L’esame testimoniale dalla teoria alla pratica: un caso
Su autorizzazione dell’autrice Dott.ssa Chiara Vercellini, tratto da http://www.psicologiagiuridica.com/
Si esaminerà, adesso, quale può essere, in concreto, la consulenza che lo psicologo può fornire all’avvocato in sede di indagini difensive, in virtù della sua specifica preparazione e delle teorie di riferimento, prendendo spunto da un caso reale.
Il caso
Il caso in oggetto ha luogo in una grande città del nord Italia. Si tratta di difendere un uomo dall’accusa di presunto abuso sessuale nei confronti di minori.
La persona indagata è un uomo sposato, con tre figlie (due in età scolare e una molto piccola) ed è molto conosciuto nella sua città, dove è assiduo frequentatore degli ambienti artistici. Questa persona ha un carattere molto particolare. Viene descritto, da tutti coloro che lo conoscono, come estremista e provocatore, a tal punto da suscitare l’insorgere di polemiche in diverse occasioni. Un’altra delle sue caratteristiche è la particolare concezione, molto aperta, che ha della famiglia. Infatti, frequenta assiduamente diversi amici e conoscenti con le rispettive famiglie, tutte persone che appartengono al suo ambiente lavorativo, al punto tale da creare un vero e proprio “clan”, che racchiude il suo e tutti questi altri nuclei familiari.
L’organizzazione di questa “famiglia allargata” è caratterizzata da continue frequentazioni reciproche, dalla partecipazione ad eventi più o meno mondani e dall’organizzazione di varie feste e gite tutti insieme. Anche gli altri nuclei sono composti da coppie con figli di età simile alle figlie del presunto abusante, tant’è che, sovente, tutti i bambini si ritrovavano per giocare o fare il bagno tutti insieme, sempre, però, sotto la responsabilità di un adulto. A questo gruppo di ragazzini, spesso, si aggregavano le compagne di scuola della primogenita dell’uomo e in molte occasioni era proprio quest’ultimo ad occuparsi della sorveglianza dei bambini, giocando sempre con loro e, come modalità di relazione, prediligeva il contatto fisico. Quindi, li prendeva in braccio, giocavano a far la lotta, li abbracciava, ecc. Insomma, dimostrava un comportamento e degli atteggiamenti molto simili e in sintonia con quelli dei bambini, a tal punto che, spesso, egli stesso veniva definito dai conoscenti come “un bambinone.
Anche durante lo svolgimento delle feste, l’uomo passava parecchio tempo in compagnia dei piccini, divertendosi con loro.
Tutta la vicenda ha inizio fra il 2004 e il 2005. Le compagne di scuola della primogenita dell’uomo che frequentavano la sua casa, avevano conosciuto anche tutti gli altri bambini figli degli amici di famiglia, ma non facevano parte del “clan” di cui si è parlato prima. Appartenevano, cioè, ad un mondo e ad una cultura diversi.
Accadde che, un giorno, una di queste bambine, raccontando ai genitori le attività di gioco fatte a casa dell’amica, narrò che avevano fatto il bagno tutti insieme e parlò anche di alcuni “toccamenti”, da parte del papà dell’amichetta. La madre, preoccupata, ne parlò con delle amiche e tutte insieme si recarono in un centro specializzato per l’abuso e il maltrattamento dei minori, dove le operatrici dissero loro che era probabile che la bimba avesse frainteso la situazione, poiché conoscevano la famiglia in questione e ne conoscevano le abitudini molto “aperte”. In parte tranquillizzata da ciò, la signora decise di non intraprendere nessuna azione legale, ma preferì diminuire la frequenza delle frequentazioni della figlia a casa della compagna di scuola, cercando, inoltre, di fare in modo che, nelle occasioni di incontro, ci fosse sempre anche un altro adulto presente, oltre all’uomo. La vicenda sembrava chiusa qui.
Tuttavia, nel marzo 2007, la primogenita dell’indagato cambiò scuola, cambiando, di conseguenza, compagni e giro di amicizie. Le vecchie compagne, però, la ricordavano ancora e un giorno, durante l’intervallo, parlando con una maestra, cominciarono a raccontare, dei tempi trascorsi a casa dell’amica, tirando nuovamente in ballo i famosi “toccamenti”, ad opera del papà della ragazzina, che sarebbero accaduti mentre giocavano, studiavano o dormivano. A questo punto, la maestra fu costretta denunciare il fatto.
Si deve aggiungere, inoltre, che molte delle coppie del “clan”, più o meno nello stesso periodo, divorziarono o si separarono, e i genitori rimasti soli cominciarono a frequentare dei nuovi partner, che però erano esterni a quell’ambiente e non ne condividevano il particolare stile di vita.
© L’assistenza del consulente psicologo alle indagini difensive dell’avvocato: l’esame testimoniale – Dott.ssa Chiara Vercellini
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