La PNL: I segnali individuabili dai movimenti oculari
La PNL: I segnali individuabili dai movimenti oculari
Almeno una volta nella nostra vita abbiamo avuto il desiderio di essere altrove, di vivere qualcosa di diverso, di insolito. Questo bisogno di voler di più da noi stessi è tipico della tendenza dell’uomo di superare i propri limiti, senza essere consapevole che certi di essi rimarranno invalicabili.
Uno dei muri che l’essere umano non supererà mai sono i filtri della “Coscienza”. La nostra natura possiede già un modo per raggirare la coscienza; si tratta dei “sogni”. Il sogno è un’attività sub-cosciente che avviene mentre dormiamo, durante la cosiddetta fase REM (Rapid Eye Movement). Il sogno è un processo caratterizzato dalla percezione di immagini e suoni apparentemente reali; si tratta di un fenomeno determinato da leggi e meccanismi diversi dalla normale coscienza di sé, di cui ancora non si sa molto. Quello del sogno è un concreto esempio di come ciò che giudichiamo “Vero” è in realtà confuso dall’immenso potere della consapevolezza e delle sue alterazioni.
Un altro esempio è più moderno, la realtà virtuale. Si dice che fra una trentina d’anni saranno già disponibili le tecnologie adatte; queste per lo più saranno occhiali, cuffie e adattatori corporei, affinché i principali sensi umani siano pienamente coinvolti in un nuovo mondo percettivo. Tuttavia, le neuroscienze insegnano; se vengono adattati esclusivamente gli organi di senso, il mondo virtuale potrà coinvolgere solo le nostre cortecce somatosensoriali, ossia la superficie dell’encefalo.
E il resto?
D’altronde una vera realtà virtuale dovrebbe coinvolgere la totalità della nostra coscienza, non solo l’ingenua percezione; non conta solo quello che sentiamo, ma anche ciò di cui siamo consapevoli, al fine di giudicare quell’universo astratto come “Reale”.
Neo: Questo non è reale….
Morpheus: Che vuol dire “reale”? Dammi una definizione di “reale”.
(The Matrix, 1999)
Il capolavoro dei fratelli Wachowski sostiene che niente può essere definito reale.
Come reagiremmo se scoprissimo che questa non fosse la realtà? Cosa potremmo mai fare se venissimo a conoscenza che tutto quello che abbiamo vissuto finora sia stata sola finzione? Evidentemente la storia perderebbe all’istante il suo ricco significato, la scienza sarebbe svuotata di ogni suo contenuto e non avrebbe più senso aspettarsi qualcosa dal futuro. Nulla avrebbe più senso, niente varrebbe la pena di essere visto, sentito o toccato, perché consapevoli che non ci sia niente di “reale”. In uno scenario dove tutto risulta fuori dalla propria coscienza, in uno scenario falso e ingannevole, non potremmo godere neppure di un sincero senso di autenticità, cioè qualcosa che vive nella nostra consapevolezza, al di là di come vogliamo apparire o crediamo di essere. La nozione ha sempre permesso infatti di conoscere il mondo che viene spontaneamente percepito e ci offre la coscienza di ciò che risulta reale ai nostri occhi.
Ciò che consideriamo reale lo percepiamo autentico e ciò che consideriamo autentico lo abbiamo vissuto come una realtà. Un mondo integra l’altro e, allo stesso tempo, l’esistenza di uno non avrebbe senso senza l’esistenza dell’altro.
Noi possiamo dire che un oggetto esiste solo se siamo in grado di vederlo, sentirlo, toccarlo. E’ chiaro dunque quanto l’idea di realtà debba restringersi entro rigorosi parametri introspettivi.
Le interazioni con il mondo sensibile si fondano perciò su una consapevolezza psicologica dotata di reciproca soggettività. Quello che effettivamente esiste e quello che percepiamo vero non sono due processi discordi, anzi complementari. Da una parte, ci sono le cose che esistono fuori da noi stessi, indipendenti dal nostro apprendimento ma potenziali oggetti di conoscenza; dall’altra, vi è la componente soggettiva che entra in gioco ed interagisce con l’esterno. E’ una questione molto complessa, che raggiunge i vasti confini del paradosso mente-cervello.
Rimarranno forse irrisolte domande del tipo: “Come fa una massa organica come il cervello a dare vita ad una forma astratta come la mente?”, oppure “Bisogna essere coscienti per rendersi conto di vivere uno stato di coscienza?”.
A voi la parola.
Tratto da Scuola di Formazione in Psicologia
In che modo la PNL (Programmazione Neuro Linguistica) può essere utili nella psicoterapia?
“La psicoterapia è una pratica terapeutica della psicologia clinica e della psichiatria, ad opera di uno psicoterapeuta (psicologo o medico, adeguatamente specializzato), che si occupa della cura di disturbi psicopatologici di natura ed entità diversa, che vanno dal modesto disadattamento o disagio personale fino alla sintomatologia grave, e che possono manifestarsi in sintomi nevrotici oppure psicotici tali da nuocere al benessere di una persona fino ad ostacolarne lo sviluppo, causando fattiva disabilità nella vita dell’individuo” (Wikipedia).
“Si definisce psicoterapia un sistema di cura pianificato che, nel trattamento di malattie di origine essenzialmente psichica, si basi sull’utilizzo di mezzi psicologici attraverso la relazione terapeutica, con il fine di ottenere la riduzione dei sintomi oppure la modificazione della struttura della personalità. Le teorie di riferimento rispetto alla salute mentale sono numerose quanto le metodologie tecniche nelle loro varie applicazioni” (Treccani).
Concordo con le due descrizioni date sopra, aggiungerei che la psicoterapia non è solo una pratica utile alla riduzione dei sintomi e che si occupa della cura dei disturbi psicopatologici, ma può essere utile al miglioramento ed al rinforzo di comportamenti e caratteristiche personali, partendo quindi non necessariamente da una condizione di sofferenza o di disagio.
Ma veniamo al punto: in che modo può la PNL essere utile alla psicoterapia?
Innanzitutto bisogna precisare che la PNL non è “psicoterapia”, quindi non rientra nei modelli psicoterapici come l’analisi transazionale, la gestalt, la cognitivo comportamentale, ecc.
Personalmente ritengo che utilizzata insieme ad altre tecniche, quindi come “strumento in più” possa portare a ottimi risultati.
Ecco alcune descrizioni sommarie e tutt’altro che esaustive, ma puramente indicative per fornire un’idea di come stanno le cose.
Per ulteriori esempi e approfondimenti consiglio di cercare nella letteratura esistente sul tema.
Nei prossimi articoli parlerò di altri campi nei quali la PNL può trovare applicazione.
© La PNL nella psicoterapia – Andrea Castello
Articolo tratto da Scuola di Formazione in Psicologia
“La credenza che la realtà che ognuno vede sia l’unica realtà è la più pericolosa di tutte le illusioni “ (Paul Watzlawick, La realtà della realtà)
L’epistemologia (dal greco episteme, conoscenza certa, e logos, discorso) è quella branca della filosofia che si occupa di stabilire le condizioni di validità della conoscenza scientifica e dei metodi connessi allo sviluppo della conoscenza stessa, essa non si pone quindi l’obiettivo di formulare nuove ipotesi sul mondo (leggi e teorie) o di scoprire nuovi fenomeni (attraverso l’osservazione), bensì di affrontare problemi legati ai fondamenti stessi della conoscenza scientifica, in particolare il problema della giustificazione della conoscenza stessa, ovvero come gli scienziati arrivino a provare la validità delle loro teorie e quello di distinguere la scienza dalla pseudo-scienza.
Il mio intento nello scrivere questo articolo non è quello di dimostrare la scientificità della PNL ma, semplicemente, di portare alla luce le eventuali correlazioni con altre discipline e teorie psicologiche.
Credo che la corrente filosofica che più ha prodotto contributi non solo alla PNL ma anche alla psicologia (sistemica, strategica, cognitivo comportamentale, ecc), nella sociologia ed altre branche sia il costruttivismo.
La teoria costruttivista sostiene che la vita è un processo cognitivo, ed è attraverso tale processo, che nasce dall’esperienza individuale, che ogni essere vivente genera il proprio mondo. Soggetti diversi rispondono in maniera diversa ad uno stesso stimolo o ad una stessa realtà e la risposta sarà determinata dal modo in cui l’osservatore è strutturato e da come “interpreterà tale informazione o realtà. È la struttura dell’osservatore e di come si rappresenta l’informazione ricevuta che determina come esso si comporterà e non l’informazione ricevuta. L’informazione in sé (o la realtà) non ha un significato se non quello che le attribuisce il soggetto che riceve tale informazione.
Tutte quelle proprietà e/o quei significati che si credeva facessero parte della realtà che si sta vivendo, si rivelano così proprietà dell’osservatore, o, comunque, significati attribuirti dall’osservatore, per cui l’oggettività che conta non è quella esterna e indipendente dal soggetto, ma quella data dal soggetto stesso.
Di seguito elenco solo alcuni dei principi che per la Programmazione Neuro Linguistica diventano dei presupposti su cui basare i propri modelli e rappresentano le basi epistemologiche su cui si basa l’impianto della PNL
La mappa non è il territorio
Le origini risalgono al concetto espresso da A. Korzypsky: “La mappa non è il territorio e il nome non è la cosa designata” …. ”non esiste esperienza oggettiva (tratto da Mente e Natura di Gregory Bateson).
Il principio della soggettività (dell’esperienza) sancisce che ogni persona è unica e diversa dalle altre e pur vivendo esperienze simili reagisce in modo differente (ad esempio i gemelli che, pur vivendo nello stesso ambiente, sviluppano caratteristiche diverse).
Vivere la stessa esperienza non significa provare gli stessi sentimenti, fare lo stesso lavoro non significa pensarla nello stesso modo.
Sono stati molti i pensatori che nella storia della cultura hanno sostenuto questo punto: che c’è una irriducibile differenza tra il mondo e l’esperienza che abbiamo.
L’uomo, non può avere accesso alla realtà che lo circonda in modo diretto, l’esperienza avviene attraverso i cinque sensi: vista, udito, tatto, gusto ed olfatto.
La “realtà”, essendo quindi “filtrata” dai nostri cinque sensi è soggetta anche a quelli che nella Grammatica Trasformazionale (N. Chomsky) vengono detti processi del modellamento umano: generalizzazione, cancellazione e deformazione (che vedremo quando parleremo di Linguaggio).
Noi essere umani non abbiamo una conoscenza assoluta del mondo (territorio), bensì ciascuno di noi crea una rappresentazione (mappa) del mondo in cui vive; creiamo in pratica una specie di mappa o modello, che usiamo par orientare il nostro comportamento. La nostra rappresentazione del mondo, quindi, determina in larga parte l’esperienza del mondo che avremo, il modo in cui lo percepiremo, le scelte che ci sembrano disponibili vivendoci dentro.
In ogni situazione reagiamo in modo diverso dagli altri perché mentalmente la affrontiamo secondo una prospettiva diversa, essendo diversa la nostra mappa cognitiva della situazione stessa.
La mappa, quindi, rappresenta la visione del mondo di ogni individuo ed è il risultato delle sue esperienze personali (il risultato delle esperienze precedenti, influenza il modo di vedere le esperienze sia presenti, sia future).
La mappa di ogni individuo si forma mediante le sue rappresentazioni sensoriali personali elaborate successivamente a livello cerebrale in modo da formare: punti di vista, sensazioni, dubbi, opinioni, valori, credenze, automatismi, ecc.
La mappa di ogni individuo struttura (condiziona) la sua esperienza nel mondo.
Un primo ed interessante studio lo troviamo nella Teoria dell’apprendimento per segni (Tolman) ove si afferma che un soggetto che sia diretto verso una meta seguendo i segni (o i simboli) che lo indirizzano nella direzione voluta, stia in realtà apprendendo ad orientarsi formandosi una mappa cognitiva del luogo dove si trova. Tolman introdusse per la prima volta il concetto di mappa cognitiva ossia una rappresentazione mentale della meta e dello spazio che conduce ad essa, grazie a tale mappa, secondo il principio del minimo sforzo, la meta viene raggiunta per mezzo del percorso più semplice e meno dispendioso. (Tolman E. – Honzik C.H. 1930 Introduction and removal of reward, and maze performance in rats, University of California Publications in Psychology, 4, 257-275) Il suo studio rappresenta il passaggio da concezioni di tipo comportamentista a idee cognitiviste
Schemi di pensiero
La nostra mente risponde agli stimoli ed alle situazioni in base a schemi acquisiti.
Ogni organismo animale agisce in conformità ad un meccanismo di stimolo/risposta, da cui ad ogni stimolo (ad esempio – pericolo) corrisponde una risposta (fuga). Per gli uomini, nel corso dell’evoluzione, con il tempo e l’esperienza si creano automatismi che determinano sequenze (schemi) di comportamento e di pensiero che saranno poi utilizzati in maniera costante.
Sono un tipico esempio le abitudini, ad uno stimolo (ambiente/situazione/emozioni) si tenderà a rispondere con lo stesso schema di comportamento (abitudine).
Altro esempio di automatismo è la guida dell’auto dove ad ogni situazione (stimolo) i movimenti (risposta) vengono attuati completamente a livello inconscio.
Oltre agli schemi comportamentali abbiamo schemi mentali che utilizziamo per decidere, motivarci, entusiasmarci, deprimerci, preoccuparci, agitarci, farci prendere dal panico, ed anche in questo caso tenderemo a riprodurre, in situazioni simili, gli stessi schemi.
Qualche cenno di approfondimento sul tema S/R, particolarmente importante, per meglio comprendere le logiche concettuali sulle quali si basano le affermazioni precedenti.
La Psicologia Stimolo/Risposta
“Ciò che noi osserviamo negli organismi viventi non sono i contenuti di coscienza, quali sentimenti, affetti o percezioni ma il comportamento ” (J.B. WATSON)
La tradizionale relazione che esiste tra stimolo – risposta nasce dal COMPORTAMENTISMO, teoria di valore storico (dovuta a J.B. Watson), che circoscrive il campo della psicologia allo studio del comportamento e delimita il compito di questa alla ricerca, mediante metodi sperimentali e di osservazione, delle risposte (motorie, ghiandolari, neurologiche) a stimoli conosciuti (“..ogni risposta è funzione di uno stimolo..”).
Il Comportamentismo è una teoria psicologica che afferma che è possibile (anzi auspicabile e scientificamente valido) studiare soltanto gli eventi osservabili dell’azione umana, contrariamente alle deduzioni psicanalitiche sulla vita inconscia e sull’importanza annessa all’introspezione.
Secondo il COMPORTAMENTISMO (Watson) il comportamento viene considerato come uno schema o sequenza di più risposte provocate da altrettanti (uno o più) stimoli esterni.
Esempi di schemi Stimolo- Risposta:
– la pupilla si restringe (risposta motoria) in presenza di una forte luce (stimolo),
– la salivazione aumenta (risposta ghiandolare) alla vista di una tavola imbandita (stimolo),
– la sensazione di vertigine (risposta neurologica) viene avvertita di fronte ad un precipizio (stimolo).
L’opera di Pavlov, scienziato russo, ha fornito il complesso stimolo-risposta, elaborato in seguito nella PNL come struttura dell’ancoraggio (ed é citata in La Programmazione Neuro-Linguistica – Lo studio della struttura dell’esperienza soggettiva di Robert Dilts, John Grinder, Richard Bandler, Leslie Cameron-Bandler, Judith Delozier _ Astrolabio – Milano, 1982).
In seguito il concetto di “risposta” è stato ampliato da Skinner sino a considerare “la risposta” non solo una semplice reazione fisiologica ma anche sequenze di COMPORTAMENTI complessi come pranzare, guidare l’automobile o scrivere una lettera. Occorre specificare che i singoli gesti volontari o involontari (movimenti semplici) come muovere un braccio, alzare le sopracciglia, ecc. sono considerati comportamenti semplici, mentre i comportamenti complessi sono costituiti da associazioni di più movimenti semplici.
Per il COMPORTAMENTISMO, quindi, ciò che apprendiamo sono COMPORTAMENTI.
Il bambino impara per prova ed errore un determinato comportamento e tende a riprodurlo in situazioni simili.
Successivamente altre teorie hanno affermato che la “risposta” non comprende solo comportamenti semplici o complessi ma anche processi di pensiero e stati emotivi e che lo stimolo può essere sia esogeno che endogeno rispetto all’organismo umano.
In altri termini, il soggetto in questione apprende non semplici movimenti o comportamenti, ma significati che concorrono alla creazione di una sua mappa mentale e di strategie che sottendono ogni comportamento..
Strategie (T.O.T.E.)
Ogni nostro comportamento manifesto è controllato da strategie operanti internamente. Ciascuno di noi ha un proprio insieme di strategie per motivarsi, per alzarsi dal letto la mattina, per delegare ai dipendenti le responsabilità di lavoro, per imparare e insegnare, per condurre negoziati d’affari e così via.
Eppure i nostri modelli culturali, non ci insegnano esplicitamente gli aspetti specifici delle strategie necessarie per conseguire gli obiettivi comportamentali espressi o impliciti in ciascun modello.
Per descrivere una specifica sequenza di comportamento, la PNL sfrutta lo studio che per la prima volta fu formulata in “Plans and the structure of Behavior”, pubblicato nel 1960 da Gorge Miller, Eugene Galanter e Karl H. Pribram (“Piani e struttura del comportamento” – F. Angeli, Milano 1973) nel quale ipotizzavano che il comportamento fosse guidato da una serie di piani o schemi di azione nidificati l’uno dentro l’altro secondo un ordine gerarchico a complessità crescente.
Secondo gli autori un Piano o schema di comportamento è l’equivalente di un programma di un calcolatore che predispone l’individuo a una particolare strategia d’azione:
“Un Piano è ogni processo gerarchico nell’organismo che può controllare l’ordine in cui deve essere eseguita una serie di operazioni.” (p. 32)
Questo studio si chiama T.O.T.E., che significa Test, Operate, Test, Exit e riprende una sequenza basata sul modello del computer.
Ma in che modo la PNL può essere applicata ai vari contesti professionali, come la psicoterapia, il coaching, la formazione, la vendita, l’assessment, la leadership ? …. nei prossimi articoli
© Epistemologia della PNL – Andrea Castello
Tratto dal sito Scuola di Formazione in Psicologia
La Programmazione Neuro Linguistica (PNL) nasce negli anni 70 in ambito clinico. In quel periodo Richard Bandler e John Grinder iniziarono a studiare le modalità comunicative e operative di psicoterapeuti eccellenti dell’epoca come Fritz Perls (terapeuta Gestalt), Virginia Satir (terapia della famiglia) e Milton H. Erickson, (medico noto come uno dei maggiori e più efficaci esperti in ipnosi clinica).
Da quegli studi uscirono alcune pubblicazioni “La struttura della Magia” e “I modelli della tecnica ipnotica di Milton H. Erickson” (editi in Italia da Astrolabio), che trattavano argomenti esclusivamente “clinici”.
Alla fine degli anni settanta iniziarono ad arrivare altri trainer, portando sviluppi alla PNL e contribuendo alla diffusione della stessa: Robert Dilts che ha contribuito allo sviluppo sia in campo clinico che aziendale (per esempio sulla leadership), Leslie Cameron Bandler (co-autrice del libro “La Programmazione Neuro Linguistica”), David Gordon (autore del libro “Metafore Terapeutiche”), Steve e Connirae Andreas (autori dei libri “Cambiare la mente” e “I nuclei profondi del sé”, ed italiana: Astrolabio), Anthony Robbins che portò la PNL al grande pubblico come strumento di crescita e cambiamento personale, Tad James autore del libro “Time Line” (Ed. Astrolabio), John La Valle, formatore e consulente, specializzato nelle applicazioni della PNL al business e alla persuasione, co-autore con Bandler del libro “Persuasion EngineeringTM” e tanti altri trainer che con il loro lavoro hanno contribuito ulteriormente allo sviluppo ed alla diffusione della PNL.
Grazie a questi contributi, oggi la PNL viene utilizzata in svariati contesti (l’elenco che segue non è esaustivo ma puramente indicativo), quali:
Ma la PNL ha delle correlazioni con altre discipline ? …. nel prossimo articolo
© I campi di applicazione della PNL – Andrea Castello
Tratto dal sito Scuola di Formazione in Psicologia
Cos’è la PNL
Nei testi degli ideatori della Programmazione Neuro Linguistica, la PNL viene definita come “lo studio della struttura dell’esperienza soggettiva”, ovvero un modello che studia come le persone elaborano le informazioni (come pensano) influenzandone in tal modo il loro vissuto ed il comportamento.
Le caratteristiche principali e distintive della PNL si potevano riassumere in tre punti:
Ho iniziato ad utilizzare le tecniche della PNL in ambito clinico, con pazienti, con l’intento di aiutarli a superare i “problemi” personali che riportavano nella seduta psicoterapeutica, ho continuato nel tempo portando l’utilizzo fuori dal contesto clinico ….
In quel periodo consideravo la Programmazione Neuro Linguistica come un insieme di tecniche utilizzabili a prescindere dall’approccio utilizzato, tecniche che mi consentivano di “lavorare” su problemi specifici, come per esempio fobie di vario tipo, la claustrofobia o l’agorafobia, gli attacchi di panico o le sindromi depressive. Strumenti precisi che permettevano di individuare dove e come intervenire nella sequenza cognitiva.
Oggi dopo parecchi anni di utilizzo e di sperimentazione considero la PNL non solo come una cassetta di attrezzi, a dire il vero estremamente efficaci, ma come un “modo di pensare”, un modello che ci consente di agire nella realtà.
Nelle scienze sociali il termine modello assume il significato di “schema teorico di riferimento” non assimilabile totalmente con una teoria, ma che può essere orientato alla sua costruzione.
Si può affermare che i modelli svolgano 3 funzioni:
In sintesi quindi la PNL è un modello che da un lato cerca di spiegare come funzionano le nostre strategie cognitive (non il cosa pensiamo ma il come lo facciamo), dall’altro lato fornisce strumenti pratici ed efficaci per intervenire e operare dei cambiamenti, date queste caratteristiche è ovvio che la PNL sia applicabile sia in ambito della psicologia clinica, sia nella psicologia del lavoro.
Ma quali sono i campi di applicazione della PNL? Nel prossimo articolo vedremo …
© Cos’è la PNL – Andrea Castello
STUDIO CASTELLO in collaborazione con FEDRO – TRAINING & COACHING
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