Compiti di prestazione e compiti di apprendimento: Capitolo 2 – Un esempio di studio
Compiti di prestazione e compiti di apprendimento: Capitolo 2 – Un esempio di studio
UN ESEMPIO DI STUDIO
Il primo scopo di questa ricerca è di provocare un conflitto epistemologico o relazionale nelle interazioni e di mettere a confronto le conseguenze reciproche di questi due tipi di conflitto, e in una condizione in cui non viene introdotto alcun conflitto; questo verrà studiato per l’apprendimento e anche per la percezione dell’interazione. Inoltre, si analizzerà come il modo di distribuire informazioni (interdipendenza contro dipendenza della fonte) influenzi la percezione dell’interazione e l’effetto del tipo di conflitto nell’apprendimento.
Un conflitto, nella sua forma epistemologica, può favorire il rapporto e focalizza i partecipanti sul compito, portandoli così a un migliore apprendimento rispetto a quando non sono di fronte a un conflitto. Parimenti, un conflitto relazionale può essere negativo per il rapporto e mettere in risalto le attività relazionali di valutazione e confronto, e portare così a un peggiore apprendimento rispetto all’assenza di conflitto.
Inoltre, gli effetti di questo tipo di conflitto possono essere modulati dalla situazione in cui hanno avuto luogo. L’interdipendenza delle fonti dovrebbe rendere più pertinente l’interazione e quindi favorire interazioni e rapporto. Dovrebbe anche ridurre le attività di confronto sociale. In questa si-tuazione l’apprendimento dipenderebbe dalla forma del conflitto. Un conflitto epistemologico dovrebbe portare a un apprendimento forte e durevole. Un conflitto relazionale dovrebbe al contrario deteriorare la prestazione. Quando i partecipanti hanno informazioni identiche (fonte indipendente) possono esserci due opzioni:
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- il rapporto con il partner può essere percepito come meno rilevante (indipendenza), il che può portare i partecipanti a prestare minore attenzione a ciò che il loro partner dice e alla norma in cui lo dice;
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- la situazione può rendere saliente il confronto sociale. Se ciò accade, l’indipendenza delle fonti può dare una forma relazionale a tutte le interazioni. Non si dovrebbero quindi trovare differenze tra le condizioni.
Il conflitto relazionale, opposto a quello epistemologico, è stato introdotto nell’interazione grazie a un complice; è stata realizzata anche un’interazione senza conflitto (gruppo di controllo). Alle coppie, composte da un partecipante e da un complice (elemento di controllo), si è chiesto di lavora-re in cooperazione su due testi. Nella condizione di indipendenza delle fonti (informazioni identiche), il partecipante e il complice leggono i due testi. Nella condizione di interdipendenza delle fonti (informazioni complementari), un partecipante legge un testo, l’altro partecipante legge l’altro testo.
Il tipo di conflitto riguarda la percezione dell’interazione con il partner. La quantità di scambi e di divergenze percepiti è maggiore nelle condizioni conflittuali (epistemologiche e relazionali) che nel gruppo di controllo. Al contrario, solo il conflitto relazionale porta ad attività relazionali più percepite (valutando le competenze del partner, cercando di imporre il proprio punto di vista, ecc.). Quindi, la differenza tra conflitto epistemologico e relazionale non consiste né nella quantità di interazioni, né nel grado di conflittualità che ogni conflitto comporta, ma nella sua forma, con il conflitto relazionale che focalizza l’attenzione dei partecipanti sulla valutazione delle competenze.
Per quanto riguarda la qualità del rapporto con il partner (il complice), i partecipanti che dovevano affrontare un conflitto relazionale percepivano il rapporto come meno positivo rispetto a coloro che erano nel gruppo di controllo. È stato dimostrato, su periodi più lunghi, che i metodi di ap-prendimento basati sulla controversia favorivano l’attrazione interpersonale e il rapporto, rispetto a metodi di apprendimento basati sulla concorrenza che cercavano il dibattito (Johnson & Johnson, 1994; Johnson, Johnson e Tjosvold, 2000). Gli attuali risultati mostrano che solamente un’interazione basata sul conflitto epistemologico è sufficiente ad aumentare una rappresentazione positiva del rapporto, mentre un’interazione basata sul conflitto relazionale porta a una rappresentazione negativa del rapporto.
Inoltre, come previsto dalla letteratura sulla risoluzione del conflitto, il conflitto non portava allo stesso livello di apprendimento nella forma epistemologica o relazionale. D’altra parte, la ricerca ha mostrato che una regolazione epistemologica del conflitto può portare a un più profondo processo di informazione rispetto alla regolazione relazionale; ciò è stato osservato attraverso diversi metodi, come l’osservazione a posteriori (Mugny et al., 1978-79; Carugati et al. 1980), e focalizzandosi (o meno) sul confronto o la competizione sociale (Quiamzade & Butera, 2001; Tjosvold & Johnson, 1980, Tjosvold et al., 1981; Monteil & Chambres, 1990; Johnson & Johnson, 1994). Gli at-tuali risultati, ottenuti provocando direttamente un conflitto relazionale o epistemologico, hanno supportato la stessa idea e l’hanno ampliata; si è dimostrato che un conflitto nella sua forma epistemologica è più favorevole per l’apprendimento rispetto che nella sua forma relazionale. Dall’altra parte, non c’era consenso in letteratura sulle conseguenze del conflitto relazionale messo a confronto con situazioni di non conflitto. Infatti, gli studi esistenti non permettevano di concludere che un conflitto relazionale avrebbe portato a più (Johnson & Johnson, 1993), uguale (Mugny et al., 1978-79, Carugati et al. 1980), o meno (Butera et al. 2000; Monteil & Chambres, 1990) apprendimento rispetto all’assenza di conflitto. I risultati di questo studio supportano la terza opzione. Infatti, dopo un periodo di quattro settimane, il conflitto relazionale porta a un peggiore apprendimento rispetto al gruppo di controllo. Questo tipo di conflitto è non solo sfavorevole per l’apprendimento, ma anche nocivo. Questo sottolinea un’importante differenza tra studi realizzati nella tradizione della psicologia dello sviluppo sociale (Mugny et al., 1978-79; Carugati et al. 1980-81) e questo studio, per quanto riguarda la regolazione relazionale del conflitto. In questo esperimento il conflitto relazionale deteriora la prestazione ritardata, laddove nei suddetti studi, la regolazione relazionale cancella il beneficio del conflitto (rendendolo equivalente all’assenza di conflitto). In questi studi la regolazione relazionale del conflitto corrisponde alla condiscendenza, un modo per evitare il conflitto, in maniera da mantenere un rapporto positivo con il partner (Doise & Mugny, 1984). Ciò che è stato pro-vocato in questo studio, nella condizione del conflitto relazionale, è molto diverso, poiché è un attacco alle competenze dei partecipanti, invitandoli a risolvere il conflitto in modo difensivo. È pos-sibile supporre che questi due tipi di regolazione relazionale del conflitto non portino alle stesse attività cognitive. Evitare il conflitto attraverso l’arrendevolezza significa evitare le attività cognitive di coordinamento dei punti di vista (soluzione epistemologica): questo evitare può allora cancellare i benefici dell’interazione. Risolvere il conflitto in modo difensivo significa al contrario caricare il sistema cognitivo di ulteriore lavoro per provare la propria conoscenza. Questo carico cognitivo può quindi interferire con l’elaborazione del compito e può essere dannoso per l’apprendimento. Il con-fronto tra accondiscendenza e comportamento difensivo nel conflitto relazionale, qui piuttosto speculativo, sembra molto promettente per la comprensione della mancanza di miglioramento nelle interazioni cooperative; la futura ricerca è sulla strada di affrontare direttamente la questione.
Per quanto riguarda il confronto tra conflitto epistemologico e il gruppo di controllo, erano attese le conseguenze benefiche del conflitto epistemologico sull’apprendimento (Mugny et al. 1973-76; Mugny et al. 1978-79; Doise et al. 1975-76; Ames & Murray, 1982; Gilly & Roux, 1984; Tjosvold & Johnson, 1977; 1980; Smith et al. 1981; 1984). Tuttavia, in questo esperimento, la differenza tra i partecipanti che sono stati messi di fronte a un conflitto epistemologico e quelli che non hanno dovuto affrontare un conflitto sono solo marginali sulla prestazione immediata e non significativi per quella ritardata. Sembra che i partecipanti alla condizione di conflitto epistemologico non abbiano appreso tanto quanto ci si aspettava. Una possibile soluzione viene suggerita da un esperimento di Mugny et al. (1978-79), nel quale la forza del conflitto epistemologico è stata manipolata. Il conflitto provocato da un complice era “forte” (il complice e il soggetto insistevano sulla divergenza) o “debole” (il complice semplicemente evocava la soluzione divergente). In un gruppo di controllo non c’era conflitto. I risultati mostrano che solo una forte condizione di conflitto porta i ragazzi a progredire. La semplice presentazione della divergenza (conflitto debole) non era sufficiente a indurre l’avanzamento. Sulla base di questi risultati è possibile sostenere che in questo esperimento il conflitto epistemologico provocato non era abbastanza forte da migliorare l’apprendimento significativamente. Questa ipotesi verrà anch’essa sperimentata nella futura ricerca.
I risultati hanno anche dimostrato che la distribuzione delle risorse attenua il risultato dell’interazione e l’effetto del conflitto. Si prevedono due benefici nella condizione di interdipen-denza delle fonti:
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- primo, l’interdipendenza renderebbe l’interazione rilevante dal punto di vista del partecipan-te (Butera et al., 1994), il che favorirebbe le attività di scambio e cooperazione (Lambiotte et al., 1987; Buchs, Butera & Mugny, 2002);
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- secondo, l’interdipendenza ridurrebbe le istanze di confronto sociale che possono essere minacciose quando i partner ricevono identiche fonti (Pepitone, 1972; Sanders et al. 1978; Buchs, Butera & Mugny, 2002).
Una maggiore quantità di scambi percepiti tra sé stessi e il partner quando i partecipanti ricevo-no informazioni complementari supporta l’esistenza del primo di questi benefici. Un rapporto percepito meno positivamente e una maggiore quantità di attività relazionali percepite quando i partecipanti ricevono fonti identiche, supportano l’esistenza del secondo beneficio.
Per quanto riguarda la prestazione, va notato che non è stato osservato nessun principale effetto della distribuzione delle fonti. Malgrado il fatto che i partecipanti, quando ricevevano informazioni complementari, non avessero accesso all’intera informazione (leggevano solo il testo), avevano prestazioni altrettanto buone di coloro che avevano letto l’intera informazione, cioè entrambi i testi (nella condizione di indipendenza). Inoltre, l’assenza di un effetto di ruolo (ascoltatore rispetto a colui che faceva il riassunto) e di un’interazione tra distribuzione delle fonti e ruolo, ci permette di considerare che i partecipanti non sono stati penalizzati dalla non lettura del testo di cui erano ascol-tatori nella condizione di interdipendenza delle fonti. Ciò può essere spiegato dal fatto che la spiegazione del complice era molto chiara e permetteva agli ascoltatori di comprendere il testo allo stesso modo in cui l’avrebbero compreso se lo avessero letto. Questo può anche spiegare perché i partecipanti che erano nella condizione di conflitto epistemologico non siano realmente progrediti, rispetto al gruppo di controllo: la qualità del riassunto del complice era forse tale da produrre una specie di effetto limite massimo. La prestazione ha subìto un effetto di deterioramento nel ritardo che separava la prima misurazione dalla seconda. Quattro settimane più tardi solo le informazioni che erano state veramente integrate erano rimaste. Questo ci permette di capire perché l’attesa interazione tra tipo di conflitto e distribuzione delle fonti appare solo nella prestazione ritardata. In questo esperimento i partecipanti hanno fatto tutti bene nel test immediato (in media, 3 o 4 risposte sbagliate su 12), perché il tempo che separa la spiegazione (durante l’interazione) dalla misurazione era molto breve. Quindi non è sull’apprendimento immediato che i partecipanti si differenziano l’uno dall’altro, ma sull’apprendimento duraturo, quello che rimane dopo. In merito a questa ultima misurazione, il modo di distribuzione delle fonti interessava l’effetto sul tipo di conflitto.
Secondo Johnson & Johnson (1994), i conflitti hanno un effetto sull’apprendimento solo se hanno luogo in un contesto di reale collaborazione. I risultati supportano questa opinione, poiché l’atteso effetto di deterioramento del conflitto relazionale appariva nella condizione di interdipendenza e non in quella di indipendenza. Sembra che una modalità indipendente di distribuzione delle risorse impedisca ai partecipanti di percepire la complementarietà tra loro e il loro partner (ecco perché i partecipanti a questa condizione percepivano di meno le interazioni) e allo stesso tempo aumenti le attività di confronto sociale (ecco perché i partecipanti percepivano di più le attività relazionali). I partecipanti a questa condizione erano quindi insensibili a ciò che il complice diceva e al modo in cui lo diceva. Tutte le interazioni, anche nella loro forma iniziale (conflittuale o meno, relazionale o epistemologica) focalizzano l’attenzione sugli aspetti relazionali più che sul compito, il che rende tutte le interazioni equivalenti per l’apprendimento.
Anche se questo studio non ha riprodotto le conseguenze benefiche di un conflitto epistemologico sull’apprendimento, ha sottolineato due importanti questioni:
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- ha mostrato che un conflitto può deteriorare l’apprendimento se si tratta di un conflitto relazionale, basato sulla minaccia delle competenze individuali;
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- ha sottolineato l’importanza del contesto in cui ha luogo il conflitto. Infatti, ha dimostrato che non appena i partecipanti lavorano su informazioni identiche (in condizioni di indipendenza delle fonti), le attività relazionali sono aumentate, ci sono meno interazioni, il rapporto è percepito come meno positivo e tutti i tipi di interazioni sono equivalenti per l’apprendimento.
Questi risultati sono importanti per la comprensione dei processi di apprendimento all’università, in particolare per quelli che riguardano il lavoro in squadra. Infatti, tutte le situazioni che richiedono agli studenti di lavorare insieme – per es. esercizi, laboratori, assegnazioni per gruppi, ecc. – sfidano l’insegnante a stabilire le condizioni che favoriranno un apprendimento durevole e a evitare quelle che lo impediranno. I risultati presentati suggeriscono che il tipo di distribuzione delle fonti – che l’insegnante controlla assegnando i materiali pedagogici – ha un impatto importante sull’effetto dei vari conflitti che possono sorgere durante le interazioni degli studenti. Infatti, sembra che ci possa essere un problema ogniqualvolta che, per mancanza di fonti o per limitato accesso ad esse, l’insegnante debba distribuire i materiali pedagogici in un modo tale che gli studenti vengono ad avere informazioni complementari. I risultati suggeriscono che, in questo caso, gli studenti saranno particolarmente sensibili alla qualità del rapporto con i loro compagni e che il loro la-voro sarà danneggiato da un conflitto relazionale. Sfortunatamente, la competitività tra gli studenti è ancora troppo speso instaurata dagli insegnanti. La ricerca applicata ci dirà se questi risultati posso-no essere d’aiuto.
© Compiti di prestazione e compiti di apprendimento: sviluppi recenti – Fabrizio Manini
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