Il concetto di lavoro emozionale
Il concetto di lavoro emozionale, venne proposto per la prima volta da Hochschild (1983) e venne successivamente ampliato e ridefinito da altri autori (Ashforth & Humphrey,1993; Morris & Feldman,1996; Grandey, 2000) nelle sue dimensioni, antecedenti e conseguenze, generando una ampia teorizzazione del medesimo costrutto.
In questo lavoro, frutto di una ricerca qualitativa condotta attraverso interviste ad assistenti di volo, l’autrice definisce il lavoro emozionale, differenziandolo da quello fisico e cognitivo, come un “ lavoro che richiede di indurre o sopprimere un sentimento al fine di sostenere un espressione esteriore che produca uno stato mentale in un altro, in questo caso il sentimento di sentirsi protetti in un luogo sicuro.” (p.6-7). L’autrice evidenzia come sia necessario per queste figure professionali visualizzare certe emozioni come parte della loro prestazione lavorativa in quanto ad essi è richiesto di essere accoglienti, allegri, pazienti e trasmettere un senso di sicurezza.
Secondo Hochschild (1983), il lavoro emozionale è caratterizzato da tre elementi distintivi: prevede un contatto faccia a faccia o vocale con il pubblico; richiede al lavoratore di produrre uno stato emotivo in un’altra persona; permette al datore di lavoro, attraverso la formazione e la supervisione, un certo grado di controllo sull’attività emotiva dei lavoratori. Un’altra considerazione proposta dall’autrice è che i lavoratori possono gestire e regolare le loro emozioni attraverso due modalità: in superficie (surface acting) o in profondità (deep acting). La prima modalità fa riferimento ad una manifestazione emotiva, senza che però essa venga sentita come propria. Il lavoratore finge semplicemente un appropriata emozione. Concerne una gestione del comportamento, piuttosto che dell’emozione, che viene disciplinata, attuata attraverso un’accurata presentazione del comportamento verbale e non verbale; mentre nella seconda modalità le emozioni vengono modificate consapevolmente al fine di esprimere l’emozione desiderata. Secondo l’autrice, la modalità profonda è associata con una riduzione dello stress ed un aumento del senso di realizzazione personale, mentre la modalità di superficie è associata con un aumento di stress, esaurimento emotivo, depressione e senso di inautenticità. Tali considerazioni sono supportate anche dallo studio condotto da Mann e Cowburn (2005) sulla relazione tra il lavoro emozionale e lo stress in un campione di trentacinque infermieri del reparto di salute mentale. Il contributo più importante che emerge dal lavoro della Hochschild è che il lavoro emozionale richiede uno sforzo, in parte imputabile all’espressione, nel lungo termine, di emozioni non genuine, capaci di causare negative conseguenze psicologiche, imputabili alla dissonanza emotiva, definita dall’autrice come: “una separazione tra emozioni espresse e emozioni percepite” (p.90). Una definizione simile è proposta anche da Abraham (1998), secondo il quale la dissonanza emotiva è “una forma di conflitto persona-ruolo proveniente dal conflitto tra emozioni espresse e vissute” (p.137). Dalle interviste condotte emersero, infatti, effetti negativi del lavoro emozionale quali sintomi psicosomatici, alcolismo e problemi sessuali. Pertanto l’autrice concluse che la gestione delle emozioni è un aspetto cruciale di alcune professioni e può divenire deleterio per la salute psicofisica dei lavoratori, sottoponendo questi ultimi ad un rischio di stress e job burnout.
In seguito al lavoro condotto dalla Hochschild, altri autori hanno revisionato il concetto di lavoro emozionale.
Ashforth e Humphrey (1993) hanno definito il lavoro emozionale come l’azione di mostrare appropriate emozioni, conformi con le regole di visualizzazione. Rispetto alla prospettiva della Hochschild ,Ashforth e Humphrey erano più interessati al concetto di lavoro emozionale come comportamento osservabile che come gestione dei sentimenti. I due autori hanno minimizzato l’importanza della gestione interna delle emozioni e hanno suggerito invece l’importanza del ruolo dell’identità sociale e personale come fattori in grado di moderare gli effetti del lavoro emotivo, il quale stimola le pressioni per la persona ad identificarsi con il ruolo di servizio. Inoltre, essi hanno suggerito che il lavoro emozionale non richiede necessariamente uno sforzo cosciente. Infatti, essi suggeriscono che la gestione delle emozioni potrebbe diventare una routine senza sforzo per i lavoratori, invece che una fonte di stress e per quanto riguarda gli esiti hanno focalizzato l’attenzione sulle espressioni emotive osservabili e l’efficacia del compito, proponendo che il lavoro emotivo sia correlato positivamente all’efficacia del compito a condizione che il cliente percepisca l’espressione come sincera. Tuttavia essi concordano con la precedente prospettiva che, se il lavoratore non mostra emozioni genuine, il lavoro emozionale induce ad una dissonanza emotiva. Un’altra prospettiva del lavoro emozionale è quella proposta da Morris e Feldman (1996). Questi autori hanno definito il lavoro emozionale come: “lo sforzo, la pianificazione e il controllo necessari per esprimere le emozioni organizzative desiderate durante le transazioni interpersonali” (p.987). Questa definizione, proviene da un approccio interazionista, secondo il quale le emozioni sono espresse e in parte determinate dalla l’ambiente sociale.
Questa prospettiva è simile alle precedenti in quanto riconosce che le emozioni possono essere cambiate e controllate da un individuo, ma suggerisce che il quadro sociale più ampio determina quando ciò avviene. Questi autori hanno proposto che il lavoro emozionale è costituito da quattro dimensioni: (a) frequenza di manifestazioni emotive, (b) attenzione alle regole di visualizzazione richieste (intensità di emozioni e durata dell’ interazione), (c) varietà di emozioni che devono essere visualizzate, (d) dissonanza emotiva. Secondo gli autori la frequenza delle espressioni emotive è stata la componente più esaminata del lavoro emozionale. Tuttavia la concettualizzazione del lavoro emozionale solo in termini di frequenze di appropriate emozioni potrebbe far perdere alcune complessità del costrutto, poiché la frequenza da sola non cattura il livello di pianificazione, di controllo o delle abilità necessarie per regolare l’espressione delle emozioni. La seconda dimensione implica la durata e l’intensità delle manifestazioni emotive. Nello specifico gli autori sostengono che l’espressione di emozioni di lunga durata richieda maggiore sforzo, mentre l’intensità della manifestazione, fa riferimento alla forza con la quale un’ emozione è vissuta o espressa. In riferimento alla terza dimensione l’assunto proposto è che quanto maggiore è la varietà di emozioni visualizzate, maggiore sarà il lavoro emotivo dei lavoratori, mentre per quanto riguarda l’ultima dimensione, sostengono che i lavoratori possono esperire dissonanza emotiva quando l’espressione emotiva richiesta dalle regole di visualizzazione si scontra con i “veri” sentimenti. Morris e Feldeman suggeriscono che, piuttosto che essere una conseguenza, la dissonanza emotiva deve essere considerata come la quarta dimensione del lavoro emozionale, poiché ciò che rende la regolazione dell’espressione emotiva più difficile, sono esattamente quelle situazioni in cui vi sono conflitti tra emozioni autenticamente sentite e tra quelle organizzative desiderate. Come suggerito da Sarchielli e colleghi (2009) sarebbe proprio la dissonanza emotiva la componente più problematica relativamente all’ambito del lavoro emotivo, in quanto il fatto di non essere in grado di provare quello che si dovrebbe comporta il sentirsi falsi e ipocriti, determinando nel lungo tempo l’alienazione dalle proprie emozioni e le conseguenze negative. Sulla base di queste considerazioni e sui risultati della ricerca sui fattori di stress lavorativo su un campione di 134 insegnati, nasce il suggerimento di considerare la dissonanza emotiva come un potenziale fattore di stress lavoro correlato. Morris e Feldeman per ciascuna di queste dimensioni proposte, sulla base di una rassegna sugli studi del lavoro emozionale, propongono degli antecedenti di ciascuna dimensione (riscontrabili in fig.1), formulati in termini di preposizioni, e le conseguenze di queste ultime. Per quanto riguarda la frequenza delle manifestazioni emotive, gli autori sostengono che le regole organizzative di visualizzazione emotiva e la supervisione dei superiori, sono associate positivamente con la frequenza delle manifestazioni emotive desiderate. Sempre sulla base dell’analisi della letteratura, un altro antecedente di questa dimensione proposto è il genere, nello specifico propongono che le donne abbiano maggiori manifestazioni emotive rispetto agli uomini. La letteratura che ha indagato questo aspetto suggerisce che le donne mostrano una maggiore espressività emotiva rispetto agli uomini (Deaux, 1985; La France & Banaji, 1992,citati in Morris & Feldman,1996 ). Ad esempio, Rafaeli (1989) ha riscontrato che le commesse di negozio trasmettono più alti livelli di emozioni positive ai propri clienti rispetto agli uomini. Le motivazioni, riscontrate in letteratura della maggiore frequenza sono: che le donne vengono socializzate ad agire in modo amichevole, (Deutsch, 1990; James, 1989 , citati in Morris & Feldman,1996), che le donne potrebbero avere una maggiore capacità di codificare e presentare le loro emozioni rispetto agli uomini (LaFrance & Banaji, 1992, citati in Morris & Feldman,1996), e che mostrano emozioni più positive a causa di un maggiore bisogno di approvazione sociale (Hoffman, 1972). Un ultimo antecedente di questa dimensione, associato positivamente, è il compito di routine. Gli antecedenti dell’attenzione alla richiesta di regole di visualizzazione sono: la ripetitività del compito, associato negativamente; il prestigio dell’utente con il quale il lavoratore si interfaccia, associato positivamente con l’attenzione alle regole di visualizzazione e negativamente alla varietà; la varietà del compito, associata positivamente con la varietà delle manifestazioni emotive.
Gli antecedenti della dissonanza emotiva sono: la forma dell’interazione, in particolare gli autori suggeriscono che i lavori che richiedono un’interazione faccia a faccia richiedano un maggior controllo dell’espressione emotiva; l’autonomia lavorativa, ipotizzata avere una correlazione negativa con la dissonanza emotiva. Nel contesto del lavoro di servizio, l’autonomia si riferisce specificamente alla misura in cui gli operatori hanno la possibilità di adeguare le regole di visualizzazione per soddisfare i propri stili interpersonali. I dipendenti che hanno più autonomia sul loro comportamento espressivo hanno più probabilità di violare le regole di visualizzazione dell’organizzazione. Pertanto i dipendenti che hanno maggiore autonomia lavorativa dovrebbero essere meno sottoposti a dissonanza emotiva.
Un studio che ha analizzato il ruolo della variabile “autonomia ” è quello condotto da Johnson e Spector (2007). Questo studio ha indagato su un campione di 176 partecipanti di 8 organizzazioni come fattori invidiali (genere, intelligenza emotiva e autonomia lavorativa) moderano l’impatto delle strategie del lavoro emozionale sul benessere dei lavoratori. L’analisi della regressione gerarchica ha indicato che l’autonomia era un moderatore significativo della relazione strategie di lavoro emozionale e outcomes personali di esaurimento emotivo, benessere e soddisfazione lavorativa. In sintesi l’autonomia è risultata essere una variabile in grado di alleviare le conseguenze negative per coloro che svolgono un lavoro emozionale. L’ ultimo antecedente definito “affettività”, concerne una tendenza generale a sperimentare uno stato d’animo particolare, in particolare gli autori sottolineano, una correlazione positiva tra stati affettivi positivi e dissonanza emotiva quando le regole di visualizzazione richiedono espressioni di emozioni negative e viceversa per gli stati affettivi negativi. Per quanto riguarda le conseguenze, secondo questo modello tutte e quattro le dimensioni hanno una correlazione positiva con l’esaurimento emotivo, e solo la dissonanza emotiva ha una correlazione negativa con la soddisfazione lavorativa.
Figura 1.Tratto da Morris & Feldman (1996). The Dimensions, Antecedents, and Consequences of Emotional Labor ( p. 996).
In uno sforzo di integrare le differenti prospettive Grandey (2000), ha elaborato un modello di lavoro emozionale, individuando importanti componenti del lavoro emozionale, i sui antecedenti situazionali, il processo di regolazione delle emozioni determinato da fattori individuali e organizzativi, le conseguenze a lungo termine declinate in benessere individuale e benessere organizzativo.
Figura 2. Tratto da Grandey (2000) Emotion Regulation in the Workplace (p. 101).
Sebbene il modello proposto da Grandey (2000) rappreseti un’integrazione delle precedenti prospettive, la presente ricerca farà riferimento al modello proposto da Morris e Fieldman in quanto intende esplorare le dimensioni proposte dagli autori, nello specifico la frequenza, e l’intensità, il processo di regolazione emotivo e l’impatto di quest’ultimo sul benessere individuale, senza indagare i fattori contestuali organizzativi, quali autonomia lavorativa, supporto dei colleghi e dei supervisori, perché la medesima provenienza dei partecipanti alla ricerca non è stata una variabile discriminante, essendo l’obiettivo non quello di un indagine del contesto quanto quello di analizzare l’attività lavorativi di operatori sanitari, nello specifico la professione infermieristica. Anche se la presente ricerca si focalizzerà sugli aspetti critici del lavoro emozionale, in un ottica di prevenzione e salvaguardia del benessere psicologico del lavoratore, è bene ricordare che l’esecuzione del lavoro emozionale può avere anche conseguenze positive, come la facilitazione di incontri interpersonali con i destinatari, l’efficacia delle attività e l’espressione di sé (Ashforth & Humphrey, 1993). Un’ evidenza empirica relativa agli esiti positivi del lavoro emozionale è rappresentata dallo studio di Zapf e Holz, (2006). In questo studio vennero differenziati i seguenti aspetti del lavoro emozionale: la richiesta della regolazione delle emozioni, la richiesta di mostrare emozioni positive e negative, la richiesta di essere sensibili alle emozioni dei clienti e la dissonanza emotiva.
Le analisi furono condotte su un vasto campione rappresentativo 1342 di lavoratori composto da agenti di call center, impiegati in hotel, impiegati di banca e insegnanti di scuola di infanzia. I dati hanno mostrato che la dissonanza emotiva è stato l’aspetto del lavoro maggiormente stressante, mentre la visualizzazione di emozioni positive e la sensibilità verso le emozioni dei clienti hanno avuto effetti positivi sulla realizzazione personale.