Il lavoro emozionale in ambito infermieristico
Sebbene lo studio del lavoro emozionale sia nato in riferimento agli assistenti di volo, negli ultimi anni la letteratura scientifica, ha dimostrato interesse per un ulteriore professione esposta a lavoro emozionale: la professione infermieristica (Gray, 2009; Smith & Gray 2000; Mann & Cowburn, 2005; Henderson, 2001; Smith, 1992).
Smith (1992) fu il primo ad applicare la nozione di lavoro emozionale all’ambito infermieristico nel suo studio sugli studenti di scienze infermieristiche concludendo che erano necessari ulteriori ricerche, poiché spesso le emozioni in questo contesto sono rese invisibili. Questo significa indagare ciò che spesso viene visto come una tacita ed non codificata competenza. Il riconoscimento in letteratura della nozione di lavoro emozionale in abito infermieristico emerge per lo più attraverso studi qualitativi condotti attraverso interviste o focus group, rivolti infermieri o a studenti di scienze infermieristiche, pubblicati su riviste mediche.
Questo riconoscimento deriva dalla consapevolezza che un aspetto cruciale di tale professione è il “prendersi cura” del paziente. Dai focus group e dalle interviste individuali condotte da Henderson (2001) su 49 infermieri impiegati in diverse aree cliniche, provenienti dal Canada e dal Regno Unito, emerge che gli infermieri ritengono che il “prendersi cura” del paziente, intendendo con tale locuzione gli sforzi mentali, fisici ed emozionali relativi al supporto degli altri, sia una componente essenziale della processo di guarigione del paziente e che vi sia un lavoro emozionale connesso a tale attività.
Gli infermieri lavorano a stretto contatto con il loro pazienti e spesso questa relazione è caratterizzata da emozioni intense, come ad esempio il confronto con la morte e la malattia (Bakker & Heuven, 2006). Come suggerito da Bolton (2001) la professione infermieristica è forse una delle occupazioni maggiormente associate ad un intenso lavoro emozionale, essendo una parte del loro lavoro incoraggiare i pazienti con gravi malattie, consolare i membri della famiglia in caso di cattive notizie, confrontarsi con la morte, con le aspettative dei pazienti, etc.
Pertanto il lavoro emozionale si configura per queste professioni una parte del loro ruolo lavorativo.
Smith e Gray (2000) nel loro studio qualitativo, condotto attraverso interviste a 60 persone tra cui studenti ed infermieri qualificati, hanno riscontrato che molti infermieri hanno riportato che nella loro attività lavorativa devono “sintonizzare” le proprie emozioni alle emozioni dei pazienti (p.232) e che il lavoro emozionale si configura come una “parte integrante della normale routine di assistenza infermieristica” (p.232).
In un altro recente studio qualitativo longitudinale condotto da Gray (2009) per un periodo di dodici mesi, volto ad esaminare il ruolo del lavoro emozionale negli infermieri, si concluse che questo lavoro caratterizza la professione infermieristica.
I dati di questa ricerca vennero raccolti attraverso 16 interviste in profondità e semi strutturate. I temi suscitati nelle interviste hanno indagato diverse tematiche del lavoro emozionale riguardanti la definizione del lavoro emozionale secondo gli infermieri, gli aspetti di routine del lavoro emozionale, l’immagine tradizionale e moderna degli infermieri e le barriere professionali e di genere che involgono il lavoro emozionale in ambito sanitario.
In particolare l’autore ha rilevato che la definizione data dagli infermieri al lavoro emozionale echeggia la definizione proposta per la prima volta da Hochschild (1983). Un infermiere rispose: “Io sento che il lavoro emozionale è il modo con cui gli infermieri prestano assistenza alle persone in modo da farle stare tranquille e al sicuro… Una parte del nostro lavoro è di mostrare sostegno per loro anche se hai avuto un giorno terribile e sei stanco di stesso e di tutti gli altri…Devi dare loro il supporto supplementare di cui hanno bisogno” (p.170).
Per quanto riguarda la rappresentazione sociale degli infermieri emerse che i tirocinanti si sentivano obbligati a impiegare le emozioni nel lavoro di cura poiché questa attività venne descritta come il “lavoro di un angelo”. Infine dagli intervistati emersero immagini stereotipate di cura, che presentano degli ostacoli al lavoro emozionale in questo contesto, nella misura in cui il lavoro emotivo non è riconosciuto come attività professionale ed è stato invece considerato come parte del lavoro che ci si aspetta da una figura femminile, associata allo stereotipo di immagine materna predisposta a prendersi cura.
Sebbene sia stata riconosciuta l’esposizione ad un lavoro emozionale per la professione infermieristica, pochi studi hanno indagato attraverso ricerche quantitative il rischio di stress e job burnout connessi a questa attività.
Un’eccezione è rappresentata dallo studio condotto da Mann e Cowburn (2005) volto ad analizzare la relazione tra il lavoro emozionale e lo stress in un campione di trentacinque infermieri del reparto di salute mentale. In questa ricerca gli infermieri hanno completato il questionario relativo a 122 interazioni pazienti-infermieri. I dati vennero raccolti in relazione alla durata e alla intensità delle relazioni, alla varietà delle emozioni espresse, alla percezione del livello di stress in riferimento alle interazioni, al grado di profondità o di superficie di espressione delle emozioni degli infermieri. In questo studio la durata delle interazioni fu misurata con un item che chiedeva quanto tempo (in minuti) durasse l’interazione. L’ intensità delle emozioni esperite e le modalità surface e deep acting per ciascuna interazione con il paziente venne valutata con l’uso dell’Emotional Labour Scale (Brotheridge & Lee,2003 ) mentre l’ Emotional Labour Inventory di Mann (citato in Mann & Cowburn, 2005) venne utilizzato per misurare il livello di lavoro emozionale eseguito nel corso di ogni interazione con il paziente. Inoltre, venne inclusa una misura, piuttosto diretta, per valutare quanto ciascuna interazione fosse percepita come stressante, chiedendo agli infermieri “quanto stressante è stata l’interazione?” e venne calcolato il punteggio su una scala a otto livelli. Infine, per valutare il livello di stress generale venne utilizzato il Daily Stress Inventory (Brantley & Jones, 1989, cit. in Mann & Cowburn, 2005). I risultati di questa ricerca hanno suggerito che il lavoro emozionale è positivamente correlato sia con il livello di stress riferito alle interazioni sia al livello di stress generale, e che la modalità di superficie fosse un predittore più importante del lavoro emozionale rispetto alla modalità profonda.
Quest’ultimo risultato implicitamente suggerisce che non sia di per sé rispondere alle regole di visualizzazione ad avere effetti sullo stress percepito, quanto lo sforzo connesso ad una manifestazione di emozioni non genuine. Come suggerito da Zapf (2002) la dissonanza emotiva può essere considerata anche come una domanda lavorativa, al pari di altre domande lavorative.
In relazione al focus di attenzione, come suggerito da Brotheridge e Grandey (2002) il costrutto del lavoro emozionale è stato concettualizzato in due modi principali.
Il primo, job-focused emotional labor, denota il livello di domanda emotiva in un’occupazione. Questa prospettiva fa riferimento al livello di domande emotive poste da una certa occupazione, in termini di aspettative di mostrare certe emozioni, frequenza e durata dei contatti interpersonali, intensità e varietà delle emozioni che devono essere mostrate come suggerito da Morris e Feldman (1996). La seconda prospettiva, employee-focused emotional labor denota il processo del lavoratore di regolazione delle emozioni, attraverso le due modalità proposte dalla Hochschild (1983) per un adattamento alla domanda emotiva, prospettiva analizzata anche attraverso la dissonanza emotiva (Abraham, 1998; Morris & Feldman, 1996) e il processo di regolazione delle emozioni (Grandey, 2000; Hochschild, 1983). Con l’obiettivo di integrare le due prospettive, e di analizzare la relazione tra lavoro emozionale e il burnout lavorativo, si riporta di seguito una breve rassegna di questo ultimo costrutto e una rassegna delle ricerche che hanno analizzato la relazione esistente tra queste due variabili.