La costruzione di un piano di counseling organizzativo

La costruzione di un piano di counseling organizzativo

La prima fase può essere definita preliminare all’introduzione dell’intervento vero e proprio ed è finalizzata a rilevare sia l’atteggiamento dell’azienda verso la proposta sia ad effettuare un’analisi della domanda da questa espressa.

 

Si procederà con la valutazione dei seguenti aspetti:

Lo stato di crisi/crescita in cui trova l’azienda

    • La cultura organizzativa per comprendere dove è concentrata la struttura di potere e l’ideologia prevalente.
    • Il modo con cui il counseling potrà essere integrato nell’organizzazione, influendo sui processi organizzativi in modo critico senza essere un’appendice della medesima.
    • I bisogni di chi partecipa (analisi dei disagi espressi dalle persone: stress sul lavoro, difficoltà nei confronti del cambiamento, livello di tensione produttiva, mancanza di flessibilità…) per capire se il counseling è lo strumento più adatto.
    • Le aspettative realistiche e irrealistiche che l’azienda ha rispetto al counseling.

 

La seconda fase volta a negoziare e a formalizzare la proposta di counseling organizzativo attraverso un accordo che specifichi responsabilità, ruoli reciproci e livelli d’intervento:

    • Livello economico/amministrativo
    • Livello professionale (finalità, obiettivi, compiti e ruoli di ciascuno nel gruppo di lavoro, implementazione e metodi di valutazione).
    • Livello psicologico (rispetto, fiducia, dialogo aperto e posizioni da chiarire)

 

    • Livello organizzativo (rete di relazioni gerarchiche e funzionali che possono promuovere la richiesta di counseling).

 

Se vi è accordo sulle due fasi precedenti, si potrà procedere con la terza fase con cui viene comunicato l’avvio dell’intervento di counseling a tutti i livelli di responsabilità e alle figure direttamente coinvolte.

Gli scopi sono:

    • Esplicitare in modo chiaro l’iniziativa decisa dall’azienda per far si che le persone abbassino il livello di guardia e partecipino attivamente, senza timore di essere valutate o giudicate.
    • Coinvolgere l’azienda e non solo i ruoli in questione per fare in modo che l’intervento possa essere di giovamento a tutto il contesto.
    • Permettere ai consulenti di muoversi liberamente senza apparire degli estranei verso cui nutrire diffidenza.
    • Definire in modo inequivocabile il ruolo dei consulenti in modo da evitare convinzioni errate (che siano delle “spie” della direzione, che siano degli psicologi in incognito, che siano dei “difensori” dei lavoratori).

 

Dopo lo svolgimento dell’intervento, si passa alla fase di conclusione che ha differenti finalità:

    • Rilevare le eventuali altre esigenze organizzative che il counseling può avere suscitato (estendere il counseling ad altre aree/figure aziendali, sviluppo professionale, analisi di clima, consulenza al management, supporto al cambiamento).
    • Dare un feedback che prevede una sintesi del processo di valutazione intermedio e finale (rilevazione della soddisfazione e dell’efficacia espressi da tutti gli attori considerati: i clienti coinvolti, la committenza, i supervisori nel caso ci siano, il counselor) e, grazie al supporto d’alcuni strumenti metodologici, stabilire dei momenti di verifica a conclusione del percorso per calcolare i risultati/cambiamenti che sono avvenuti.
    • Affrontare il processo di separazione evidenziando gli apprendimenti/cambiamenti intercorsi e i nuovi sistemi acquisiti, anticipando le prevedibili reazioni del cliente, incoraggiando i clienti a confrontarsi attivamente con la fine dell’esperienza, esaminando gli aspetti cognitivi ed emotivi (sensazione di avere ancor bisogno, timore di non farcela da soli, consapevolezza delle proprie capacità).

 

© “Il Counseling ed il bilancio di competenze in azienda. Ipotesi di una sinergia professionale orientata alla persona e al business” – Dott.ssa Camilla Girelli