Marketing non convenzionale e stili di consumo giovanili
Il concetto di giovinezza è una costruzione sociale, poiché non si tratta di una fase determinata dalla natura, ma può essere compresa solo se analizzata nel più ampio contesto storico-sociale contemporaneo, in quanto definita socioculturalmente. I processi di maturazione individuale, infatti, si intrecciano con le dinamiche del mutamento sociale, variando i modelli del passaggio alla vita adulta e i sistemi di stratificazione per età presenti nelle diverse società (Modell et al. 2001). I giovani sono una categoria sociale prodotta da specifiche istituzioni, quali i sistemi di welfare, il mercato del lavoro e della famiglia. In Occidente, verso la metà del Novecento, si era raggiunto il “compromesso sociale di metà secolo” (Crouch, 2001) , in cui si ritrova il punto più avanzato dell’epoca moderna rispetto al tentativo di combinare autonomia individuale e coesione sociale, grazie alla specifica configurazione delle tre istituzioni sovracitatate: un mercato del lavoro capace di assicurare la piena occupazione maschile; una famiglia, tendenzialmente nucleare, contrassegnata da una forte divisione dei ruoli; un modello di sicurezza sociale basato sulla logica assicurativa del capofamiglia.
La postmodernità segna l’affermazione della globalizzazione in cui lo spazio sembra rimpicciolirsi sino a diventare villaggio globale e gli orizzonti temporali si accorciano. Ci si confronta con una compressione spazio-temporale, in cui ogni sistema mondiale risulta interdipendente con gli altri. La globalizzazione va intesa come un insieme di flussi di persone (migrazioni, turismo globale), capitali (valorizzazione finanziaria ed instaurazione di insediamenti produttivi in contesti lontani), beni, tecnologie (l’evoluzione tecnologica è una delle cause soggiacenti il fenomeno), immagini ed idee (le risorse simboliche che i media mettono a disposizione si sono moltiplicate e modificano fortemente i modelli identitari di riferimento). Il sistema politico ha perso il proprio potere regolatore a fronte di un più ampio spettro di scelta individuale ed i media inducono ad una confusione tra realtà ed iperrealtà, in cui il processo di democratizzazione individuale porta le persone ad immaginarsi possibilità un tempo non contemplabili, ma può facilmente indurre ad una crosbiana deprivazione relativa , in cui il confronto tra la propria vita e quella che si desidererebbe risulta indice di frustrazione.
La situazione è profondamente cambiata rispetto all’epoca d’oro del compromesso, in quanto si è immersi nella cosiddetta società dell’incertezza, in quella che Bauman definisce la modernità liquida . Si assiste ad una deistituzionalizzazione della vita sociale, una crisi regolativa in cui le istituzioni subiscono un cambiamento del proprio ruolo: la famiglia conosce una diminuzione del tasso di nuzialità e fecondità, la divisione di ruoli per genere è meno rigida, le forme familiari si moltiplicano, insieme ad una crescita dell’instabilità dei rapporti. Il lavoro è caratterizzato da un’istituzionalizzazione della flessibilità, in quanto si riscontra una crescita della disoccupazione (il lavoro non è più assicurato come un tempo) e una forte precarietà; esso non si configura più come fonte di integrazione sociale, il reddito si fa discontinuo e scarseggia anche la remunerazione simbolica, poiché le biografie diventano frammentarie e minimamente dotate di senso. Il sistema del welfare, a fronte di un così elevato tasso di instabilità, non è in grado di prevedere i rischi, per cui la protezione sociale vive un forte momento di crisi.
In una tale situazione, la giovinezza può essere descritta come “fatto sociale intrinsecamente instabile”(Levi, Schmitt, 1996) . Non è facile individuarne i confini, che si presentano sfumati ed incerti: si definisce giovane un adolescente quanto un trentacinquenne che non ha ancora abbandonato il tetto familiare e non ha raggiunto l’indipendenza economica. I giovani d’oggi sono persone sempre possibili altrimenti, dato il carattere reversibile e frammentario dei percorsi di vita: non hanno un’identità definita, in quanto si trovano, nella maggior parte dei casi, in una fase di moratoria prolungata, in cui entra argutamente in gioco il marketing non convenzionale. La teoria di Marcia sugli stati d’identità può chiarificare questo punto: lo studioso, operazionalizzando il modello d’identità di Erikson, giunge a definire quattro principali stati d’identità tramite una metodologia d’intervista atta a verificare il complessivo status d’identità in relazione ad importanti aspetti della vita giovanile. Esso è dato dalla particolare configurazione di due dimensioni: esplorazione ed impegno. Vi è l’identità realizzata, esito di un’esperienza esplorativa positiva, coniugata con un valido impegno; il blocco d’identità quando la pressione verso impegni seri è precoce fino al punto da non consentire la libera sperimentazione; la diffusione d’identità per il fatto che l’individuo non ha ancora seriamente scelto o riflettuto; la condizione di moratoria determina una fase di stallo e prolungamento dell’esplorazione e della valutazione, caratterizzata dal dubbio tra alternative diverse, all’interno delle quali non si riesce ad operare una scelta. Secondo questa interpretazione i giovani oggi si troverebbero nella situazione di moratoria, avendo davanti a sé miriadi di scelte possibili: diviene saliente il “fare esperienza” che si configura quasi come un gioco. I ragazzi sono soggetti a fads effimeri, mode cangianti, attraverso il primato di edonismo, narcisismo, primato dell’apparenza, amore per l’avventura, cosmopolitismo. Gli adolescenti prediligono luoghi di consumo sempre più simili al grande magazzino Topshop di Londra, in cui le diverse sezioni dedicate all’abbigliamento, al trucco, agli accessori corrispondono al sogno fast-styles. I giovani adulti supportano il crescente successo di fumetti e cartoni, sul modello “forever kid”; il gioco costituisce, secondo Morace , una modalità per affrontare, immaginare o sognare aldilà del modello preformativo consolidato. Il marketing non convenzionale comprende la richiesta, da parte del pubblico giovanile, di entertainment e ludico: al bene in sé deve affiancarsi un’esperienza più globale, che coinvolga i sensi, il cuore e la mente. Il consumatore si mette in scena attraverso i prodotti che acquista, sperimentando così se stesso (d’altra parte, la sperimentazione di se stessi è una delle motivazioni fondamentali dell’uomo). Anche il luogo di consumo acquista importanza, poiché deve essere capace di “renderci diversi nell’attraversarlo e di produrre un’esperienza dopo la quale non siamo più noi stessi”. Pine e Gilmore sostengono che l’economia stia entrando nell’era della produzione di esperienze che si originino dagli atti di acquisto e di consumo: esse possono coinvolgere diverse aree esistenziali, dall’intrattenimento, all’educazione, all’evasione, all’esperienza estetica. I bisogni vanno cedendo rapidamente il passo ai desideri, i quali si ravvisano alla base delle scelte di consumo; per Siri, infatti, “bisogna assumere come teorema fondamentale della psicologia dei consumi attuale il fatto che il rapporto con gli oggetti/beni/servizi di consumo è più chiaramente comprensibile a partire dalla logica del desiderio piuttosto che dalla logica del calcolo razionale o della coerenza valoriale.” Il Sé postmoderno surclassa l’Io moderno ed i giovani vivono e compiono le loro scelte affidando una notevole importanza alle emozioni, rapportandosi ai beni del mercato in termini polisensoriali, come sensation seekers. Le emozioni, una volta viste quali interferenza alla razionalità e proprie solamente del genere femminile, oggi giocano un ruolo molto importante nelle scelte di consumo e non si fa nulla per censurarle, in una società più evoluta ed in cui è stata riconosciuta, almeno sulla carta, la parità dei sessi. Con un riferimento alle basi biologiche neuronali, si può affermare che nella postmodernità si sia verificato uno shift dall’emisfero sinistro (logico, deduttivo) a quello destro (emotivo,intuitivo), cosicchè le emozioni a coloritura positiva stimolano il consumo, mentre le negative rappresentano una forte resistenza ad esso. Come sostiene Fabris , nelle strategie di marca le emozioni stanno assumendo un ruolo del tutto prioritario, per cui il brand, per essere efficace, deve essere in grado di suscitare esperienze altamente emotive, dialogando con le emozioni del consumatore con incisività ed immediatezza.
L’advertainment (neologismo formato da advertising ed entertainment) denota non solo una spiccata capacità di attrarre l’attenzione, ma anche di gratificarla, in una strategia win-win che porti vantaggi sia al consumatore che al brand. Un caso di advertainment è quello degli alternate reality games (ARG), giochi cross-mediali pensati soprattutto per un pubblico giovane che mescolano l’esperienza del videogioco con la vita reale in una sorta di caccia al tesoro che si muove tra interattività ed intrattenimento, realtà e mondi virtuali, in modo intrinsecamente narrativo. Per esempio, Ricola ha proposto recentemente (da settembre 2005 a febbraio 2006) negli USA una campagna innovativa di questo tipo, “Ricola Thanks a Million”: si trattava di una caccia al tesoro in cui i partecipanti dovevano riuscire a catturare una testimonial inusuale per vincere sino a un milione di dollari. L’attore protagonista del gioco è stato infatti ingaggiato da Ricola per tossire nelle strade, nei parchi e presso i luoghi maggiormente affollati di numerose cittadine statunitensi. I cacciatori, iscritti al gioco tramite l’apposito sito web, dovevano, tramite le segnalazioni inviate loro per posta, recarsi nei luoghi per individuare il “tossitore misterioso” e, entro sessanta secondi dall’emissione del colpo di tosse, offrirgli una caramella Ricola.
I giovani postmoderni hanno, dunque, spazi inediti di libertà e scelta, ma che si esplicano all’interno di biografie oltremodo sperimentali e frammentate, tanto da indurre i sociologi a teorizzare il modello “yoyoisation” , in cui risulta evidente come la vita dei giovani sia strutturata sulla base di frequenti “va e vieni”, secondo un andamento non troppo dissimile dai movimenti alternati di uno yoyo, con passaggi reversibili e prospettive incerte. Le biografie contemporanee sono fragili e costrette a confrontarsi con il difficile compito di attribuire senso e coerenza ad una molteplicità di esperienze accumulate in ambiti diversi della vita senza potersi affidare a modelli di riferimento solidi ed ampiamente legittimati . Si assiste ad un’individualizzazione delle forme di vita ed ad una convergenza che pare si sia verificata tra stili di vita ed attività del tempo libero, la quale appare una spia della rilevanza crescente assunta dalle tecniche di marketing nell’influenzare preferenze ed immaginari giovanili.
Il marketing esperienziale, come già accennato, mette in rilievo i valori edonistici e la soggettività dell’individuo. Il consumo scatena infatti sensazioni ed emozioni che, lungi dal rispondere semplicemente a dei bisogni, vanno a toccare l’ambito della ricerca identitaria del giovane consumatore. Il consumo diviene il vettore di costruzione identitaria dell’individuo, in una società in cui il lavoro (mancante e precario) non viene più utilizzato per descrivere e rappresentare se stessi, come avveniva nella modernità. Il consumo è associato a particolari significati simbolici, i quali fanno sì che si consumi soprattutto per esistere e non soltanto per vivere. Poiché il giovane postmoderno si trova immerso in innumerevoli esperienze di consumo e si confronta con una serie di realtà spesso discordanti fra loro, dà vita ad un Sé fluido, capace di adattarsi alle varie situazioni e di fronteggiare l’incertezza: un Sé che si costituisce di innumerevoli diverse identità che prendono corpo e vita quando si trovano nel loro contesto di riferimento, e che vengono messe da parte quando si passa a quello successivo. Il Sé non conosce contraddizione e non è guidato dal principio di non contraddizione o di realtà. I suoi diversi desideri ed impulsi (dipendenza ed autonomia, aggressività ed amore, dominio e ammirazione, invidia e gratitudine, essere piccoli ed essere grandi…) coesistono senza obbligare ad una scelta. L’individuo è quindi “cherry picking”, come lo definisce Fabris , in quanto tenta di prendere il meglio da tutto ciò che gli viene proposto. Viene alimentato un ideale di personalità multipla, di identità fungibili, una per ciascun contesto di esperienza individuale e sociale. Tale processo mostra il moltiplicarsi delle identità sociali del singolo individuo, in cui “la sperimentazione e l’immagazzinamento di una gamma estesa di sé possibili costituisce una risorsa decisiva per il successo sociale e per l’autostima personale” .
Un’evidente prova di tale tendenza è rappresentata dalla miriade di reality che ci propongono la televisione ed il Web e che attraggono non solo i giovani, ma molto spesso anche gli adulti. La moltiplicazione delle identità è una manifestazione in costante divenire, che l’individuo postmoderno costruisce in maniera attiva, prendendo spunto da tutto ciò che lo circonda in una “continua auto-etero rappresentazione della conoscenza di sé” . L’identità diviene così sfuggevole, indeterminata e flessibile. Si passa dal monocentrismo occupazionale al polimorfismo esistenziale, orientato alla moltiplicazione delle appartenenze, ai tanti mondi vitali cui si partecipa. Si trascorre da un’identificazione all’altra e da un sistema di riferimento all’altro senza mai farsi “ingabbiare” in un mondo dato. Le identità plurime sono la conseguenza di un’educazione maggiormente permissiva rispetto al passato e, inoltre, di un mondo globalizzato in cui la tecnologia ed i media imperano: si configurano come nuova agenzia di socializzazione e i loro messaggi ci propongono una infinità di modi di essere, facendo sì che ognuno di noi possa scegliere la propria condotta da un catalogo estremamente ricco. Il ruolo dell’immaginario, della fabulazione e della narrazione alimentate dai mass media, diviene strutturale e non è più confinato nella fase infantile o in spazi delimitati e funzionali nell’arco della quotidianità adulta, ma è una modalità sempre presente che occupa nella nostra vita un posto simile al rapporto con la realtà. La persistenza di osmosi tra realtà e fantasia amplifica lo spazio del Sé (il Sé si avvale delle narrazioni fantastiche e della dimensione ludica più dell’Io, che ha bisogno del riscontro di verifica reale e della strutturazione di nessi logici sequenziali) e incide pesantemente sui percorsi di articolazione dell’identità. I modelli di identificazione comprendono, oltre ai genitori o all’entourage parentale, anche personaggi filmici, dei cartoons, idoli sportivi e così via. La lista delle possibili identità desiderabili si allarga, lasciando aperta la strada a proiezioni che soddisfano quasi tutti i nostri desideri di potenza. Le pulsioni e i sentimenti trovano nel ventaglio di offerta identificativa ogni tipo di possibilità espressiva, allentando il principio di coerenza e consentendo la sperimentazione, almeno vicaria e fantastica, di molteplici sé.
Tradizionalmente, i giovani hanno da sempre manifestato, rispetto ad altre fasce d’età, una maggiore omogeneità in atteggiamenti e comportamenti, configurandosi come soggetto collettivo portatore di una cultura comune, in cui la messa in discussione del mondo degli adulti rappresentava quasi un passaggio obbligato. Oggi, in un contesto preponderantemente individualista, risulta difficile ravvisare tratti distintivi della giovinezza: ogni individuo pare costruisca una biografia a sé, “trascinato” dalle numerose diverse esperienze della vita, per cui non è più lui stesso a fare moda, ma ne costituisce un bersaglio, come suggerisce Diamanti. Vi è un minore protagonismo nel sociale da parte dei giovani: generano ancora un mercato di grandi proporzioni, ma abdicano dal ruolo di trend setters. Fabris , tuttavia, ritiene che si possano ancora riconoscere differenti stili di vita giovanili che riassumerebbero orientamenti, interessi, valori, comportamenti distinti. In parte vengono ricalcati modelli già presenti nel mondo adulto, in parte si presentano scenari inediti. Analizzando una base campionaria tra i 15 ed i 24 anni d’età, si ottengono quattro differenti stili disposti lungo due assi principali, privato-sociale e apertura-chiusura.
I Gregari rappresentano il nucleo più consistente: si tratta della maggioranza silenziosa giovanile, quella che mostra la maggior affinità con il mondo adulto, in termini di valori e comportamenti espressi (si tratta si individui già inseriti nel mondo del lavoro). Accanto ad essi si collocano gli Impegnati, interpreti della cultura dell’impegno e della responsabilità, soprattutto di matrice cattolica. Sono accumunati ai precedenti dal legame verso i valori tradizionali, ma fortemente orientati alla partecipazione sociale ed alla sobrietà dei consumi. Sul versante opposto rispetto a questi due stili di vita, troviamo gli Edonisti ed i Radicals: i primi (sui quali si focalizza prevalentemente l’attenzione del marketing postmoderno) sono gli eredi della cultura degli anni Ottanta nei suoi aspetti più eclatanti, in quanto sono orientati al successo, al divertimento e mossi da desideri di realizzazione personale, spesso di tipo materiale; i secondi sono portatori della cultura critica e contestataria degli anni Settanta, seppur priva di ideologia di riferimento: in essi prevale un atteggiamento di maggiore pragmatismo ed individualismo, sullo sfondo di un habitus mentale contrario alle tendenze di omologazione sociale e culturale.
E’ significativo osservare che giovani ed innovazione sociale non siano da considerarsi sinonimi come un tempo, ma anche la classificazione per stili di vita è ormai superata, seppur utile perché i marchi possano confezionare strategie d’attacco funzionali. I marketers si trovano a dover fronteggiare un individuo eclettico, versatile, attratto da oggetti e situazioni che spesso non hannonulla in comune e il più delle volte risultano in contrasto tra loro; emerge una figura sempre più imprevedibile, che diventa ogni giorno sempre più difficile da capire ed interpretare. Da ciò pare evidente che non sia sufficiente una mera classificazione del target su base psicografica, poiché essa assume che la personalità degli individui mantenga una certa coerenza interna, un nucleo di preferenze e gusti cui corrisponderebbero determinate scelte di consumo. Dovendo fare i conti con un individuo la cui logica prevalente non è quella dell’aut… aut, ma quella dell’et…et , il marketing ha dovuto affinare sempre più le sue tecniche di segmentazione nel tempo, definendo nicchie di mercato via via più ristrette, fino ad arrivare ad una totale frammentazione del target. Il marketing degli anni Ottanta vede il passaggio “dal marketing di massa al marketing segmentato, a quello di nicchia, sino al passo successivo, il marketing individualizzato” .
Il marketing non convenzionale ha, tra i suoi cardini, una segmentazione per “momenti di vita”. Tale concetto, introdotto da Pallera (2004) , indica un approccio one to one in cui gli individui vengono considerati quali punti di contatto tra sistemi sociali: si possono individuare meeting points , aree comunicative distinguibili le une dalle altre, seppur dai confini incerti e mutevoli, che prendono origine da punti di connessione tra mercato, azienda e persone. Si tratta di una sorta di piazze e mercati postmoderni. Così può essere intercettato il movimento dinamico del nuovo consumatore, così da individuare la sua attitudine al consumo, in relazione al momento di vita che sta vivendo e condividendo con altre persone. Più soggetti, in un certo momento della loro esistenza, condividono uno “spazio sociale” fisico o virtuale, connotato spazio-temporalmente e che dà luogo ad una specifica situazione, connotata da particolari codici simbolici, regole sociali e attitudini al consumo. Analizzando tali touchpoints, l’azienda è in grado di individuare e raggiungere il proprio target, fruendo di un metodo di individuazione badato sull’hic et nunc, anziché sulle caratteristiche di personalità delle persone.
Il brand Nike, tipicamente rivolto a giovani consumatori, è riuscito abilmente a raggiungere un target di amplissime dimensioni, studiando ad hoc un touchpoint sul Web, in occasione della FIFA World Cup 2006. Fino ad allora, lo sponsor ufficiale delle maggiori manifestazioni sportive era stato Adidas, eterno marchio rivale, ma grazie all’abile campagna di buzz marketing denominata “Joga Bonito”(in riferimento al calcio giocato con classe e fairpaly), Nike è diventato market leader.
L’ICFAI (Center for Management Research) riporta il caso , sottolineando che la campagna fosse mirata al cuore del gruppo dei consumatori della compagnia, giovani ragazzi, attraverso un media non convenzionale quale Internet. Venne sviluppato un canale TV online chiamato “JogaTV”, ma di grande rilevanza fu “Joga.com”, un sito creato per rappresentare un punto di incontro: si trattava di un networking website cui ci si poteva registrare per divenirne membri, accedendo a video, blogs, un motore di ricerca per ottenere liks sui propri idoli, con la possibilità di inserire le foto personali e scegliere la propria formazione calcistica dei sogni. I membri potevano accedere a chat e forum in cui avvenivano discussioni sul loro sport preferito e riguardo il brand Nike. I visitatori furono ben 760000 a settimana, molti di più di quelli del sito Adidas.com, eNike registrò un forte aumento delle vendite in tutto il mondo. Gli esperti di marketing del marchio sono riusciti ad avvicinare maggiormente al proprio prodotto un numero ancor più elevato di giovani, attraverso un canale media largamente utilizzato da questa categoria. Analizzando i loro momenti di vita ha compreso come agire per essere efficace sul mercato, carpendo gli interessi dei visitatori. Ha offerto loro un’esperienza unica, in un momento come quello dei Mondiali di calcio in cui l’interesse per tale sport raggiunge il picco, spesso anche tra coloro che abitualmente non lo seguono.
Nike è riuscita ad andare incontro agli interessi dei propri consumatori, non considerandoli come semplici “bersagli” da colpire attraverso uno stile persuasorio, ma prendendo atto dell’importanza di una multidirezionalità della comunicazione. Infatti, come insegna Andrea Semprini, “una marca è costituita dall’insieme dei discorsi tenuti si di essa dalla totalità dei soggetti (individuali e collettivi) coinvolti nella sua generazione”. Il consumatore vuole essere riconosciuto nel proprio ruolo, proponendo le proprie istanze al brand (talvolta anche attraverso azioni di boicottaggio) e configurandosi come prosumer. Così il marketing diviene societing: da una filosofia verso il mercato ad una filosofia con il mercato, in cui consumatori e fornitori collaborano all’intero processo. Si assiste ad un powershift, un’inversione di rapporti di forza tra aziende e consumatori, per cui questi ultimi chiedono maggior rispetto ed attenzione, si aspettano di essere coinvolti direttamente; essi sono in possesso di expertise: non più ingenui come un tempo, sono in grado di distinguere un prodotto di qualità da uno di qualità scarsa. A fronte di tale aumento di competenze percepite (vere o presunte), gli individui si mostrano più resistenti alle campagne pubblicitarie ed è compito delle aziende fare in modo che i consumatori partecipino attivamente alla co-costruzione dei significati dei prodotti.
Riemerge oggi, soprattutto tra i giovani, una passione creativa paragonabile, secondo Morace , a quella rinascimentale, dando vita a creazioni che acquistano significato nello scambio con altri consumatori e con le aziende. Internet è un terreno fertilissimo per l’uomo contemporaneo in vena di creatività, che grazie alla rete può sviluppare un rapporto di eguaglianza con l’azienda, creando e rielaborandone i prodotti. La creazione acquista dunque una dimensione comunitaria, attraverso le cosiddette “comunità di marchio”. Questi gruppi di progetto assumono oggi un ruolo paragonabile a quello della bottega rinascimentale, creando le condizioni di confronto e di condivisione che in passato esistevano nelle esperienze delle botteghe artigianali o dell’arte: per questo si parla spesso di Rinascimento 2.0, in cui acquista un’importanza centrale il design thinking del consumatore.
Nonostante la deriva individualistica della postmodernità, i giovani riscoprono il valore di legame attraverso tribù di marchio sul Web, emisferi ricchi di significati, valori e ideologie. L’individuo cerca nel consumo un mezzo diretto non solo per dare senso alla propria esistenza attraverso l’acquisizione di diverse identità, ma anche per legarsi agli altri, sviluppando rapporti in modo effimero. Le tribù sono costituite da individui non necessariamente omogenei tra di loro, ma interrelati mediante un’identica soggettività e capaci di svolgere azioni microsociali vissute intensamente. Si tratta di veri e propri gruppi emozionali che fungono da “gruppo di riferimento” per le scelte di consumo, attraverso un vero e proprio processo di confronto sociale sul Webo in luoghi fisici d’acquisto.
Le relazioni sono importanti per l’individuo sin dalla nascita e dai primi rapporti duali bambino-madre: la condivisione di esperienze è fondamentale per la maturazione psicologica e per la conoscenza di se stessi. Così, in adolescenza, acquista una notevole importanza, oltre al nucleo familiare, il gruppo dei pari, il quale diviene luogo insostituibile di confronto e di scambio. In tal modo si rafforzano i processi di identificazione, di differenziazione-individuazione e di integrazione relazionale. L’entrata nei gruppi nasce dalla motivazione all’affiliazione, insita in ogni essere umano, che porta ad aggregarsi ad altri individui con lo scopo di ricevere da essi supporto, condivisione ed approvazione; tale motivazione si trasforma poi in bisogno all’appartenenza, il quale implica una serie di attività e riferimenti valoriali comuni congrui all’immagine che di se stessi hanno i membri. Le tribù del marchio si affiancano ai gruppi di pari per importanza, poiché gli individui che ne fanno parte si autodefiniscono anche in base a questa appartenenza e trovano la propria identificazione nello stile di vita raccontato dal brand. Vengono a formarsi veri e propri gruppi, connotati, come già accennato, da senso di appartenenza : ciò dà vita alla possibilità che si verifichino anche comportamenti di favoritismo intragruppo e pregiudizio verso altre comunità di marchio , a causa della presenza di una interdipendenza positiva tra i membri; essa sarebbe dovuta alla presenza di uno scopo positivo, che si configurerebbe nel sentimento forte per la prevalenza del proprio marchio su altri, poiché il marchio stesso contribuisce a definire l’identità dei partecipanti alla tribù.
Il marketing tribale, quindi, sfrutta le relazioni e le emozioni ad esse connesse per raggiungere il proprio scopo, grazie alla tensione odierna tra progresso e regresso, in cui la diffidenza istituzionale porta i consumatori alla riscoperta delle tradizioni, rituali e del valore di legame. Infatti, la comunità e le tribù fungono da metafora per tutti quei legami fra individui che il mercato ha eroso sotto la spinta della globalizzazione. Vi è un effettivo ritorno al desiderio di comunità, come espressione dell’individuo postmoderno per uscire dal proprio isolamento: egli non è più solo, poiché si rende partecipe, realmente, immaginariamente o virtualmente di una o più comunità vaste ed informali. Il marketing tribale si impegna a sostenere il legame sociale tra persone riunite attorno ad una passione e per questo utilizza anche riti specifici, i quali comprendono oggetti di culto, formule magiche, idoli, icone e luoghi di culto.
La concretezza e la tangibilità dei brands offerte dal marketing non convenzionale, favoriscono la fidelizzazione del cliente ad essi. Nel marketing tribale, per esempio, il senso di appartenenza ad una comunità di marchio ha ripercussioni sulla fedeltà del consumatore al marchio stesso. Di fatto, la fidelizzazione tribale permette di sviluppare un senso di fedeltà affettiva molto più forte di quanto si potrebbe ottenere attraverso la personalizzazione, che agisce invece sul versante cognitivo.
Le esperienze non convenzionali cui sono sottoposti i giovani postmoderni agiscono sul loro Sé: si sente sempre più forte l’esigenza di un coinvolgimento anche emotivo del consumatore, che lo porti a sentirsi parte di un mondo di valori condivisi, o regalandogli un’esperienza da vivere e da ricordare. Così la fedeltà affettiva diventa l’obiettivo principale degli esperti di marketing, in un’era in cui il consumo gioca un ruolo sempre più importante nella costruzione identitaria dell individuo, grazie ai significati ed alle emozioni generati da un prodotto: la fidelizzazione favorisce la definizione di se stessi, all’interno della caratterizzazione entropica del mondo odierno.