Comunicazione e Persuasione

Comunicazione e persuasione

 

Quando si parla di persuasione, nella maggioranza dei casi si pensa a qualcosa di manipolatorio. In realtà, la persuasione non è altro che una strategia o un procedimento per ottenere un’approvazione.

La comunicazione persuasiva fa parte di un approccio qualitativo. Essa non è altro che la capacità di motivare gli altri ad ascoltare, a riflettere sulle nostre ragioni senza chiudersi o difendersi a priori.

Quando si parla di comunicazione persuasiva ed efficace c’è il  bisogno di dedicarsi alla comprensione di chi ci sta di fronte e a costruire con lui una relazione vincente, con un’alleanza che permetta di equilibrare le forze in gioco nella negoziazione e di uscire soddisfatti da una trattativa con qualcuno.

Nella comunicazione persuasiva si crea una sinergia con i propri interlocutori che si sentono capiti, a proprio agio, e questo permette di concludere un accordo in modo vantaggioso. Per poter operare in tal senso, bisogna aver conquistato una propria libertà interiore, cioè quella indipendenza da fattori che condizionano il nostro agire verso gli altri e verso noi stessi, le nostre credenze limitanti.

Saper comunicare in modo efficace significa conoscere se stessi per poter meglio interagire con gli altri. Affinchè questo avvenga è necessario che i tre canali della comunicazione – già citati nei capitoli precedenti – verbale, paraverbale e non verbale, siano congruenti tra loro.

Se generalmente la persuasione viene vista come un artificio subdolo, può benissimo essere vista anche da un lato più accettabile. Nel libro “L’arte di persuadere” di Massimo Piattelli Palmarini viene proposta un’accezione non negativa della persuasione.

Egli sostiene che “quando una volontà, un’intenzione, una credenza o una decisione devono trasferirsi da una mente ad un’altra, si devono innescare sul momento stesso, moti convergenti nell’una e nell’altra”, e da qui prende lo spunto per affermare che “per sua natura intima, l’arte della persuasione è un esercizio lieve. Aborrisce i mezzi pesanti.   

È lecito esercitare un certo ascendente, ma non fare appello al principio di autorità. L’autorità, non a caso, subentra quando la persuasione non basta “il persuadere esclude non solo la minaccia ed il ricatto, ma anche mosse sleali come l’appello alla pietà o alla cieca fiducia. Se si deve ricorrere a questi espedienti, significa che la persuasione non basta. La persuasione può tollerare invece, la lusinga, l’adulazione, il mettere in guardia contro futuri dolori o la suggestione di futuri piaceri, l’ambiguità, il presupposto non detto, la conseguenza non dichiarata”[1].              

Dunque, la persuasione non è un’opera di convincimento, che si propone di indurre qualcuno ad agire contro la propria volontà, facendo leva su meccanismi molto più potenti, nonchè lesivi della libertà dell’altro, fino a tollerare la minaccia, il ricatto, il ricorso al senso di colpa, la corruzione<

Si tratta invece di un’atto che comporta sempre una scelta, un esercizio di libera volontà, significa, cioè, indurre un cambiamento dell’opinione altrui solo per mezzo di un trasferimento di idee, un passaggio di puri contenuti mentali.

Non si può persuadere uno a vedere, a sapere, ad arrivare. Lo si può persuadere però, rispettivamente, a guardare, a studiare, a partire. Persuadere implica che la persona sia libera non solo di volere, di agire, ma anche di pensare, di credere, di decidere[2].

La ricercatrice Nicoletta Cavazza dell’Università di Bologna, fornisce nel suo libro “Comunicazione e persuasione” un tipico binomio resosi protagonista del nostro quotidiano: convincere ed essere convinti.

Alla nostra regolare capacità di comunicare, si associa quotidianamente la facoltà di persuadere, ovvero convincere qualcuno della verità, della realtà di un fatto, della buona qualità di un prodotto, o talvolta semplicemente indurre qualcuno a dire o a fare una cosa. Succede spesso che queste due attività si intersecano e coinvolgono senza che ne siamo completamente consapevoli.

Dagli studi di Psicologia sociale di Kurt Lewin, tesi ad evidenziare l’efficacia della partecipazione attiva e dell’autopersuasione, a quelli compiuti in Europa e in America nel dopoguerra, centrati in modo particolare sulla persuasione come processo costituito dall’induzione di uno stimolo con determinate caratteristiche, la studiosa analizza proprio i vari processi che conducono il consumatore alla modifica di un comportamento.

Al di là del messaggio pubblicitario in se stesso, ci sono dei segnali, periferici (slogan, musica, colori, testimonial), che contribuiscono in larga parte a convincere lo spettatore. Sono molti i motivi alla base di una scelta, e di conseguenza, sono altrettanto tanti gli elementi attraverso i quali viene formulato il messaggio pubblicitario.

“L’effetto di mera esposizione”, il quale dimostra che la “familiarizzazione” aumenta la percezione di gradevolezza dell’oggetto che si ha di fronte; la credibilità della fonte ci propone un prodotto, ancor più evidenziata dallo “sleeper effect” che spiega come questa influenzi maggiormente nell’immediato e meno a distanza di tempo; la struttura del messaggio al fine di rendere l’informazione trasmessa sempre più visibile, concreta, vicina e facilmente memorizzabile (lo spot deve colpire chi vi assiste secondo gli effetti di primacy e recency, che facilitano il ricordo delle prime e delle ultime informazioni di un messaggio); il target a cui si rivolge.

Molti dei richiami persuasivi non solo mirano a cambiare atteggiamenti e opinioni, ma si pongono l’obiettivo di ottenere che queste opinioni si trasformino in comportamenti. La forza della persuasione pervade tutti i tipi di comunicazione, compresa quella non verbale, e tutti i livelli interpersonali.

Nascosta o palese, la comunicazione persuasiva coinvolge, comunque, anche la nostra collaborazione, altrimenti, oltre ad essere noi stessi influenti sui modi di pensare e di operare di quanti ci stanno intorno, diviene facile esserne vittime.

 


© Psicologia della comunicazione persuasiva – Dott.ssa Romina Sinosich


 

 

[1] M. Piattelli Palmarini, L’arte di persuadere, Il Mulino, 2005, pp. 198

[2] M. Piattelli Palmarini, L’arte di persuadere, Il Mulino 2005, pp. 233