L’intelligenza : Introduzione

L’intelligenza : Introduzione

La APA (American Psychological Association) definisce l’intelligenza “una proprietà della mente che comprendente abilità connesse con la capacità di pensare in modo astratto, di ragionare, di pianificare, di risolvere problemi, di usare il linguaggio, di apprendere dall’esperienza e di superare gli ostacoli, attraverso il pensiero. Le prestazioni intellettuali di una persona possono variare in diverse occasioni, in diversi campi e sulla base di criteri differenti. Il termine intelligenza non indica la quantità di conoscenze ma quanto velocemente la persona apprende e quanto sia in grado di svolgere compiti nei quali non ha esperienza.”

I test di intelligenza sono strumenti psicometrici di massima performance, concepiti per misurare le capacità mentali superiori. L’informazione ottenuta dai test stabilisce e riflette ci  che si può  definire una “capacità globale del comportamento intelligente”, una abilità che consente all’individuo di predisporsi alla comprensione del mondo e ad affrontare le sfide. L’intelligenza è quindi una funzione dell’intera personalità ed è sensibile a fattori altri rispetto a quelli inclusi nel concetto di abilità cognitive.

Con quoziente di intelligenza o QI si intende un’unità di misura, definita da un punteggio ottenuto tramite la somministrazione di un test standardizzato. I test QI vengono utilizzati per valutare lo sviluppo intellettivo dell’individuo. Non riportano una misura dell’intelligenza su scala assoluta, offrono un risultato che va letto su una scala relativa ad uno specifico gruppo di appartenenza (sesso, età) (Scala WAIS-R, 1997). Il QI pare abbia un’alta correlazione con il successo accademico, una buona correlazione con il successo lavorativo (pu  predire la qualità delle prestazioni di candidati senza precedenti esperienze), è correlato con lo status socioeconomico, conseguibile nei termini di reddito e ricchezza (maggiore è il QI, maggiore è la probabilità di raggiungere un alto reddito ed uno status sociale superiore) e fornisce informazioni riguardo alle cosiddette “patologie sociali” derivanti dal complesso di condizioni ambientali in cui l’individuo si trova immerso (la povertà influisce sia su aspetti biologici dello sviluppo come gravidanza e malnutrizione che su aspetti psicologici come coesione familiare ed uso del linguaggio) (Boodoo, Bouchard, Boykin, Brody, Ceci, Halpern, Loehlin, Perloff, Sternberg, Urbina, 1995). L’ambiente sembra giocare un ruolo molto importante nella variabilità del QI degli individui, soprattutto nei primi ed ultimi anni di vita. Il QI dei bambini allevati all’interno dello stesso gruppo parentale presenta la stessa media (non tanto per i geni condivisi ma per la spartizione dell’ambiente) (Plomin, DeFries, McClearn, McGuffin, 2000). I vantaggi o gli svantaggi che derivano dalla condivisione dello stesso spazio di crescita sembrano, per , scomparire in età adulta, laddove ci siano più opportunità di scegliere il proprio entourage, elemento che determina il carattere transitorio dell’influenza della famiglia d’origine (Plomin, DeFries, McClearn, McGuffin, 2003).
Uno studio sull’ereditarietà del quoziente intellettivo (Turkheimer, 2008; Turkheimer, Johnson, Gottesman, Bouchard, 2009) ha calcolato stime di valore che variano da 0,4 a 0,8 (in una scala da 0 a 1, significa che il QI è ereditabile) indicando l’importanza che la genetica gioca rispetto all’ambiente nel creare disparità di QI. Sarebbe ragionevole aspettarsi che le influenze genetiche, in caratteristiche come il QI, diventassero meno significative quando l’individuo acquisisce l’esperienza derivante dall’età. Sorprendentemente, accade l’opposto. L’indice di ereditarietà è meno di 0,2 nell’infanzia, circa 0,4 nell’adolescenza e 0,8 nell’età adulta (Bouchard, Lykken, McGue, Segal, Tellegen, 1990). La ricerca antropologica (Dickens, 2001; Flynn, 2007) suggerisce che la componente ereditaria del QI diventi più significativa con l’avanzare del tempo, seguendo un fenomeno chiamato Effetto Flynn: durante il ventesimo secolo il QI medio di molte popolazioni è cresciuto con una velocità media di 3 punti ogni decennio (ad esempio, dal 1938 al 1984 gli americani hanno guadagnato più di 13 punti). A supporto della tesi di incremento dovuto a ragioni interculturali, Flynn (1987) evidenzi  che l’aumento era più marcato nei test (o subtest) che misuravano l’intelligenza fluida rispetto a quelli che misuravano l’intelligenza cristallizzata. Tra le ipotesi che tentarono di spiegare questo sviluppo, furono annoverate una migliore alimentazione, il progresso della scolarizzazione e la migliore capacità di risolvere problemi logici ed astratti dell’ambiente socio-culturale a lui contemporaneo. Tali ipotesi dimostra che il livello di intelligenza con cui gli individui nascono non è fisso e immutabile.

 

© I predittori della performance accademica  – Laura Foschi