Compiti di prestazione e compiti di apprendimento Capitolo 1 – Parte seconda
1.2 MOTIVAZIONE DI EFFECTANCE
La motivazione di effectance riguarda il comportamento esploratorio che non riflette solo un bisogno, come la curiosità
epistemica, ma risponde alla motivazione intrinseca di controllare e padroneggiare le situazioni e l’ambiente circostante allo scopo di sentirsi efficaci e competenti (White, 1959). Se un bambino viene incoraggiato nei primi tentativi di padronanza svilupperà abilità proprie che gli faranno interiorizzare la percezione di controllo personale la quale, a sua volta, porta a un incremento della motivazione di effectance; esercitare le abilità infatti consente un’esperienza emotiva positiva che rinforza i tentativi di padronanza. Diversamente se un bambino viene disapprovato nei suoi tentativi di padronanza svilupperà un bisogno di approvazione esterna che lo porterà a sentirsi dipendente dal rinforzo dell’adulto e a porsi obiettivi di approvazione piuttosto che di padronanza. Il bambino si sentirà meno competente e più controllato dall’esterno e questo causerà un decremento della motivazione di effectance; percepire una bassa autocompetenza produce esperienze emotive negative, come l’ansia, le quali inducono a evitare le situazioni di apprendimento innestando un processo circolare che impedisce lo sviluppodi competenze e inibisce la volontà di affrontare la situazione per il timore di fallire.
Harter (1978) ha esaminato la motivazione di effectance negli adulti individuando quattro punti chiave:
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- la percezione di competenza che si sviluppa per effetto dei successi/insuccessi provati, delle interpretazioni che ne diamo e del sostegno ambientale che riceviamo;
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- la percezione di controllo che si riferisce alla sensazione di sentirsi agenti personalmente nella situazione;
il concetto di sfida ottimale che riguarda la situazione in cui il compito è tale nella misura in cui la difficoltà è media o di poco superiore alla competenza percepita;
la motivazione interiorizzata che emerge quando si acquisisce la capacità di gratificarsi o meno, cioè di autopremiarsi o di autopunirsi a seguito dello svolgimento di un’attività.
- la percezione di controllo che si riferisce alla sensazione di sentirsi agenti personalmente nella situazione;
1.3 AUTODETERMINAZIONE
Le due teorie precedenti si riferiscono al bisogno di conoscere e al bisogno di sentirsi competenti. Tuttavia le persone hanno anche il bisogno di controllare l’esercizio delle attività, cioè hanno bisogno di scegliere; questo concetto di scelta è stato studiato da Deci e Ryan (1985) che hanno proposto la teoria dell’autodeterminazione. L’autodeterminazione consiste nella libera scelta di condurre un’azione, una scelta svincolata da incentivi esterni che dipende proprio dal desiderio di svolgere quella specifica attività. La teoria dell’autodeterminazione suggerisce che se il soggetto sperimenta una situazione di libera scelta mantiene o accresce la motivazione per il compito, invece se sente che lo svolgimento dell’attività è imposto dall’esterno proverà una minore autodeterminazione e quindi un livello più basso di motivazione. Alla base di una condotta autodeterminata c’è il bisogno di sentirsi artefici delle proprie azioni e di scegliere liberamente il compito e la sua modalità di svolgimento (Deci e Ryan, 1985).
L’ambiente sociale può promuovere l’autodeterminazione quando soddisfa i tre bisogni seguenti:
· la competenza, cioè il sentirsi capaci di agire sull’ambiente sperimentando sensazioni di controllo personale;
· l’autonomia, cioè la possibilità di decidere personalmente cosa fare, come farlo e quando farlo;
· la relazione, cioè la necessità di costruire e mantenere legami in ambito sociale.
L’autodeterminazione prevede quindi che gli individui siano motivati non soltanto quando possono scegliere liberamente l’attività da svolgere, ma anche quando si sentono competenti e accettati.
1.4 ESPERIENZA DI FLUSSO
L’esperienza di flusso è una sensazione di profondo coinvolgimento nella situazione, accompagnata da una concentrazione intensa. È stata studiata per la prima volta da Csikszentmihalyi (1993) che l’ha definita anche motivazione flow. Nell’esperienza di flusso l’attenzione risulta focalizzata sullo svolgimento del compito piuttosto che sui possibili risultati; la motivazione si mantiene e si accresce per effetto del piacere provato nel controllare e nel realizzare il compito. Alcune caratteristiche tipiche che l’accompagnano sono il feedback circa l’efficacia delle proprie azioni, la concentrazione elevata, la sensazione di controllo personale e una percezione alterata del tempo. La probabilità di sperimentare un’esperienza di flusso deriva da un’intersezione ottimale fra la percezione del proprio livello di abilità e la percezione del grado di facilità/difficoltà del compito; in altre parole l’esperienza si verifica se gli individui percepiscono di avere un alto grado di abilità e se allo stesso tempo sentono di affrontare un compito adeguatamente impegnativo.
Da notare che la percezione delle proprie abilità e del livello di difficoltà del compito sono elementi del tutto soggettivi e quindi molto variabili da individuo a individuo. La percezione della propria abilità dipende dal sostegno sociale e dalle esperienze precedenti; la percezione della facilità o difficoltà del compito è strettamente legata al confonto sociale e ai risultati che si vedono nelle prestazioni altrui. Questo spiega perché il potenziale di flusso non dipende da dati oggettivi, ma differisce a seconda di situazioni e persone.
1.5 INTERESSE
Il concetto di interesse risulta essere piuttosto complesso in quanto prende in considerazione aspetti di varia natura, da quelli individuali, a quelli ambientali, a quelli sociali. I primi sono relativi alle preferenze e ai gusti del singolo, i secondi riguardano gli stimoli offerti e quindi quanto sono interessanti l’oggetto, il compito o l’attività, gli ultimi si riferiscono al grado in cui la situazione e l’interazione riescono a stimolare la motivazione in un dato contesto socioculturale.
Krapp, Hidi e Renninger (1992) sostengono che l’interesse sia il risultato di un’applicazione ripetuta, da parte dell’individuo, in un determinato contesto verso oggetti o attività con particolari caratteristiche. Questa applicazione ripetuta ha effetti sia cognitivi sia emotivo-affettivi. Per quanto riguarda gli aspetti cognitivi l’interesse influisce sull’impegno, sulle aspettative, sulla persistenza e sulla scelta del compito; per quanto riguarda gli aspetti emotivo-affettivi l’interesse si riferisce alla soddisfazione e al piacere che si provano nello svolgere quel compito. Provare interesse porta a una motivazione intrinseca che produce emozioni positive. L’interesse in sé non è assimilabile al piacere e non dipende dalla facilità del compito, ma va associato alla rilevanza personale di una determinata azione in uno specifico contesto (Krapp, 1999). L’interesse tende quindi a essere stabile nel tempo e a mantenersi per effetto di ripetute applicazioni. La differenza fondamentale fra curiosità epistemica e interesse è che la prima si riferisce a un’attivazione derivante da un bisogno, che è quello di conoscere l’ambiente attraverso l’esplorazione, mentre il secondo si sviluppa dall’interazione fra l’individuo e il materiale/oggetto stimolo in specifici contesti. Perché si possa parlare di un reale contesto di interesse è necessario che la situazione abbia un valore (cioè un significato personale) e dia luogo a sensazioni piacevoli (cioè a stati emotivo-affettivi positivi). La caratteristica dell’interesse è l’applicazione protratta nel tempo e, una volta sviluppato, ha la tendenza alla stabilità; per questo motivo correla molto con l’apprendimento. Inoltre un maggiore interesse personale si collega direttamente a prestazioni migliori, così come la possibilità di capire e di ricordare meglio possono costituire un’ulteriore fonte di motivazione e quindi di apprendimento.
© Compiti di prestazione e compiti di apprendimento: sviluppi recenti – Fabrizio Manin
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