Il concetto di motivazione nella visione tayloristica
Il concetto di motivazione nella visione tayloristica
I primi tentativi di miglioramento delle prestazioni lavorative non prendevano in considerazione le variabili legate agli aspetti motivanti, ma erano caratterizzati da un’enfasi sulla pura strumentalità del lavoro, in conseguenza “dell’assorbimento sempre maggiore dell’uomo nella sua interezza nel sistema economico”, e nella svalutazione di tutte le attività e propensioni umane diverse da quelle economiche.
Tale approccio, sviluppatosi già agli inizi del ‘900, si fonda principalmente sui contributi dello Scientific Management e in primo luogo di Taylor , che parte dal presupposto che “la snaturazione razionalizzata del lavoro è il migliore o l’unico modo di raggiungere gli obiettivi tipici dei modelli culturali allora prevalenti di alta produzione e basso costo”.
Il loro fine era pertanto quello di mobilitare in modo ottimale le risorse materiali ed umane dell’organizzazione, inserendo razionalità e prevedibilità, in un contesto produttivo caratterizzato da metodi di lavoro molto empirici e da una direzione dove prevalevano le decisioni personali e l’arbitrio, ma che doveva affrontare adeguatamente le nuove sfide poste dalla produzione di massa.
I criteri maggiormente utilizzati nella progettazione delle mansioni non potevano che essere quelli della massima specializzazione, della massima ripetitività e del minimo tempo di addestramento, ottenendo così la limitazione sia del numero di compiti elementari, sia delle loro variazioni all’interno di una stessa mansione.
La specializzazione e la divisione del lavoro nascono dall’esigenza di dividere le attività lavorative che non possono essere svolte da un solo soggetto o che non è conveniente affidare ad un solo lavoratore.
In altri termini, essa si presenta come una soluzione opportuna quando ci si accorge che l’accentramento di queste attività in un solo individuo produrrebbe inefficienze (sprechi di risorse) e risultati non soddisfacenti.
In una situazione del genere ci troviamo di fronte ad un compito, o un’attività, di natura collettiva, la quale per definizione richiede l’intervento di più soggetti. In quest’ottica, è quindi necessario suddividere il compito, assegnarlo ai diversi soggetti, in modo da massimizzare le prestazioni di ciascuno e quelle del gruppo di persone, unico responsabile del compito collettivo.
I lavoratori che partecipano alla realizzazione di un’attività collettiva si troveranno così a svolgere compiti frazionati e parziali ed avranno bisogno del contributo degli altri membri del gruppo, se vorranno realizzare l’attività collettiva alla quale partecipano.
Nell’organizzazione scientifica del lavoro, il soggetto non ha un ruolo attivo nel determinare la propria mansione, ma “esegue” semplicemente i compiti rigidamente assegnati, ai fini di una maggiore efficienza produttiva .
Per questi fini si ritenevano anzi necessari dei veri e propri gruppi di lavoro che dovevano occuparsi della misurazione di tempi e metodi.
Essi, infatti, dovevano scomporre i singoli movimenti ed eliminarne le fasi superflue, ricomporre il lavoro stabilendo quali debbano essere le attività e gli utensili da utilizzare, fissare il tempo teorico di effettuazione di quella determinata fase lavorativa in modo da migliorare la tempistica globale.
È chiaro come in un’organizzazione siffatta il lavoro poteva facilmente diventare alienante, perdendo quel fascino e quella soddisfazione che invece dava, ad esempio, il lavoro artigianale in cui il soggetto poteva esprimere le proprie capacità e la propria arte creativa.
Così le teorie organizzative tayloristiche postulavano una struttura motivazionale del lavoratore limitata solo ai motivi economici.
In questa fase i modelli di gestione del personale erano basati sui sistemi di incentivazione della manodopera (cottimi), ancorati ad una rigida predeterminazione dei tempi.
Il coinvolgimento del lavoratore veniva quindi garantito, oltre che con i sistemi di incentivazione monetaria, con una rigorosa applicazione delle norme contrattuali e dei regolamenti interni.
Pertanto non si possono individuare elementi motivanti in una siffatta organizzazione del lavoro, se non quelli associati ad una progressione dei sistemi di incentivazione al crescere della produttività.
In definitiva, per avere un livello di motivazione elevato in un’organizzazione scientifica, bisogna accettare almeno due postulati delle teorie tayloristiche, che risultano tuttavia inverosimili sia dal punto di vista economico che umano:
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- la produttività del lavoro deve essere sempre crescente affinché la rimodulazione degli schemi organizzativi porti a maggiori prestazioni e impegno sul lavoro il soggetto trae soddisfazione sul lavoro solo da incentivi di natura economica.
© Analisi dei processi di motivazione nella gestione delle risorse umane – Davide Barbagallo