Dal counseling individuale al counseling organizzativo

 Dal counseling individuale al counseling organizzativo: somiglianze e differenze.

 

Dagli anni ’90, i manager iniziarono a riconoscere l’utilità del counseling come risorsa utile sia per gli individui sia per le organizzazioni: considerato che quest’ultime sono fatte di persone, ciò che serve al singolo, maggior ragione serve ai gruppi che convivono in realtà organizzate, dove ogni soggetto porta con se un bagaglio personale che entra in modo prepotente nella quotidiana esperienza di lavoro.
Quando il mondo soggettivo si rapporta con quello delle organizzazioni, è gioco forza che i disequilibri individuali s’incontrino con quello organizzativi, con la conseguenza di generare situazioni di tensioni che, non solo rendono difficile la convivenza e affievoliscono la motivazione, ma alla fine producono ricadute negative sulla produttività e sul rendimento dell’azienda. Una situazione delicata si presenta, quando vi è integrazione tra gli obiettivi personali con quelli aziendali. In tal caso occorre che le azioni, gli interessi e le aspirazioni del singolo non trovino spazio di espressione o per contro che le richieste aziendali non riescano a soddisfare le attese del lavoratore in quanto troppo elevate, rispetto ai suoi desideri, oltre che effettive capacità, o perché eccessivamente basse in relazione al suo profilo professionale.

 

Anche grosse fasi di cambiamento possono preludere a stati critici che mettono a rischio la salute dell’azienda; tali fasi riportano alla superficie intensi vissuti emotivi che si esplicitano sotto forma di resistenza o negazione alle nuove idee e proposte, oppure all’opposto, come urgenza di intraprendere un cammino sconosciuto per fuggire da una situazione sentita come stagnante, senza invece salvare lo storico e le esperienze di successo.

 

Sulla scena teorica diversi autori hanno cercato di comprendere l’organizzazione utilizzando particolari modelli d’analisi che, facendo riferimento alle scienze umane, hanno impiegato costrutti presi a prestito dall’area clinica: dall’orientamento psicoanalitico che definisce le tipologie organizzative in base agli assunti affettivi inconsci in azione nei gruppi, alla prospettiva degli archetipi junghiani, all’espressione della sfera emotiva come mezzo per raggiungere gli scopi ultimi dell’azienda, a tutte le teorie sui gruppi di lavoro in quanto realtà collettiva in cui si esplicano dinamiche relazionali e affettive importanti.

 

A fronte di tali considerazioni, il counseling organizzativo può essere rappresentato come un continuum che si estende tra due polarità: da una parte c’è chi sostiene la posizione secondo cui le alternative del business determinano gli obiettivi clinici (andamento del mercato, innovazione spinta, presenza di settori emergenti e settori maturi…) mentre sull’altro versante ci sono le posizioni centrate sulla persona che vedono il counseling organizzativo quasi come una pratica privata, svolta dentro le mura dell’azienda, In sintesi gli interventi del counseling prendono in carico insieme il singolo e la collettività muovendosi tra problematiche causate dal rapporto organizzativo e individuo, problemi originati nell’esistenza del singolo che si manifestano anche nel prendere parte alla vita dell’impresa, disequilibri causati da una cattiva gestione; infine altre ragioni per intraprendere un tale percorso possono derivare da macro cause economiche che esulano sia dal singolo sia dall’organizzazione (il fallimento aziendale o la chiusura di un’azienda che producono un licenziamento di massa).

 

Pertanto alcune di tali motivazioni si sviluppano partendo dalla sfera individuale, altre da quell’organizzativa, ma è in ogni modo difficile stabilire una chiara suddivisione tra questi ambiti in quanto fortemente integrati gli uni con gli altri.

 

Un elemento di divergenza tra counseling organizzativo e counseling individuale è dato dalla figura del cliente che richiede l’intervento e che s’interfaccia con il counselor.

 

Se nel primo caso il cliente è il soggetto che, riconoscendo una situazione di disagio, sceglie di rivolgersi al counselor (in alcuni casi vi è un’altra persona, vicina al richiedente, che si fa portatore del bisogno di quest’ultimo) nel secondo è l’istituzione tutta che richiede l’intervento, creando una rete di relazioni in cui s’inserisce l’intervento. Inoltre, se nel caso del counseling individuale la persona che riceve il supporto coincide con il cliente finale in genere nelle organizzazioni il cliente è meno facilmente identificabile e la questione può essere ambigua e problematica, poiché,  spesso il counselor si trova a lavorare ed interagire con differenti figure che possono esprimere aspettative tra loro diverse. La rete di clienti che sono presi in carico in un intervento di counseling organizzativo, è rappresentata dalle seguenti figure:
    • i clienti iniziali sono quelli che interpellano per primi il consulente o il manager stabilendo il contatto iniziale (possono coincidere con quelli primari);
    • i clienti primari sono coloro che effettivamente hanno il problema per cui richiedono il supporto;
    • i clienti finali sono membri dell’organizzazione non necessariamente coinvolti direttamente nel lavoro del consulente, ma, il cui benessere e interessi, devono essere presi in considerazione nel predisporre gli interventi.

 

Per gestire efficacemente la rete di clienti presenti nell’organizzazione è necessario distinguere in modo netto e tenere a mente quali sono le differenti tipologie di clienti, poiché secondo le specificità questi elementi si esprimeranno con comportamenti diversi e condurranno alla creazione di precise dinamiche.
Infine un’altra differenza tra il counseling individuale e quello organizzativo, più apparente che sostanziale, riguarda quanto spazio è lasciato alla dimensione emotivo-relazionale. Essendo l’organizzazione il campo d’azione, l’obiettivo esplicito è quello di orientare l’intervento in modo che la parte razionale predomini su quell’emotiva: spesso però si tratta più di un desiderio che di realtà poiché l’emozionale, nel compiere scelte e prendere decisioni, riveste in realtà molta più importanza di quanto sia lecito ammettere. Nel counseling individuale invece è proprio la relazione con il counselor uno degli strumenti di cambiamento in quanto nell’interazione della coppia emergono e si manifestano reazioni e stimoli atti a smuovere e a riconoscere non solo la dimensione esteriore del comportamento, ma soprattutto la parte emotiva più nascosta.

 

Se oggi s’inizia ad accettare che i manager hanno bisogno di sviluppare e di utilizzare competenze emotive, allora anche le azioni di counseling dovranno favorire un accomodamento soddisfacente dei sentimenti delle persone dentro un sistema di regole formalmente finalizzate alla produzione di risultati.

 

Le somiglianze tra counseling individuale e counseling organizzativo in realtà sono maggiori di quello che sembra e attengono in linea generale ai concetti essenziali che ispirano gli interventi di counseling siano essi rivolti al singolo, al gruppo o all’organizzazione. Innanzi tutto il counselor deve svolgere un ruolo di supporto finalizzato all’ascolto e alla comprensione dei bisogni che integri due differenti polarità: facilitare l’approfondimento delle problematiche emerse, esercitando la dovuta comprensione ed empatia, ma anche valutare lo stato di “salute” del soggetto, individuale e/o collettivo, con cui questi lavora, per garantire la tenuta nel tempo; attenersi dall’etichettare in base alle tipologie e/o eventuali patologie ma saper intervenire con sostegni mirati ed efficaci.

 

Infine come in tutte le occasioni di confronto anche nel counseling si fronteggiano differenti culture su cui impostare una proficua collaborazione: considerato che in ambito organizzativo si definisce cultura ciò che per analogia negli interventi individuali corrisponde alla personalità individuale, la cultura del counselor dovrà raffrontarsi con quella dell’organizzazione, sia quella a cui il counselor medesimo appartiene, sia a quella a cui è ricolto l’intervento e parallelamente con la personalità di tutti gli attori con cui entrano in contatto.

 

In conclusione è opportuno che sia il counseling individuale sia quello organizzativo medino tra ambito logico-cognitivo e ambito emotivo-relazionale che adottino differenti approcci (passare tra modalità più direttive ed altre meno direttive), che in ultima analisi tengano conto del benessere e delle produttività o meglio, dal momento che, riferendosi al counseling individuale, risulterebbe meno appropriato parlare di produttività, dei risultati conseguito e di quelli da conseguire.
(http://www.psicologiaecounseling.com)