Fattori di rischio e di protezione sul burnout
Fattori di rischio e di protezione emergenti dalle ricerche sul burnout in diversi ambiti lavorativi
Ripartendo da quanto riportato all’inizio del precedente paragrafo, vale a dire la sindrome di burnout (Maslach, 1982) ed il quadro comportamentale “di Tipo A (Rosenman e Friedman, 1994), sembra che quest’ultimo si trovi più facilmente in ambienti di lavoro molto competitivi, mentre la sindrome di burnout sia più caratteristica delle “professioni di aiuto” (Sibilia, 2010). A tale riguardo, di seguito verranno proposte una serie di ricerche, presenti in letteratura, sul burnout nelle diverse professioni d’aiuto.
Negli ultimi anni l’interesse scientifico per il fenomeno del burnout è considerevolmente cresciuto. Inizialmente questo fenomeno era stato indagato solo nelle professioni d’aiuto e attribuita quindi alle eccessive richieste associate allo svolgimento di attività che implicano un costante contatto con persone che soffrono (Argentero e Setti, 2008). Nonostante successivamente sia emersa la necessità, di considerarla una sindrome estensibile a qualsiasi tipo di professione, tuttavia la ricerca sul burnout è ancora oggi prevalentemente rivolta alle persone che svolgono professioni d’aiuto, per le quali il rischio oggettivo di sviluppare esiti psicologici negativi a causa del lavoro rimane più elevato (Argentero e Setti, 2008). Una tipologia lavorativa inclusa nelle helping professions è quella degli operatori addetti al soccorso nelle situazioni di emergenza (per esempio incidenti stradali) e di maxi-emergenza (per esempio terremoti e alluvioni) (Argentero e Setti, 2008). A questo proposito, Argentero e Setti (2008) in un loro articolo dichiarano che i poliziotti, i vigili del fuoco e gli operatori addetti al soccorso su ambulanza, appartengono alla categoria degli “highstress occupations” o professioni ad alto stress (Brough, 2004), perché sono testimoni diretti di situazioni inaspettate e altamente stressanti che inevitabilmente incidono sul loro benessere psicofisico (Hodgkinson e Stewart, 1991; Raphael, 1986). Nell’articolo (Argentero e Setti, 2008) si legge che, nello specifico, gli operatori dell’emergenza sono esposti a stressors sia acuti, ovvero eventi particolarmente traumatici quali la morte violenta di persone o la visione di corpi mutilati, sia cronici, ossia condizioni lavorative che sebbene meno violentemente stressanti rispetto alle prime, ripetute con frequenza quotidiana sono comunque in grado di produrre un importante grado di stress (Beaton e Murphy,1993; Brough, 2002; Brown, Fielding, Grover, 1999; Hart e Cotton, 2003). Inoltre, Argentero e Setti (2008) ritenevano che l’esperienza di situazioni estremamente stressanti costituisca una condizione necessaria, ma non sufficiente, per lo sviluppo di esiti psicologici negativi, quale il burnout, per i quali gli stressors cronici, o organizzativi, risultano un’ulteriore componente fondamentale (McFarlane, 1988; Van der Ploeg, 2003). Per questa ragione, nel loro studio (Argentero e Setti, 2008) decisero di valutare variabili che si collocano all’opposto del burnout, ossia: l’energia, il coinvolgimento e l’efficacia professionale (riferibili rispettivamente alle tre dimensioni del burnout: esaurimento, cinismo ed inefficacia (Leiter e Maslach, 2000). Inoltre, in secondo luogo sono state misurate anche alcune variabili lavorative: Carico di lavoro, Controllo, Riconoscimento, Integrazione Sociale, Equità, Valori (Argentero e Setti, 2008). Il principio di base è quello secondo cui i soggetti che ottengono punteggi più elevati rispetto all’indagine di queste ultime caratteristiche sono anche quelli maggiormente integrati con l’organizzazione di appartenenza, quindi con un livello più elevato di benessere e un minor rischio di sviluppare condizioni patologiche, quale il burnout (Maslach e Leiter, 1997; Argentero e Setti, 2008).
Alla luce di ciò alla ricerca di Argentero e Setti (2008) presero parte da 298 operatori dell’emergenza impiegati nella Provincia di Pavia con ruoli professionali diversi: 83 Addetti al soccorso su Ambulanze, 42 Operatori del 118, 112 Vigili del Fuoco, 61 addetti alle Forze dell’Ordine (Argentero e Setti, 2008). Il campione era prevalentemente costituito da soggetti di genere maschile (86.6%), con età media pari a 38.5 anni e con un’anzianità di servizio tendenzialmente alta, infatti quasi la metà dei soggetti risulta impiegata nel settore dell’emergenza da oltre 13 anni (Argentero e Setti, 2008). La maggiore concentrazione di personale di genere maschile si riscontrava fra i Vigili del Fuoco (99.1%), mentre la più alta percentuale di donne (35.7%) si aveva fra gli Operatori del 118 (Argentero e Setti, 2008). In relazione all’età, i soggetti più giovani (con età pari o minore ai 30 anni) si concentravano soprattutto nella categoria del Personale addetto al soccorso su Ambulanze (26.3%), i soggetti con età intermedia (31-40 anni) si trovavano prevalentemente fra gli Operatori del 118 (66.7%), infine gli operatori con età maggiore (superiore ai 40 anni) erano soprattutto fra i Vigili del Fuoco (46.7%) (Argentero e Setti, 2008). Volendo effettuare lo stesso tipo di confronto fra le diverse categorie professionali in relazione all’anzianità lavorativa, le Forze dell’Ordine presentavano la più alta percentuale di soggetti impegnati nel settore da molti anni (57.6% da oltre 13 anni) (Argentero e Setti, 2008). Lo strumento utilizzato nella ricerca degli Autori (Argentero e Setti, 2008) è la versione italiana (Borgogni, 2005) dell’OCS che sta per Organizational Checkup System (Leiter; Maslach, 2000), nonché un questionario formato da quattro sezioni, ognuna formata da una serie di scale diverse, in particolar modo sono state prese in esame in questo studio la scala “Relazione con il lavoro” e l’“Area di vita lavorativa”. La prima ha permesso di valutare il benessere e la presenza di engagement nei soggetti appartenenti all’organizzazione (Argentero e Setti, 2008). L’area comprendeva complessivamente 16 items, valutati su una scala di risposta Likert a 7 passi (da 0 = mai a 6 = quotidianamente), attraverso i quali venivano indagate le tre specifiche dimensioni del benessere: Energia (5 items), Coinvolgimento (5 items), percezione di Efficacia professionale (6 items) (Argentero e Setti, 2008). Al crescere del punteggio ottenuto dal soggetto nelle tre scale corrisponde una condizione di maggiore benessere personale (al contrario, punteggi bassi sono indicatori della presenza di burnout) (Argentero e Setti, 2008). La seconda parte dell’OCS, ha permesso di indagare sei specifiche caratteristiche lavorative che la ricerca di Argentero e Setti (2008) ha dimostrato essere in grado di influire significativamente sullo stato di benessere individuale (Maslach e Leiter, 1997) in base al fatto che vi sia “armonia” (match) o mancanza di “armonia” (mismatch) fra le caratteristiche dell’individuo e gli aspetti organizzativi (Argentero e Setti, 2008). La seconda parte era formata da 29 items su scala Likert a 5 passi (da 1 = molto in disaccordo a 5 = molto d’accordo) ed indagava: il carico di lavoro (6 items); il controllo (3 items); il riconoscimento (4 items); l’ntegrazione sociale (5 items); l’equità (6 items); i valori (5 items) (Argentero e Setti, 2008). Più il punteggio era alto migliore era l’integrazione del soggetto nei confronti della struttura di appartenenza, dunque un maggiore fit individuo organizzazione (Argentero e Setti, 2008).
Per quanto concerne i risultati, i dati sono stati elaborati mediante il programma SPSS versione 13.0 per Windows. Per verificare eventuali differenze statisticamente significative tra le diverse professioni è stata utilizzata l’analisi della varianza univariata (ANOVA) e l’analisi post-hoc condotta con il metodo di Bonferroni. Gli Autori volendo confrontare in primo luogo le diverse categorie di operatori dell’emergenza rispetto alle sezioni “Relazione con il Lavoro” e “Aree di Vita Lavorativa” dell’OCS, hanno utilizzato l’ANOVA che ha indicato la presenza di differenze statisticamente significative nelle variabili Energia e Coinvolgimento: le Forze dell’Ordine presentavano i punteggi medi più elevati in relazione sia all’energia impiegata sul lavoro sia al coinvolgimento dimostrato nei confronti della struttura d’appartenenza. Ciò è stato confermato anche dall’analisi posthoc (metodo di Bonferroni), la quale ha messo anche in evidenza come la categoria professionale che si caratterizza, al contrario, per i più bassi livelli di Energia e di Coinvolgimento è quella degli Operatori del 118, per i quali sarebbe dunque più corretto parlare rispettivamente di esaurimento e cinismo, in quanto si è in presenza di una situazione di scarso benessere, dunque di possibile burnout. Dai risultati relativi alla sezione “Aree di Vita Lavorativa”, sono emerse differenze statisticamente significative per quattro variabili su sei. In particolare, l’ANOVA ha indicato la presenza di differenze statisticamente significative nelle variabili Controllo e Integrazione Sociale. L’analisi posthoc (metodo di Bonferroni) ha evidenziato che la categoria professionale con una maggiore percezione di controllo sulle attività svolte e di integrazione sociale nel team era quella dei Vigili del Fuoco, mentre gli Operatori del 118 manifestavano un più scarso controllo e gli addetti alle Forze dell’Ordine si sentivano meno integrati nel gruppo di lavoro (Argentero e Setti, 2008). L’ANOVA ha posto in evidenza una differenza significativa relativamente anche alla scala valori: l’analisi post-hoc ha rivelato un migliore allineamento fra valori individuali e organizzativi per il Personale delle ambulanze e per gli Operatori del 118, mentre il gruppo dei Vigili del Fuoco è quello che si dimostrava meno integrato nei valori della struttura di appartenenza (Argentero e Setti, 2008). Infine, anche rispetto alla variabile Equità, l’ANOVA indicava la presenza di una differenza statisticamente significativa che l’analisi post-hoc ha evidenziato essere a favore delle Forze dell’Ordine.
Secondariamente, in relazione invece al confronto tra le diverse categorie di operatori dell’emergenza rispetto alle variabili socio-anagrafiche, prendendo in esame la variabile genere, l’unica differenza statisticamente significativa posta in evidenza dall’ANOVA riguarda la scala Integrazione sociale, in particolare erano i soggetti di sesso maschile a sentirsi più integrati nel team di lavoro rispetto alle donne. Per la variabile età, il solo dato statisticamente significativo riguardava la dimensione del Controllo: il punteggio medio più elevato si registrava a favore delle persone con età superiore ai 40 anni. Tale risultato è stato ulteriormente confermato dall’ANOVA condotta sulla variabile anzianità lavorativa, per la quale sono i soggetti con una più lunga esperienza nel settore (superiore ai 20 anni) presentavano punteggi medi più alti nella dimensione Controllo. È stata interessante anche la variabile anzianità lavorativa perché, in relazione alla scala “Carico di lavoro” è emerso che: sono i soggetti con un’esperienza nel settore di medio lunga durata, ossia compresa fra i 6-12 anni e fra i 13-20 anni a percepire un minor carico di lavoro, dunque una minore pressione sul posto di lavoro. In conclusione, relativamente alla dimensione dell’Energia, l’ANOVA non ha posto in evidenza l’esistenza di una differenza significativa, tuttavia i dati relativi a tale variabile si distribuiscono secondo una precisa tendenza, simile a quella presentata dai dati relativi alla scala Carico di lavoro: in corrispondenza delle fasce d’anzianità lavorativa più bassa (inferiore a 5 anni) i punteggi medi tendono ad essere piuttosto scarsi, per poi salire sensibilmente e stabilizzarsi in corrispondenza di un’anzianità medio-alta (compresa cioè fra i 6-12 anni e fra i 13-20 anni), per poi abbassarsi nuovamente per i soggetti con una lunghissima esperienza nel settore (superiore ai 20 anni) .
Rapportando i risultati ottenuti ad altre ricerche presenti in letteratura (2008), i due Autori hanno posto in evidenza che il punto medio alto ottenuto dalle Forze dell’ordine nella variabile Energia, è confermato anche da altre ricerche (Kroes, 1988; Toch,2002; Violanti e Paton, 1999). Ancora, in merito alle Forze dell’Ordine, è emerso nella ricerca punteggio maggiore nel Coinvolgimento, sebbene però non sia confermato da altre ricerche, in cui invece si dimostrano generalmente meno coinvolte nel loro lavoro se confrontate con altri operatori impegnati nel settore dell’emergenza (Kop e Euwema, 2001). Si può dunque affermare che, in base ai dati qui presentati relativamente ai costrutti dell’Energia e del Coinvolgimento, le Forze dell’Ordine rappresentano il gruppo professionale esposto in minore misura al rischio di sviluppare burnout; in effetti, alcune altre ricerche confermano questa tendenza: uno studio condotto sulla polizia norvegese (Schaufeli e Buunk, 2002) riporta una frequenza di burnout pari soltanto all’1%, percentuale del tutto sovrapponibile a quella della popolazione generale. Tale dato è attribuibile alla presenza, sul luogo, di un’assistenza psicologica costante offerta agli operatori, aspetto invece ancora tendenzialmente carente nel nostro Paese. Probabilmente un’altra risorsa importante che essi hanno a disposizione è la consapevolezza dell’utilità sociale dell’attività svolta, nonostante le condizioni stressanti, e talora anche personalmente rischiose, che devono essere affrontate. È inoltre ipotizzabile che i soggetti destinati a entrare nelle Forze dell’Ordine, se considerati rispetto alle altre categorie di operatori dell’emergenza, vengano sottoposti a processi di selezione condotti in maniera approfondita, finalizzati cioè a identificare le persone maggiormente in grado di affrontare questo tipo di ruolo professionale, distinguendole da coloro che, per le proprie caratteristiche psicologiche, non riuscirebbero invece a fronteggiare i forti stressor che tale attività implica.
Un altro aspetto particolarmente interessante emerso dalla ricerca riguarda la percezione di poter esercitare un controllo sulla propria attività e la sensazione di operare in un ambiente caratterizzato da una forte integrazione sociale; a questo proposito i Vigili del Fuoco hanno ottenuto punteggi medi significativamente superiori rispetto a quelli delle altre categorie professionali sia nella scala Controllo sia nella scala Integrazione Sociale. Precedenti ricerche hanno posto in evidenza come la possibilità di percepirsi integrati nel team di lavoro possa costituire un importante fattore protettivo nei confronti del rischio di sviluppare effetti psicologici negativi: è stato, a tale proposito, evidenziato che svolgere la propria attività in maniera operativa sul campo (è il caso dei Vigili del Fuoco inclusi in questo campione) anziché in un contesto d’ufficio, contribuisce ad incrementare la sensazione di appartenenza al gruppo, di integrazione sociale e di sostegno da parte dei colleghi, dunque in ultima istanza la capacità di coping nei confronti degli stressors lavorativi (Corneil et al, 1999).
Per quanto riguarda il secondo obiettivo della ricerca, relativo al confronto fra i soggetti del campione in base alle variabili socio-anagrafiche (cioè senza riferimento alla categoria professionale d’appartenenza), volendo approfondire i dati dotati di significatività statistica, si è preso in esame il genere: sembra che siano i maschi a presentare una percezione di integrazione sociale superiore a quella delle femmine (tale dato va tuttavia recepito con attenzione in quanto i due gruppi sono numericamente molto diversi). Un ulteriore elemento da porre in evidenza concerne la percezione del controllo, rispetto alla quale si sono rilevate differenze significative sia per la variabile età sia per l’anzianità lavorativa: sono infatti i soggetti più anziani (età superiore ai 40 anni) e quelli con una più lunga esperienza nel settore (oltre 20 anni) ad avere una percezione di maggiore controllo sulle attività svolte. È sembrato dunque evidente che la sensazione di poter esercitare una forma di controllo sui compiti lavorativi quotidiani si sviluppi in seguito ad una lunga esperienza nel ruolo lavorativo, alla quale si accompagna evidentemente un’età anagrafica maggiore. La sensazione di non subire un eccessivo carico di lavoro sembra invece essere migliore per coloro che presentano un’anzianità di servizio di medio-lunga durata (ossia compresa fra 6 e 20 anni), mentre risultati medi significativamente inferiori si registrano per persone con un’anzianità molto breve o, al contrario, molto lunga. È presumibile che nelle fasi iniziali di un’attività particolarmente stressante gli operatori non abbiano ancora sviluppato le strategie di coping necessarie per riuscire a gestire in modo equilibrato i compiti assegnati, elemento che può condurre a percepire un pesante carico di lavoro; analogamente è possibile ipotizzare che, dopo molti anni di esperienza nel settore, e nonostante la presenza di condizioni lavorative sostanzialmente immutate, i professionisti tendano a percepire maggiore carico di lavoro, e di conseguenza a sperimentare un senso di stanchezza, in seguito alle pressioni altamente stressanti ricevute nel corso di un lungo periodo di attività.
In sintesi, il risultato più importante emerso riguarda il diverso livello di benessere presente nelle categorie professionali esaminate: nelle Forze dell’Ordine si sono riscontrati più elevati livelli di Coinvolgimento e di Energia mentre, al contrario, negli Operatori del 118 si è verificata una situazione personale più vicina al burnout. Concludendo, va sottolineato un limite del presente studio, derivante dalla disomogeneità numerica dei gruppi professionali coinvolti; la differente numerosità delle quattro categorie lavorative prese in considerazione può parzialmente limitare la generalizzabilità dei risultati ottenuti.” (Argentero e Setti, 2008).
Un interessante articolo in quest’ambito psicologico è quello di Pietrantoni e colleghi (2003). Gli Autori asserivano nel loro articolo (2003) che negli ultimi trent’anni siano stati realizzati numerosi studi sul burnout in gruppi lavorativi quali infermieri, medici, operatori sociali ed insegnanti, ma il gruppo di lavoro di polizia è stata indagato raramente, sebbene esso non essere semplicemente classificato come helping profession, perchè se gli operatori sociali e sanitari centrano il loro focus di attenzione suoi vari bisogni dell’essere umano, il poliziotto orienta il suo focus sulla lex e sul conseguente principio di autorità che ne discende (Pietrantoni e Prati, 2003); ciò rende la sua identità personale e sociale più complessa e articolata (Pietrantoni e Prati, 2003). Kop, Euwema e Schaufeli (1999) hanno fatto riferimento a ricerche dalle quali si deduce che l’esaurimento emozionale e la depersonalizzazione (dimensioni del burnout) siano fortemente correlati ad un diminuito benessere e ad un maggiore atteggiamento cinico nei confronti dei cittadini e della direzione. Dalla loro ricerca (Kop, Euwema e Schaufeli, 1999) emerse che i poliziotti con una certa esperienza di lavoro (16-25 anni di carriera) ottenevano alti punteggi nelle dimensioni presentate prima. Inoltre, non riscontrarono differenze significative fra il livello di burnout misurato negli agenti di Polizia e quello di altri lavoratori «a rischio» (infermieri, medici, operatori sociali, insegnanti) (Kop, Euwema e Schaufeli, 1999). Gli Autori, nel tentativo di spiegare questo fenomeno, diedero una triplice spiegazione (Pietrantoni e Prati,2003). La prima riguardava il fatto che il lavoro in Polizia non è così stressante come spesso viene ideato dall’opinione pubblica: gli agenti di Polizia hanno tempi maggiori per recuperare in seguito a eventi stressanti e il lavoro in Polizia comprende anche lavoro d’ufficio, quindi non c’è sempre un contatto diretto con le persone (Pietrantoni e Prati, 2003). La seconda si riferiva all’effetto selezione: i poliziotti vengono selezionati in base alla resistenza allo stress, quindi tra chi è più predisposto a gestire efficacemente le situazioni difficili (Pietrantoni e Prati, 2003). La terza riguarda la cultura in Polizia, spesso descritta attraverso norme che valorizzano la conformità al ruolo di genere maschile, e quindi incoraggia l’occultamento di problemi emozionali, quindi questa mancata differenza tra poliziotti e altre categorie lavorative sarebbe dovuta alle risposte falsate ai questionari date dai poliziotti che non vogliono ammettere i propri problemi emotivi (Pietrantoni e Prati, 2003).
A questo proposito si tira in ballo uno studio sulla polizia penitenziaria condotto da Gabriele Prati e Sara Boldrin (2011). Gli Autori (Prati e Boldrin, 2011) hanno riscontrato che nella letteratura scientifica sugli operatori penitenziari la maggioranza degli studi si è concentrata sugli aspetti organizzativi, ad esempio: rapporto con i superiori, carico del lavoro, conflitto di ruolo, conflitto casa-lavoro e percezione di sicurezza (Schaufeli e Peeters, 2000; Dowden e Tellier, 2004). Kommer (1990) ha riportato che circa il 70% degli operatori di Polizia Penitenziaria presentava un notevole affaticamento per via del sovraccarico di lavoro: dovevano svolgere molti incarichi in poco tempo, con periodi di riposo brevi e dovevano eseguire compiti differenti simultaneamente. Un altro fattore che può provocare un forte stress nei poliziotti penitenziari è l’ambiguità che caratterizza il loro ruolo: da un lato, infatti, devono sorvegliare, mentre dall’altro devono rieducare (Prati e Boldrin, 2011). Alcuni studi (Cheeck e Miller,1983; Tewksbury e Higgins, 2006) hanno messo in luce che il conflitto tra queste due funzioni è fortemente correlato con lo stress. Il contatto diretto con la popolazione reclusa è un altro fattore (Poole e Regoli,1981): esiste infatti una relazione positiva tra lo stress lavorativo e la percentuale di tempo passato a contatto diretto con i detenuti (Schaufeli e Peeters, 2000; Moon e Maxwell, 2004). Pertanto, il burnout è uno dei temi più investigati nel lavoro in polizia penitenziaria, assieme al benessere psicologico o di morbilità psichiatrica (Schaufeli e Peeters, 2000). Lo scopo della ricerca di Prati e Boldrin (2011) pertanto è stato quello di indagare i fattori di rischio per la salute psicologica e per il burnout nel lavoro in polizia penitenziaria. In particolare, le domande che gli Autori (Prati e Boldrin, 2011) si sono posti erano:
- “Quali sono i maggiori fattori di stress lavorativo che possono associarsi, negli operatori di polizia penitenziaria, a burnout e benessere psicologico?
- Incidono in misura maggiore i fattori organizzativi o gli eventi critici di servizio?” (Prati e Boldrin, 2011).
Di seguito verrà riportata integralmente la redazione di ricerca di Prati e Boldrin (2011).
“La ricerca si è svolta in quattro carceri piemontesi (Torino, Novara, Biella e Verbania); si è scelto di utilizzare quale strumento di raccolta dati un questionario costruito appositamente mediante interviste riguardanti tematiche inerenti il lavoro di polizia penitenziaria. Per la somministrazione del questionario si è chiesta e ottenuta un’autorizzazione da parte del Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria del Piemonte. Prima di ottenere questa autorizzazione il questionario è stato visionato, oltre che dal Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria del Piemonte, anche dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, con sede a Roma, per controllare le tipologie di domande che vi erano state inserite. Ricevuta l’autorizzazione, si è proceduto a contattare telefonicamente i singoli istituti per prendere accordi sul giorno e sull’orario in cui si sarebbero potuti consegnare i questionari. La ricerca è avvenuta nel periodo tra gennaio e febbraio 2010. I questionari erano anonimi e, dopo la loro compilazione sono stati inseriti in una busta chiusa e sono stati consegnati direttamente a uno degli autori del presente studio. I questionari distribuiti nelle quattro carceri prese in esame sono stati 500; ne sono stati consegnati 50 alla Casa Circondariale di Verbania, 100 alla Casa Circondariale di Biella, 120 alla Casa Circondariale di Novara e 230 alla Casa Circondariale di Torino.
Il questionario utilizzato per la ricerca è suddiviso in tre sezioni. Le istruzioni necessarie per la compilazione, che si trovano nella prima facciata, sono seguite dalla sezione in cui si indagano gli stressor connessi al lavoro in un istituto penitenziario. Le affermazioni e le domande riguardano principalmente i possibili eventi stressanti relativi ad aspetti organizzativi ed eventi critici di servizio vissuti personalmente dai rispondenti negli ultimi sei mesi, quali ad esempio le offese, le minacce e le aggressioni fisiche da parte di un detenuto. Per rilevare gli stressor organizzativi, si sono create affermazioni alle quali i partecipanti potevano rispondere esprimendo il loro accordo, da -3 (totalmente in disaccordo) a +3 (totalmente d’accordo). Per rilevare il grado di esposizione a eventi critici di servizio si è posta agli operatori la seguente domanda “Negli ultimi sei mesi quante volte ha vissuto personalmente gli eventi seguenti”, presentando successivamente gli specifici eventi che potevano rispondere indicando la frequenza da “mai” a “ogni giorno”. La sezione successiva comprende la versione a 12 item del General Health Questionnaire (Piccinelli et al., 1993), in base al quale ad alti punteggi corrisponde un basso benessere.
Nell’ultima sezione si trova la versione italiana della scala a 16 item del Maslach Burnout Inventory-General Survey (Borgogni et al. ,2005), finalizzata proprio a indagare tale sindrome suddivisa in tre sottoscale: l’esaurimento emotivo, la realizzazione personale e la depersonalizzazione. Ad alti punteggi nelle tre sottoscale corrispondono elevato esaurimento emotivo, elevata realizzazione personale ed elevata depersonalizzazione.
Infine, nell’ultima parte del questionario, si sono raccolte le informazioni generali sull’operatore quali l’anno di nascita, il genere, la qualifica, etc.
I partecipanti a questa ricerca sono stati 188. La maggioranza delle persone che hanno aderito a essa sono di sesso maschile, infatti hanno risposto al questionario 138 uomini e 33 donne. L’età media è di 38.6 anni. Riguardo al titolo di studio, 81 partecipanti sono in possesso del diploma di scuola media inferiore, altri 81 hanno il diploma di scuola media superiore, 7 sono laureati ed uno ha conseguito la scuola elementare. Si sono poi suddivise le diverse qualifiche ricoperte dagli operatori di Polizia Penitenziaria in quattro gruppi: il primo, che comprende agenti, agenti scelti, assistenti e assistenti capo è il più numeroso ed è composto da 153 rispondenti; il secondo, che include vice sovrintendenti, sovrintendenti e sovrintendenti capo è molto meno numeroso rispetto al precedente e include 12 persone; il terzo, composto da vice ispettori, ispettori, ispettori capo, ispettori superiori, comprende 8 partecipanti; infine, il quarto, composto da vice commissari, commissari, commissari capo e commissari coordinatori contiene 3 rispondenti. L’anzianità di servizio andava da un minimo di 4 mesi ad un massimo di 33 anni. Solitamente il lavoro in carcere è scandito da diversi turni, ma non tutti i rispondenti ne sono soggetti; 148 persone svolgono un lavoro che prevede prevalentemente turnazioni, ma altre 30 mantengono sempre lo stesso orario. Infine è stata indagata la percentuale di tempo passata a contatto diretto con i detenuti, durante il proprio turno di lavoro. La maggioranza, ovvero 75 persone ha risposto che la percentuale di tempo passata con la popolazione reclusa è del 100%.” (Prati e Boldrin, 2011).
Di seguito vengono inserite le conclusioni dello studio di Prati e Boldrin (2011).
“Lo scopo del presente studio era quello di mettere in relazione fattori di stress organizzativi ed eventi critici di servizio con misure di benessere organizzativo tra operatori di Polizia Penitenziaria. Dai risultati emerge che i fattori che possono causare maggiormente la sindrome di burnout negli operatori di Polizia Penitenziaria sono legati all’organizzazione carceraria. I fattori individuali, invece, come ad esempio il genere, l’età e l’anzianità di servizio non hanno presentato correlazioni significative con tale sindrome, confermando così le ricerche di Hurst e Hurst (1997) e di Triplett e Mullings (1996). Diversamente da quanto emerge da studi internazionali (Pietrantoni et al., 2003; Moon e Maxwell, 2004), la sindrome di burnout non è correlata positivamente con l’elevata percentuale di tempo passato a contatto diretto con i detenuti. Questo conferma,invece, la ricerca di Petitta, Rinaldi e Manno (2009), in cui si nota che gli operatori che lavorano a stretto contatto con i reclusi e coloro che non si relazionano ad essi presentano statisticamente gli stessi livelli di burnout. È possibile, pertanto, che il livello di benessere organizzativo degli operatori di polizia penitenziaria dipenda quindi non dalla quantità di tempo passato con i detenuti ma da come e in quale contesto ci si relaziona con essi.
Ne deriva che una parte della spiegazione tra rapporto con i detenuti e benessere organizzativo dipenda dai fattori di stress lavorativo e dalla frequenza di eventi critici di servizio. In generale i risultati di questo studio hanno mostrato che fattori organizzativi ed esposizione a eventi critici di servizio possono avere relazioni di media o moderata entità con misure di benessere organizzativo. Le condizioni o gli stressor organizzativi che hanno presentato un’elevata correlazione con il burnout sono stati diversi. Gli stressor maggiormente riportati come presenti all’interno dei quattro contesti presi in esame, come ad esempio, il sovraffollamento, il rapporto con i detenuti stranieri e la carenza di personale, non sono gli stessi che hanno presentato un’elevata correlazione con le tre sottoscale del burnout e il GHQ. Il sovraffollamento, quindi, in questi contesti non è legato a tale sindrome, a conferma di quanto è emerso nella ricerca di Grasso e Clementi (2006).
L’esaurimento emotivo è legato soprattutto alle conseguenze negative che il proprio lavoro può provocare nei rapporti sociali, alla pesantezza emotiva delle situazioni che si incontrano in carcere, allo scarso sostegno e ai richiami considerati ingiusti da parte dei superiori; rispetto a ciò una testimonianza può far comprendere come può essere difficile lavorare in un istituto in cui esistono rapporti problematici tra superiori e sottoposti: “Mi accorgevo sempre di più di essere un numero, uno tra tanti, per niente considerato dai miei superiori che parevano non riconoscere la divisa dell’agente, le esigenze del singolo, in un’opera di massificazione ingiusta e dolorosa. (…) Non ho mai perso il controllo neanche quando incontravo superiori gerarchici rigidi e impietosi, che spesso infierivano sulle guardie, come sfogo emotivo” (Robuffo, 2009). Lo straordinario è un altro fattore organizzativo correlato all’esaurimento emotivo; tuttavia, tale fattore di stress non è particolarmente diffuso: tra coloro che hanno partecipato a questa ricerca, infatti, solamente una minoranza dei rispondenti ha riportato di fermarsi spesso oltre l’orario. La realizzazione personale, invece, è maggiormente legata alle eccessive richieste lavorative e all’elevato rischio di aggressione. Questi due risultati possono sembrare contro-intuitivi. In realtà la relazione positiva tra carico di lavoro e Realizzazione personale è stata riscontrata anche nello studio di Dignam, Barrera, West (1986). Secondo i ricercatori questo risultato può essere spiegato tenendo conto delle differenze tra lavoro in ambienti in cui la cura e l’assistenza sono gli obiettivi primari e altri in cui lo è la custodia. Un operatore di polizia penitenziaria sarebbe centrato meno sull’assistenza rispetto a un infermiere, per cui potrebbe riuscire a gestire un numero maggiore di persone traendo soddisfazione per gli aspetti più quantitativi (numero di persone) piuttosto che qualitativi (qualità della relazione) del suo lavoro. A nostro avviso, un’altra spiegazione potrebbe avere una sua validità. Questo risultato potrebbe essere spiegato, infatti, dalla teoria del flow (Csikszentmihaly, 1997), sostenendo che l’esperienza ottimale si ha nel momento in cui c’è una convergenza fra richieste dell’ambiente e capacità personali, le aumentate richieste lavorative possono risultare stimolanti per gli operatori che si sentono in grado di gestirle favorendo così l’esperienza ottimale o flow. Con tutte le dovute cautele, la teoria del flow potrebbe spiegare anche la relazione fra rischio di aggressione e realizzazione personale. Va sottolineato come non vi sia relazione tra tutte le altre misure di benessere organizzativo, quali esaurimento emotivo, depersonalizzazione e GHQ, e il rischio di aggressione, un indicatore del livello di sicurezza. Tale variabile risulta, invece, tra i maggiori predittori di stress lavorativo nella meta-analisi di Dowden e Tellier (2004). Un altro risultato contro-intuitivo ottenuto riguarda la relazione tra Depersonalizzazione e la presenza di personale sufficiente per gli impegni richiesti. È possibile che il senso di sfiducia nei confronti del significato e del valore del proprio lavoro possa portare gli operatori a percepire che le difficoltà incontrate siano intrinseche al tipo di professione e non tanto ad aspetti contingenti quali la carenza di personale. Sono necessari, tuttavia, ulteriori studi i quali potranno confermare o meno tale relazione ed eventualmente tale interpretazione.” (Prati e Boldrini, 2011).
Dopo aver esposto alcuni studi condotti in Italia sul Burnout, nel successivo capitolo verranno proposte delle ricerche sul burnout nelle professioni d’aiuto, nello specifico negli insegnanti, argomento portante della presente tesi.
© Il Burnout negli insegnanti – Federica Sapienza