TEORIE SULLE EMOZIONI
Gli psicologi hanno assunto posizioni contrastanti relativamente alla natura, l’origine e la funzione delle emozioni. In particolare, nel 1884 il più eminente psicologo americano William James propone la “Teoria dell’emotività periferica o viscerale”, secondo la quale l’evento emotigeno causa una serie di cambiamenti a livello viscerale e neurovegetativo, che vengono percepiti e interpretati dall’individuo come esperienza emotiva. Secondo James alla base di questo sentire emotivo c’è l’arousal, o attivazione fisiologica dell’organismo, senza il quale non sarebbe possibile neanche definire un’emozione. Egli ritiene che “non piangiamo perché siamo tristi, ma siamo tristi perché piangiamo”.
La posizione di James è stata molto criticata, soprattutto da Walter Cannon, che riteneva che i visceri fossero troppo poco sensibili e le loro reazioni troppo indifferenziate per poter essere considerati effettivamente la fonte principale delle emozioni. Egli nel 1927 ipotizza la “Teoria centrale o neurologica” delle emozioni, attraverso la quale ipotizza che il circuito posto come base dell’attivazione e della regolazione delle emozioni umane comprende tutta la regione talamica dell’encefalo composta da talamo, ipotalamo e amigdala.
Prendono corpo in questo periodo anche altre ipotesi, come l‘ “Ipotesi del feedback facciale”, che prevede un rapporto diretto tra le espressioni facciali e il sentire emotivo: modificando volontariamente le espressioni facciali vengono in qualche modo influenzate anche le emozioni corrispondenti. Inoltre, si sviluppa la “Teoria vascolare dell’efferenza emotiva”, che spiega come il ritmo e le modalità di respirazione, causando un cambiamento della temperatura dell’ipotalamo, influenzano di conseguenza gli stati emotivi: il raffreddamento ipotalamico è condizione base per stati emotivi positivi mentre, al contrario, un innalzamento della temperatura di questa regione porta a stati emotivi negativi. Questa teoria è alla base di discipline quali la meditazione trascendentale, lo yoga, il training autogeno.
Le posizioni di James e Cannon, entrambe centrate sugli aspetti neurofisiologici dell’emotività, risultano incomplete in quanto escludono gli aspetti psicologici. Il primo a proporre un modello che all’attivazione fisiologica affianca una componente di natura psicologica che spiega l’attivazione fisiologica sulla base di un evento emotigeno è Stanley Schachter, con la sua “Teoria cognitivo-attivazionale o Teoria dei due fattori”.
Schachter, psicologo statunitense, ritiene che entrambe le componenti, imprescindibili per sperimentare un qualsiasi stato emotivo, devono essere accompagnate da un secondo atto cognitivo, successivo alla percezione e al riconoscimento dello stato emotivo, che permetta di stabilire una connessione tra i due fattori dando il giusto nome all’emozione che si sperimenta. Egli riesce a dimostrare che le persone spinte ad attribuire ad una determinata situazione un’attivazione indipendente da uno stato emotigeno produrranno risposte emotive coerenti con l’associazione formata.
Negli anni Ottanta sono nate le cosiddette “Teorie dell’appraisal”. “Appraisal” è un termine inglese che significa “valutazione”: con esso si designa la valutazione cognitiva degli stimoli. Alcuni studiosi sostengono che emozioni diverse sono caratterizzate da diversi sistemi valutativi, composti da specifiche componenti o dimensioni; l’appraisal, quindi, è all’origine della risposta emozionale. Essi ritengono inoltre che le emozioni non possono nascere senza una ragione, e che la loro origine è riscontrabile sempre in una qualche forma di valutazione cognitiva della situazione collegata all’evento emotigeno, con tutti i suoi legami con le aspettative, gli scopi, i desideri del soggetto coinvolto. In questo modo si mette in risalto, accanto alla valutazione cognitiva, l’importanza della soggettività nella percezione di un’esperienza emotiva. Le principali valutazioni riguardano il carattere piacevole o spiacevole dell’evento cui segue l’emozione, la sua novità, la sua durata, l’incertezza circa le sue conseguenze, la sua compatibilità con le norme sociali di riferimento e con l’immagine che l’individuo ha di sé.
Altri studiosi, rifacendosi agli studi di Darwin, hanno valutato le emozioni come reazioni alla sopravvivenza della specie umana, attraverso la “Teoria psicoevoluzionistica”. Le emozioni, in particolar modo quelle primarie, vengono concepite all’interno di questa teoria come qualcosa di unitario ed innato nell’uomo; esse insorgono quindi in maniera automatica, così come le corrispettive espressioni facciali che le caratterizzano.
© Chiedimi se sono felice:Analisi del Clima Organizzativo e del suo effetto sulle risorse umane – Dott.ssa Sonia Barbieri