Azioni Vessatorie: Sovraccarico lavorativo

Azioni Vessatorie: Sovraccarico lavorativo

Agisce al fine di raggiungere lo stesso scopo del demansionamento la strategia emarginante di assegnare incarichi ulteriori rispetto a quelli normalmente svolti dalla persona.

La strategia di sovraccarico lavorativo, con frequenza 25, porta il lavoratore a un affaticamento cognitivo eccessivo, debilitandolo ulteriormente. La pratica messa in atto sortisce il massimo effetto quando la persona, a causa della sovrapposizione o dell’accumulo degli incarichi assegnati, non riesce a portare a termine il proprio lavoro senza compiere errori.

Il vessato viene pertanto ricusato di non saper svolgere il proprio lavoro nei tempi e nei termini assegnati, motivo più che sufficiente per allontanare legalmente la persona dall’ambiente lavorativo.

“In sostanza mi trovavo a fare il lavoro di prima e in più la centralinista/segretaria: 2 mansioni evidentemente inconciliabili, già per il fatto che il secondo tipo di attività interrompeva continuamente un lavoro che richiede concentrazione.”

P6 [126:128]

“La prima settimana è stata punitiva, gli ordini della Capo Area erano stati di lasciarmi sempre in  cassa per tutta la durata del mio turno che spesso era di 8 ore consecutive, cosa che non è mai stata fatta con nessuno perché il cervello non regge a così tante ore di stress e in 1 mese mi sono trovata a fare tutte le domeniche, altra cosa inusuale visto che solitamente il turno domenicale va a rotazione fra tutto lo staff; poi c’erano i turni più brutti per cui tutte le chiusure o intermedi che comprendevano quasi l’intera giornata e oltretutto anche 3 turni spezzati alla settimana, calcolando che io per arrivare al lavoro ci mettevo 2 ore e 20 minuti, e in questa maniera non riuscivo mai ad andare a casa e passavo l’intera giornata al lavoro.”

P 2 [369:376]

 

“Il lavoro che (non) fa per te”. Il disagio nelle relazioni lavorative: un’indagine psicosociale sul territorio di Venezia –  © Maurizio Casanova

 

 

Azioni Vessatorie: Demansionamento

Azioni Vessatorie: Demansionamento

Il demansionamento risulta essere una delle azioni vessatorie con frequenza più ampia, pari a 59; infatti, è una delle armi principali, se non la principale, con cui viene decretata la fine del rapporto lavorativo.

Far svolgere compiti denigranti lo stato professionale è un modo per ridicolizzare la persona che in primis ne subisce le ripercussioni a livello di autostima.

In secondo luogo, risulta oltremodo frustrante e umiliante mostrare ai colleghi che la dirigenza non appone la stessa fiducia a tutti, svalutando, attraverso l’assegnazione di incarichi a volte addirittura futili, la professionalità e la dignità del lavoratore.

“Un’altra delle mansioni che mi furono affidate e che mi creò seri problemi fu l’essere costretta a portare il caffè all’amministratore delegato (già al momento in cui mi comunicarono il trasferimento, pensando che avrebbero potuto chiedermi anche questo, fui presa dall’angoscia e i miei presentimenti furono infatti fondati). Poiché a rispondere al centralino ero io, questo tipo di richieste veniva rivolto sempre a me: il dover passare col vassoio in mano tutti i giorni davanti all’Ufficio legale dove fino al giorno prima lavoravo era per me fonte non solo di umiliazione ma di vero e proprio malessere .Mi è capitato più volte anche di dover portare il caffè al mio ex capo, nonostante il trattamento che mi aveva riservato, penso sia comprensibile che fosse un compito che mi creava notevoli difficoltà. Inoltre, il farmi vedere dai colleghi di tutta l’azienda mentre svolgevo queste mansioni mi faceva stare male, per me era una situazione di stress ingestibile.”

P6 [147:157]

“Da li inizia una riduzione dei lavori consegnati a me e soprattutto il mio superiore mi assegna lavori sempre più banali.”

P 5 [107:108]

 

“Il lavoro che (non) fa per te”. Il disagio nelle relazioni lavorative: un’indagine psicosociale sul territorio di Venezia –  © Maurizio Casanova

 

 

Strategie di coping: Azioni vessatorie dai superiori

Strategie di coping: Azioni vessatorie perpetrate dai superiori 

In questa parte dell’analisi viene messo in luce una particolare dinamica del mobbing conosciuta come bossing.

Peculiarità del bossing è il tipo di relazione coinvolta, che vede protagonisti il manager (o l’azienda stessa) e il subordinato, quest’ultimo destinato ad essere estromesso dall’ambiente lavorativo con l’ausilio di ogni mezzo.

 

Favretto (2005) specifica come il bossing sia un tipo di mobbing che assume i contorni di una vera e propria strategia aziendale di riduzione, ringiovanimento e razionalizzazione del personale, oppure di semplice eliminazione di una persona indesiderata.

Il bossing viene agito in modi diversi che hanno in comune la creazione, attorno alla persona da escludere, di un clima di tensione insopportabile, in modo da indurla ad andarsene.

Tale clima viene agito tramite la messa in atto di atteggiamenti ingiustamente severi, minacce più o meno velate, rimproveri più o meno meritati, a volte anche sabotaggi provenienti dalle alte sfere aziendali che la vittima può difficilmente dimostrare (Favretto, 2005).

Ege (2002) nella sua definizione di bossing, specifica che l’obiettivo di questo tipo di mobbing è quello indurre la persona alle dimissioni volontarie: ne consegue che i passi che porteranno all’allontanamento del lavoratore richiederanno strategie particolari, diverse per certi aspetti da quelle classiche del mobbing.

 

 

grafico 3: strategie vessatorie perpetrate dai superiori (bossing

“Il lavoro che (non) fa per te”. Il disagio nelle relazioni lavorative: un’indagine psicosociale sul territorio di Venezia –  © Maurizio Casanova

Strategie di coping: Tentativo di comunicazione

Strategie di coping: Tentativo di comunicazione 

Un’estrapolazione della definizione di mobbing fornita da Leymann (1996), suggerisce come il fenomeno sia caratterizzato dalla presenza di comunicazione ostile e non etica perpetrata in maniera sistematica da parte di uno o più individui.

I tentativi di comunicazione, con frequenza 35, se privi di efficacia porteranno al silenzio, al non detto e alle parole travisate, ovvero ai presupposti per la nascita di un conflitto all’interno di una relazione professionale.

“Altra scenata quando, esasperato dalla situazione, gli ho chiesto se potevamo trovare una soluzione/accordo nel senso che mi licenziasse, dandomi quello che mi spetta per legge senza un centesimo in più e dandomi la possibilità di iscrivermi alle liste di disoccupazione (credo sia il minimo che può chiedere un uomo di 47 anni, con 25 anni di servizio alle spalle, in un mercato del lavoro come quello attuale, con un mutuo da pagare)…risultato: carte sbattute in giro per l’ufficio, urlando, mi viene chiesto se voglio approfittare della situazione e mi viene detto che se voglio risolvere le cose so cosa devo fare…DARE LE DIMISSIONI!!!”

P 18 [41:47]

“Sempre durante i saldi estivi sono stata ripresa davanti ai clienti perché secondo la responsabile stavo chiacchierando, quando invece ero stata interpellata da un collega per un aiuto nel ricercare e quindi soddisfare una richiesta da parte di un cliente. Subito ho riferito alla responsabile il reale motivo dello scambio di parola col collega ma non è stato neppure ascoltato.”

P 15 [65:69]

 

 

 

 

 

“Il lavoro che (non) fa per te”. Il disagio nelle relazioni lavorative: un’indagine psicosociale sul territorio di Venezia –  © Maurizio Casanova

 

 

 

 

Strategie di coping: Impegno continuo

Strategie di coping: Impegno continuo

Favretto (2005), in merito alle strategie di coping adottate nell’ambito organizzativo (coping organizzativo), afferma che le modalità con cui l’individuo tenta di adattarsi, di gestire la situazione o di fronteggiare un problema producono effetti determinanti sulla qualità del suo lavoro, sul suo rapporto con l’ambiente organizzativo e sullo svolgimento della mansione.

L’autore sottolinea come un’adeguata risposta adattiva agli stimoli ambientali professionali sia assolutamente necessaria affinché il lavoratore non finisca per essere vessato.

Fra i riscontri che il lavoratore fornisce alla propria azienda in termini di impegno continuo, con frequenza 38, vi sono la disponibilità continua, un rendimento e un comportamento eccellente e, non ultimo per importanza, la gestione positiva dei conflitti.

“Preciso che in oltre sei anni che lavoro per questa azienda ho sempre dato la massima disponibilità, sia nei confronti dei colleghi che nei confronti dei superiori, ho cambiato turni, giorni di risposo e anche addirittura saltati, fatto straordinari senza mai lamentarmi; l’unica volta che ho detto no, e credo che sia mio diritto avere degli impegni nelle mie ore libere, ho subito critiche dai miei superiori.”

P 4 [224:228]

“Al rientro dalla malattia i miei orari di apertura del negozio di quel fine settimana mi erano stati cambiati con le chiusure. Ho sempre comunque dato la mia disponibilità per eventuali esigenze della gestione negozio nonostante il trattamento avuto, nonostante il mio malessere psicologico sempre più in crescita e cercando di nascondere il mio disagio per non essere ulteriormente presa di bersaglio.”

 

 

 

“Il lavoro che (non) fa per te”. Il disagio nelle relazioni lavorative: un’indagine psicosociale sul territorio di Venezia –  © Maurizio Casanova

 

 

 

 

Strategie di coping: Resistenza

Strategie di coping: Resistenza

grafico 2: strategie di coping adottate dai vessati

Resistenza

 

Lazarus e Folkman (1984) definiscono il concetto di strategie di coping come l’insieme degli sforzi comportamentali e cognitivi, volti alla gestione di specifiche richieste esterne o interne, valutate come situazioni che mettono alla prova o che in ogni caso eccedono le risorse di una persona.

Inoltre Folkman (1986) precisa che questi sforzi sono finalizzati a ridurre, minimizzare e padroneggiare tali richieste.

La resistenza alla critica e alle minacce e il rifiuto a svolgere compiti inadeguati hanno frequenza 47, rientrano in quegli sforzi che Lazarus e Folkman ritengono necessari affinché la persona controbatta lo stato iniquo in cui riversano.

La sofferenza imposta al lavoratore è sintomo di un trattamento iniquo adoperato poiché il vessato, ad esempio, si è rifiutato di allinearsi alle richieste del proprio capo. Tali richieste spesso sfociano in  pretese che nulla hanno di professionale; allorché il lavoratore dovesse contrapporsi diventerebbe inesorabilmente bersaglio di una collettività che fa riferimento allo stesso capo.

“A quel punto esterno le mie giustificazioni dicendo che io svolgo giornalmente il mio lavoro e che se sono in contrasto con la Capo Negozio è perché ritengo che spesso lei abbia delle priorità diverse da quelle effettivamente necessarie al buon andamento del negozio.”

P 2 [51:53]

“dopo uno scambio di opinioni concludo dicendo che il suo comportamento mi sembra discriminatorio e poco professionale e che mi comporterò di conseguenza.”

 

“Il lavoro che (non) fa per te”. Il disagio nelle relazioni lavorative: un’indagine psicosociale sul territorio di Venezia –  © Maurizio Casanova

 

 

Mobbing: Le conseguenze sociali

Mobbing: Le conseguenze sociali

Difficoltà al lavoro

Ege (2001) sottolinea come la persona lungamente vessata sul luogo di lavoro tenderà a commettere sempre più errori, a svolgere svogliatamente il proprio lavoro.

Come messo in evidenza dalla quotation sotto riportata, anche la prestazione lavorativa della persona vittima di mobbing risente dell’accumulo di tensione che si viene a creare nell’ambiente lavorativo.

L’inefficacia del lavoratore è sintomo di una situazione professionale frustrante, depauperante, dove la vittima non si fida più delle proprie capacità.

Le difficoltà riscontrate a lavoro, con frequenza 11, portano la persona a concentrarsi meno sull’obiettivo, poiché ostacolata dalle attenzioni vessatorie rivolte da colleghi e superiori.

Ne risente la performance e la relazione professionale, aspetti che se non vengono adeguatamente curati porteranno all’estromissione del lavoratore mediante un demansionamento forzato (Favretto, 2005).

“Ho faticato molto a svolgere il mio lavoro perché non riuscivo a concentrarmi e spesso mi trovavo costretta ad andare in bagno per nascondere le lacrime”

P1 [46:47]

“Questa è la situazione in cui mi trovo a lavorare, oramai quasi tutti i miei colleghi non hanno più alcuna stima e considerazione di quello che faccio, le mie decisioni vengono continuamente criticate, per me è diventato impossibile lavorare e ultimamente sto anche commettendo parecchi errori, imprecisioni e mancanze nel lavoro che non fanno certo parte del mio modo di lavorare e della mia professionalità che ancora ritengo di avere.”

P 18 [55:59]

Difficoltà ad occuparsi degli affetti

Le pratiche discriminatorie che vengono prese come “buona norma” al fine di consacrare il gioco dei forti, agiscono ad ampio raggio: non è solo la vita professionale della vittima a risentire dei contraccolpi dell’atto vessatorio, anche nel privato vi sono elevate ripercussioni, in particolare si riscontrano gravi difficoltà da parte del mobbizzato ad occuparsi adeguatamente dei propri affetti trascurando, ad esempio, le proprie amicizie. (fr.9)

“In questo periodo, nella mia vita privata, sto attraversando un periodo meraviglioso e le situazioni estremamente positive che sto vivendo mi aiutano a fare in modo che i problemi di lavoro non intacchino troppo la mia vita privata; diversamente dal passato non arrivo a discussioni e scontri con i miei familiari o con il mio compagno a causa del mio nervosismo, ma spesso mi sento apatica e poiché trovo la giornata lavorativa estremamente faticosa spesso mi trovo costretta a non accettare inviti di amici per troppa stanchezza o perché spero di riuscire a riposare per andare in ufficio più rilassata il giorno dopo.”

P 4 [396:402]

Difficoltà gestione tempo extra lavorativo

Oltre agli affetti, nasce la difficoltà nel gestire il proprio tempo extra lavorativo, che ha frequenza 6: il fatto che ad esempio, al lavoratore non vengano concessi permessi contrariamente a quanto accade con i colleghi, non permette alla persona di sentirsi libera di organizzare impegni extralavorativi.

“Quando sono io a chiedere un giorno o un periodo o non ricevo risposta o mio viene detto “vedremo”, nel frattempo chiaramente io non posso prendermi impegni o organizzarmi con la certezza di essere libera.”

P 4 [148:150]

Conflitti in famiglia

Come sottolineato da Ege (2002), il mobbing avviene per definizione solo sul posto di lavoro, tuttavia è un disagio che può ripercuotersi anche gravemente in ogni aspetto della vita del mobbizzato, primo tra tutti la sua vita privata e famigliare.

Questo è il fenomeno denominato da Ege (1997), “doppio-mobbing”, che, a detta dell’autore, è un tipo particolare di mobbing che avviene specialmente in Italia, poiché si tende a “portare il lavoro a casa”, problemi annessi.

Ege, afferma che il doppio-mobbing ha un altro aspetto, quello di seguire una sorta di parabola tipica: se inizialmente i famigliari comprendono lo stato in cui riversa la persona, arriva successivamente un momento in cui c’è un inversione di tendenza, dove l’aiuto necessario viene negato al mobbizzato.

I conflitti famigliari, con frequenza 4, portano il mobbizzato a dover resistere “doppiamente”: sono diversi i casi in cui, una volta sorto un conflitto in ambito lavorativo, questo viene trascinato anche fra le mura domestiche.

Ciò comporta un ulteriore declino nella sfera lavorativa: i problemi si sommano fino a  diventare più grandi del previsto, inaffrontabili, spesso concludendosi con la perdita del lavoro e l’esclusione totale del vessato da parte della famiglia.

“Come le dicevo sto adesso prendendo dei farmaci per l’ansia e la depressione in quanto non  riesco più a sostenere la situazione. Sono peggiorati anche i rapporti in casa con mio marito e  mio figlio. La psichiatra a cui mi sono rivolta a fine febbraio voleva anche farmi ricoverare per un breve periodo, ma io non posso avendo un bimbo piccolo assentarmi da casa.”

P 26 [147:150]

“Mio marito giustamente ogni tanto si arrabbia per tutto ciò che mi è accaduto perché non ho saputo valutare la persona per quello che era.”

P 1 [48:49]

“Il lavoro che (non) fa per te”. Il disagio nelle relazioni lavorative: un’indagine psicosociale sul territorio di Venezia –  © Maurizio Casanova

 

 

 

 

Mobbing: Le conseguenze psicologiche

Mobbing: Le conseguenze psicologiche

Disturbi psicologici

Come spiega Leymann (1996), non è ancora chiara la correlazione fra la causa di un processo di mobbing e la personalità della vittima.

Sempre secondo lo stesso autore, affrontando direttamente la questione delle conseguenze di natura psichica, afferma che la maggior parte delle vittime di mobbing rientrino a tutti gli effetti nella casistica del disturbo post-traumatico da stress, che causa variazioni nella personalità; nel caso del mobbing, queste variazioni tendono in due direzioni: grave depressione o grave ossessione, a volte entrambe presenti. I disturbi psicologici, con frequenza 47, si distinguono in amnesie, attacchi di panico, stati di depressione, esaurimento nervoso, irritabilità, nervosismo, panico, apatia e agorafobia.

“Ho trovato lui presso un negozio dove gli ho spiegato la situazione e il mio stress per la situazione tanto che non mangiavo più e non riuscivo a dormire per il nervosismo e lo stress e che voleva dare le mie dimissioni perché non ce la facevo più a sopportare la situazione.”

P 3 [118:121]

“… ricevuta la lettera ebbi un crollo psicologico tremendo, iniziai un periodo molto, molto,  molto duro di totale e assoluta apatia verso il mondo e verso tutti. Così forte che non riuscivo  a prendermi cura né di me né della bambina di nemmeno un anno …”.

P 8 [367:369]

Frustrazione

Sempre secondo Leymann, le cause che conducono alla variazione della personalità portano ad un’impossibilità della valutazione della medesima, “quello che si diagnostica è solo la distruzione di tale personalità” (Leymann, 1996).

Ne deriva una condizione di frustrazione, che ha frequenza 47, a causa di profondi stati di tristezza in cui viene percepito uno statodi impotenza e di sconfitta. Il boicottaggio, vissuto come un tradimento, porta alla sfiducia in se stessi, causando sensi di colpa e stati di smarrimento.

“Mi sono sentita subito male, avevo il cuore che mi batteva forte, tremavo, mi girava la testa una forte depressione fisica e psicologica, una sconfitta interiore, un senso di vuoto di fallimento personale e professionale.”

P 24 [166:168]

“Mi sentivo depressa, avevo il morale a terra che mi provocava un  malessere generale. Ricordo come fosse ieri il dolore alle mani piene di tagli a causa del freddo, la nausea, il mal di  schiena, ma soprattutto, il mio pianto continuo. Non ne potevo più perché non mi sentivo  gratificata, mi sentivo in colpa per i disabili che ancora una volta erano abbandonati a se stessi, questa situazione mi faceva morire dentro giorno per giorno.”

P 10 [100:104]

Paura

La paura, con frequenza 18, è conseguente a questo stato di malessere che pervade la persona, soprattutto in conformità con la percezione che gli altri avranno del lavoratore, il quale teme i giudizi altrui in merito alla propria reputazione.

La paura sfocia nel timore di non poter rendere efficacemente a lavoro, di cadere in stati depressivi e, generalmente, si rileva come sia più la vergogna che si prova nei confronti degli altri, in particolare di amici e parenti, verso cui si tenta di nascondere il proprio disagio.

“Ho avuto per diverso tempo timore di venire registrata e non mi sentivo quindi libera di potermi confidare con qualcuno di quello che stavo subendo.”

P 1[2:3]

“Nel 2005 ho iniziato ad avere perdite di memoria ed ero terrorizzata dell’idea di cadere in depressione (lui cercava di convincermene). In quel periodo ho chiesto al direttore del dipartimento di avere un po’ di pazienza con me perché non riuscivo più a rendere nel lavoro come prima. Temo ripercussioni sulla mia famiglia.”

P 1 [7:10]

Assunzione di psicofarmaci

 

A coloro che si sono rivolti ad un medico psichiatra per risolvere i problemi legati a stati d’ansia e depressivi causati dal perpetrarsi di azioni vessatorie, sono stati prescritti psicofarmaci per lenire la sofferenza percepita, come, ad esempio, antidepressivi e calmanti (fr.11)

Essendo un rimedio estremo, è raro che un medico prescriva degli antidepressivi ad un paziente; ciononostante, vengono evidenziati casi in cui questa modalità di cura è risultata necessaria.

“Ho preso la mia borsa, gli ho comunicato che sarei andata dal medico e sono uscita dal negozio. Alle ore 18.00 mi sono recata alla guardia medica, esponendo il mio grave malessere, la dott.ssa mi ha prescritto la malattia per quel giorno del 03.09, consigliandomi un calmante, di conseguenza il mio medico di base il 05.09 dopo avermi visitato mi ha prescritto 2 settimane di  malattia, visto il mio grave malessere depressivo e ansioso, con insonnia e grande sconforto morale per le cause successe, mi ha prescritto una cura di antidepressivi.”

P24 [169:174]

Richieste d’aiuto

Come sottolineato da Favretto (2005), è necessario, affinché la persona trovi sollievo rispetto alla sua sofferenza, che vi siano persone disposte ad aiutare le vittime di mobbing, soccorrendole soprattutto nelle fasi finali del processo.

Le richieste d’aiuto da parte dei vessati trovano un considerevole riscontro nei resoconti presi in esame, vi è frequenza 12: le persone giunte al limite difficilmente espliciteranno immediatamente la richiesta di un sostegno, soprattutto per quanto riguarda gli uomini (Ege, 2001).

Il fatto di essere stati isolati – talvolta anche dagli amici e dalla famiglia – porta la persona ad andare oltre il proprio orgoglio, lasciando la persona libera di rivolgersi ad enti che si prendono cura della persona vessata.

“Mi manca il respiro. Perdo peso. Non riesco a staccare la spina. Anche nei sogni (rigorosamente fino alle 3 e 20 perché poi mi sveglio) penso alla mia drammatica situazione. Non ho mai preso tranquillanti e non voglio cominciare adesso. Mi rendo conto di aver bisogno di aiuto.”

P 12 [307:312]

“Il lavoro che (non) fa per te”. Il disagio nelle relazioni lavorative: un’indagine psicosociale sul territorio di Venezia –  © Maurizio Casanova

 

 

 

 

 

 

Mobbing: Disturbi fisici

Mobbing: Disturbi fisici

Ege (2002) precisa come il mobbing può estendere i suoi effetti oltre l’ambito lavorativo e intervenire nella vita dell’individuo complicandone l’esistenza.

Nella maggioranza dei casi possono derivare per l’individuo ripercussioni di tipo esistenziale, che vanno ad influire sulla sfera più personale ed intima della sua vita, influenzandone negativamente l’andamento.

Esso può in alcuni casi inoltre incidere sullo stato di salute, rendendo la persona coinvolta più vulnerabile ai fattori di malattia, con la conseguenza che la stessa debolezza che ha portato il mobbizzato a perdere il suo ruolo sul lavoro, lo porta anche ad ammalarsi.

Il benessere fisico della persona è compromesso, ne derivano nausea, disturbi intestinali e gastrici, perdita d’appetito. Ai disturbi fisici, con frequenza 32, ne consegue un indebolimento fisico che porta alla perdita di energie che invece sarebbero utili al sostentamento della persona.

“Ho cominciato di conseguenza ad accusare coliche e non dormire più alla notte, tutto ciò accompagnato a sensi di nausea, vomito e crisi di pianto.”

P 9 [52:53]

“Cercavo quando ci riuscivo a riderci sopra perché andar al lavoro così per me era sempre più un problema, non dormivo bene di notte, mi sognavo di lavoro e avevo sempre disturbi o allo stomaco o male alla testa.”

P7 [86:88]

“Il lavoro che (non) fa per te”. Il disagio nelle relazioni lavorative: un’indagine psicosociale sul territorio di Venezia –  © Maurizio Casanova

 

 

 

 

Mobbing: Disturbi del sonno

Mobbing Le conseguenze fisiche: Disturbi del sonno

La vessazione compiuta sul luogo di lavoro è talmente forte che influisce costantemente sulla vita del lavoratore: gli strascichi dell’indifferenza e del boicottaggio accompagnano il vessato durante tutta la giornata.

I disturbi del sonno, con frequenza 28, sono fra i più presenti: il ritmo circadiano veglia-sonno viene reso instabile dal fatto che l’organismo è costantemente preso d’attacco, pertanto ne risente la qualità del riposo notturno, compromesso dalla presenza di incubi e di risvegli improvvisi.

“Ho cominciato a non dormire più di notte e ad avere dei veri e propri incubi in cui sognavo di essere inseguito dal datore di lavoro e dai miei colleghi … la sola idea di recarmi al lavoro mi provocava un profondo senso di nausea.”

“Il lavoro che (non) fa per te”. Il disagio nelle relazioni lavorative: un’indagine psicosociale sul territorio di Venezia –  © Maurizio Casanova