Il bossing: quando il mobber è il capo
Il bossing: quando il mobber è il capo
Gli studi sul mobbing hanno portato negli anni ad una sempre più approfondita analisi del fenomeno, il quale assume connotazioni specifiche a seconda di alcuni fattori presi in analisi, come sottolineato dall’Associazione contro lo Stress Psico-Sociale e il Mobbing, fondata in Germania nel 1993:
“il mobbing consta in una comunicazione conflittuale sul luogo di lavoro, tra colleghi o tra superiori e dipendenti, nella quale la persona che viene attaccata è posta in una condizione di debolezza e aggredita direttamente o indirettamente da una o più persone in modo sistematico, frequentemente e per un lungo periodo di tempo con lo scopo di estrometterla dal mondo del lavoro”
Alla base del mobbing ci sono sempre un conflitto irrisolto, che continua sotto la superficie e logora gli attori, e una costante: la vittima è sempre in posizione inferiore rispetto ai suoi avversari; tale inferiorità è, generalmente, riferita allo status della persona.
Durante il lungo periodo vessatorio subito sul luogo di lavoro, la vittima perde il ruolo iniziale, cioè non ha più influenza, il rispetto degli altri, il potere decisionale, la fiducia in se stessa, gli amici, l’entusiasmo nel lavoro e la propria dignità (Pedon, Maeran, 2002).
Fra i fattori peculiari del mobbing vi è il tipo di relazione che si viene a instaurare fra il lavoratore e le persone che in sede lavorativa lo circondano, quindi, come precisato nella definizione sopra riportata, tra colleghi o tra superiori e dipendenti.
Quanto appena osservato porta a delineare due tipologie di mobbing, definibili mobbing orizzontale e mobbing verticale.
Nel primo caso chi vessa è una persona considerata di pari grado rispetto al lavoratore, il conflitto sorge quindi fra persone dello stesso livello ed è generalmente il tipo di mobbing che si palesa più frequentemente negli ambienti lavorativi.
Questa visione del fenomeno, è caratterizzata dalla nascita di un conflitto fra persone che operano nello stesso ambiente e che instaurano una sorta di guerra psicologica atta a indebolire e estromettere il lavoratore preso di mira.
Il mobbing orizzontale è contraddistinto per le azioni concrete volte a danneggiare il prossimo, sono spesso atti impulsivi, difficilmente premeditati. Un lavoratore che nuoce un collega dello stesso livello attua comportamenti discriminatori volti a distruggere la persona poiché si sente minacciato oppure perché non è disposto ad accettare di lavorare con quella persona in particolare.
Lo scontro porta sempre all’isolamento del singolo da parte di un gruppo, nonostante gli atti vessatori vengano perpetrati nel tempo solo da una o due persone in particolare, le altre persone del gruppo sono spesso complici costretti (co-mobber), che a loro volta per evitare di essere vittime decidono di allearsi forzatamente con i mobber, attuando nei confronti della vittima designata atteggiamenti di indifferenza e di emarginazione.
(Ege, 2001).
Quando viene a mancare la fase del conflitto, caratterizzata solitamente da veri propri e scontri e da ripercussioni concrete per il vessato, si verifica una variante del mobbing, il bossing, cioè una sorta di mobbing pianificato compiuto dai superiori o dai dirigenti dell’azienda, quasi sempre con lo scopo preciso di indurre il dipendente alle dimissioni. Il bossing potrebbe essere paragonato a una sorta di terrorismo psicologico che viene programmato dall’azienda stessa o dai vertici dirigenziali come vera e propria strategia aziendale di riduzione, modernizzazione o razionalizzazione del personale, oppure di semplice eliminazione di una persona indesiderata (Favretto, 2005).
Può attuarsi in modi diversi, ma tutti tendono a creare intorno al vessato un clima di tensione opprimente, consistenti ad esempio in atteggiamenti severi, minacce e rimproveri.
Il bossing è una forma di mobbing “dall’alto”, ossia attuato non da colleghi di lavoro, bensì da un superiore gerarchico, come ad esempio il capufficio, il dirigente, il manager, il direttore tecnico della squadra o, più in generale, da una direzione aziendale.
È una sorta di molestia psicologica che viene realizzata con il preciso scopo di indurre il lavoratore alle dimissioni, spesso per l’impossibilità di poterlo licenziare con giusta causa.
Il bossing può concretizzarsi in modalità differenti ma con lo scopo comune di creare un clima di tensione intollerabile attraverso atteggiamenti riprovevoli, affidando alla vittima lavori degradati e dequalificati, privandolo così di ogni opportunità di crescita personale e di carriera.
Le cause che portano ad una strategia di questo tipo possono essere personali come l’invidia da parte dei superiori o paura del capo di essere superato dal dipendente, o organizzativi come la necessità di ridurre o ringiovanire il personale o di diminuire le risorse umane in alcuni rami aziendali improduttivi.
Il motivo che spinge ad attuare questa strategia è evidentemente il vantaggio di potersi liberare di un dipendente o sottoposto, senza dover sottostare alle norme e ai procedimenti spesso lunghi e onerosi previsti dal diritto del lavoro o da accordi sindacali, o semplicemente dalle clausole contrattuali.
Una strategia molto diffusa sarebbe quella di far circolare una lista nera in cui vengono inseriti i nomi delle persone che non svolgono delle mansioni utili per l’impresa e quindi non sono indispensabili ma solo di intralcio.
Queste liste nere devono solitamente essere sempre più di una, non devono mai essere “ufficiali”, bensì cercano di mantenere una certa segretezza a riguardo dei nomi delle persone che l’azienda ha scelto di eliminare. Questa strategia provoca nel personale dell’azienda un notevole stato di stress ai lavoratori oltre che la generazione di numerosi conflitti determinati dagli stati di tensione e di insicurezza che attuano lo scopo di promuovere numerosi licenziamenti da parte dei lavoratori per la loro esasperazione. Il bossing pertanto è un fenomeno che si può attivare in vari modi differenti e tende a creare stati di tensione nei confronti del lavoratore che si vuole escludere dall’azienda; quali minacce, rimproveri, atteggiamenti severi, azioni di sabotaggio.
Una seconda strategia che ha l’impresa o il datore di lavoro è quella di fornire al lavoratore degli incarichi che rappresentano per lui stesso motivo di degrado e di dequalificazione perché attraverso questi compiti lui non riesce a realizzare qualcosa di costruttivo.
Il personale superiore per mettere in maggiore difficoltà il dipendente, comincia a non concedere nessun colloquio personale, e si nega sostituendo alla sua presenza figure di intermediazione accuratamente istruite a dovere.
Si evidenzia inoltre un incoraggiamento alle dinamiche di conflitto e inimicizie tra i colleghi di lavoro, così da rendere minato anche il terreno dei rapporti interpersonali e di possibile supporto. La vittima, continuamente de-responsabilizzata e non considerata per il suo reale valore diventa agli occhi dei colleghi un lavoratore che non produce, e quindi un peso per l’azienda stessa. Si scatena un meccanismo a domino per cui l’individuo, ormai visto come un costo, viene allontanato e nei casi più gravi, perseguitato all’interno di un ambiente completamente ostile. Altri comportamenti di bossing si identificano con l’emissione di istruzioni incomplete o addirittura false, così che il lavoratore debba essere costretto a procedere in maniera approssimativa e compensatoria.
Tutti questi soprusi si perpetuano nel tempo e in maniera continua, giornaliera e pressante, fino a che si giunge all’isolamento della vittima designata.
La persona prova un irreversibile senso di vuoto e di mancata comprensione del cambio di atteggiamento nei suoi confronti, sentendosi addirittura in colpa, con una conseguente diminuzione dell’autostima (Ege, 2001).
“Il lavoro che (non) fa per te”. Il disagio nelle relazioni lavorative: un’indagine psicosociale sul territorio di Venezia – © Maurizio Casanova