitiva, volendo indagare le motivazioni di lavoratori inseriti in un contesto lavorativo multietnico, bisogna tenere in considerazione la persistenza di valori di tipo nazionale o locale che ostacolano il formarsi, in senso unitario, di una cultura aziendale condivisa. Poiché, infatti, l’appartenenza ad una data nazionalità ha un valore simbolico per i lavoratori, ed è parte della loro identità personale, il loro modo di pensare e di agire è fortemente condizionato dai fattori culturali specifici che contraddistinguono una nazione. La cultura nazionale si pone quindi in una posizione privilegiata come unità di analisi, in quanto i gruppi umani più completi si riscontrano proprio a livello di società (o nazioni), ovvero di sistemi sociali caratterizzati dal più alto livello di autosufficienza rispetto al loro ambiente e dalla massima interdipendenza tra i sottogruppi che in essi vivono. Si rende così necessario un approccio conoscitivo che indaghi il fenomeno multiculturale a vari livelli . Ad un livello intra-culturale l’obiettivo è quello di analizzare cosa accade all’interno di una specifica cultura o sub-cultura, quali barriere o scudi culturali esistono, come questi si frappongono all’adozione di un comportamento, quali filtri culturali e regole non scritte agiscono in background nel condizionare il lavoratore, il suo comportamento e le sue valutazioni dell’ambiente lavorativo; adottando invece una prospettiva di analisi cross-culturale, si cercherà di far emergere le diversità fra le culture in termini di comportamenti, valori, reazioni, modalità di valutazione e di pensiero, visioni del mondo, etc. Ad un livello inter-culturale, infine, si analizzeranno le dinamiche di interazione tra sistemi che possiedono culture diverse, cercando di capire cosa accade nel momento di contato fra questi e come far passare i messaggi attraverso le barriere culturali.
Come già anticipato, le prospettive di analisi qui proposte, sono state applicate quasi esclusivamente nella elaborazione di strategie di internazionalizzazione o nell’ambito delle negoziazione internazionale. Numerosi studi, infatti, sono stati dedicati alla comprensione delle differenze di cultura da Paese a Paese o da un’area industriale all’altra, nonché all’analisi di singole società non culturalmente omogenee, dove sussistono diversità di culture locali cui si associano differenze nei comportamenti imprenditoriali e nei processi di sviluppo economico. Il più importante è sicuramente quello condotto dal socio-psicologo olandese Hofstede , il quale avviò una ricerca tramite questionari su 116.000 soggetti delle filiali dell’IBM sparse in tutto il mondo . Hofstede evidenziò ad esempio che nell’Europa Latina si poteva rilevare la presenza di uno spiccato individualismo a cui si accompagna un sistema basato su un’alta distanza gerarchica: molta iniziativa privata (la nostra piccola e media industria ne è un esempio) ma nel contempo un potere accentrato. Sempre in alcuni paesi dell’Europa Latina, come pure in quella anglosassone, si possono individuare chiaramente degli orientamenti maschili (nelle riunioni si prendono decisioni vincolanti, si tende ad un’elevata competitività, il successo e la velocità sono importanti, ecc.). I paesi scandinavi, invece, risultano orientati a valori femminili (nelle riunioni si cerca il consenso, si predilige un carattere accomodante, la collaborazione e il tempo per sè sono importanti, ecc.). Uscendo dal vecchio Continente Hofstede individua poi due “modelli” opposti: il modello statunitense improntato ad individualismo, autonomia, deleghe ampie e il modello giapponese improntato al collettivismo, dipendenza, deleghe circoscritte. In uno studio analogo Trompenaars dimostra come la Cina è paradossalmente molto più simile a paesi come l’Italia o la Spagna rispetto al vicino Giappone, ad esempio relativamente al coinvolgimento e all’orientamento emozionale nei rapporti umani e lavorativi.
Sia nell’ottica comparativa inter-nazionale che in quella intra-nazionale, l’intento di questi studi di management interculturale è quello di far emergere elementi di giudizio sul diverso condizionamento della cultura, sulla configurazione e l’efficacia dei diversi orientamenti gestionali ed organizzativi, delle imprese e, di conseguenza, sulla compatibilità di questi con le peculiarità culturali di gruppi sociali o aree geografiche diverse. Fra gli obiettivi del management interculturale, quello di garantire una proficua interazione all’interno dell’azienda di soggetti lavorativi aventi matrici culturali differenti, assurge inevitabilmente a condizione primaria per una stabilità gestionale interna, senza la quale non possono considerarsi realizzabili gli ulteriori fini che l’impresa si prefigge nel suo ambiente esterno. In questo senso, la comunicazione interculturale più che una competenza linguistica con cui si scambiano parole e si trasmettono messaggi sforzandosi di utilizzare un codice condiviso (prospettiva informazionale), deve essere un atteggiamento con cui si dimette la propria visione del mondo per lasciar spazio alla visione del mondo dell’interlocutore (prospettiva interpretazionale). In altre parole, solo attraverso un rapporto di reciproca comprensione si possono realizzare le condizioni sufficienti per intendersi e per avere libero accesso alla dimensione motivazionale del lavoratore. Spesso, invece, questo limite non viene percepito autonomamente, ma viene importato acriticamente e in forma distorta da altri, con il risultato che l’appartenenza etnica assume significati diversi a seconda della situazione e di chi ne esprime il giudizio. È così che l’etnicità diventa etnicismo, caricandosi di connotazioni arbitrarie e stigmi negativi come il colore della pelle, il luogo d’origine, la religione, le abitudini di vita, la lingua, etc..
© Analisi dei processi di motivazione nella gestione delle risorse umane – Davide Barbagallo