La PNL: I segnali individuabili dai movimenti oculari

 La PNL: I segnali individuabili dai movimenti oculari

 

 I movimenti oculari degli esseri umani sono automatici, inconsci e legati ai Sistemi Rappresentazionali.
Il movimento rapidissimo delle pupille rivela la direzione dello sguardo e dimostra, di conseguenza, con quale sensorialità il soggetto accede all’esperienza che poi descrive con le parole.
Sviluppare la capacità di individuare il Sistema Rappresentazionale utilizzato in un dato momento dall’interlocutore, potrà essere uno strumento davvero efficace per condurre una valida comunicazione.
I movimenti oculari, segnali d’accesso all’interazione, sono micromovimenti che fanno parte del linguaggio analogico.
Essi sono collegati ai processi mentali dell’individuo o meglio fanno riferimento alle vie neurologiche. Quest’ultime, che provengono dal lato sinistro (campi visivi di sinistra), sono rappresentate nell’emisfero celebrale destro, responsabile della memoria visiva. I campi visivi di destra stimolano, al contrario, l’emisfero sinistro, sede della costruzione delle immagini (non ricordate quindi , ma costruite).
Nell’individuo mancino avverrà esattamente il contrario, poiché ciascuno dei due emisferi celebrali controlla l’attività della metà opposta del corpo.
Un emisfero diventa dominante quando controlla il lato utilizzato maggiormente. Quello dominante è responsabile del ragionamento di tipo causa-effetto; quello non dominante, del comportamento spaziale integrativo.
Quando arriva un input, che può essere una domanda che necessita di consultare l’archivio mentale per rispondere, allora gli occhi vanno a ripescare le immagini mentali dell’esperienza cui fare riferimento per poter rispondere alla domanda.
Gli occhi possono accedere a tutto l’archivio di esperienze, vale a dire alle voci, ai suoni, alle sensazioni e tutto ha una sua collocazione spaziale nell’archivio mentale. Rispondono in automatico alla velocità del pensiero che è molto più celere della parola e vanno a rispondere per proprio conto, anche se la persona non è direttamente interpellata; sono ricettivi di tutti gli stimoli che circondano l’uomo ed anche se egli risponde senza parlare, comunica con gli occhi.
Gli occhi fanno una ricerca interiore, seguono una strategia di ricerca che è legata all’esperienze passate e anche quelle immaginate, non ancora avvenute. La capacità rivelatrice che hanno gli occhi è utilizzata come alfabeto espresso in codice, per modellare le strategie di successo rappresentate mentalmente ed espresse attraverso i movimenti oculari che sono rapidissimi.
Si può dire che, i movimenti oculari seguono la velocità della luce, mentre le parole o i predicati verbali della stessa esperienza seguono la velocità del suono.
Le direzioni che compiono gli occhi assumono dei precisi significati:
Vc: visivo costruito
Questo movimenta (in alto a destra) si riferisce all’immaginazione di cose mai viste prima. Quando le persone le elaborano nella loro mente, gli occhi accedono al visivo costruito, perché seguono le immagini che si formano per rappresentare i pensieri. Questi movimenti possono essere prodotti accedendo ad un’esperienza per mezzo di una domanda, che implica una riflessione prima di fornire la risposta.
Un esempio di domanda per provocare questo movimento può essere:
Puoi immaginare la tua stanza se fosse esagonale?
Vr: Visivo ricordato
Questo movimento (in alto a sinistra) avviene quando il soggetto vede immagini, che nella sua mente richiama ad un evento passato. Accedere ai ricordi e fatti realmente accaduti. Alcune persone accedono al visivo ricordato guardando fisso nel vuoto, davanti a sé, con occhi sfuocati.
Un esempio di domanda che può provocare questo movimento è:
Di che colore era il tuo giocattolo preferito?
Ac: Uditivo costruito
Questo movimento (a destra, a livello) corrisponde all’elaborazione mentale di suono mai uditi prima.
Un esempio di domanda per provocare questo movimento può essere :
Prova ad ascoltare la mia voce come se parlassi coma Paperino?
Ar: Uditivo ricordato
Questo movimento (a sinistra, a livello) avviene quando il soggetto ricorda mentalmente suoni e voci già uditi in precedenza.
Un esempio di domanda per provocare questo movimento è:
Ricordi la voce di tua madre?
K: Cinestetico
L’accesso a questo sistema avviene quando il soggetto ricorda o prova sensazioni. Avviene lo stesso movimento (in basso a destra), anche se le esperienze non sono ancora avvenute, perché riguardano il futuro o sono solo immaginarie.
Esempio di domanda per provocare questo movimento è .
Che cosa provi toccando l’acqua del mare?
Ad: Dialogo interno
Questo movimento oculare (in basso a sinistra) avviene quando il soggetto entra in dialogo con se stesso.
Esempio di domanda per provocare questo movimento:
Cosa ti dici per alzarti la mattina?
La figura 3 schematizza i seguenti movimenti.

 

 

 

 

 

 

Programmazione Neuro Linguistica: La storia della PNL

Programmazione Neuro Linguistica: La storia della PNL

 

La PNL nasce negli anni ’70 ad opera di un linguista e un cibernetico, RICHARD BANDLER e JOHN GRINDER, dalla voglia di accrescere le potenzialità umane. La PNL, però, affonda le sue origini in un’epoca ancora più remota, nel 1949, dallo studio dell’Assertività.
Bandler e Grinder studiarono quelle particolari persone che eccellevano nei loro campi, come manager, scienziati, allenatori, sportivi ecc.. chiedendosi quale fosse la strategia utilizzata per vincere nel loro campo.
Studiando si accorsero che queste persone applicavano delle strategie di comportamento, di motivazione e automotivazione che potevano essere riprodotte.
Da quest’analisi nasce la convinzione secondo la quale, se esiste un individuo al mondo che riesce ad eccellere in una determinata cosa, tutti gli individui possono raggiungere lo stesso risultato, modellando la sua strategia personale che lo porta verso il successo.
Richard Bandler, allora neolaureato all’università di Santa Cruz in California e John Grinder, professore in quella stessa università, incominciarono a studiare le caratteristiche della comunicazione usata da alcuni psicoterapeuti eccellenti, capaci di produrre cambiamenti in modo efficace.
Bandler e Grinder incontrarono Fritz Perls1, terapeuta Gestalt, nel centro di Esalen in California. Dopo aver analizzato Perls, i due iniziarono a studiare la comunicazione di Virginia Satir, utilizzata nella famiglia. Nello stesso periodo l’antropologo Gregory Bateson consigliò a Bandler, suo grande amico, di analizzare il lavoro di Milton Erickson, medico noto come uno dei maggiori e più efficaci esperti in ipnosi clinica. Anche da Erickson furono, così, estratti modelli di comunicazione di straordinaria efficacia in psicoterapia.
Alla fine degli anni ’70 un allievo di Bandler, Rodert Dilts incominciò a sviluppare con lui la PNL. Oggi egli è riconosciuto come colui che iniziò a sviluppare la PNL in modo scientifico. Dilts è noto per i suoi lavori di ricerca  e sviluppo in PNL in svariati campi, dalle applicazioni aziendali alle malattie ritenute incurabili.
La diffusione del metodo è avvenuta intorno agli anni ’80 dopo la pubblicazione di “La Metamorfosi Terapeutica”, “Ipnosi e trasformazione”, “La ristrutturazione”; così come il lavoro di Anthony Robbins “Come ottenere il meglio da sé e dagli altri” pubblicato nella metà degli anni ’80.
Un autore di spicco dell’evoluzione e dell’attuale applicazione della Programmazione Neuro linguistica è John La Valle: consulente e formatore nelle più avanzate applicazioni al business e alla persuasione (coautore con Bandler di Persuasion Engeneering).
1) Fritz Perls (1893-1970), fondatore della terapia della Gestalt, aveva notato che l’uomo tende a staccarsi dalle esperienze negative, perciò tentò di sviluppare delle tecniche per aiutarlo ad accettare anche l’esperienza negativa e a farla propria. Virginia Satir (1916-1988), terapista familiare, autrice di libri e insegnante delle tecniche della terapia familiare, stimolava il cambiamento nelle persone che si rivolgevano a lei attraverso il sistema di psicoterapia conosciuto come “The Satir Growth Model”, un modello basato sulla presa di coscienza di comportamenti che provocano incomprensione all’interno della famiglia e il cambiamento degli stessi. Milton Erickson (1901-1980), importante ipnoterapista che lavorò sia nel campo della psicologia che in quello della psichiatria, sviluppò tecniche ipnoterapiche utili per esplorare l’inconscio e per permettere al paziente di superare le proprie paure. Si definì consulente familiare e acuto osservatore, qualità che lui stesso riteneva efficace per il suo lavoro.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Percezione della realta Quando solo le illusioni sono le vere certezze

PERCEZIONE DELLA REALTA’. Quando solo le illusioni sono le vere certezze.

Almeno una volta nella nostra vita abbiamo avuto il desiderio di essere altrove, di vivere qualcosa di diverso, di insolito. Questo bisogno di voler di più da noi stessi è tipico della tendenza dell’uomo di superare i propri limiti, senza essere consapevole che certi di essi rimarranno invalicabili.

Uno dei muri che l’essere umano non supererà mai sono i filtri della “Coscienza”. La nostra natura possiede già un modo per raggirare la coscienza; si tratta dei “sogni”. Il sogno è un’attività sub-cosciente che avviene mentre dormiamo, durante la cosiddetta fase REM (Rapid Eye Movement). Il sogno è un processo caratterizzato dalla percezione di immagini e suoni apparentemente reali; si tratta di un fenomeno determinato da leggi e meccanismi diversi dalla normale coscienza di sé, di cui ancora non si sa molto. Quello del sogno è un concreto esempio di come ciò che giudichiamo “Vero” è in realtà confuso dall’immenso potere della consapevolezza e delle sue alterazioni.
Un altro esempio è più moderno, la realtà virtuale. Si dice che fra una trentina d’anni saranno già disponibili le tecnologie adatte; queste per lo più saranno occhiali, cuffie e adattatori corporei, affinché i principali sensi umani siano pienamente coinvolti in un nuovo mondo percettivo. Tuttavia, le neuroscienze insegnano; se vengono adattati esclusivamente gli organi di senso, il mondo virtuale potrà coinvolgere solo le nostre cortecce somatosensoriali, ossia la superficie dell’encefalo.

E il resto?

D’altronde una vera realtà virtuale dovrebbe coinvolgere la totalità della nostra coscienza, non solo l’ingenua percezione; non conta solo quello che sentiamo, ma anche ciò di cui siamo consapevoli, al fine di giudicare quell’universo astratto come “Reale”.

Neo: Questo non è reale….
Morpheus: Che vuol dire “reale”? Dammi una definizione di “reale”.
(The Matrix, 1999)

Il capolavoro dei fratelli Wachowski sostiene che niente può essere definito reale.
Come reagiremmo se scoprissimo che questa non fosse la realtà? Cosa potremmo mai fare se venissimo a conoscenza che tutto quello che abbiamo vissuto finora sia stata sola finzione? Evidentemente la storia perderebbe all’istante il suo ricco significato, la scienza sarebbe svuotata di ogni suo contenuto e non avrebbe più senso aspettarsi qualcosa dal futuro. Nulla avrebbe più senso, niente varrebbe la pena di essere visto, sentito o toccato, perché consapevoli che non ci sia niente di “reale”. In uno scenario dove tutto risulta fuori dalla propria coscienza, in uno scenario falso e ingannevole, non potremmo godere neppure di un sincero senso di autenticità, cioè qualcosa che vive nella nostra consapevolezza, al di là di come vogliamo apparire o crediamo di essere. La nozione ha sempre permesso infatti di conoscere il mondo che viene spontaneamente percepito e ci offre la coscienza di ciò che risulta reale ai nostri occhi.

Ciò che consideriamo reale lo percepiamo autentico e ciò che consideriamo autentico lo abbiamo vissuto come una realtà. Un mondo integra l’altro e, allo stesso tempo, l’esistenza di uno non avrebbe senso senza l’esistenza dell’altro.

Noi possiamo dire che un oggetto esiste solo se siamo in grado di vederlo, sentirlo, toccarlo. E’ chiaro dunque quanto l’idea di realtà debba restringersi entro rigorosi parametri introspettivi.

Le interazioni con il mondo sensibile si fondano perciò su una consapevolezza psicologica dotata di reciproca soggettività. Quello che effettivamente esiste e quello che percepiamo vero non sono due processi discordi, anzi complementari. Da una parte, ci sono le cose che esistono fuori da noi stessi, indipendenti dal nostro apprendimento ma potenziali oggetti di conoscenza; dall’altra, vi è la componente soggettiva che entra in gioco ed interagisce con l’esterno. E’ una questione molto complessa, che raggiunge i vasti confini del paradosso mente-cervello.
Rimarranno forse irrisolte domande del tipo: “Come fa una massa organica come il cervello a dare vita ad una forma astratta come la mente?”, oppure “Bisogna essere coscienti per rendersi conto di vivere uno stato di coscienza?”.

A voi la parola.

© Porfiri Gian Luca

La PNL nella psicoterapia

La PNL nella psicoterapia

Tratto da Scuola di Formazione in Psicologia

In che modo la PNL (Programmazione Neuro Linguistica) può essere utili nella psicoterapia?

“La psicoterapia è una pratica terapeutica della psicologia clinica e della psichiatria, ad opera di uno psicoterapeuta (psicologo o medico, adeguatamente specializzato), che si occupa della cura di disturbi psicopatologici di natura ed entità diversa, che vanno dal modesto disadattamento o disagio personale fino alla sintomatologia grave, e che possono manifestarsi in sintomi nevrotici oppure psicotici tali da nuocere al benessere di una persona fino ad ostacolarne lo sviluppo, causando fattiva disabilità nella vita dell’individuo” (Wikipedia).

“Si definisce psicoterapia un sistema di cura pianificato che, nel trattamento di malattie di origine essenzialmente psichica, si basi sull’utilizzo di mezzi psicologici attraverso la relazione terapeutica, con il fine di ottenere la riduzione dei sintomi oppure la modificazione della struttura della personalità. Le teorie di riferimento rispetto alla salute mentale sono numerose quanto le metodologie tecniche nelle loro varie applicazioni” (Treccani).

Concordo con le due descrizioni date sopra, aggiungerei che la psicoterapia non è solo una pratica utile alla riduzione dei sintomi e che si occupa della cura dei disturbi psicopatologici, ma può essere utile al miglioramento ed al rinforzo di comportamenti e caratteristiche personali, partendo quindi non necessariamente da una condizione di sofferenza o di disagio.

Ma veniamo al punto: in che modo può la PNL essere utile alla psicoterapia?

Innanzitutto bisogna precisare che la PNL non è “psicoterapia”, quindi non rientra nei modelli psicoterapici come l’analisi transazionale, la gestalt, la cognitivo comportamentale, ecc.

Personalmente ritengo che utilizzata insieme ad altre tecniche, quindi come “strumento in più” possa portare a ottimi risultati.

Ecco alcune descrizioni sommarie e tutt’altro che esaustive, ma puramente indicative per fornire un’idea di come stanno le cose.

    • Può essere utile nel creare la “relazione terapeutica”, instaurando così quel “clima” che favorisce il cambiamento
    • Può aiutare ad individuare quali sono gli eventi attivanti (vedi Albert Ellis) ovvero che cosa fa scattare il comportamento disfunzionale, aumentando così la consapevolezza e fornire tecniche per modificare la risposta a tali eventi
    • Può aiutare ad individuare la nostra visione del mondo e fornirci gli elementi per cambiare il modo di rappresentarsi la realtà modificando in tal modo comportamenti disfunzionali
    • Può aiutare ad individuare i sistemi di credenze/convinzioni (convinzioni, pregiudizi, pensieri, percezioni, interpretazioni, norme, regole, valori…) disfunzionali e fornire strumenti per modificarli

Per ulteriori esempi e approfondimenti consiglio di cercare nella letteratura esistente sul tema.

Nei prossimi articoli parlerò di altri campi nei quali la PNL può trovare applicazione.

 

© La PNL  nella psicoterapia – Andrea Castello

Epistemologia della PNL

Epistemologia della PNL

Articolo tratto da Scuola di Formazione in Psicologia

“La credenza che la realtà che ognuno vede sia l’unica realtà è la più pericolosa di tutte le illusioni “ (Paul Watzlawick, La realtà della realtà)

L’epistemologia (dal greco episteme, conoscenza certa, e logos, discorso) è quella branca della filosofia che si occupa di stabilire le condizioni di validità della conoscenza scientifica e dei metodi connessi allo sviluppo della conoscenza stessa, essa non si pone quindi l’obiettivo di formulare nuove ipotesi sul mondo (leggi e teorie) o di scoprire nuovi fenomeni (attraverso l’osservazione), bensì di affrontare problemi legati ai fondamenti stessi della conoscenza scientifica, in particolare il problema della giustificazione della conoscenza stessa, ovvero come gli scienziati arrivino a provare la validità delle loro teorie e quello di distinguere la scienza dalla pseudo-scienza.

Il mio intento nello scrivere questo articolo non è quello di dimostrare la scientificità della PNL ma, semplicemente, di portare alla luce le eventuali correlazioni con altre discipline e teorie psicologiche.

Credo che la corrente filosofica che più ha prodotto contributi non solo alla PNL ma anche alla psicologia (sistemica, strategica, cognitivo comportamentale, ecc), nella sociologia ed altre branche sia il costruttivismo.

La teoria costruttivista sostiene che la vita è un processo cognitivo, ed è attraverso tale processo, che nasce dall’esperienza individuale, che ogni essere vivente genera il proprio mondo. Soggetti diversi rispondono in maniera diversa ad uno stesso stimolo o ad una stessa realtà e la risposta sarà determinata dal modo in cui l’osservatore è strutturato e da come “interpreterà tale informazione o realtà. È la struttura dell’osservatore e di come si rappresenta l’informazione ricevuta che determina come esso si comporterà e non l’informazione ricevuta. L’informazione in sé (o la realtà) non ha un significato se non quello che le attribuisce il soggetto che riceve tale informazione.

Tutte quelle proprietà e/o quei significati che si credeva facessero parte della realtà che si sta vivendo, si rivelano così proprietà dell’osservatore, o, comunque, significati attribuirti dall’osservatore, per cui l’oggettività che conta non è quella esterna e indipendente dal soggetto, ma quella data dal soggetto stesso.

Di seguito elenco solo alcuni dei principi che per la Programmazione Neuro Linguistica diventano dei presupposti su cui basare i propri modelli e rappresentano le basi epistemologiche su cui si basa l’impianto della PNL


La mappa non è il territorio


Le origini risalgono al concetto espresso da A. Korzypsky: “La mappa non è il territorio e il nome non è la cosa designata” …. ”non esiste esperienza oggettiva (tratto da Mente e Natura di Gregory Bateson).

Il principio della soggettività (dell’esperienza) sancisce che ogni persona è unica e diversa dalle altre e pur vivendo esperienze simili reagisce in modo differente (ad esempio i gemelli che, pur vivendo nello stesso ambiente, sviluppano caratteristiche diverse).

Vivere la stessa esperienza non significa provare gli stessi sentimenti, fare lo stesso lavoro non significa pensarla nello stesso modo.

Sono stati molti i pensatori che nella storia della cultura hanno sostenuto questo punto: che c’è una irriducibile differenza tra il mondo e l’esperienza che abbiamo.

L’uomo, non può avere accesso alla realtà che lo circonda in modo diretto, l’esperienza avviene attraverso i cinque sensi: vista, udito, tatto, gusto ed olfatto.

La “realtà”, essendo quindi “filtrata” dai nostri cinque sensi è soggetta anche a quelli che nella Grammatica Trasformazionale (N. Chomsky) vengono detti processi del modellamento umano: generalizzazione, cancellazione e deformazione (che vedremo quando parleremo di Linguaggio).

Noi essere umani non abbiamo una conoscenza assoluta del mondo (territorio), bensì ciascuno di noi crea una rappresentazione (mappa) del mondo in cui vive; creiamo in pratica una specie di mappa o modello, che usiamo par orientare il nostro comportamento. La nostra rappresentazione del mondo, quindi, determina in larga parte l’esperienza del mondo che avremo, il modo in cui lo percepiremo, le scelte che ci sembrano disponibili vivendoci dentro.

In ogni situazione reagiamo in modo diverso dagli altri perché mentalmente la affrontiamo secondo una prospettiva diversa, essendo diversa la nostra mappa cognitiva della situazione stessa.

La mappa, quindi, rappresenta la visione del mondo di ogni individuo ed è il risultato delle sue esperienze personali (il risultato delle esperienze precedenti, influenza il modo di vedere le esperienze sia presenti, sia future).

La mappa di ogni individuo si forma mediante le sue rappresentazioni sensoriali personali elaborate successivamente a livello cerebrale in modo da formare: punti di vista, sensazioni, dubbi, opinioni, valori, credenze, automatismi, ecc.

La mappa di ogni individuo struttura (condiziona) la sua esperienza nel mondo.

Un primo ed interessante studio lo troviamo nella Teoria dell’apprendimento per segni (Tolman) ove si afferma che un soggetto che sia diretto verso una meta seguendo i segni (o i simboli) che lo indirizzano nella direzione voluta, stia in realtà apprendendo ad orientarsi formandosi una mappa cognitiva del luogo dove si trova. Tolman introdusse per la prima volta il concetto di mappa cognitiva ossia una rappresentazione mentale della meta e dello spazio che conduce ad essa, grazie a tale mappa, secondo il principio del minimo sforzo, la meta viene raggiunta per mezzo del percorso più semplice e meno dispendioso. (Tolman E. – Honzik C.H. 1930 Introduction and removal of reward, and maze performance in rats, University of California Publications in Psychology, 4, 257-275) Il suo studio rappresenta il passaggio da concezioni di tipo comportamentista a idee cognitiviste

Schemi di pensiero

La nostra mente risponde agli stimoli ed alle situazioni in base a schemi acquisiti.

Ogni organismo animale agisce in conformità ad un meccanismo di stimolo/risposta, da cui ad ogni stimolo (ad esempio – pericolo) corrisponde una risposta (fuga). Per gli uomini, nel corso dell’evoluzione, con il tempo e l’esperienza si creano automatismi che determinano sequenze (schemi) di comportamento e di pensiero che saranno poi utilizzati in maniera costante.

Sono un tipico esempio le abitudini, ad uno stimolo (ambiente/situazione/emozioni) si tenderà a rispondere con lo stesso schema di comportamento (abitudine).

Altro esempio di automatismo è la guida dell’auto dove ad ogni situazione (stimolo) i movimenti (risposta) vengono attuati completamente a livello inconscio.

Oltre agli schemi comportamentali abbiamo schemi mentali che utilizziamo per decidere, motivarci, entusiasmarci, deprimerci, preoccuparci, agitarci, farci prendere dal panico, ed anche in questo caso tenderemo a riprodurre, in situazioni simili, gli stessi schemi.

Qualche cenno di approfondimento sul tema S/R, particolarmente importante, per meglio comprendere le logiche concettuali sulle quali si basano le affermazioni precedenti.

La Psicologia Stimolo/Risposta

“Ciò che noi osserviamo negli organismi viventi non sono i contenuti di coscienza, quali sentimenti, affetti o percezioni ma il comportamento ” (J.B. WATSON)

La tradizionale relazione che esiste tra stimolo – risposta nasce dal COMPORTAMENTISMO, teoria di valore storico (dovuta a J.B. Watson), che circoscrive il campo della psicologia allo studio del comportamento e delimita il compito di questa alla ricerca, mediante metodi sperimentali e di osservazione, delle risposte (motorie, ghiandolari, neurologiche) a stimoli conosciuti (“..ogni risposta è funzione di uno stimolo..”).

Il Comportamentismo è una teoria psicologica che afferma che è possibile (anzi auspicabile e scientificamente valido) studiare soltanto gli eventi osservabili dell’azione umana, contrariamente alle deduzioni psicanalitiche sulla vita inconscia e sull’importanza annessa all’introspezione.

Secondo il COMPORTAMENTISMO (Watson) il comportamento viene considerato come uno schema o sequenza di più risposte provocate da altrettanti (uno o più) stimoli esterni.

Esempi di schemi Stimolo- Risposta:

–    la pupilla si restringe (risposta motoria) in presenza di una forte luce (stimolo),
–    la salivazione aumenta (risposta ghiandolare) alla vista di una tavola imbandita (stimolo),
–    la sensazione di vertigine (risposta neurologica) viene avvertita di fronte ad un precipizio (stimolo).

L’opera di Pavlov, scienziato russo, ha fornito il complesso stimolo-risposta, elaborato in seguito nella PNL come struttura dell’ancoraggio (ed é citata in La Programmazione Neuro-Linguistica – Lo studio della struttura dell’esperienza soggettiva di Robert Dilts, John Grinder, Richard Bandler, Leslie Cameron-Bandler, Judith Delozier _ Astrolabio – Milano, 1982).

In seguito il concetto di “risposta” è stato ampliato da Skinner sino a considerare “la risposta” non solo una semplice reazione fisiologica ma anche sequenze di COMPORTAMENTI complessi come pranzare, guidare l’automobile o scrivere una lettera. Occorre specificare che i singoli gesti volontari o involontari (movimenti semplici) come muovere un braccio, alzare le sopracciglia, ecc. sono considerati comportamenti semplici, mentre i comportamenti complessi sono costituiti da associazioni di più movimenti semplici.

Per il COMPORTAMENTISMO, quindi, ciò che apprendiamo sono COMPORTAMENTI.

Il bambino impara per prova ed errore un determinato comportamento e tende a riprodurlo in situazioni simili.

Successivamente altre teorie hanno affermato che la “risposta” non comprende solo comportamenti semplici o complessi ma anche processi di pensiero e stati emotivi e che lo stimolo può essere sia esogeno che endogeno rispetto all’organismo umano.

In altri termini, il soggetto in questione apprende non semplici movimenti o comportamenti, ma significati che concorrono alla creazione di una sua mappa mentale e di strategie che sottendono ogni comportamento..


Strategie (T.O.T.E.)

Ogni nostro comportamento manifesto è controllato da strategie operanti internamente. Ciascuno di noi ha un proprio insieme di strategie per motivarsi, per alzarsi dal letto la mattina, per delegare ai dipendenti le responsabilità di lavoro, per imparare e insegnare, per condurre negoziati d’affari e così via.

Eppure i nostri modelli culturali, non ci insegnano esplicitamente gli aspetti specifici delle strategie necessarie per conseguire gli obiettivi comportamentali espressi o impliciti in ciascun modello.

Per descrivere una specifica sequenza di comportamento, la PNL sfrutta lo studio che per la prima volta fu formulata in “Plans and the structure of Behavior”, pubblicato nel 1960 da Gorge Miller, Eugene Galanter e Karl H. Pribram (“Piani e struttura del comportamento” – F. Angeli, Milano 1973) nel quale ipotizzavano che il comportamento fosse guidato da una serie di piani o schemi di azione nidificati l’uno dentro l’altro secondo un ordine gerarchico a complessità crescente.

Secondo gli autori un Piano o schema di comportamento è l’equivalente di un programma di un calcolatore che predispone l’individuo a una particolare strategia d’azione:

“Un Piano è ogni processo gerarchico nell’organismo che può controllare l’ordine in cui deve essere eseguita una serie di operazioni.” (p. 32)

Questo studio si chiama T.O.T.E., che significa Test, Operate, Test, Exit e riprende una sequenza basata sul modello del computer.

Ma in che modo la PNL può essere applicata ai vari contesti professionali, come la psicoterapia, il coaching, la formazione, la vendita,  l’assessment, la leadership ?  …. nei prossimi articoli

© Epistemologia della PNL – Andrea Castello

I campi di applicazione della PNL

I campi di applicazione della PNL

 

Tratto dal sito Scuola di Formazione in Psicologia

La Programmazione Neuro Linguistica (PNL) nasce negli anni 70 in ambito clinico. In quel periodo Richard Bandler e John Grinder iniziarono a studiare le modalità comunicative e operative di psicoterapeuti eccellenti dell’epoca come Fritz Perls (terapeuta Gestalt), Virginia Satir (terapia della famiglia) e Milton H. Erickson, (medico noto come uno dei maggiori e più efficaci esperti in ipnosi clinica).

Da quegli studi uscirono alcune pubblicazioni “La struttura della Magia” e “I modelli della tecnica ipnotica di Milton H. Erickson” (editi in Italia da Astrolabio), che trattavano argomenti esclusivamente “clinici”.

Alla fine degli anni settanta iniziarono ad arrivare altri trainer, portando sviluppi alla PNL e contribuendo alla diffusione della stessa: Robert Dilts che ha contribuito allo sviluppo sia in campo clinico che aziendale (per esempio sulla leadership), Leslie Cameron Bandler (co-autrice del libro “La Programmazione Neuro Linguistica”), David Gordon (autore del libro “Metafore Terapeutiche”), Steve e Connirae Andreas (autori dei libri “Cambiare la mente” e “I nuclei profondi del sé”, ed italiana: Astrolabio), Anthony Robbins che portò la PNL al grande pubblico come strumento di crescita e cambiamento personale, Tad James autore del libro “Time Line” (Ed. Astrolabio), John La Valle, formatore e consulente, specializzato nelle applicazioni della PNL al business e alla persuasione, co-autore con Bandler del libro “Persuasion EngineeringTM” e tanti altri trainer che con il loro lavoro hanno contribuito ulteriormente allo sviluppo ed alla diffusione della PNL.

Grazie a questi contributi, oggi la PNL viene utilizzata in svariati contesti (l’elenco che segue non è esaustivo ma puramente indicativo), quali:

    • la psicoterapia – pur non essendo riconosciuta come tecnica psicoterapeutica, la PNL contiene molti strumenti che ritengo indispensabile conoscere per chi si occupa di psicoterapia, dai più semplici ai più complessi, come per esempio, come mettere a suo agio il paziente, come impostare un colloquio clinico, come affrontare e superare una fobia o un attacco di panico, come individuare e modificare una strategia cognitiva, ecc
    • il counseling – per aiutare la persona ad acquisire consapevolezza, individuare ed utilizzare le risorse personali per affrontare il percorso di cambiamento
    • il coaching – per aiutare il cliente a mettere a fuoco i propri obiettivi, ad apprendere ed elaborare le tecniche e le strategie di azione che permetteranno loro di migliorare sia le performance che la qualità della propria vita
    • la vendita – la PNL mette a disposizione tecniche per entrare in sintonia con il potenziale cliente, formulare domande per individuare i reali bisogni, creare argomentazioni motivanti, individuare la strategia decisionale
    • la leadership – per comunicare meglio, condividere la propria vision, motivare i collaboratori
    • lo sport – per allenarsi mentalmente, gestire lo stress e migliorare le performance
    • la selezione – per condurre un colloquio di selezione, conoscere la struttura cognitiva del candidato e valutarne l’adeguatezza al ruolo ricercato
    • l’insegnamento – per utilizzare modalità comunicative adeguate a migliorare l’apprendimento

Ma la PNL ha delle correlazioni con altre discipline ? …. nel prossimo articolo

© I campi di applicazione della PNL – Andrea Castello

Cos’è la PNL

La PNL   

 

Tratto dal sito Scuola di Formazione in Psicologia

Cos’è la PNL

Nei testi degli ideatori della Programmazione Neuro Linguistica, la PNL viene definita come “lo studio della struttura dell’esperienza soggettiva”, ovvero un modello che studia come le persone elaborano le informazioni (come pensano) influenzandone in tal modo il loro vissuto ed il comportamento.

Le caratteristiche principali e distintive della PNL si potevano riassumere in tre punti:

    1. Considerare la mente inconscia come una risorsa, una entità con capacità creative e organizzative, una struttura in grado di creare il problema psichico e, al tempo stesso, una struttura che contiene le risorse in grado di risolverlo
    1. Descrivere accuratamente i processi cognitivi che le persone utilizzano per elaborare le varie forme di pensiero
    1. Fornire una serie di strumenti precisi e puntuali tali da consentire al terapeuta di entrare in rapporto privilegiato con il paziente e di “portarlo” a modificare e “ristrutturare” le sue strategie cognitive raggiungendo in tal modo le mete terapeutiche oggetto del contratto tra paziente e terapeuta.

Ho iniziato ad utilizzare le tecniche della PNL in ambito clinico, con pazienti, con l’intento di aiutarli a superare i “problemi” personali che riportavano nella seduta psicoterapeutica, ho continuato nel tempo portando l’utilizzo fuori dal contesto clinico ….

In quel periodo consideravo la Programmazione Neuro Linguistica come un insieme di tecniche utilizzabili a prescindere dall’approccio utilizzato, tecniche che mi consentivano di “lavorare” su problemi specifici, come per esempio fobie di vario tipo, la claustrofobia o l’agorafobia, gli attacchi di panico o le sindromi depressive. Strumenti precisi che permettevano di individuare dove e come intervenire nella sequenza cognitiva.

Oggi dopo parecchi anni di utilizzo e di sperimentazione considero la PNL non solo come una cassetta di attrezzi, a dire il vero estremamente efficaci, ma come un “modo di pensare”, un modello che ci consente di agire nella realtà.

Nelle scienze sociali il termine modello assume il significato di “schema teorico di riferimento” non assimilabile totalmente con una teoria, ma che può essere orientato alla sua costruzione.

Si può affermare che i modelli svolgano 3 funzioni:

    1. una funzione euristica e orientativa della prassi (in questo caso prassi terapeutica), permettendo di guidare l’analisi della realtà e l’operatività del terapeuta;
    1. una funzione interpretativa, permettendo di costruire gli indicatori di verifica dei risultati conseguiti in relazione agli obiettivi posti a fondamento dell’azione (obiettivi terapeutici);
    1. una funzione esplicativa della realtà stessa, permettendo di costruire la teoria a partire dall’osservazione della realtà. Fanno riferimento, quindi, sia a tecniche induttive che, partendo dalla osservazione diretta della realtà, arrivano a formulare generalizzazioni, sia a tecniche deduttive che, a partire dalla costruzione teorica, cercano di illustrare e spiegare la realtà.

In sintesi quindi la PNL è un modello che da un lato cerca di spiegare come funzionano le nostre strategie cognitive (non il cosa pensiamo ma il come lo facciamo), dall’altro lato fornisce strumenti pratici ed efficaci per intervenire e operare dei cambiamenti, date queste caratteristiche è ovvio che la PNL sia applicabile sia in ambito della psicologia clinica, sia nella psicologia del lavoro.

Ma quali sono i campi di applicazione della PNL? Nel prossimo articolo vedremo …

© Cos’è la PNL – Andrea Castello

News: Corso su La Programmazione Neuro Linguistica nella pratiche professionali di sostegno

STUDIO CASTELLO in collaborazione con FEDRO – TRAINING & COACHING

PRESENTANO

 

 

LA PROGRAMMAZIONE NEURO LINGUISTICA (PNL) NELLE PRATICHE PROFESSIONALI DI SOSTEGNO

(COACHING-COUNSELLING-PSICOTERAPIA)

 

 

La Neurolinguistica costituisce un vasto serbatoio di linguaggi, modelli e tecniche estremamente efficaci, a disposizione dei professionisti che supportano e favoriscono il cambiamento. Il corso si propone la condivisione e la sperimentazione di questi strumenti nel pieno rispetto delle differenze di approccio delle varie professionalità e scuole di appartenenza. In questo modo ogni partecipante potrà elaborare ed applicare quanto appreso in maniera coerente con il proprio modo di operare.

 

Il corso è aperto a tutti i professionisti delle professioni di aiuto (coach, counselor, medici, psicologi e psicoterapeuti) e agli studenti delle relative discipline.

 

PROGRAMMA: 4 MODULI DELLA DURATA DI 3 GIORNI CIASCUNO

 

MODULO 1. INTRODUZIONE E ALFABETIZZAZIONE

MODULO 2. I LINGUAGGI

MODULO 3. MOTIVAZIONE E CAMBIAMENTO

MODULO 4. TECNICHE DI CAMBIAMENTO IN AMBITO CLINICO *

 

*IL MODULO 4 è RISERVATO A PSICOLOGI E PROFESSIONISTI ABILITATI ALLA PSICOTERAPIA

 

SEDE DEL CORSO: ROMA – VIA DELLA BALDUINA 76 

 

DATE: 

 

MODULO 1. 28-29-30 giugno

MODULO 2. 12-13-14 luglio

MODULO 3. 13-14-15 settembre

MODULO 4. 01- 02-03 novembre

 

 

INVESTIMENTO: 

 

4 MODULI (INTERO PERCORSO) EURO 1.870,00 – PER ISCRIZIONI ENTRO IL 21 GIUGNO EURO 1.750,00

 

MODULO 1.+2. + 3. EURO 1.400,00 – PER ISCRIZIONI ENTRO IL 21 GIUGNO EURO 1.300,00

 

 

MODULO 1.+2. EURO 1.170 – PER ISCRIZIONI ENTRO IL 21 GIUGNO EURO 1.053,00

 

MODULO 3. EURO 585,00 – PER ISCRIZIONI ENTRO IL 31 LUGLIO EURO 526,00

 

MODULO 4. EURO 585,00 – PER ISCRIZIONI ENTRO IL 31 LUGLIO EURO 526,00

 

 

PER ISCRIZIONI E INFORMAZIONI: 

 

info@studiocastello.it 

 

 

PNL: CONCLUSIONI

PNL: CONCLUSIONI

La Programmazione Neurolinguistica è un campo estremamente minato, in cui convergono diverse tesi, sia a favore che contro, soprattutto nel campo della psicologia, della linguistica, della socio-linguistica.
Ho cercato di compiere un’analisi il più possibile oggettiva per garantire ai lettori una conoscenza della materia priva di interpretazioni ed opinioni.
Inizialmente, ero estremamente scettica dell’efficacia delle strategie della PNL e del loro fondamento scientifico; questo primo atteggiamento però, mi ha stimolato una grande curiosità che mi ha permesso di entrare in contatto con un mondo a me sconosciuto e con un numero sostanzioso di persone che in diversi modi vi lavorano.
Quello che la PNL ha fatto, è stato creare una nuova figura professionale: il practitioner di PNL, ovvero un comunicatore, un mediatore, un terapeuta.
Come ben sappiamo, molte tra le facoltà universitarie che continuano a nascere in questi ultimi anni, sono quelle legate all’ambito della comunicazione (Scienze della Comunicazione, Comunicazione Internazionale, Mediatore Culturale) che, pur fornendo una cultura estremamente variegata e conforme ai cambiamenti della società, non delineano con precisione una figura professionale. L’intervento della PNL, in termini riduttivi e prettamente economici, ha significato una risposta ad un bisogno e ad una richiesta di mercato, proponendo Master, corsi di formazione, d’aggiornamento, ecc.. Esiste un numero elevatissimo di società o associazioni che organizza e gestisce qualsiasi cosa attinente alla PNL: in Italia, oltre alla NLPItaly, associazione ufficiale, c’è Max Formisano Training, Aleph, Bless you, Engineering and colsulting e tante altre. Ogni associazione poi, oltre a proporre i corsi di “Come migliorare se stessi e le proprie relazioni”, si specializza in un settore in particolare, dal management aziendale, allo yoga indiano, dal public speaking alla musicoterapica, dalla gestione delle risorse alla medicina alternativa.
Sono sorte inoltre, delle forme più moderne come la PNL applicata Umanistica e la PNL3, che pur ispirandosi alla forma originaria di Bandler e Grinder, sviluppano una propria linea ed interpretazione.
Insomma, la Programmazione Neurolinguistica è uno strumento e come ogni strumento può essere utilizzato in tantissimi modi, in forme negative o estremamente positive.
Uno degli aspetti positivi, a mio avviso, è porre al centro dello studio l’essere umano, con i suoi comportamenti, i suoi atteggiamenti che si esprimono non solo attraverso il linguaggio verbale, ma soprattutto analogico. Focalizzandosi sulle relazioni tra esseri umani, ridà spessore e rilevanza alla comunicazione faccia a faccia, conio di Thompson, che nella nostra epoca è stata completamente sostituita dall’interazione quasi immediata o mediatica. Come dice Meyrowits nel suo libro No sense of place, le interazioni che maggiormente caratterizzano la nostra società non hanno né un luogo né uno spazio preciso, non c’è più un reale incontro: guardando la televisione, attraverso internet, le chat lines, avvengono incontri in spazi fittizi in cui le relazioni sono falsate e non paritarie.
Abbiamo perso a tal punto la naturalezza di gestire i rapporti con le persone, la spontaneità della comprensione reciproca, da avere bisogno di un metodo o di frequentare un corso che ci insegni a capire gli altri, a comunicare in modo efficace, a leggere le loro emozioni, ad entrare in empatia con loro?
Se la risposta è positiva, la PNL e il suo lavoro risulteranno utili.
Se, al contrario, non riteniamo di aver perso le caratteristiche “umane”, la PNL può essere sostituita dal buon senso, da una buona educazione, da valori e credenze, da un vivere non solo per se stessi ma per gli altri.
Avendo come base questi principi, pur non utilizzando il ricalco o il rispecchiamento, saremmo in grado di capire quando parlare o quando praticare il silenzio, quando assumere un comportamento o un altro, per comprendere l’altro, per capire e fare nostre le sue idee, le sue sensazioni, i suoi problemi.
Esistono, però, molti settori lavorativi in cui la formazione è essenziale e prioritaria, come quello della scuola, in cui la PNL può fare tanto e bene.
L’incontro con Carmela Lo Presti è stato un’occasione di crescita non solo per la mia tesi, ma soprattutto a livello personale, in quanto mi sono imbattuta in una donna le cui idee sono impregnate di positività volta al cambiamento.
La sua opinione riguardo la scuola è rivoluzionaria, ma allo stesso tempo radicata a valori e credenze di una grande semplicità; è consapevole che il lavoro che compie quotidianamente crea le fondamenta per un nuovo modo di vivere la scuola e di fare formazione, privilegiando la crescita del bambino, che viene accompagnato, con cura e rispetto, nella prima tappa della sua vita.
Il cambiamento del sistema educativo però non può iniziare dal bambino, ma deve nascere nelle Università, nelle scuole di specializzazione, dai tirocini, che devono essere in grado di formare delle figure professionali complete, con cognizioni psico-pedagogiche, linguistiche, ma soprattutto continuamente aggiornate sui mutamenti esterni che modellano profondamente lo sviluppo di ogni bambino. In Italia, le tecniche di PNL, pur essendo applicate, sono poco manifeste e riconosciute, e riguardano una nicchia di persone più incline all’aggiornamento e alla formazione, le quali si devono comunque scontrare con un sistema tradizionale e poco organizzato.
L’utilità della PNL, nel sistema scolastico, non è ancora apprezzata sufficientemente, essendo ancora una disciplina sperimentale. Gli stessi professionisti del settore, in Italia e in Europa, sono tuttora ignari di molte organizzazioni e progetti che invece concretizzano in maniera efficace le sue strategie.
L’aspetto, però, che più mi preme sottolineare è l’importanza della comunicazione. Quello che ho voluto dimostrare attraverso questa tesi, è che è possibile educare i bambini al dialogo, alla mediazione; è possibile formare individui alla relazione interpersonale, educarli all’altro, per capire, ascoltare, comprendere, amare l’altro.
La scuola non può occuparsi solo della storia e dellamatematica ma, accanto alla famiglia, deve essere in prima linea per formare dei bambini integri, dal punto di vista umano, psicologico e spirituale. Soggetti che siano pronti non solo ad affrontare il mondo, ma a cambiarlo, essendo protagonisti di questo cambiamento.
I bambini possono diventare uomini di pace se fin da piccolissimi vengono loro offerti gli strumenti per comprendere se stessi e gli altri, se vengono circondati da adulti in grado di comunicare, se vivono in ambienti in cui il dialogo viene prima di tutto.
La società che rappresentiamo vive nella comunicazione, eppure, come dice Sfez : “Nella nostra società che non sa più comunicare con se stessa e in cui gli uomini stentano a comunicare, essi comunicano sempre di più, è vero, ma si comprendono sempre di meno. Si è come smarrita la traccia dei principi e delle norme che assicuravano la coesione dell’insieme sociale: da qui la dispersione e la sovrapposizione dei linguaggi, la Babele quotidiana.”
I principi e le norme che mancano devono essere insegnate nuovamente a scuola per creare uomini nuovi.
Chiara Lubich, che fin da quando ero piccola, ha inciso fortemente sulla mia formazione, la cui spiritualità mi ha insegnato ad amare e mi ha educato all’ascolto, nel suo libro Il Movimento dei Focolari e i mezzi di comunicazione sociale, afferma: “Per comunicare, sentiamo di dover “farci uno” con chi ascolta. Anche quando si parla o si svolge un tema, non ci si limita ad esporre il contenuto del nostro pensiero. Prima sentiamo l’esigenza di sapere chi abbiamo dinnanzi, conoscere l’ascoltatore o il pubblico, le sue esigenze, i desideri, i problemi. Così pure farci conoscere, spiegare perché si desidera fare quel discorso, che cosa ci ha spinti, quali gli effetti di esso su noi stessi e creare con ciò una certa reciprocità. In tal modo il messaggio viene non solo intellettualmente recepito, ma anche partecipato e condiviso. Farsi uno, cioè entrare il più profondamente possibile nell’animo dell’altro, capire veramente i suoi problemi, le sue esigenze. Condividere le sue sofferenze, chinarsi sul fratello. Farsi in certo modo l’altro. In tale maniera il prossimo si sente compreso, sollevato, perché c’è chi porta con lui i suoi pesi, le sue pene e anche le sue gioie.”
GLOSSARIO
Calibrare: individuare lo stato d’animo dell’interlocutore attraverso i segnali che egli manifesta e che in precedenza avevamo avuto modo di associare allo specifico stato d’animo.
Condizioni di Ben Formato: le caratteristiche che deve avere un Obiettivo perché diventi un catalizzatore dei nostri comportamenti per la nostra mente “cibernetica”. Alcune caratteristiche sono: Specificità, tempificazione, positività, evidenza del raggiungimento, controllabilità, ecc…
Congruenza: lo stato nel quale si è quando si agisce in modo coerente con ciò che si dice e si pensa. Quando si è congruenti la nostra comunicazione non verbale è allineata a quella verbale. opposto: Incongruenza.
Credenze: ciò che riteniamo vero in un certo momento, le nostre generalizzazioni circa la realtà in cui viviamo. Sono strettamente connessi ai nostri Valori e ci guidano nel percepire ed interpretare la realtà.
Installazione: installare una strategia in un soggetto. Vi sono due modi per compiere ciò: 1) con l’ancoraggio e l’inserimento degli stadi della strategia; 2) facendo provare al soggetto (una forma di auto-ancoraggio) la sequenza della strategia.
Mappa della realtà: è la rappresentazione della realtà che la persona ha dentro di sé. Costruita sulla base delle esperienze di ciascuno è unica ed è costituita dalle proprie rappresentazioni interne in termini sensoriali (Immagini, Suoni, Sensazioni) e dal linguaggio che usiamo per comunicarle. In PNL non esiste “la” mappa della realtà, le mappe di tutte persone hanno pari dignità.
Modellare: il processo di osservazione e replica dei comportamenti di successo di altre persone. Include sia i comportamenti esteriori, evidenti e conosciuti dalla stessa persona che gli accessi interni di cui egli può non avere coscienza.
PNL3: di tutte le tecniche esistenti, la PNL3 è quella che più prende in conto la comunicazione subliminale. A differenza della PNL come viene attualmente insegnata nella maggior parte dei casi, la PNL3 introduce, libera da condizionamenti (3 in inglese si può leggere come three che ha lo stesso suono di free che significa libero) una ricontestualizzazione di molte nuove tecniche e si apre sul nuovo riabilitando al contempo l’antico. All’interno della PNL3 trovano così sviluppo e spazio antiche discipline così come l’EMDR II, (nuove tecniche EMDR) e l’interpretazione scientifica dell’ennegramma, utile per comprendere i tipi psicologici.
Ricalcare: adottare le modalità di comunicazione di un’altra persona (parole, postura, respirazione, etc…) in modo da creare o aumentare il Ra pporto.
Rapporto: il senso di “connessione” che proviamo naturalmente con le persone con cui “stiamo bene” implica fiducia, disponibilità ed empatia.
Segnali di accesso: manifestazioni esteriori dell’accesso da parte della persona alle Rappresentazioni Interne basate sui diversi canali sensoriali (Immagini, Suoni, Sensazioni). I segnali includono la postura, i gesti, i movimenti degli occhi, la respirazione, etc…
Sistemi Rappresentazionali: il nostro modo di codificare la realtà nella nostra mente attraverso ciò che possiamo percepire attraverso le nostre uniche finestre sul mondo: Visione, Udito, Tatto, Olfatto, Gusto.
Stato: l’insieme delle rappresentazioni interne, le emozioni, la fisiologia di una persona in un certo momento. La somma dello “stato d’animo” e degli aspetti esteriori e interiori che lo codificano.
Submodalità: all’interno dei Sistemi Rappresentazionali esistono delle specificazioni denominate submodalità. Sono potenti strumenti di cambiamento e servono per modificare le rappresentazioni interiori e i nostri stati emozionali.
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PNL: I giochi di For Mother Earth

PNL: I giochi di For Mother Earth

Tutti i giochi presentati, oltre che avere come fine il divertimento, sono un allenamento e hanno la funzione di alfabetizzare i bambini in campo emotivo. Vanno dai più semplici ai più complessi. Non si è soliti indicare l’età per la quale sono adatti, perché i bambini ci insegnano che possono fare e fanno molto più di quanto un adulto possa pensare: è tutta una questione di fiducia in loro e di rispetto, non di aspettative.
Al nido, a scuola o in casa, se è l’adulto a proporre il gioco, questo va terminato prima che cali l’interesse del bambino, cioè va interrotto mentre il suo interesse è ancora alto. Successivamente, quando il bambino ha già familiarizzato con lo strumento nuovo, bisogna lasciarlo libero di continuare e di esprimersi anche modificando il gioco stesso.
Nel dare indicazioni, Lo Presti si rivolge all’adulto in genere – intendendo sia l’educatore del nido, sia l’insegnante, sia il genitore – e al bambino in genere, maschietto o femminuccia che sia. Tutte le attività possono essere fatte con più bambini insieme: dipende dai bambini e dagli insegnanti. E’ consigliato comunque dedicare del tempo anche ad un bambino individualmente.
I giochi di For Mother Earth sono adatti ai bambini a partire dai 18 mesi di età fino ai 10/11 anni. I giochi qui proposti utilizzano quanto più è possibile tutti i canali sensoriali: Visivo (V), Uditivo (A), Cinestesico (K), Uditivo Digitale (Ad) poiché la PNL dimostra che quando tutti i nostri sensi sono coinvolti in un’attività, l’apprendimento avviene ad un livello più profondo. Inoltre, questo permette di coinvolgere entrambe i lobi cerebrali: il sinistro, quello predisposto all’analisi, alla logica ed al linguaggio e il destro, sede della creatività, della visione globale, del senso dello spazio e della musica.
Tutti i giochi, indipendentemente dal loro livello, hanno il medesimo obiettivo di carattere generale e cioè quello di sviluppare:
    • l’intelligenza emotiva
    • l’intelligenza interpersonale attraverso giochi che richiedono il contatto con gli altri e stimolano la comprensione degli altri e la collaborazione;
    • l’intelligenza intra-personale, che ha a che vedere con la conoscenza di sé;
    • la capacità creativa
Il gioco è lo strumento attraverso il quale il bambino si allena:
    • nel riconoscimento delle emozioni – sia in se stesso che nell’espressione altrui – nelle loro diverse gradazioni;
    • nell’espressione delle proprie emozioni – soprattutto attraverso il viso – nelle loro diverse gradazioni;
    • nella contestualizzazione delle emozioni nelle loro diverse gradazioni, cioè nel mettere in relazione una specifica emozione con la situazione in cui si manifesta.
Seguono alcuni esempi di giochi intorno ai quali ruotano le attività proposte da For Mother Earth:
A) I giochi con le carte delle emozioni
Queste carte rappresentano delle facce che esprimono diversi stati d’animo, dalla tristezza alla rabbia, dalla gioia alla paura. Diventano degli strumenti efficaci attraverso i quali il bambino fa conoscenza visivamente delle varietà delle emozioni che ogni individuo vive. Le carte aiutano a:
    • notare somiglianze e differenze;
    • cogliere le caratteristiche comuni a ciascuna famiglia di emozione, nelle sue diverse gradazioni emotive;
    • formare degli insiemi;
    • imparare i nomi delle diverse gradazioni emotive, arricchendo il vocabolario affettivo;
    • associare l’espressione emotiva al nome specifico dell’emozione, e non più solo al nome della famiglia emotiva;
    • a diventare ancora più consapevole della ricchezza del mondo emotivo.
B) Le carte/foto da costruire
Dopo un po’ di allenamento con le carte delle emozioni, si può fare il gioco di cercare, su riviste, quotidiani, ecc., volti espressivi ritagliandoli e incollandoli su cartoncino. Si possono utilizzare le carte/foto così ottenute per inventarne delle altre (gli obiettivi sono quelli già indicati).
C) Giochi con le carte degli eventi
Le carte degli eventi sono in tutto 54. Per ogni famiglia d’emozioni sono stati strutturati gli eventi, considerando tutte le gradazioni di intensità. Il gioco parte dalla consapevolezza che ogni essere umano, bambino o adulto che sia, vive ogni evento in modo personale:
    • ciò che viene vissuto con una certa intensità da uno, è vissuto con una diversa intensità, maggiore o minore, da un altro;
    • uno stesso evento può suscitare emozioni diverse a bambini diversi o ad uno stesso bambino, a seconda della focalizzazione del momento. Ad esempio: se ad un bambino viene tolto un giocattolo, si sentirà triste, se si è focalizzato sulla perdita; arrabbiato, se invece si è focalizzato sull’offesa; spaventato, se gli è stato tolto con violenza e urli (lo stesso vale per un adulto, anche se non parliamo più di giocattoli).
Utilizzando le carte degli eventi ciò che conta è individuare la/le famiglie delle emozioni possibili in quella situazione, e non la gradazione/nome dell’emozione. Tutte non in senso assoluto, ma riferite alle gradazioni prese in considerazione da Carmela Lo Presti per ciascuna categoria. Le abilità che grazie a questo gioco si sviluppano sono:
    • il rispetto di procedure e regole ben definite all’interno del gioco;
    • a collaborare con gli altri, per ottenere un risultato positivo;
    • a ottimizzare il tempo a disposizione;
    • a utilizzare i diversi linguaggi: grafico, verbale, corporeo;
    • a riconoscere le emozioni – sia in se stesso che nell’espressione corporea degli altri;
    • a esprimere, attraverso il linguaggio corporeo le proprie emozioni;
    • a contestualizzarle, cioè a metterle in relazione con le situazioni;
    • a creare sequenze temporali di eventi in associazione logica con le emozioni;
    • a diventare consapevole che uno stesso evento può essere vissuto diversamente, sia emotivamente che come intensità emotiva.
D) Disegnare le emozioni: il gioco dell’autoritratto e del ritratto
Dopo l’allenamento di alfabetizzazione emotiva, a questo punto del percorso educativo, il bambino è in grado di sviluppare molte sue abilità innate ed è capace di cogliere molte più sfumature e particolari di prima: questa sua crescita si manifesterà nei ritratti e negli autoritratti in modo evidente.
Ciò che occorre per giocare è:
    • fogli di carta bianca o fotocopie in formato A4 della Scheda che riproduce la sagoma di un viso;
    • pennarelli o pastelli colorati;
    • uno specchio di almeno cm 20 x cm 20 (rivestire tutti i bordi con dello scotch telato, largo e colorato, in modo che non ci siano pericoli di tagliarsi e sia anche gradevole alla vista. Incollare lo specchio su un cartone molto robusto, più largo dello specchio, in modo che possa essere preso e spostato con facilità).
L’obiettivo specifico del gioco è allenare il bambino:
    • ad ascoltare cosa sta provando, o entrare di nuovo in contatto con ciò che ha provato;
    • a riconoscere l’espressione emotiva nel proprio viso;
    • a porre attenzione ai particolari significativi di ogni emozione;
    • a riprodurre ciò che osserva di sé allo specchio;
    • a riprodurre ciò che osserva nelle espressioni di altri, dal vivo o in foto.
Dai 5/6 anni il bambino è inoltre in grado di:
    • raccontare un momento in cui ha provato una data emozione (allenandolo negli autoritratti e nei ritratti di tutte le emozioni), in modo che possa riattivare dentro di sé l’emozione vissuta.
    • guardare il suo viso allo specchio, mentre fa “una faccia”, o guardare l’espressione di un compagno e riprodurla.
    • I lavori si possono incorniciare ed appenderli, creando a casa, al Nido o a Scuola uno spazio per gli autoritratti e i ritratti di famiglia, della classe, ecc.
E) Le storie emozionanti
La narrazione di storie, come “Il Semino Chiccolino”, “La Farfallina Triste”, “La Storia di Camilla”, appositamente inventate per l’alfabetizzazione emotiva, oppure le più tradizionali come “Il mago di Oz” o “Pinocchio”, diventano delle occasioni per i bambini di calarsi nella vita dei personaggi e comprendere profondamente un altro punto di vista che gli permette di trasporsi nella propria esperienza personale.
Le storie possono essere usate in due modi diversi:
1) Come storie che, raccontando di emozioni e nominandole, permettono al bambino:
    • di familiarizzare con termini della sfera emotiva e dunque di ampliare il proprio vocabolario, per una migliore comunicazione che riguarda le sue esperienze interiori;
    • di acquisire la padronanza dei termini emotivi, che va considerato uno strumento di allenamento emotivo importante, con l’effetto di rasserenarlo e di aiutarlo a recuperare più in fretta dalle situazioni di turbamento.
    • di allenarlo a focalizzarsi non solo sugli eventi, ma sull’effetto degli eventi sul piano emotivo e quindi comportamentale.
2) Come traccia o filo conduttore per un percorso didattico, all’interno del quale collocare gli altri giochi proposti.
F) La musica per l’alfabetizzazione emotiva
Questo che segue è solo uno dei tanti esempi di percorso musicale per l’Alfabetizzazione Emotiva che For Mother Earth può proporre.
La classica fiaba di Rosaspina se raccontata, o meglio supportata da brani musicali di autori classici e contemporanei diventa un meraviglioso mezzo di crescita per i bambini. Questo, in particolare, è un percorso musicale strutturato personalmente da Lo Presti per un corso di formazione tenuto per le alunne della classe quinta del Liceo Pedagogico di Assisi.
Il percorso formativo aveva, tra gli altri obiettivi, quello di dare loro competenze nella narrazione “emozionante” attraverso la globalità dei linguaggi. E’ stata poi utilizzata, in una versione più ridotta, con i piccolissimi nel nido ed ha riscosso molto successo. Ai bambini è stata raccontata la storia di Rosaspina seguendo il percorso musicale e con la musica come sottofondo, i bambini hanno successivamente riconosciuto le emozioni abbinate alle musiche. Successivamente i bambini, ascoltando soltanto la musica, raccontavano loro stessi cosa succedeva a quel preciso punto della storia, descrivendo dettagliatamente le emozioni presenti.
L’obiettivo specifico è allenare il bambino:
    • a sviluppare il canale sensoriale uditivo;
    • a sviluppare la capacità sinestesica del pensiero, cioè la capacità di associare due o più sfere sensoriali. In questo caso quella uditiva e quella visiva;
    • ad utilizzare tutti i canali sensoriali;
    • all’ascolto;
    • al riconoscimento del “tono emotivo” della musica;
    • ad utilizzare contemporaneamente l’emisfero destro e quello sinistro;
    • a passare da un linguaggio, sonoro-musicale, ad un altro, grafico-pittorico o cinestetico, allenando così il bambino a sviluppare tutti i canali sensoriali e i sistemi di rappresentazione della realtà.
G) II GIOCO-TEST®
Un gioco-test è un gioco strutturato in modo tale da permettere di fare un confronto tra le competenze emotive dei bambini prima dell’ intervento educativo e dopo.
Se si sceglie di fare il gioco-test all’inizio e alla fine dell’ intervento, si ha la possibilità di:
    • valutare in termini più oggettivi gli effetti del tuo intervento sui bambini, andando al di là dei cosiddetti “occhi di mamma” (o di maestra);
    • ricavare suggerimenti su che cosa si può fare meglio o che cosa può essere considerato un punto di forza per l’allenamento emotivo.
In sintesi: i gioco-test servono per avere un feed-back il più possibile oggettivo sull’effetto che il percorso proposto ai bambini ha avuto sulle loro competenze emotive, dando la possibilità di verificare che cosa ha funzionato e che cosa può migliorare.