Implicazioni storiche della “psicologia delle masse”
Implicazioni storiche della “psicologia delle masse”
La possibilità di influenzare attraverso le patiche discorsive, il complesso delle interazioni umane, ha fatto si’ che, nel corso dei secoli, le classi dominanti e i ceti emergenti abbiano cercato, rispettivamente, di detenere in esclusiva o di conquistare il monopolio dello strumento linguistico, sottraendolo a coloro che avrebbero potuto usare la parola per finalità alternative.
Nella storia recente, il periodo in cui si è maggiormente risentito degli effetti di questo genere di politica, è senz’altro quello delle grandi dittature europee nella prima metà del XX secolo. In particolare, in Italia, largo uso del controllo dell’informazione fu operato da Mussolini allo scopo di dirigere l’opinione pubblica verso una posizione a sostegno del regime fascista.
Ma com’è stato possibile costruire in cosi’ poco tempo un simile castello di convinzioni nella popolazione dell’epoca? A parte le ragioni oggettive, storiche, che vedevano la popolazione italiana completamente svilita da una politica fallimentare dal punto di vista economico, sociale e coloniale, ragioni che facilmente preludevano ad un imminente condizione di cambiamento, i motivi di tanto successo del personaggio Mussolini sono da ricercarsi nella figura stessa del “leader” (analizzata anche da Freud), cosi’ come era voluta allora da una serie di indicazioni provenienti dagli studi di psicologia sociale.
Per sua stessa ammissione, Mussolini risultava aver più volte letto e riletto un famoso e scottante libro del giornalista Gustav Le Bon, “Psicologia delle folle” del 1895. “La folla” – scrive Le Bon – “è sempre intellettualmente inferiore all’uomo isolato, ha la spontaneità, la violenza, la ferocia, ed anche gli entusiasmi e gli eroismi degli esseri primitivi.
Le folle – specialmente quelle latine – si possono accendere d’entusiasmo per la gloria e l’onore, si possono trascinare in guerra senza pane e senz’armi”.
Sempre secondo Le Bon, “la folla antepone l’istintività al giudizio, all’educazione ed alla timidezza, pertanto il “capopopolo” deve presentarsi ad essa con un linguaggio adeguato alla recettività del destinatario. Pertanto è fondamentale che segua alcuni principi comunicativi:
- la semplicità del lessico e della sintassi – la folla si presenta per istinto, restia a parole difficili, ai meandri del ragionamento, rifiutando l’esercizio attivo del pensiero;
- l’affermazione – laconica, concisa, categorica, sprovvista di prove e di dimostrazioni, tanto maggiore è la sua autorevolezza;
- la ripetizione – eseguita rispettando sempre gli stessi termini;
- le immagini – il potere di una parola non dipende dal suo significato, ma dall’immagine che essa suscita;
- il contagio – quando un’affermazione è stata ripetuta a sufficienza, e sempre allo stesso modo, si forma ciò che viene chiamata una corrente di opinioni e interviene il potente meccanismo del contagio. Le idee, i sentimenti, le emozioni, le credenze, possiedono tra le folle un potere contagioso intenso<”
Sulla base di questi precetti, si formò un vero e proprio linguaggio che Mussolini utilizzò nei suoi discorsi propagandistici.
Egli elaborò un modo di comunicare che ruotava intorno a diverse caratteristiche; l’oratoria giornalistica, che non deludeva i dotti e non intimidiva gli umili, volta a stimolare e spingere, più che ad affascinare, il suscitare certi stati d’animo, la delegazione, l’asserzione perentoria e l’antitesi, veri e propri artifici retorici già visti a proposito degli studi di Freud sui lapsus e sui motti, gli slogans, “riciclati” anche da fonti non del tutto pertinenti al messaggio fascista, ma efficaci ai fini della persuasione, ovvero la finalità ad incitare all’azione, i dialoghi con la folla e la coralità, incentrati su frasi che richiedevano una risposta corale da parte dell’uditorio, le frasi ad effetto, ed infine gli aspetti riguardanti la prosodia, i toni e le pause, da variarsi a seconda del carattere che si voleva dare al messaggio.
Cosi’ si creò una vera evoluzione del “culto di Mussolini”. Le spiegazioni sono da ricercarsi nel processo di identità, intesa psicologicamente, fra il duce e il regime fascista. Le diverse componenti psicologiche che fanno di Mussolini un leader ideale, sono riscontrabili nel saggio di Freud
“Psicologia delle masse e analisi dell’io” (scritto nel 1921, prima che il fenomeno della dittatura mussoliniana lo confermasse).
La fortuna o destino di Mussolini fu di incontrarsi con una massa storica disposta alla sottomissione. Questo per ragioni contingenti, per la delusione serpeggiante, per la frustrazione degli italiani, disintegrati come comunità dalla guerra, per una fondamentale “paura della libertà”, e per il bisogno di un “protettore magico”.
Mussolini esercitava spesso un transfert erotico, quando cioè, appariva in un clima esplicitamente “amoroso” che si manifestava nelle pubbliche manifestazioni della folla. Gli stessi gregari di Mussolini si trovarono legati a lui, per un legame individuale, dato dalla stessa istanza di sottomissione, dalla stessa “relazione amorosa”; era “un’innamoramento di massa”[1].
La forza di coesione del gruppo fascista derivava dall’identificazione di tutti con Mussolini, alla caduta del quale corrisponderà la disfatta del fascismo.
Mussolini riuscì a conciliare le varie tensioni psicologiche esercitate sulla popolazione, allo scopo di conseguire una sorta di autorità paterna, tramite l’imposizione della disciplina e della propria idealizzazione.
È in tale contesto che nasce un’impostazione scientifica della propaganda; si iniziano ad utilizzare dei metodi specifici da parte di gruppi organizzati di specialisti, per conseguire il consenso, attivo o passivo della massa, in relazione ad azioni politiche, talvolta anche attraverso manipolazioni psicologiche.
Si concretizza un’espressione del potere che si afferma attraverso la conquista dell’opinione pubblica. Oltre a questo, è da prendere in considerazione un’ultima osservazione; per favorire l’identificazione a livello delle masse più vaste e numerose, Mussolini si riduceva continuamente alle immagini più modeste ed umili, delle varie categorie sociali italiane, del tutto indifferente al ridicolo che gliene derivava, denotando in questa abilità una capacità spettacolare: si trasformava in muratore, contadino, autista, nuotatore, aviatore, maestro, artista, poliziotto, giornalista, operaio.
Dopo dieci anni di travestimenti mussoliniani, ciascun italiano poteva tranquillamente riconoscersi in lui, o per dirla con Freud, poteva “identificarsi con lui nel proprio io”, riconoscendo un’immagine del padre universale (“Tu sei tutti noi!”).
Ancora oggi, la tecnica mussoliniana di influenzamento e persuasione viene studiata ed analizzata, viene riproposta, modificata ed attualizzata, al mondo contemporaneo tramite il marketing, la pubblicità , i discorsi politici.
© Psicologia della comunicazione persuasiva – Dott.ssa Romina Sinosich
[1] www.ilcounseling.it/articoli.htm