Il disagio nelle relazioni lavorative:La storia di Rossana, una storia sconosciuta
“Mi manca il respiro. Perdo peso. Non riesco a staccare la spina.”
Rossana1 è una lavoratrice di circa cinquant’anni che da qualche anno subisce atti vessatori sul luogo di lavoro; è una persona stanca, arrivata al limite, che paga le conseguenze di questi atteggiamenti messi in atto quotidianamente da parte dei colleghi e dei superiori. Le sue parole sono esplicative di una situazione venutasi a creare nel tempo, frutto di violenze e maltrattamenti che colpiscono il fisico quanto la mente. Come Rossana, tante altre persone in Italia e nel resto del mondo vivono situazioni come questa, spesso non sapendo come porvi rimedio, andando ogni giorno a lavorare consapevoli che quell’ambiente sfavorevole non farà altro che peggiorare la situazione.
“Mi rendo conto di aver bisogno di aiuto.”
Termina con queste parole disperate il resoconto della storia di Rossana2, che mette nero su bianco quanto puntualmente le accade nella sede lavorativa, esplicitando ogni singola ritorsione, maltrattamento e violenza subìta. Queste parole sintetizzano il pensiero di Rossana e di chi reputa essere vittima del reato di mobbing – che in Italia non è considerato tale – 3, persone non più in grado di reggere la situazione di disagio lavorativo perpetrata nel tempo.
Il termine mobbing viene così tradotto dall’inglese: «assalire» e «molestare, angariare»; quindi «molestia, angheria»; ed è anche definito come “forma di molestia psicologica esercitata sul personale delle aziende, consistente nell’impedirgli di lavorare o nel porgli insopportabili costrizioni nello svolgimento del lavoro”4.
Il professor Heinz Leymann5 è uno dei principali studiosi di questo fenomeno, per primo ne ha circoscritto le caratteristiche fondamentali, stabilendo il ruolo degli attori principali (mobber e mobbizzato) e definendo le conseguenze fisiche e psicosociali che colpiscono le vittime. Parafrasando le parole di Leymann estratte dall’enciclopedia online The Mobbing Encyclopaedia 6, il mobbing è definito come:
“Il mobbing o terrore psicologico sul posto di lavoro consiste in messaggi ostili e moralmente scorretti, diretti sistematicamente da uno o più individui verso un solo individuo, il quale, a causa del perpetuarsi di tali azioni, viene posto e mantenuto in una condizione di impotenza e incapacità a difendersi. Le azioni di mobbing si verificano molto frequentemente (almeno una volta alla settimana) e per un lungo periodo di tempo (per almeno sei mesi). A causa della frequenza elevata e della lunga durata del componente ostile, questo maltrattamento produce uno stato di considerevole sofferenza sul piano mentale, psicosomatico e sociale.”
Heinz Leymann (1984), con la prima pubblicazione scientifica sull’argomento, introduce l’uso del termine mobbing per indicare la particolare forma di vessazione esercitata nel contesto lavorativo, il cui fine consiste nell’estromissione reale o virtuale della vittima dal mondo del lavoro. Leymann (1984) inizia ad utilizzare la parola mobbing per indicare una forma di comunicazione ostile ed immorale diretta in maniera sistematica da uno o più individui (mobber o gruppo mobber) verso un altro individuo (mobbizzato) che si viene a trovare in una posizione di mancata difesa.
Come sottolinea Harald Ege7 (1997), il mobbing è un fenomeno solo recentemente teorizzato, ma che in realtà è da sempre facente parte delle vite dei lavoratori.
In Italia, in base ai dati emersi dalla prima ricerca scientifica sul mobbing, condotta da PRIMA Associazione Italiana contro Mobbing e Stress Psicosociale di Bologna nel 1998 su un campione di 301 vittime, soffrono per mobbing più di un milione di lavoratori. I settori più colpiti sono l’industria e la Pubblica Amministrazione, seguiti da scuola, sanità e settore bancario. Tra le fasce più colpite, secondo l’ultima indagine statistica condotta da Ege (2001), risultano gli uomini tra i 30 e i 40 anni e le donne tra i 40 e i 50 anni. L’indagine ISTAT condotta nel 2010 in Italia su un campione di circa 30 milioni di lavoratori in riferimento al disagio lavorativo, afferma che circa il 9% dei lavoratori confessa di aver subito nel corso della propria attività lavorativa una privazione dei compiti, un demansionamento o una forma di vessazione. In particolare il 6,7% ha vissuto una situazione di disagio lavorativo negli ultimi tre anni, mentre il 4,3% negli ultimi 12 mesi. Sono soprattutto le donne a subire vessazioni: l’1,6% in più dei colleghi maschi. Nello specifico, l’analisi ISTAT ha indagato i disagi di coloro i quali nella loro vita lavorativa hanno avuto superiori o colleghi o persone a loro sottoposte (84,7% del totale).
“Il lavoro che (non) fa per te”. Il disagio nelle relazioni lavorative: un’indagine psicosociale sul territorio di Venezia – © Maurizio Casanova
1) Rossana è un nome fittizio.
2) Le parole riportate sono tratte da alcuni resoconti stilati da persone vittime del mobbing che hanno richiesto aiuto presso lo sportello antimobbing delle CGIL di Venezia Mestre. Nel quarto capitolo viene presentata un’analisi dettagliata.
3) Il mobbing non è un reato previsto dal codice penale italiano. La figura di reato maggiormente prossima ai connotati caratterizzanti il mobbing è quella dei maltrattamenti commessa da persona dotata di autorità per l’esercizio di una professione. Il 29 agosto 2007, la V Sezione della Cassazione Penale (Pres. Pizzuti – Rel. Sandrelli), pubblicava la sentenza n. 33624, affermando in linea di principio che nell’ipotesi di mobbing basato su una mirata reiterazione di una pluralità di atteggiamenti, anche se non singolarmente connotati da rilevanza penale, convergenti nell’esprimere l’ostilità del lavoratore attivo verso la vittima, non è possibile individuare la violazione di una specifica norma penale, nella specie quella che integra il reato di lesioni personali volontarie.
4) Dizionario online www.treccani.it, consultato il 4 Aprile 2013.
5) Il primo ricercatore che cominciò a studiare il mobbing come violenza psicologica nel luogo di lavoro ed in quanto tale responsabile di patologie per chi lo subisce, è stato lo psicologo tedesco Heinz Leymann (1986), che illustrò le conseguenze, soprattutto nella sfera psicosociale, di chi è esposto ad un comportamento ostile protratto nel tempo da parte di superiori o dei colleghi di lavoro.
6) http://www.leymann.se/English/frame.html, consultato il 4 Aprile 2013.