I conflitti e i rapporti di clan: il team linkage
I conflitti e i rapporti di clan: il team linkage
Finora ci si è concentrati sul versante del contenuto della vita di gruppo, che invece si contraddistingue anche per un forte elemento relazionale.
La contiguità fisica, ad esempio, è un elemento che caratterizza il gruppo.
Ci si vede faccia a faccia, si verificano situazioni di simpatia-antipatia, di prevaricazione-disponibilità, di protagonismo-emarginazione, di confronto-scontro, di cooperazione-competizione; tutto ciò determina una rete comunicativo-relazionale molto complessa che richiede la decodifica contestuale di molteplici messaggi, tra loro anche contraddittori o divergenti.
La trasmissione della conoscenza e lo scambio di idee non sono quindi processi semplici e lineari perché avvengono, all’interno di un circuito comunicativo complesso in cui giocano un ruolo importante anche le situazioni conflittuali; queste vanno governate con competenza e con sensibilità se non si vuole correre il rischio che queste sopravanzino rispetto alla regolare vita di gruppo.
Spesso, poi, soprattutto all’interno del team o dell’area in cui si opera, possono nascere dei gruppi informali, virtuali che si fanno portatori dei propri interessi, delle proprie legittime aspettative e dei propri diritti, fino a convergere verso un comune modo di pensare, una sorta di “clan”, a cui è naturale aderire.
Questo fenomeno è comprensibile e condivisibile, poiché crea una barriera difensiva contro il potere decisionale che in certi casi non agisce in maniera da assicurare la giusta partecipazione ed il coinvolgimento di tutti.
Tuttavia può portare a situazioni in cui si ha una visione distorta dell’organizzazione, a dei filtri di giudizio e ad un irrigidimento comportamentale.
L’individuazione di queste problematiche sideve principalmente a Ouchi, il cui pensiero rappresenta una sorta di combinazione fra il modello giapponese di management, improntato ai principi della qualità, della coesione sul lavoro e dell’identificazione con l’azienda, e il modello americano, che ha nella figura del “manager motivante” il suo pilastro dogmatico .
Secondo Ouchi, in presenza di tali situazioni, compito del diretto responsabile sarà intervenire per correggere tali comportamenti e re-indirizzarli secondo quelle che sono le strategie aziendali e il comune fine.
In definitiva il manager deve contribuire a rafforzare il livello di motivazione delle persone definendo attentamente i compiti di ognuno, in base alle specifiche aspettative di coinvolgimento, e stabilendo degli obiettivi che consentano a tutti i collaboratori di sentirsi alla fine vincenti, in modo complementare fra di loro .
Come si è visto nei precedenti paragrafi, la facilitazione sociale del gruppo influisce altamente sui risultati di apprendimento del gruppo stesso a condizione che al suo interno sia prevalente una struttura cooperativa degli scopi da conseguire e i singoli membri non siano considerati dei potenziali concorrenti, ma piuttosto come risorse utili o necessarie per raggiungere gli scopi stessi collegialmente discussi e decisi.
E’ proprio questo momento preliminare di negoziazione che permette la risoluzione dei conflitti e il successivo avvio del lavoro comune in un clima cooperativo. In altre parole, è di fondamentale importanza costruire un clima generale di sostegno emotivo, nel quale i soggetti si sentano sufficientemente sicuri di poter mettere in discussione le idee e le posizioni altrui senza essere attaccati aggressivamente o colpevolizzati. Le controversie su queste idee, anzi, vanno valutate come contributi positivi e come strumenti efficaci per progredire.
Le situazioni conflittuali che il gruppo sperimenta non vanno nascoste o peggio, lasciate covare sotto la cenere di una illusoria normalità, ma devono essere valutate esplicitamente e, per quanto possibile, risolte; infatti se i conflitti diventano espliciti diventa possibile anche controllarli, impedendo così il deterioramento delle relazioni e l’efficacia del lavoro all’interno del gruppo.
Qualunque sia la loro forma, le tensioni generano malessere e l’atteggiamento spontaneo sarebbe quello di sopprimerle o di negarle, come se fossero intrinsecamente negative. In realtà gli studi sulle relazioni umane mettono in luce che la frequenza di attriti e conflitti si correla non tanto con il malessere che viene vissuto quanto piuttosto con il numero di conflitti che rimangono irrisolti o che sono stati affrontati con metodi inadeguati.
Certo, la differenza di posizioni non si può negare, ma va vista semplicemente come una delle componenti dell’identità personale e relazionale.
Un fondamentale strumento di integrazione potrebbe essere la realizzazione di “diversity team”, ovvero dei gruppi costituiti secondo le logiche del lavoro di un team multietnico, in cui affiancare risorse culturalmente molto diverse e con diverse abilità (come spesso si fa ad esempio, con chi ha particolari competenze di tipo informatico) per il raggiungimento di un medesimo obiettivo prefissato. Gli aspetti di limite di una cultura, infatti, possono essere in modo complementare i punti di forza di un’altra.
Si è detto come le politiche di diffusione della mission e il raggruppamento delle attività interdipendenti nella stessa unità organizzativa può favorire la comunicazione e il reciproco adattamento fra i membri dell’unità, obbligando a condividere risorse comuni e dando luogo a indici comuni di prestazione, che influiscono positivamente sulla motivazione “di gruppo” e “fra gruppi”.
A questi Majer aggiunge anche i conflitti interpersonali fra il lavoratore e l’azienda .
Ciò pone inevitabilmente il problema del coordinamento e delle strategie finalizzate alla permanenza di un clima coeso all’interno del gruppo, ravvisabile nella tolleranza reciproca e nella convivenza armonica. I conflitti in un gruppo sono comunque da considerare una “fisiologica” situazione di lavoro, poiché generano un arricchimento dei reciproci punti di vista, ma solo nella misura in cui si riescono a minimizzare i conflitti negativi, come gli scontri di tipo relazionale per problemi di potere, che portano ad uno stallo della motivazione.
© Analisi dei processi di motivazione nella gestione delle risorse umane – Davide Barbagallo