Fattori di rischio e di protezione sul burnout nell’insegnamento
Fattori di rischio e di protezione emergenti dalle ricerche sul burnout nell’ambito dell’insegnamento
Gli insegnanti sono per lo più inconsapevoli dei rischi per la salute legati al loro lavoro (Lodolo D’Oria et al., 2009). L’importanza delle dimensioni soggettive del lavoro emerge da un altro studio condotto in Italia su un campione di 697 insegnanti di diversi ordini scolastici (Guglielmi et al., 2012); questo studio evidenzia il ruolo della fatica mentale nella mediazione tra le richieste di lavoro degli insegnanti e le conseguenze dello stress. La letteratura sul burnout degli insegnanti da tempo infatti si interroga sulle possibili determinanti della sindrome, andando alla ricerca, tra le diverse variabili (sociodemografiche, organizzative, relazionali, individuali), dei principali predittori del burnout. Per quanto concerne le variabili socio-demografiche come ad esempio l’età di insorgenza della sindrome, alcune ricerche sugli insegnanti sostengono che il burnout si manifesti con maggiore frequenza nei primi anni di lavoro (Maslach e Leiter, 2000; Santinello, 2007), in seguito alla caduta delle illusioni; altre invece sottolineano un incremento della vulnerabilità al burnout che si verifica all’aumentare dell’anzianità di servizio, a causa delle limitate energie e risorse da investire nelle attività lavorative (Mearns e Cain, 2003). Fra le variabili organizzative, studiate in relazione al burnout dei docenti si considerano: il conflitto, la partecipazione alle decisioni, il sistema retributivo, l’autonomia, il clima e le reti di supporto sociale (Aluja, 2005; Burns e Machin, 2013; Collie et al., 2012; Lodolo D’Oria, 2004; Maslach e Leiter, 2000; Olivas e Martinez, 2012). Si evidenzia in particolare lo squilibrio fra le condizioni di elevato sforzo a fronte delle scarse ricompense percepite (Zurlo, Pes, Cooper, 2007). Tra i fattori individuali coinvolti nello stress dei docenti, alcuni studi si soffermano sull’immagine ideale e reale di sé in relazione al proprio lavoro (Pedrabissi e Santinello, 1990). Sarebbero a questo proposito più vulnerabili al burnout i docenti che hanno scelto la professione di insegnante come un ripiego e coloro che hanno compiuto questa scelta spinti da motivazioni idealistiche (Hong, 2010; Hong, 2012). L’immagine di sé e del proprio ruolo e le convinzioni personali dei docenti (Gong et al., 2013) risultano interconnesse all’impegno nel proprio lavoro (Day, 2005; Spilt et al., 2011) e sono in grado di influenzare l’autostima personale e professionale. Da diversi anni in Italia il disagio e l’insoddisfazione dei docenti spesso si associa all’immagine che l’opinione pubblica rimanda agli insegnanti che a fronte della loro bassa retribuzione economica (agli ultimi posti nelle classifiche internazionali), vengono considerati fruitori di una condizione privilegiata, legata ai loro tempi di lavoro. Il tema dell’orario di lavoro infatti risulta essere uno degli argomenti sul quale convergono il dissenso e il conflitto tra la scuola e l’opinione pubblica che spesso non tiene conto dell’orario lavorativo extra-scolastico dei docenti. Si mette in evidenza anche (Favretto e Comucci Tajoli, 1990; Favretto e Rappagliosi, 1990) il ridotto riconoscimento sociale della categoria professionale rispetto a un passato in cui gli insegnanti godevano di maggiore prestigio sociale (Favretto e Comucci Tajoli, 1990). Rispetto al versante familiare, l’immagine che il docente ha di sé tende a risentire del conflitto famiglia-lavoro e del carico di lavoro (spesso da portare a casa), a cui possono legarsi altre esigenze personali e conflitti coniugali. L’interfaccia famiglia-lavoro (Cooper, Sloan, Williams, 2009; Sutherland e Cooper, 1988; Hultell e Gustavsson, 2011), ma soprattutto il conflitto fra le esigenze familiari e quelle lavorative (Chan et al., 2000; Innstrand, 2008 ), sono quindi considerate in relazione allo stress dei docenti. A questo proposito, diversi studi si sono concentrati sulle risorse che possono moderare gli effetti negativi dello stress e il conflitto famiglia-lavoro, in particolar modo si tirano in ballo: il supporto sociale (Greenglass et al.,1994), la flessibilità (Clark,2001; Eek e Axmon,2013), la padronanza (Hultell e Gustavsson,2011), le strategie di coping (Doménech Betorz e Gómez,2010; Mearns e Cain, 2003 ), la resilienza (Doney, 2013) e l’autoefficacia dei docenti (Schaufeli et al., 2008; Schwarzer e Hallum, 2008; Simbula e Guglielmi, 2011). Sulla base di questi studi che si focalizzano sugli aspetti psicologici del burnout degli insegnanti, si presenta una ricerca che intende focalizzarsi sull’immagine personale e professionale del docente come possibile predittore della sindrome. Pertanto ,i presupposti teorici dello studio di Pedditzi e Nonnis (2014) (che verrà esposto a seguire) sono stati: il modello dello stress lavorativo di Cooper, Sloan e Williams (Cooper et al., 2009), che consente di individuare fra i principali fattori responsabili dello stress lavorativo numerose dimensioni psico-sociali, fra cui anche l’interfaccia famiglia-lavoro, il dualismo carriera-matrimonio e il divario fra status professionale e sociale; analizzati a partire dall’immagine personale e professionale del docente; e il modello a tre dimensioni del burnout di Maslach e collaboratori (Sirigatti e Stefanile,1993), che nella sua versione per gli educatori consente di analizzare gli aspetti problematici della relazione con gli studenti e nello specifico gli aspetti di chiusura, cinismo, apatia e conflittualità fra i docenti e gli allievi. Di seguito si riporta, per l’appunto, lo studio di Pedditzi e Nonnis (2014).
“Il presente studio valuta l’eventuale presenza di burnout all’interno di un campione d’insegnanti della scuola primaria e secondaria di primo grado. Si vogliono analizzare le caratteristiche del burnout dei docenti in riferimento al livello scolastico e alla provincia di appartenenza (Roma, Bari, Sassari, Cagliari). Si intende inoltre analizzare l’influenza del genere e dell’anzianità di servizio sul burnout dei docenti intervistati. Tenendo conto poi di alcune specifiche fonti psicosociali di stress degli insegnanti (HallKenyon et al., 2013), si vuole indagare se, oltre ai predittori classici del burnout (carico di lavoro, conflitto interpersonale e organizzativo), altri aspetti connessi all’immagine personale e professionale dei docenti e inerenti il riconoscimento sociale (Cooper et al., 2009) e l’interfaccia famiglia-lavoro possano essere dei predittori specifici della sindrome. Si considerano a questo proposito le scale del questionario di Cooper, Sloan e Williams (2009) nel suo adattamento per gli insegnanti (Hall-Kenyon et al., 2013), e nello specifico le scale dell’immagine personale (come gli insegnanti vivono l’interfaccia fra la vita privata e quella professionale e il divario fra status professionale e sociale) e dell’immagine di ruolo (aspettative di carriera, sentirsi o meno sotto-qualificati rispetto al ruolo che si svolge) per verificare il loro potere predittivo rispetto al burnout (esaurimento emotivo e depersonalizzazione). La scelta di analizzare i predittori dell’esaurimento emotivo e della depersonalizzazione deriva da una valutazione dei dati presenti nella letteratura indicata circa i potenziali indicatori precoci di burnout.
Per quanto sin qui evidenziato, l’esaurimento, la stanchezza e il cinismo sono infatti le misure considerate primarie del burnout e regolarmente riscontrate in lavoratori affetti dalla sindrome.
Hanno partecipato alla ricerca 882 docenti provenienti da scuole primarie e secondarie di primo grado di Roma, Bari, Sassari e Cagliari, che hanno compilato il questionario sul burnout e sulle fonti di stress. L’indagine è stata autorizzata formalmente dalle scuole, previo contatto con i Dirigenti scolastici, nel pieno rispetto della normativa sulla privacy. I questionari anonimi sono stati compilati dagli insegnanti in maniera individuale e autonoma. I dati sono stati elaborati in forma aggregata.
Per la valutazione del burnout: il questionario MBI – Maslach Burnout Inventory (Sirigatti e Stefanile, 1993), che si compone di 22 items, valutabili secondo una scala di frequenza a 6 punti (da 0 = mai a 6 = ogni giorno). […] Per la valutazione delle fonti di stress: un adattamento per l’ambito scolastico (Marini, 1997; Pedditzi et al., 2012) del questionario sulle Fonti di Stress di Cooper, Sloan e Williams (2009). […]
Il campione è costituito da 882 insegnanti della scuola statale, di cui il 52,4% insegna presso la scuola primaria (n= 462) e il 47,6% presso la scuola secondaria di 1° grado (n=420); il 18,5% proviene da Roma (n=163); il 20,2% da Bari (n=178); il 31,3% da Cagliari (n=276) e il 30% da Sassari (n=265). L’età media dei docenti è di 46 anni.
L’anzianità di servizio è compresa fra 1 e 39 anni. I docenti del campione complessivo sono per 84,4% di genere femminile e per il 15,6% di genere maschile. Il campione è di convenienza: è stato individuato in base alla disponibilità dei docenti. Il tasso di risposta al questionario è stato del 75% (su 1200 proposti, ne sono stati acquisiti 902 compilati, di cui 882 validi).
[…]
I risultati della ricerca confermano la presenza di burnout fra gli insegnanti intervistati: risulta in fase conclamata l’8,2% degli intervistati ed è inoltre consistente la percentuale di docenti che presenta elevati livelli di esaurimento emotivo (29,9%) e di depersonalizzazione (33,8%). Quest’ultima è connotata da atteggiamenti di distacco, chiusura, indifferenza e cinismo nella relazione con gli studenti ed è una dimensione sensibile nella relazione docente-allievo, in quanto precedenti ricerche sottolineano la sua capacità di compromettere i processi di insegnamento-apprendimento (Pas et al., 2010; Pedditzi,2005; Spilt et al., 2011). Queste problematiche interessano in particolare i docenti della scuola secondaria di primo grado che si occupano di adolescenti dagli 11 ai 14 anni circa e, come la letteratura evidenzia, gli insegnanti che lavorano con questi studenti tendono ad avere frequenti sentimenti di depersonalizzazione (Pedditzi, 2005; Sirigatti e Stefanile, 1993) e più bassi livelli di realizzazione professionale rispetto ai loro colleghi della scuola primaria (Ullrich et al., 2012). I risultati inerenti al genere confermano alcuni risultati rilevanti sulla depersonalizzazione dei docenti di genere maschile (Skaalvik e Skaalvik, 2007; Pinelli et al., 1999; Sirigatti e Stefanile, 1993). Per quanto concerne l’anzianità di servizio, emerge che sono gli insegnanti più anziani a risentire dei maggiori livelli di esaurimento emotivo, come evidenziato anche dagli studi presenti in letteratura, che sottolineano un incremento nel tempo della vulnerabilità al burnout (Mearns e Cain, 2003). I dati inerenti la città in cui i docenti prestano servizio è coerente con la letteratura scientifica (Maslach e Leiter, 2000) che descrive un maggiore rischio negli operatori dei servizi sociali ed educativi dei grandi centri urbani. Per quanto concerne i predittori dell’esaurimento emotivo e della depersonalizzazione, l’immagine personale che il docente ha di sé rispetto alle difficoltà a conciliare la vita privata con quella lavorativa e il conflitto interpersonale (con colleghi, allievi e genitori) risultano predittori sia dell’esaurimento emotivo, sia della depersonalizzazione. L’immagine personale che i docenti hanno di sé in riferimento al loro lavoro costituisce quindi un rilevante predittore del burnout che si esprime attraverso il modo in cui gli insegnanti percepiscono l’interfaccia fra vita privata e professionale e vivono il divario fra il loro status professionale e sociale. Anche Pedrabissi e Santinello (Pedrabissi e Santinello, 1999) hanno riscontrato in un campione di insegnanti della scuola primaria una discrepanza tra l’immagine di sé ideale e reale, accompagnata da uno stato emotivo di esaurimento e dalla percezione di una scarsa realizzazione professionale. Questi risultati sono emersi in parte anche nella ricerca di Camerino e colleghi (2011) in riferimento alla percezione da parte degli insegnanti di una ridotta partecipazione alle decisioni importanti unita alle scarse possibilità di carriera. Per quanto concerne invece i conflitti interpersonali, i risultati confermano la letteratura che evidenzia la mancanza di cooperazione con le figure genitoriali, con gli studenti e con i colleghi di lavoro. Per quanto concerne l’ambiguità dei compiti di ruolo, che risulta un predittore dell’esaurimento emotivo, essa deriva dalla molteplicità di ruoli che l’insegnante deve assumere, che non sono sempre compatibili tra loro e da un incremento nella richiesta di qualità e responsabilità in materia di istruzione che costituisce un rilevante stressor per gli insegnanti (Quattrin et al., 2010). Il docente deve infatti insegnare, istruire, educare, progettare, socializzare e promuovere lo sviluppo armonico della personalità dell’alunno. Non solo, deve saper gestire i rapporti con i colleghi, il dirigente scolastico, i genitori e chiunque entri in contatto con la dimensione scolastica. L’ambiguità è data quindi dal fatto che gli obiettivi che l’insegnante deve raggiungere nell’espletamento della professione sono molteplici e spesso non adeguatamente definiti ma anche dall’impossibilità di stabilire se il lavoro sia svolto nel migliore dei modi. Ulteriori approfondimenti si dovranno fare, invece, alla luce del contesto organizzativo scolastico specifico e della normativa di riferimento in vigore, per comprendere meglio la relazione che intercorre fra le scale del conflitto organizzativo e dell’immagine di ruolo e il burnout, dato che emerge una correlazione ma non una relazione predittiva con le scale EE e DP.
I risultati della ricerca, limitatamente al campione considerato, consentono alcune riflessioni sul burnout degli insegnanti e sulle possibili strategie di prevenzione soprattutto alla luce delle principali fonti di stress lavorativo imputabili a fattori di natura psico-sociale e organizzativa. Il burnout degli insegnanti intervistati è infatti presente e per quanto si attesti a livelli generali medi, richiede comunque attenzione e monitoraggio onde evitare un peggioramento della situazione. I casi a rischio di depersonalizzazione risultano infatti numerosi all’interno del campione e possono avere un impatto negativo in particolare sulla relazione docente-allievo e sul processo di insegnamento-apprendimento (Pedditzi, 2005; Spilt, 2011). Le iniziative di prevenzione del disagio da realizzare con gli insegnanti intervistati richiedono attenzione in particolare per quanto riguarda l’immagine personale degli insegnanti, i conflitti interpersonali e l’ambiguità dei compiti di ruolo. Questo si traduce in misure di prevenzione del disagio volte ad intensificare la consapevolezza e la comprensione dei delicati aspetti relativi all’immagine di sé che i docenti si costruiscono rispetto al lavoro che svolgono, in riferimento in particolare all’immagine che il docente pensa di avere rispetto all’opinione pubblica e all’interfaccia famiglia/lavoro e lavoro/carriera e al peso che questi aspetti possono avere sulla genesi del burnout. Apprendere modalità di gestione dei tempi e delle attività, tenendo conto di una maggiore consapevolezza dei propri limiti e delle risorse connesse alle reti di supporto sociale all’interno dei luoghi di lavoro, può risultare una risorsa importante per prevenire il burnout e migliorare le relazioni interpersonali con i colleghi. Tenere sotto controllo i fattori di rischio psico-sociale evidenziati in letteratura e in questa ricerca può essere utile sul piano della programmazione dell’azione preventiva nel rischio associato al burnout. La depersonalizzazione può assumere infatti i connotati dell’allontanamento da una situazione percepita come altamente ansiogena e deludente, che porta gli insegnanti a rivisitare la loro identità professionale. Si sottolinea ormai da tempo la necessità di acquisire competenze e strumenti in campo, psicologico, pedagogico e didattico, che consentano di affrontare con padronanza il lavoro, e di valutare le proprie motivazioni verso la professione. È fondamentale dunque che nel bagaglio del docente sia presente una preparazione psicologica adatta ad affrontare le situazioni problematiche che si presentano nella relazione d’insegnamento-apprendimento, con un’attenzione non solo all’utente che è portatore di un determinato bisogno ma anche agli aspetti del proprio sé che entrano in gioco nella relazione. Il burnout potrebbe essere ridotto a scuola se si desse maggiore importanza agli aspetti psico-sociali della professione, creando occasioni e spazi di confronto costruttivo fra insegnanti. Ciò rimanda ai possibili interventi di prevenzione della sindrome, che possono realizzarsi secondo una prospettiva di psicologia di comunità, per migliorare l’interazione tra l’individuo e i suoi contesti di vita con l’attivazione di processi di gruppo e lo sviluppo dell’empowerment individuale, sociale e organizzativo. I risultati di questo studio tengono conto di alcune fonti-psicosociali di stress degli insegnanti, ma é bene tuttavia sottolineare che, oltre alle dimensioni considerate in questa ricerca, numerose altre variabili possono incidere sulla sindrome, come la letteratura sul burnout ampiamente descrive. È bene inoltre considerare che a seconda del modello interpretativo del burnout utilizzato, la ricerca sul tema può mettere in risalto di volta in volta aspetti differenti che contribuiscono comunque complessivamente alla conoscenza e comprensione della sindrome. Nel corso di future ricerche ci si propone pertanto di analizzare altre possibili dimensioni psico-sociali e organizzative associate ai contesti specifici di riferimento e ai singoli ordini scolastici, tenendo conto anche della possibile influenza della recente normativa scolastica (che ridisegna i profili in entrata degli insegnanti). Ci si propone anche di integrare le metodologie quantitative standardizzate, utilizzate in questo studio, con l’uso di ulteriori strumenti e modelli interpretativi dello stress, tenendo conto anche di indicatori oggettivi e descrittivi delle condizioni del lavoro degli insegnanti nei singoli contesti organizzativi scolastici.” (Pedditzi e Nonnis, 2014).
Riprendendo gli studi condotti sugli insegnanti di sostegno in relazione al burnout, sembra che il grado e la tipologia di disabilità degli alunni, oltre ad un lungo contatto con gli stessi, influisca sulla self-efficacy degli insegnanti (Bailey e Plessis, 1998; Prochnow, Kearney e Carroll-Lind, 2000): per l’appunto gli insegnanti, a contatto con alunni con disabilità sensoriali e fisiche e con moderate difficoltà nell’apprendimento, avvertono maggiore efficacia nel proprio intervento. In aggiunta, coloro che hanno maturato un prolungato e diretto “contatto” con gli alunni disabili hanno una rappresentazione più positiva della disabilità e delle politiche legate all’integrazione, comunicando minori difficoltà nella gestione del comportamento sia individuale sia di classe, soprattutto nella scuola dell’infanzia e primaria (Vianello e Moalli, 2001; Vianello, Lotto, Mega, Tedesco e Mognato, 1999). Altre variabili, come gli anni di insegnamento e l’età incidono sui livelli di burnout. I più giovani (con età inferiore ai 40 anni e con minori anni di insegnamento nel sostegno) esprimono atteggiamenti più favorevoli verso gli studenti disabili e l’integrazione scolastica rispetto ai colleghi più anziani (Cornoldi Terreni, Scruggs e Mastropieri, 1998); anche se però, come emerge dagli studi di Miller e collaboratori (1999), risultano più “logorati” e stressati per via, non solo, di una ridotta soddisfazione lavorativa dovuta a scarso supporto istituzionale (Nichols e Sosnowsky, 2002), ma anche a causa di una mancata corrispondenza tra l’impegno prodigato nel lavoro ed i progressi dell’alunno con disabilità. Da altre ricerche emerge che gli insegnanti di sostegno che “si rappresentano” più qualificati e competenti, tendono a valutare in maniera più positiva i progressi degli alunni disabili ed esperiscono livelli di stress (Singh e Billingsley, 1996). In più, gli insegnanti con alti livelli di self-efficacy tendono ad impegnarsi di più nella loro attività lavorativa (Coladarci, 1992), adottando strategie didattiche più innovative (Woolfolk, Rosoff e Hoy, 1990; Fuchs, Fuchs e Bishop, 1992), intervenendo positivamente anche sul rendimento scolastico e sui processi di socializzazione (Multon, Brown e Lent, 1991). Tuttavia si fa riferimento anche ad una non sempre lineare articolazione di questo fenomeno, infatti in un’indagine di De Caroli, Sagone e Falanga (2007) condotta su 105 insegnanti di sostegno italiani (infanzia, primaria e media inferiore), è venuto fuori che, se da una parte , i docenti esplicitarono che i disabili possano raggiungere obiettivi centrati sull’integrazione scolastica e sociale, dall’altro, valutano positivamente se stessi come insegnanti di sostegno ma mostrano anche una rappresentazione negativa dei “fruitori” della loro attività didattica, avvertendo una maggiore distanza sociale tra il sé professionale e gli alunni disabili. In relazione all’ambivalenza riscontrata, De Caroli e Sagone (2008) hanno deciso di indagare gli aspetti più critici (es. la qualità dell’adattamento interpersonale ed il rischio di burnout) che influenzano la rappresentazione del Sé Professionale, tramite strumenti idonei ad una “lettura” psicologica al fine di potenziare, implementare e monitorare, ad ampio raggio, le risorse umane impegnate nella gestione della “disabilità”. Si riporta di seguito la ricerca di De Caroli e Sagone (2008).
“Lo scopo della presente ricerca è centrato sull’esplorazione degli atteggiamenti pregiudiziali verso l’integrazione scolastica degli alunni disabili, dei livelli di burnout e di adattamento interpersonale, della rappresentazione del Sé Professionale, degli Alunni con disabilità e dei Colleghi, in un campione di docenti di sostegno, frequentanti il Corso di specializzazione della SISSIS nella sede di Catania. In particolare, abbiamo ipotizzato che:
- i docenti esprimono, a livello del “dichiarato”, atteggiamenti pregiudiziali positivamente connotati nei confronti degli alunni disabili e della loro integrazione scolastica e sociale;
- i docenti a basso rischio di burnout presentano alti livelli di adattamento interpersonale;
- i docenti con bassi livelli di esaurimento emotivo, depersonalizzazione e ridotta realizzazione personale manifestano una positiva rappresentazione del Sé Professionale, degli Alunni con disabilità e dei Colleghi curriculari;
- i docenti che hanno raggiunto elevati livelli di adattamento interpersonale hanno maturato una positiva rappresentazione del Sé Professionale.
Il campione della ricerca è costituito da 67 docenti di sostegno, di età compresa tra i 32 ed i 49 anni, in maggioranza di genere femminile (52 donne e 15 uomini), frequentanti il Corso di Specializzazione della SISSIS di Catania (Scuola Interuniversitaria Siciliana di Specializzazione per l’Insegnamento nella Scuola Secondaria). Si tratta di docenti che, attualmente (per l’85,1% dei casi), prestano servizio in scuole di primo e di secondo grado nell’intero territorio siciliano e quasi la metà di essi (il 41,8%) ha operato già nel campo dell’insegnamento per un periodo complessivo che si estende dai 6 agli 11 anni, mentre il 23,9% da non più di 5 anni, il 22,4% dai 12 ai 17 anni e, in misura ridotta, l’11,9% dai 18 ai 23 anni. Il 53,7% del campione dichiara di aver svolto, in passato, una professione differente dall’insegnamento (per lo più, da libero professionista o in mansioni a tempo determinato), mentre il 46,3% dichiara di aver cominciato a lavorare già nella mansione attuale di docente. Con specifico riferimento all’attività professionale in qualità di docente di sostegno, la quasi totalità del campione (97%) lavora con alunni disabili da non più di 5 anni e la tipologia di disabilità degli alunni è associata, soprattutto, al ritardo mentale di tipo lieve e medio, ai disturbi generalizzati dello sviluppo e, in ridotta presenza, ai deficit sensoriali e motori. La raccolta delle indicazioni socio-demografiche del nostro campione è avvenuta mediante una griglia appositamente creata per la rilevazione dell’età, del genere, della professione svolta in passato e di quella attuale (se differente dall’insegnamento), degli anni di insegnamento con e senza alunni disabili, della tipologia di disabilità e del grado di scuola in cui si presta/si è prestato servizio. Per l’esplorazione delle ipotesi di cui sopra, gli strumenti di misura, impiegati in forma anonima e in setting collettivo, sono costituiti da: un questionario per la rilevazione degli atteggiamenti sociali verso l’integrazione scolastica e sociale degli alunni disabili (De Caroli et al., 2007), diviso in 6 parti ciascuna delle quali composta da alcune scale di giudizio tipo Likert a 7 intervalli, in funzione del grado di accordo/disaccordo con l’affermazione proposta (da 1= minimo accordo a 7=massimo accordo); il Maslach Burnout Inventory – MBI di Maslach (1982), nell’adattamento italiano a cura di Sirigatti e Stefanile (1993) è stato in questa sede adattato agli insegnanti di sostegno […]; il Questionario di Adattamento Interpersonale – Q.A.I. di Di Nuovo (1998), utile a valutare il grado di adattamento/disadattamento nelle relazioni interpersonali, costituito da 50 affermazioni a cui i soggetti rispondono con una scala a 3 intervalli (spesso, qualche volta e raramente/mai, oppure, molto, abbastanza e poco/per niente).
[…]
L’indagine realizzata con i nostri docenti di sostegno evidenzia molteplici aspetti, per più versi, ambivalenti, richiamando ulteriormente l’esigenza di mette in luce le differenti dimensioni psicologiche, individuali e sociali, chiamate in causa in tale complessa e articolata professionalità. Il quadro inerente l’orientamento degli atteggiamenti pregiudiziali espressi, a livello del “dichiarato”, dai nostri docenti di sostegno, appare caratterizzato da una connotazione discretamente positiva in tutti gli aspetti presi in esame. Per quanto attiene al rischio di burnout, esplorato anche alla luce dei dati riportati dalla letteratura scientifica, nazionale ed internazionale, una ridotta parte del nostro campione (senza differenze tra uomini e donne) avverte sentimenti di inadeguatezza al proprio ruolo professionale e tende ad assumere atteggiamenti di distacco, ostilità e cinismo nei confronti della situazione e degli altri soggetti (i colleghi di lavoro e gli alunni disabili). In una bassa percentuale di casi emerge sia uno svuotamento di risorse emozionali, con la conseguente sensazione di essere emotivamente inariditi dal rapporto con gli altri e di non riuscire a recuperare le proprie energie, sia una ridotta self-efficacy ed un’attribuzione distorta dell’insuccesso personale ad agenti esterni in ambito professionale. Ciò sembrerebbe, pertanto, deporre a favore di una situazione professionale scarsamente a rischio di burnout, per lo meno, in una fase iniziale del percorso lavorativo in quanto la quasi totalità del campione lavora con alunni disabili da non più di 5 anni.In riferimento ai livelli di adattamento interpersonale, i risultati testimoniano, da un lato, una significativa preoccupazione concernente la propria immagine sociale e l’espressione di atteggiamenti di chiusura ed evitamento delle situazioni stressanti, dall’altro, indicano livelli medi di impulsività e ridotto stress in situazioni sociali. In sintesi, dal quadro generale si evince che, tra i docenti intervistati, coloro che manifestano elevati livelli di esaurimento emotivo presentano atteggiamenti legati all’impulsività e, soprattutto, avvertono un maggiore stress in situazioni sociali. Tra questi docenti di sostegno, inoltre, quelli che manifestano una bassa realizzazione personale presentano atteggiamenti caratterizzati dalla nonaffermatività e dall’impulsività. La rappresentazione del Sé Professionale risulta più positiva rispetto a quella espressa per i Colleghi curriculari e, soprattutto, per gli Alunni disabili, in particolare, da parte di quei docenti che manifestano livelli bassi di esaurimento emotivo e livelli alti di realizzazione personale; inoltre, i docenti che manifestano bassi livelli di non-affermatività e di impulsività esprimono una valutazione più positiva di sé come insegnanti di sostegno. La rappresentazione dell’Utenza (gli Alunni disabili) sembra caratterizzata da elementi di “debolezza”, come già riscontrato e confermato in precedenti ricerche nel nostro contesto (De Caroli e al., 2007). Lo iato esistente tra il livello del “dichiarato”, in cui gli atteggiamenti pregiudiziali sembrano risentire della logica ‘protezionista’ e del “dover essere”, ed il livello del “rappresentato”, in cui l’immagine dell’utenza risulta meno positiva, indica l’esigenza di realizzare percorsi formativi centrati sulla analisi della professione dell’insegnante in-relazione-con la disabilità.” (De Caroli e Sagone,2008).
Alla luce di ciò, è possibile sostenere che la professione dell’insegnante si classifichi come una delle professioni più soggette ad un alto carico di stress. Di conseguenza si è ritenuto idoneo esporre, nel paragrafo successivo, gli effetti sul burnout negli insegnanti e le eventuali strategie di coping mediante un elaborato di Pisanti, Lucidi e Bertini (2001).
© Il Burnout negli insegnanti – Federica Sapienza