L’auto-motivazione e l’auto-determinazione
L’auto-motivazione e l’auto-determinazione
Il paradigma comportamentista, anche a causa del suo riduzionismo, comincia a entrare in crisi già alla fine degli anni ’60, come si è già discusso ad opera del costruttivismo, cioè la riscoperta della mediazione cognitiva (e di tutte le sue implicazioni) tra lo stimolo e la risposta, a scapito di una analisi esclusivamente focalizzata sul comportamento osservabile. Più che analisi del comportamento, bisogna invece parlare di analisi della condotta lavorativa, ridando all’azione cosciente del soggetto un ruolo quantomeno paritario rispetto alle ricompense estrinseche, nel garantire il funzionamento del processo motivazionale.
Inoltre, viene evidenziata in questa prospettiva l’importanza nel processo motivazionale delle ricompense intrinseche e della soddisfazione lavorativa.
L’organizzazione, infatti, può solo fornire al dipendente l’opportunità di incanalare verso gli obiettivi aziendali le proprie energie (motivazione a partecipare), ma ciò dipende esclusivamente dal suo impegno morale e dal livello di contributo che vuole fornire (motivazione a produrre).
Le prospettive più recenti, in definitiva, mettono fortemente in discussione l’idea che il rinforzo possa essere considerato una fonte motivazionale primaria: tuttavia, non si può disconoscere che la motivazione abbia anche una componente estrinseca, come il desiderio di essere approvati, o riconosciuti competenti. Per dare quindi una spiegazione più chiara del rapporto che sussiste fra comportamenti e incentivi nello schema del contratto psicologico, bisogna ipotizzare una distinzione fra motivazioni “estrinseche”ed “intrinseche”, se non addirittura una dicotomia.
Deci , con la sua teoria dell’Auto-Determinazione, dimostra in alcune ricerche che solo quando il lavoratore si impegna in un’attività che ritiene veramente interessante, riesce ad esprimere una motivazione autonoma e totalmente intenzionale, in quanto sperimenta la possibilità di una scelta. Viceversa, l’uso di rinforzi esterni, venendo vissuti come una sorta di pressione, innesca un meccanismo inconscio di regolazione che si risolve in una motivazione controllata. Secondo Harter, invece, il lavoratore, ottenendo rinforzi positivi, interiorizza un sistema di “autogratificazione” che gli consente di padroneggiare maggiormente le strategie finalizzate al raggiungimento di determinati obiettivi.
È come se si “autosomministra” delle ricompense le quali non sono altro che delle sensazioni positive per aver portato a termine il proprio compito, da cui scaturisce un senso di autonomia e di crescita interiore. Con l’incremento di questo processo diminuisce il bisogno di gratificazione esterna ed aumenta la motivazione grazie alla percezione della propria competenza e del proprio controllo sull’ambiente.
In altre parole le ricompense possono abbassare la qualità delle prestazioni, specie quando si tratta di lavori creativi, risultando inoltre inutili nel caso i comportamenti non siano facilmente osservabili.
Alcune ricerche condotte da Harter hanno rilevato che offrire premi o rinforzi estrinseci per l’impegno nelle attività può minare alla motivazione intrinseca, tranne nel caso in cui effettivamente è difficile trovarne (ad esempio in una catena di montaggio). I teorici della motivazione intrinseca danno ragione di tale effetto spiegandolo con il cosiddetto “principio di svalutazione”, in base al quale una legittimazione particolarmente rilevante per il comportamento di un individuo finisce per svalutare tutte le altre: così, un soggetto può in origine percepire un interesse intrinseco derivante dall’eseguire un compito, ma, se per il comportamento è offerto un premio estrinseco desiderato, l’interesse intrinseco è svalutato.
Tali scoperte, chiamando in causa la diffusa convinzione che il denaro sia un modo efficace ed anche necessario per motivare le persone, confermano le tesi di un filone di studi centrato sul concetto di Human Agency (o agentività). Con questo termine ci si riferisce alla facoltà dell’uomo di agire attivamente sull’ambiente lavorativo, di generare azioni mirate al conseguimento di scopi desiderati e di monitorare (mediante autoregolazione) la propria condotta, utilizzando le guide cognitive e gli auto-incentivi che gli sono propri, per modificarla.
Lo stesso Bandura dimostra nelle sue più recenti ricerche che la motivazione è direttamente influenzata dalle convinzioni dell’individuo circa il suo valore, le sue abilità o competenze, gli obiettivi e le aspettative di successo o insuccesso e i sentimenti positivi o negativi che derivano dal processo di autovalutazione. Secondo Bandura la percezione che una persona ha di sé deriva da quattro fonti: le performances precedenti, l’osservazione dell’esecuzione da parte di un altro, la persuasione e le proprie reazioni psicofisiologiche ed emotive. Più che da schemi di rinforzo, la motivazione viene in primo luogo influenzata da fattori di auto-efficacia, auto-stima e self-confidence (crederci).
Tra l’altro gli individui possono non soffrire perdite nella percezione del proprio valore se già si giudicano inefficaci in talune attività, che comunque non reputano essenziali (ad esempio spegnere un macchinario a fine turno). Le prestazioni inoltre sono socialmente definite in termini di “comportamento richiesto” o in termini di “risultato”. Il dipendente, secondo Bandurra, utilizza tutta una serie di tecniche per incanalare la propria automotivazione all’interno di queste due dimensioni. Regola il proprio senso di auto-efficacia sperimentando direttamente il ruolo e creando dei modelli di successo per ottenere i risultati attesi (modelling). Solo nei casi di grande stabilità del contesto lavorativo, inoltre, il lavoratore ricava queste informazioni osservando i colleghi performanti (sperimentazione vicaria). L’automotivazione, quindi, deriva da una percezione di auto-efficacia, cioè dalla tendenza a percepire sé come persona capace di scegliere e mettere in atto, di fronte a certe situazioni, i comportamenti più adeguati tra quelli disponibili. Il positive thinking nel lavoro (pensare positivo) è infatti una componente fondamentale dell’automotivazione. Esso si può intendere come la percezione di competenza, ovvero come tendenza a valutare positivamente le proprie capacità e skills rilevanti rispetto ad un’area specifica di attività.
In sintesi la teoria dell’apprendimento sociale pone l’accento sul concetto di “determinismo reciproco”, intendendo con questo termine la circostanza in base alla quale i fattori personali (come le aspettative, le intenzioni, le percezioni e le rappresentazioni mentali) e i fattori situazionali interagiscono tra di loro e risultano codeterminanti. Si è visto poi che l’automotivazione non viene intaccata quando a un insuccesso non si da valore.
La considerazione simultanea del valore di una conseguenza e del modo di formarsi le aspettative, è alla base di una teoria che da un grande contributo nel chiarire le modalità con cui il comportamento del lavoratore attiva il processo decisionale. Si tratta della Teoria dell’Aspettativa-Valenza a d opera di Vroom . In base a questa teoria, come nel caso dell’automotivazione, gli individui orientano i propri sforzi verso quelle attività che ritengono portino a risultati desiderabili. Il concetto principale è quindi quello di aspettativa, cioè la stima sulla probabilità che un determinato evento si realizzi. L’aspettativa dipende però sia dalla stima dello sforzo che il lavoratore ritiene necessario per ottenere una certa performance, sia il giudizio sull’efficacia di tali performance, ossia su quanto queste materialmente portino a delle conseguenze sperate . Il fatto di considerare variabili come le aspettative ed i valori consente a questa teoria di cogliere le differenze, in termini di attrattività dei risultati, insite nella struttura mentale di ogni soggetto e che condizioneranno di conseguenza i loro comportamenti. Ai fini dell’analisi della motivazione, quindi, ciò che è importante non è l’effettiva correlazione tra impegno e prestazione, ma la correlazione che la persona coinvolta pensa che esista. Questo fatto dipende dalla convinzione che l’impegno e la prestazione non sempre sono direttamente collegati o almeno non lo sono oggettivamente. Si è visto come la fiducia in se stessi può essere un elemento determinante.
La teoria dell’aspettativa-valenza è quindi una teoria focalizzata sul processo, ma, facendo riferimento al concetto di aspettative, rimanda ad un parallelo approfondimento degli aspetti personali e psicologici che modellano il formarsi delle aspettative stesse dell’individuo. In questo senso è una teoria che fa in qualche modo da collante fra l’approccio del contenuto e quello del processo, condividendone però entrambi i limiti interpretativi. Pertanto se si vogliono utilizzare le ipotesi del modello di Vroom, accettando tutte le conseguenze che la sua validazione inevitabilmente comporta, ci si addentrerebbe più che altro in un’analisi introspettiva e non del processo di motivazione. Il risultato è lo sforamento del campo di indagine iniziale della teoria, disattendendo le relative finalità di ricerca.
© Analisi dei processi di motivazione nella gestione delle risorse umane – Davide Barbagallo