Il lavoratore “bruciato”: la sindrome da burnout
Il lavoratore “bruciato”: la sindrome da burnout
Attraverso l’indagine che ha notevolmente arricchito questo elaborato volto ad indagare alcuni degli aspetti inerenti il disagio all’interno delle relazioni lavorative, si è riscontrato come ai protagonisti di questo fenomeno sociale, sempre più presente nel contesto quotidiano aziendale, sia negato il senso legittimo della propria umanità.
Ricusare l’idoneità lavorativa e relazionale dei vessati costringe talvolta a commettere atti disperati, se non estremi, che portano la vittima a perdere la propria dignità e la stima in se stessi. Il mobbing, fulcro cui attorno si legano altri fenomeni sociali come straining e stalking occupazionale, ha come conseguenza principale la generazione di stress che colpisce il lavoratore vessato.
Quanto descritto da De Carlo (2012) in termini di stress, decreta come esso non debba assumere necessariamente solo connotazioni negative – distress -, bensì il suo normale funzionamento è insito anche nelle situazioni piacevoli – eustress -, generato dalle situazioni positive in cui la persona può avvicendarsi.
L’autore mette in risalto come nelle sedi lavorative è più facile imbattersi in situazioni di distress, dove il lavoratore reagisce negativamente agli stimoli stressogeni che riceve dall’ambiente che lo circonda.
Lo stress percepito sul posto di lavoro è associabile a un’enormità di variabili che in questi capitoli vengono spesso citate, in questo frangente si vuole approfondire un aspetto cruciale legato alle conseguenze derivate dallo stress.
Il burnout, o sindrome da burnout è quanto di più specifico possa essere associato allo stress e alle sue fonti, è una risposta inadeguata agli stimoli cui quotidianamente un lavoratore è sottoposto.
Maslach (1997), associa alla sindrome da burnout l’esito patologico di un processo stressogeno che colpisce le persone che esercitano professioni d’aiuto, qualora queste non rispondano in maniera adeguata ai carichi eccessivi di stress che il loro lavoro li porta a prendersi in carico.
Anzitutto è utile evidenziare come il burnout sia definito come un esito patologico. La persona in sostanza si ammala, deforma le proprie risposte psicofisiche in funzione di stimoli negativi convergenti, esasperando il proprio essere a favore di chi lo violenta.
L’esito patologico è frutto di carichi eccessivi di stress cui la persona viene sottoposta, questi possono derivare da inadeguati carichi lavorativi, scarsa formazione del personale e da richieste cui la persona non può far fronte.
Maslach e Leiter (2000) hanno distinto la sindrome da burnout in tre dimensioni:
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- deterioramento dell’impegno nei confronti del lavoro;
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- deterioramento delle emozioni originariamente associati al lavoro;
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- problema di adattamento tra persona ed il lavoro, a causa delle eccessive richieste di quest’ultimo.
In tal senso il burnout diventa una sindrome da stress non più esclusiva delle professioni d’aiuto, ma che può presentarsi in qualsiasi organizzazione di lavoro. Il burnout (Volpi, Ghirelli, e Contesini, 1993) interessa tutte quelle figure caricate da una duplice fonte di stress, ovvero quello personale e quello della persona aiutata; in particolare colpisce i medici e le altre figure sanitarie, compresi volontari e studenti, gli addetti ai servizi di emergenza, tra cui poliziotti e vigili del fuoco, psicologi, psichiatri e assistenti sociali, sacerdoti e religiosi, insegnanti ed educatori, avvocati e ricercatori. Ne consegue che, se non opportunamente trattati, questi soggetti cominciano a sviluppare un lento processo di “logoramento” o “decadenza” psicofisica dovuta alla mancanza di energie e di capacità per sostenere e scaricare lo stress accumulato (“burnout” in inglese significa proprio “bruciarsi”).
In tali condizioni può anche succedere che queste persone si facciano un carico eccessivo delle problematiche delle persone a cui badano, non riuscendo così più a discernere tra la propria vita e la loro.
Il burnout comporta esaurimento emotivo, depersonalizzazione, un atteggiamento spesso improntato al cinismo e un sentimento di ridotta realizzazione personale. La persona tende a sfuggire l’ambiente lavorativo assentandosi sempre più spesso e lavorando con entusiasmo ed interesse sempre minori, a provare frustrazione e insoddisfazione, nonché una ridotta empatia nei confronti delle persone delle quali dovrebbe occuparsi.
Il burnout si accompagna spesso ad un deterioramento del benessere fisico, a sintomi psicosomatici come l’insonnia e psicologici come la depressione.
I disagi si avvertono dapprima nel campo professionale, ma poi vengono con facilità trasportati sul piano personale: l’abuso di alcol, di sostanze psicoattive ed il rischio di suicidio sono elevati nei soggetti affetti da burnout.
Di seguito vengono presentate le cause e le conseguenze della sindrome da burnout per come vengono proposte da De Carlo (2004) coerentemente al tipo di risposta che il lavoratore vessato fornisce all’esterno.
“Il lavoro che (non) fa per te”. Il disagio nelle relazioni lavorative: un’indagine psicosociale sul territorio di Venezia – © Maurizio Casanova