L’approccio delle Relazioni Umane
L’approccio delle Relazioni Umane
I problemi che le teorie classiche lasciavano irrisolti, ed in particolar modo l’alienazione che si respirava nell’ambiente di lavoro, ispirarono diverse ricerche nel campo della psicologia industriale e della sociologia del lavoro.
Questi studi, dati gli orari e i ritmi massacranti imposti dalla fabbrica di stampo tayloristico, si focalizzarono sull’analisi della fatica, sia da un punto di vista fisico che psicologico, e sulle ripercussioni che la monotonia del lavoro poteva avere sulle spinte motivazionali .
Un gruppo di ricercatori, che diede un notevole impulso all’approfondimento di queste tematiche, è rappresentato da tre autori inglesi: Wyatt, Fraser e Stock . In seguito al loro contributo è possibile affermare che la noia sul lavoro è massima quando bisogna effettuare un compito particolarmente ripetitivo e che al tempo stesso non consente distrazioni. I tre autori proposero alle direzioni aziendali alcune innovazioni per eliminare la noia e diminuire la monotonia: la rotazione delle attività fra gli operai; il non isolamento del singolo operaio nell’ambiente di lavoro; l’introduzione di pause nel turno di lavoro; la retribuzione a giornata e non a cottimo.
Queste raccomandazioni e suggerimenti, come si vede, sono in contrasto con il modello taylorista e soprattutto con la catena di montaggio del modello fordista , mettendo in relazione la motivazione con una maggiore “umanizzazione” dell’ambiente e dei rapporti di lavoro, e non con incentivi economici.
Nel corso degli anni ‘50, l’attenzione a questi temi si sviluppa ulteriormente per effetto della diffusione della Scuola delle Relazioni Umane e delle teorie di Elton Mayo, che godette di grande seguito ed influenza. Gli studi condotti da una squadra di ricercatori diretta da Elton Mayo, furono preceduti da un lavoro di analisi e sperimentazione condotto dalla stessa direzione aziendale della Western Electric Company, sul rapporto fra luminosità e rendimento operaio.
L’ipotesi era che, aumentando l’intensità luminosa, doveva crescere la produttività.
Vennero organizzati un gruppo sperimentale ed un gruppo di controllo. Al termine dell’esperimento venne fuori che la produzione era aumentata sia nel gruppo sottoposto alle variazioni di intensità luminosa che nell’altro, dove era stata lasciata la stessa intensità. Si provò a diminuire la luce e la produzione continuò ad aumentare anche se in forma non molto elevata. I risultati misero in crisi i dirigenti della compagnia , i quali intuirono che vi erano in questo comportamento importanti fattori umani da valutare e perciò venne richiesta una consulenza scientifica esterna alla fabbrica.
A questo punto entrò in gioco Mayo e la sua squadra, con un programma che fu molto lungo (durò cinque anni) ed ambizioso. Nel corso di questo lungo periodo, furono condotte varie modifiche per verificare l’effetto di alcuni cambiamenti ambientali sulla produzione degli operai.
Tali modifiche si possono riassumere in riduzione complessiva dell’orario, introduzione di una pausa lavorativa e poi di una seconda pausa, reintroduzione delle condizioni di partenza, introduzione di pause diverse dalle prime e possibilità di poter effettuare una rapida colazione.
I ricercatori notarono subito che la produzione aumentò fin dall’inizio e tendenzialmente continuò sempre a crescere. Gli autori della ricerca, ed in particolare gli assistenti di Mayo, Reetthlisberger e Dickson, affermarono che l’aumento del rendimento operaio dipendeva soprattutto dall’instaurarsi di rapporti amichevoli e positivi; buoni risultati vennero infatti forniti dalle pause di riposo (la produzione aumentava sempre dopo una breve pausa); l’incentivo economico non ebbe una grande rilevanza. Scopo della ricerca fu quindi quello di verificare le dinamiche informali nell’ambito di un gruppo di lavoro in rapporto all’andamento della produzione, concentrandosi quindi sulla funzione del fattore interazionale nella produttività aziendale .
Un attacco più frontale al taylorismo si ha ad opera di alcuni studiosi di matrice marxista come Braverman, Burawoy e Roy , che collegano le problematiche motivazionali all’alienazione operaia, causata dalla mancanza di padronanza sui mezzi di produzione, legata anche all’ambiente di lavoro ed al fragile legame fra l’operaio e la propria azienda. Secondo Blauner , un altro fattore determinante è poi “l’autoestraneazione”, ovvero l’isolamento del soggetto nel posto del lavoro, il sentirsi isolato pur appartenendo ad una squadra o ad una catena di montaggio. Secondo le ultime revisioni della teoria marxista la fabbrica ha invece sempre più bisogno di operai che siano disponibili a comprendere le nuove tecnologie e per fare questo c’è bisogno di maggiore collaborazione adesione e consenso.
Pertanto il progresso tecnologico non tende a far aumentare il conflitto nelle fabbriche, né crea una generale de-qualificazione del lavoro umano. Al contrario l’inserimento dell’automazione, della robotica e del computer in fabbrica ha obbligato il capitalista ad aumentare la collaborazione con i propri dipendenti, in quanto dipende soprattutto dalle capacità tecniche e dalla intelligenza di questi operai altamente qualificati il buon funzionamento del sistema.
Secondo Touraine , con la diffusione delle macchine automatizzate molta manodopera diventa superflua e quindi aumenta la disoccupazione (e questo rappresenta l’aspetto negativo); nel contempo l’operaio, sempre più tecnico, si libera di molti lavori routinari e soprattutto di molti lavori pesanti . La fase acuta del taylorismo comincia ad essere superata ed una nuova fase del lavoro, divenuto ora più coinvolgente ed intrinsecamente motivante perché denso di contenuti e significati, inizia ad intravedersi: la tecnologia è il motore principale di tali trasformazioni, innescando un rovesciamento del rapporto uomo-macchina.
Un altro autore che ha una linea meno dura di quella marxista, ma allo stesso tempo rivoluzionaria per le ulteriori considerazioni sul fattore umano nell’organizzazione del lavoro, è il sociologo Barnard. Egli, delinea le funzioni del moderno dirigente industriale , inserendo tale figura in un disegno teorico più ampio che sinteticamente lo stesso Barnard chiama “sistema cooperativo”, ovvero una azienda nella quale la collaborazione necessaria fra proprietà, dirigenti, capi reparto ed operai non è più lasciata al caso e alla buona volontà, ma viene vista come parte integrante e strutturale della stessa. Inoltre, la convinzione profonda di Barnard è che nel campo del lavoro, pur essendo importanti gli incentivi materiali (quindi lo stipendio, il salario, il cottimo) sono altrettanto importanti gli incentivi non materiali (prestigio, soddisfazioni morali, onorificenze, promozioni).
Il passo in avanti che compie rispetto a Mayo è che, mentre il fondatore delle Relazioni Umane poneva l’accento soprattutto sui rapporti informali nel piccolo gruppo, Barnard ritiene importante formalizzare questi incentivi e renderli il più possibile espliciti. Affinché ciò si possa realizzare è necessario fondare la vita giornaliera dell’azienda su norme formali e riconosciute e non su aspetti paternalistici; la persuasione e gli incentivi morali non debbono essere una concessione o un omaggio casuale legato alla bontà del proprietario o del dirigente, ma una ricerca continua di consenso e di incentivazione, utilizzando di volta in volta sia gli incentivi economici che quelli morali e non strettamente economici.
© Analisi dei processi di motivazione nella gestione delle risorse umane – Davide Barbagallo