Counseling: Il modello di Robert Carkhuff

Counseling: Il modello di Robert Carkhuff

 

 

Secondo Robert Carkhuff l’efficacia di una relazione di aiuto è data dalla capacità dell’helper di rispondere ai bisogni dell’helpee e di iniziare con lui un programma di azioni concrete. Nel processo di aiuto dunque ci sono due protagonisti: l’Helper e l’helpee, ognuno dei quali, a sua volta, apporta diversi contributi utili a stabilire una relazione funzionale (Carkhuff, 1989). L’helpee deve innanzitutto cercare di elaborare le informazioni che non è in grado di elaborare da solo, deve dunque sottoporsi ad una elaborazione intrapersonale: guardare dentro di sé per rileggere il proprio vissuto. Il suo modo di contribuire alla relazione di aiuto è caratterizzato da quattro fasi: coinvolgimento, esplorazione, comprensione e azione.

Nella fase iniziale, ovvero quella del “coinvolgimento”, l’helpee deve essere coinvolto nella dinamica d’aiuto e nella relazione con l’helper. Il coinvolgimento assume dunque il significato di riuscire ad aprirsi, comunicare e condividere le proprie esperienze significative.

Il coinvolgimento porta ad una seconda fase, ossia “esplorazione”: guardare dentro di sé per stabilire il punto in cui ci si trova in rapporto alla propria esperienza. L’helpee esplora il livello in cui si trova in modo da poter comprendere dove desidera o dovrebbe essere. Una persona esplora ad “alti livelli” quando riesce a comunicare di esperienze importanti con un’intensa immediatezza emotiva, con concretezza. L’esplorazione porta alla comprensione degli obiettivi che la persona vuole stabilire con se stessa.

Siamo dunque alla terza fase, quella del “comprendere”, del cercare dentro di sé un comportamento, o delle risposte alternative al proprio modo di agire abituale. L’helpee comprende ad “alti livelli” quando mette a fuoco chiaramente i suoi obiettivi e ha a disposizione una varietà di comportamenti diversi da adottare per raggiungerli.

La comprensione permette all’helpee di passare all’ultima fase, ovvero quella dell’azione, ossia di agire, di progettare, programmare e realizzare azioni volte a raggiungere obiettivi specifici.

Alla fine di queste fasi è importante tracciare un feedback, in modo che gli obiettivi raggiunti possano essere utilizzati come nuovo input per una più ampia esplorazione, una più esatta comprensione e un’azione più efficace. Per quanto concerne il contributo dell’helper consiste nella capacità di mettere in gioco abilità interpersonali, che consentano un aiuto concreto all’helpee all’interno delle quattro fasi su menzionate. Avremo dunque ulteriori fasi dell’helper corrispondenti al prestare attenzione, rispondere, personalizzare e iniziare.

Per “prestare attenzione” si intende quella capacità di dare attenzione totale e incondizionata, comunicare profondo interesse, al fine di favorire e motivare il coinvolgimento dell’helpee.

Per “rispondere” ci riferiamo al comunicare quanto gli helper hanno percepito dell’esperienza dell’helpee, al fine di favorire l’esplorazione.

Per “personalizzare” indichiamo il facilitare la comprensione e l’assunzione di responsabilità da parte dell’helpee, aiutare a trasformare i problemi in obiettivi.

Per “iniziare” il riferimento va al consentire all’ helper di intraprendere un’azione attraverso l’elaborazione di programmi volti a raggiungere gli obiettivi prefissati.

Infine, anche se sviluppare l’iniziativa nell’helpee è l’atto culminante nel processo di aiuto, fondamentale è anche “riciclare” quel processo continuo di andare avanti e indietro nelle fasi di aiuto, per arrivare a delle azioni sempre più efficaci, nonché facilitare lo Sviluppo delle Risorse Umane negli helpee (partecipazione, capacità di iniziativa, leadership).