Word-order e inferenze causali
Gli esseri umani hanno una naturale tendenza a ricercare le cause di eventi che osservano o di cui sentono parlare. Ad esempio, quando si viene a conoscenza di un incidente, non siamo soddisfatti di ricevere informazioni circa il luogo, l’ora e il numero delle vittime, ma il nostro interesse principale riguarda il perché sia accaduto.
L’ordine delle parole può influire su effetti riguardanti la memoria e su diversi processi cognitivi, quali la formazione di impressioni e i processi di categorizzazione. In accordo con le iconicity assumptions si è visto come la disposizione delle componenti all’interno della frase sia strettamente connessa a fenomeni di comprensione narrativa, i quali conducono le persone alla costruzione di schemi rappresentativi del contenuto, attraverso la raccolta e la rielaborazione delle informazioni in entrata.
La direzione di questo processo risulta essere in linea al naturale andamento cronologico degli eventi, dove ciò che viene espresso prima è antecedente e causa di ciò che accade successivamente. Anche quando non è chiaramente espresso il nesso temporale (Hopper1979).
Le inferenze causali che le persone attribuiscono agli eventi quotidiani sono, dunque, influenzate dall’ordine in cui soggetto, oggetto e verbo sono disposti nelle frasi transitive.
Oltre a risolvere indizi significativi sulle relazioni sociali il Word Order, quindi, esprime anche relazioni temporali. Le persone generalmente si aspettano che le cause degli eventi vengano esposte prima degli effetti, probabilmente facendo riferimento a ciò che è la loro esperienza nel mondo reale.
Autori come Bruner, Virtue e Kurby (2012) si focalizzano sulla connessione tra la sfera temporale e la dimensione causale. Attraverso un esperimento in cui una stessa situazione viene presentata, in un caso, in cui la causa precede l’effetto, nell’altro, in cui l’effetto precede la causa, gli autori dimostrano, analizzando i tempi di risposta, che, in linea con le ipotesi, i partecipanti risultano nettamente più rapidi nell’interpretare situazioni che seguono l’ordine canonico causa-effetto.
Altre ricerche (Bettinsoli, M. L., Maass, A., Kashima, Y., & Suitner, C. ,2015), in aggiunta, suggeriscono la possibilità che coloro che parlano lingue differenti, con ordini strutturali diversi, favoriscono alcune attribuzioni causali rispetto ad altre. Ad esempio, i parlanti di lingue che presentano schema OSV possono, in media, percepire il paziente come più co-responsabile di un evento rispetto i parlanti di lingue SOV, ed entrambi possono essere probabilmente più propensi a considerare cause situazionali rispetto a parlanti di lingue «verbal-first» .
Molteplici ricerche basate sull’analisi di fatti di cronaca che riportano atti di violenza contro le donne (Bohner, 2001; Frazer & Miller, 2008; Henley, Miller, & Beazley, 1995) hanno evidenziato, infatti, che l’utilizzo di forme grammaticali differenti influenzano l’attribuzione causale e la percezione di responsabilità.
Se consideriamo la struttura delle frasi in forma attiva e passiva, si può notare come i ruoli semantici di agente e paziente subiscano un cambiano di posizione all’interno della frase. Il paziente, ossia chi subisce l’azione, è solitamente menzionato dopo l’agente, il quale rappresenta il punto di partenza per l’elaborazione della frase in forma attiva. La situazione si rovescia passando invece alla forma passiva in cui il paziente prende posizione dominante, godendo di maggior attenzione (Johnson-Laird, 1968), e acquisendo maggiore responsabilità per l’azione descritta.
Nel caso di atti violenti contro le donne, l’uso di forme passive, dunque, aumenta la loro co-responsabilità rispetto all’azione, facendo intendere un ruolo più attivo nel determinare la situazione (Bohner, 2001; Frazer& Miller, 2008). Ciò che cambia attraverso la forma passiva, insieme al tempo grammaticale del verbo, è la posizione seriale delle parole: l’oggetto, di solito posto dopo il soggetto, si trova ora all’inizio della costruzione.
Gli effetti che vengono maggiormente presi in considerazione, relativamente al Word Order, fanno riferimento, dunque, all’usuale tendenza delle persone ad attribuire in misura maggiore la causa di un’azione (o di un evento) all’elemento che, nella frase, appare in prima posizione (rispetto a posizioni successive).
Riassumiamo quindi quelle che possono essere le potenzialità informative, e quali le influenze, determinate dalla struttura della frase: in primo luogo, i lettori / ascoltatori possono ritrovarsi a prestare maggiore attenzione al primo elemento menzionato e ad usarlo come punto di partenza quando gli viene chiesto di spiegare l’evento. In questo caso, viene nuovamente preso in considerazione l’aspetto funzionale dell’effetto primacy, secondo cui le persone tendono a ricordare maggiormente i primi elementi presentati all’interno di una lunga lista e gli ultimi (recency).
La scelta della posizione delle componenti S,V,O, in secondo luogo, può rispecchiare un ordine mentale preciso ed una prospettiva descrittiva mirata, anche se per il più delle volte in maniera inconscia (perspective taking).
In un evento, infatti, le persone possono soffermarsi su particolari differenti, adottando quindi lenti di lettura differenti. Il primo termine svela la direzione di interpretazione dell’accaduto che viene adottata (da chi esprime il concetto) e trasmessa a colui che ascolta, riflettendo il punto di vista del parlante e influenzando quello del ricevente.
I lettori / ascoltatori possono dedurre l’intenzione di chi parla, pensando che l’elemento sia stato volutamente posizionato in prima posizione perché ritenuto maggiormente interessante (caso della lingua italiana).
Partendo dall’ipotesi che l’attribuzione causale possa essere influenzata dalla posizione degli elementi sintattici all’interno di una frase, Bettinsoli, M. L., Maass, A., Kashima, Y., & Suitner, C. (2015) hanno condotto uno studio sperimentale al fine di testare il ruolo del Word Order nella percezione di causalità. Gli autori hanno costruito sei semplici frasi manipolando l’ordine di tre elementi grammaticali (soggetto, oggetto e verbo) nelle sei possibili combinazioni SVO, SOV, VSO, VOS, OVS, OSV. In seguito hanno chiesto a partecipanti Italiani e Inglesi di valutare la misura in cui l’azione descritta fosse dovuta a fattori disposizionali ( riferiti al soggetto) o situazionali (contesto espresso dal verbo).
In linea con l’ipotesi, i risultati hanno mostrato una maggiore attribuzione causale all’elemento che appariva in prima posizione, indipendentemente dalla sua funzione.
L’importanza di tale processo è emersa in letteratura attraverso la teorizzazione del Linguistic Category Model, in cui autori come Semin e Fiedler (1988) hanno dimostrato che il grado di astrattezza di un termine sia determinante nel suggerire un’attribuzione causale disposizionale, piuttosto che situazionale.
E’ stato dunque messo in evidenza come l’ordine in cui soggetto, oggetto e verbo sono disposti all’interno di una frase svolga un ruolo nell’attribuzione di causalità.
Secondo altri studi di ricerca (Fernbach, Darlow, & Sloman 2010; Fernbach, Darlow,& Sloman, 2011), anch’essi di recente pubblicazione, analizzando le discrepanze tra le diverse teorie riguardanti bias causali, è stato riscontrato che, nei momenti di incertezza, le persone costruiscono attribuzioni causa-effetto seguendo norme probabilistiche che spesso conducono in errore.
A tal proposito viene fatto riferimento ai ragionamenti predittivi e diagnostici che generano probabilità differenti a seconda della forza delle cause alternative, del potere causale e delle priorità di causalità. Il ragionamento predittivo è il processo attraverso il quale gli individui deducono la probabilità di un effetto a partire dalla sua causa, mentre il ragionamento diagnostico procede in modo opposto, ossia la probabilità di una causa viene dedotta a partire dall’ effetto.
È stato evidenziato come la maggior parte delle attribuzioni seguano ragionamenti predittivi, piuttosto che diagnostici, a seguito di una maggiore facilità intuitiva e di attivazione: una sorta di scorciatoia cognitiva basata sull’esperienza e su credenze comuni, insufficienti per la formulazione di giudizi effettivamente probabilistici.
Il ruolo del Word Order nelle inferenze causali emerge, dunque, anche dagli studi relativi al ragionamento predittivo e diagnostico.
In una serie di studi precedenti, infatti, Fernbach e colleghi hanno testato le differenze tra le diverse tipologie di inferenza causale. Attraverso tre esperimenti hanno dimostrato che gli individui tendono a sottovalutare l’eventuale ruolo di cause alternative durante il processo di inferenza predittiva, ma non durante quello di inferenza diagnostica. Quando compiono inferenze predittive, gli individui considerano la causa data come unica sola spiegazione dell’effetto; al contrario, quando generano inferenze diagnostiche, l’effetto viene spiegato prendendo in considerazione ulteriori legami causali rispetto a quello proposto (Fernbach, Darlow, & Sloman, 2010).
In un’ulteriore teorizzazione, Meder e colleghi (2014) hanno suggerito che il processo di ragionamento diagnostico è influenzato sia dalla convinzione circa l’esistenza di una relazione causale tra una certa causa e un effetto, sia dalla probabilità che l’effetto sia stato prodotto da strutture causali alternative (Meder, Mayrhofer, & Waldmann, 2014).
Le persone mostrano sistematici bias, ossia trascurano informazioni rilevanti nella formulazione di giudizi probabilistici basati su informazioni causali, facendo riferimento e affidandosi alla loro esperienza.
Questo fenomeno suggerisce il fatto che il modo in cui le persone ragionano non sia normativo, tanto meno coerente con le «causal Bayes nets». Le reti bayesiane (BN – Bayesian Network) rappresentano un modello grafico probabilistico che mostra un insieme di variabili stocastiche (che assumono valori differenti in presenza di fenomeni aleatori, fenomeni che ripetuti sotto le medesime condizioni iniziali possono non produrre i medesimi risultati), con le loro dipendenze condizionali attraverso l’uso di un grafo aciclico diretto (DAG) . Possono essere chiamate anche «reti causali», in quanto gli archi che connettono i nodi concettuali rappresentano relazioni causali dirette. Per fare un esempio del funzionamento di una rete Bayesiana potremmo considerare la relazione probabilistica esistente tra i sintomi e le malattie.
Dati i sintomi, la rete può essere usata per calcolare la probabilità della presenza di diverse malattie.
Nel calcolo delle reti bayesiane, perché possa essere considerata per “data” l’evidenza di un nodo, dobbiamo esser certi della verità o falsità della proposizione rappresentata dal nodo stesso”. Gli statistici bayesiani sostengono che tale inferenza costituisce la base più logica per discriminare tra ipotesi alternative in conflitto. Vediamo nello schema che segue un esempio di rappresentazione probabilistica mediante le reti di Bayes.
L’evidenza più diretta, in ogni caso, scaturisce dai lavori di Tversky e Kahnemen (1980) i quali condussero altri studi circa le relazioni causali. Gli autori chiedendo ai partecipanti di comparare la probabilità causale tra eventi presentati per indagare le diversità di attribuzione, manipolano la fondamentale natura asimmetrica della causalità: le cause generano effetti, ma non vice versa.
Gli autori ipotizzano che la preferenza per i ragionamenti predittivi, a discapito di quelli diagnostici, sia dipesa dal fatto che risulta più naturale, per le persone, seguire una causalità di questo tipo verso cui, di conseguenza, confidano maggiormente. Il loro pensiero è che, probabilmente, il fluire dei ragionamenti, dalla causa all’effetto, conduca le persone verso attribuzioni non normative.
Questo implica che quando ci si trova di fonte a relazioni causali, l’attenzione sia focalizzata sulla ricerca di informazioni “altre” su cui basare la connessione degli eventi o da cui generare alternative causali (euristiche di probabilità).