Questionari che indagano la percezione individuale dello stress:
Ripartendo sempre dalla classificazione proposta da Magnavita (2008), l’autore promuove per la valutazione dello stress percepito due questionari: il Job Content Questionnaire (JCQ) di karasek e l’ERI (Effort-Reward Imbalance) di Siegrist entrambi citati anche all’interno della rassegna proposta da Tabanelli et al. (2008).
Entrami i modelli teorici ai quali i due questionari fanno rispettivamente riferimento sono stati ampiamente illustrati nel secondo capito.
Job Content Questionnaire (JCQ) di karasek:
Attualmente il modello sviluppato da Karasek (1979) sembra essere considerato uno dei più attendibili e quello più ripetutamente utilizzato in quanto ritenuto concettualmente utile per descrivere le principali variabili organizzative, rappresentate da una elevata domanda psicologica del lavoro (psychological job demand – PJD) connessa a scarse capacità di risposta (decision latitude – DL), per inadeguate capacità acquisite (skill discretion) e scarsa libertà decisionale (decision authority). Il modello è stato ampliato in un secondo momento (1988) ed è stata aggiunta una terza variabile, il supporto sociale sul posto di lavoro (social support at work – SS), individuata come significativo fattore moderatore, se elevato, della relazione tra PJD e DL. Le variabili PJD, DL e SS vengono indagate tramite il Job Content Questionnaire (JCQ). Sono state approntate almeno tre edizioni italiane del questionario di Karasek.
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- La prima, ridotta, di 15 domande è stata tratta dal manuale messo a punto per lo studio dei fattori psicosociali nell’ambito del progetto MONICA-OMS nel 1985.
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- La seconda versione, di 35 domande, è stata riconosciuta dall’autore e utilizzata dallo studio JACE nell’ambito dei programmi BIOMED della Comunità Europea nel 1996.
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- La terza, è stata predisposta da ricercatori dell’ENEA di Bologna nel 1998 che, nel tradurla dall’originale, hanno apportato gli adattamenti ritenuti più necessari per l’utilizzo del questionario in contesti lavorativi nazionali (in particolare nell’industria tessile e nel terziario).
Questa versione rappresenta di fatto la “recommended version” di 49 items, articolata in 8 macrovariabili: 3 sulla dimensione controllo i cui items indagano su “giudizio circa le proprie capacità”, “potere decisionale in rapporto al compito specifico” e “potere decisionale a livello di politica aziendale”; 3 sulla dimensione domanda i cui items indagano su “carico di lavoro psicologico”, “carico di lavoro fisico” e “insicurezza lavorativa” mentre le 2 restanti dovrebbero consentire valutazioni sugli aspetti relazionali (supporto sociale da parte dei superiori e supporto sociale da parte dei colleghi, rispettivamente).
Vi è autorevole testimonianza in letteratura che, al di là delle due dimensioni fondamentali controllo e domanda, il supporto sociale sia da intendersi come ulteriore risorsa disponibile e come “modulatore” delle richieste che provengono dal contesto lavorativo.
Gli item sono formulati sotto forma di affermazioni: “il mio lavoro richiede che impari cose nuove”; “il mio lavoro mi permette di prendere decisioni in autonomia”; “il mio lavoro richiede un elevato livello di competenza”; “il mio lavoro richiede da fare le cose molto velocemente”; “il mio lavoro richiede intenso sforzo fisico” sulle quali i soggetti esprimono il loro parere, da decisamente no a decisamente si, su scala Likert (Baldasseroni et al.,2003).
Ferrario et al., (2008) hanno riportato i risultati ottenuti con lo Studio SEMM (Surveillance of Employees of the Municipality of Milan), condotto su un ampio campione di dipendenti comunali di Milano, sottoposti a sorveglianza sanitaria, tra il giugno del 1992 e l’aprile 1996, appartenenti a sei settori municipali diversi per un totale di 5271 donne e 2601 uomini, con percentuali di partecipazioni superiori al 75%. I partecipanti, in aggiunta alla consueta visita medica ed accertamenti relativi ai rischi professionali, sono stati sottoposti ad una procedura di indagine standardizzata per valutare lo stress
lavorativo percepito ed il rischio di malattia cardiovascolare. La rilevazione dello stress lavorativo percepito è stata realizzata tramite metodologia standardizzata, desunta dal Progetto MONICA che, come anticipato, ha utilizzato una versione ridotta del JCQ, per due dei sei settori del campione di riferimento e, tramite la somministrazione della versione standard del JCQ agli altri settori restanti.
Per i tre principali costrutti le due versioni differiscono tra loro per il numero di item che valutano la scala DL e per la presenza di item relativi alla scala SS, presenti solo nella versione più estesa.
Al fine di rendere comparabili i punteggi derivanti da un numero differente di item per le due versioni è stato sviluppato, in collaborazione con l’autore, un sistema di calcolo ponderato che permette confronti diretti dei punteggi derivati dalle diverse versioni.
Il Job Content Questionnaire ha dimostrato di essere uno strumento affidabile, mostrando una buona consistenza interna ed esterna, per la valutazione dello stress lavorativo percepito, quale indicatore di disagio attribuibile a costrittività organizzative aziendali. I coefficienti Alfa di Cronbach variano da 0,72 per la scala PJD a 0,88 per la scala SS, indicando una buona consistenza interna di tutti i costrutti principali del questionario JCQ. Le assunzioni sulla validità esterna dello strumento sono risultate soddisfatte per entrambi i sessi, con coefficienti di correlazione di Pearson pressoché nulli (-0,03 nelle donne e 0,01 negli uomini) e non statisticamente significativi, tra le scale DL e PJD, a conferma della loro ortogonalità. I valori dei coefficienti di correlazione non si sono sostanzialmente modificati disaggregando per sesso, gruppi di età ed istruzione. Inoltre, sono stati ottenuti coefficienti di correlazione lineare di 0,37 (p<0,0001) e di –0,14 (p<0,0001) tra il supporto sociale al lavoro (SS) e rispettivamente DL e PJD, ad indicare che il sostegno di capi e colleghi si associa positivamente ai livelli di percezione del controllo del lavoro e negativamente ai livelli di percezione di domanda psicologica.
Inoltre ha dimostrato essere uno strumento di elevata comprensibilità (buona compliance anche per i gruppi meno istruiti). La compilazione, infatti, del JCQ è risultata elevata, mostrando una ridotta percentuale di item mancanti (variando dal 3,6% per la scala DL al n6,3% per la scala SS).
Nonostante le evidenze gli autori consigliano comunque l’assistenza di un esperto nella fase di somministrazione e compilazione del questionario.
Gli autori concludono sostenendo che sebbene sia preferibile utilizzare la versione di riferimento per il nostro Paese (49 item), anche la versione utilizzata nel Progetto MONICA, a soli 13 item, può produrre punteggi confrontabili, se adeguatamente pesati, per i costrutti psychological job demand e decision latitude. Ai fini, però, di una corretta e completa interpretazione delle dinamiche aziendali è consigliabile l’utilizzo anche delle domande che esplorano il social support at work, disponibili solo nella versione standard.
Sono emerse evidenze che questi costrutti, se analizzati per gruppi definiti, aiutano a caratterizzare alcuni aspetti peculiari delle organizzazioni aziendali, anche nel settore pubblico. Ne sono esempi le differenti relazioni tra DL e PJD con l’età nei due sessi, l’effetto protettivo della percezione di strain da parte del supporto sociale quando presente e la caratterizzazione per i due costrutti principali di strain lavorativo degli aggregati settore lavorativo-livello di istruzione.
I risultati della ricerca hanno, infatti, anche evidenziato differenze nella percezione dello stress lavorativo all’interno del campione di riferimento.
Rispetto alle differenze di genere si evidenziano soprattutto per le due categorie estreme di job strain: maggiori proporzioni di high strain (donne 26,1% rispetto 23,1% uomini) nelle donne rispetto ad una maggior prevalenza di low strain (uomini 26,7% rispetto 22,7%) negli uomini. Distintivamente per i due sessi, le stesse categorie di job strani vengono indagate per classi di età e si rileva un aumento della prevalenza di categoria ad alto stress lavorativo nelle donne con l’aumento dell’età ed un pattern opposto negli uomini.
A questi si contrappongono gli andamenti speculari di aumento negli uomini e la diminuzione nelle donne della prevalenza di low strain.
Vengono inoltre indagati anche gli andamenti per classi di età delle prevalenze delle due categorie estreme di job strain in condizioni di buon o precario supporto sociale lavorativo.
Il sostegno, quando assente, esacerba per tutte le classi di età, ma soprattutto per quelle più giovani, la percezione di elevato stress, mentre lo attenua quando il supporto sociale è attivo. Andamenti opposti si verificano per le categorie di basso stress: diminuiscono con l’età nelle donne ed aumentano negli uomini; vengono anche per questa categoria invece confermati i dati rispetto all’effetto della variabile SS.
Valutando inoltre l’aggregato settore lavorativo – livello di scolarità, distintamente nei due sessi, emergono alcuni aspetti peculiari, meritevoli di commento:
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- i commessi e gli impiegati, con livello di istruzione medio – basso, risultano settori lavorativi caratterizzati da elevati livelli di strain percepito;
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- i lavoratori appartenenti ai settori scuola materna, polizia municipale ed impiegati con livello di scolarizzazione elevato (università) si caratterizzano come ad alto carico ed elevata libertà decisionale (active);
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- per quanto riguarda in particolare i commessi si nota un aumento del livello di high strain all’aumentare del livello di istruzione, in controtendenza rispetto ai risultati riportati da altre ricerche dello Studio JACE (iob stress, absenteeism, and coronary event) Azione Concertata del Programma BIOMED I della Comunità Europea, ove all’aumento del livello di istruzione corrisponde generalmente una diminuzione del livello di strain percepito.
Contestualmente sono stati valutati anche le assenze da lavoro per malattia, quale indicatore di disagio e malessere organizzativo ed il rischio cardiovascolare correlati allo stress lavorativo.
La maggior parte degli studi che hanno impiegato il JCQ, infatti, si sono orientati, oltre che alla valutazioni delle condizioni psicosociali del lavoro ed alla valutazione dello stress percepito, alla valutazione delle relazioni tra stress percepito e, coronaropatie, ipertensione arteriosa, patologie muscolo-scheletriche, disturbi dell’umore e disturbi comportamentali, come assenteismo e ricorso a prestazioni sanitarie, evidenziandone le correlazioni, nella maggior parte dei casi positive.
E’ importante considerare che la valutazione delle assenze, stimata, quale indicatore di disagio e di “malessere organizzativo”, se introdotta all’interno di un disegno di studio come questo, permette di individuare i determinanti strutturali, organizzativi e comportamentali.
Questi ultimi possono dare indicazioni dei livelli di accettazione lavorativa ed individuare modalità di coping alternative per migliorare l’integrazione aziendale.
In questo studio, un rischio di assenteismo elevato per requenti assenze brevi (2-7 giorni) è risultato associato al settore della polizia municipale (rispetto agli impiegati dell’anagrafe), ad un basso supporto sociale al lavoro, a bassi livelli di attività fisica nel tempo libero, ed a una ridotta anzianità lavorativa. Gli autori sostengono, a conferma dei dati, che un supporto sociale carente aumenti il rischio di assenze brevi, avvalorando l’ipotesi formulata da Edgren (1986) che individua in queste forme di assenza una modalità di coping attraverso cui gestire in modo improprio il carico di lavoro. Un rischio di assenze prolungate (8-28 giorni) risulta correlato ad una bassa classe occupazionale, a bassi ma anche ad elevati livelli di attività fisica lavorativa, alla diagnosi di ipertensione arteriosa ed al fumo attivo. Infine, le assenze lunghe (maggiori di 28 giorni) sono risultate associate al settore della polizia municipale, alla bassa classe occupazionale, ad elevati livelli di stress percepito (rapporto PJD/DL sfavorevole) ed alla presenza di familiari.
Inoltre la valutazione di rischi come quello cardiovascolare, se realizzato con metodi di misura standardizzati, evidenzia anche possibili comportamenti che incrementano il rischio di malattie.
I risultati del presente studio hanno permesso di identificare relazioni negative tra DL, fumo e indice di massa corporea che determinano un rischio ridotto di CVD complessivo tra le donne con elevati livelli di libertà decisionale. Inoltre si è verificata una correlazione positiva, anche se statisticamente debole, tra DL e pressione arteriosa sistolica , sia negli uomini che nelle donne.
Quest’ultimo dato è in opposta tendenza a quanto riportato in letteratura, rispetto al genere.
Gli autori suggeriscono di favorire l’analisi delle associazioni tra singoli fattori di rischio e stress lavorativo percepito, che possono variare in differenti contesti aziendali e tra gruppi nell’ambito della stessa azienda, in quanto potrebbe contribuire a rimuovere le condizioni che determinano gli atteggiamenti nocivi e migliorare in tal caso le possibilità preventive in ambiente lavorativo.
In conclusione si può affermare che il JCQ sembra essere un valido strumento nella valutazione dello stress percepito e che come strumento di autovalutazione ha il pregio di favorire: la valutazione del grado di stress occupazionale derivante dall’incongruenza fra impegno richiesto e possibilità di “gestire” questa tensione fra efficienza e salute, nel senso di evitare o ridurre il rischio di disturbi funzionali a carico di organi o apparati; e la percezione ed individuazione delle condizioni ambientali (fisiche ed organizzative) nell’ambito dei diversi sistemi specialistico – funzionali (i vari reparti o gruppi di lavoro), da ottimizzare secondo le priorità che emergono dalla elaborazione dei dati raccolti con gli strumenti di ricerca (Baldasseroni et al., 2003).
A supporto della validità applicativa di questo strumento è stata riportata una rassegna, con gli studi più recenti, in unRapporto Completo, pubblicato dall’ISPSEL, relativo ad un’indagine pilota condotta in Veneto nel 2005, promossa dall’Istituto Superiore per la Prevenzione e la Sicurezza del Lavoro (ISPESL) in collaborazione con la Direzione per la Prevenzione della Regione Veneto e con il contributo di Enti ed Istituti nazionali (tra gli altri Università di Padova, IN PS e INAIL).
L’obiettivo della ricerca è stato sperimentare un modello di indagine che permettesse di fornire un quadro complessivo delle condizioni di salute e sicurezza dei lavoratori di una regione italiana, quale studio pilota per la costituzione di un sistema di monitoraggio su scala nazionale.
Gli studi più recenti che hanno utilizzato il JCQ sono brevemente riassunti sotto:
In un campione della popolazione lavorativa giapponese (Tsutsumi, 2001), l’utilizzo della versione giapponese del JCQ ha permesso di rilevare un’associazione significativa tra job strain ed ipertensione (OR=1 .18; IC=1 .05-1.32) dopo aver aggiustato per i fattori di confondimento tramite regressione logistica. In un campione di lavoratori lombardi, fu dimostrata na relazione tra job strain e valori di pressione arteriosa (Cesana, 1996). Nello studio di Niedhammer [1998], i fattori lavorativi psicosociali erano significativamente associati con ipertensione, iperlipidemia, sovrappeso, abitudine al fumo, e consumo di alcol. In uno studio di coorte prospettico (Kuper, 2003) con più di 10 000 partecipanti, le persone con bassa decision latitude ed alta job demand contemporaneamente erano a più alto rischio per incidenza di patologie cardiovascolari. In un campione di lavoratori svedesi, i soggetti sottoposti a job strain ed isolamento erano ad alto rischio di sviluppare o di morire di malattie cardiovascolari (Johnson, 1989). In uno studio trasversale (Johnson, 1988), la prevalenza di patologie cardiovascolari era raddoppiata nei lavoratori con alta domanda, basso controllo, e basso supporto sociale. In uno studio caso-controlo entro coorte, i lavoratori con basso controllo e basso supporto sociale avevano un OR di morte per malattie cardiovascolari di 2.62 (IC=1.22-5.61) (Johnson, 1996). In uno studio caso-controllo su base di popolazione (Hammar, 1998), in maschi tra 30 e 54 anni in lavori con alto job strain e basso social support, l’OR di infarto del miocardio era 1.79 [IC=1 .22-2.65]. In 268 operai non diabetici di una ditta giapponese, un’elevato job strain ed un basso social support erano associati con un aumento della concentrazione di emoglobina glicosilata; gli autori suggeriscono che questa alterazione possa essere un mediatore fisiologico tra fattori psicosociali e patologia coronarica (Kawakami 2000). In un altro studio su 213 lavoratori giapponesi di una fabbrica di computer esaminati con il JCQ, una elevata job demand era significativamente correlata ad una riduzione dell’attivatore tissutale del plasminogeno; gli autori suggeriscono che l’associazione tra stress psicosociale e sviluppo di malattie cardiovascolari era mediata da alterazioni dell’attività fibrinolotica plasmatica (Ishizaki 1996).
Un altro campo di applicazione è la relazione tra job strain e patologie muscolo-scheletriche. Usando il questionario di Karasek, fu riconosciuta un’associazione tra fattori psicosociali e sintomi muscoloscheletrici di polso e mano, dopo aver corretto per i fattori di rischio personali e le caratteristiche del lavoro (Malchaire 2001). In uno studio condotto su 861 lavoratori olandesi, un basso social support era un fattore di rischio per il mal di schiena; i dati suggerivano anche una relazione del dolore lombare con elevata job demand ed elevata conflittualità (Hoogendoorn 2001).
Nell’industria forestale, un’elevata demand era significativamente associata con un’aumentata prevalenza di patologie del rachide lombare nei lavoratori manuali e negli operatori addetti al controllo di macchina; alta job demand e bassa decision latitude erano associate ad aumentata prevalenza di disturbi a carico di rachide cervicale e spalle (Hagen 1998).
I risultati di un’indagine condotta in Francia (Niedhammer, 2003) evidenziano il valore predittivo dei fattori psicosociali al lavoro indagati mediante JCQ e stato di salute generale riferito in un follow-up ad un anno. In uno studio Canadese (Beisson, 2000), la prevalenza di fumatori era elevata nei gruppi di active job strain sia negli uomini (OR=1.6; IC=1.2- 2.1) che nelle donne (OR=1.4; IC=1 .0-2.0). La prevalenza di comportamenti sedentari era elevata negli uomini nel quartile inferiore di decision latitude (OR=1.3; IC=1.0-1.7), nel gruppo passive (OR=1.3; IC=1.0-1.5), e nel gruppo high strain (OR=1.2; IC=1.0-1.6). Lo studio di Bultmann (2002) evidenzia una forte associazione tra caratteristiche psicosociali del lavoro e fatica, anche dopo aver aggiustato per il distress psicologico.
In uno studio prospettico 3895 persone addette all’industria forestale furono esaminati con il questionario job autonomy aveva un rischio due volte maggiore di assenze molto prolungate (Vaananen 2003). In uno studio prospettico fu somministrato un questionario sui fattori psicosociali al lavoro e furono registrate le assenze per malattia nei successivi 18 mesi. La presenza di un basso livello di decision latitude era un fattore predittivo di assenza prolungata per almeno un mese (OR=1 .69; IC=1 .22- 2.38) [Andrea 2003]. Il tasso di assenteismo aggiustato era 1.2 (IC=1.1-1.2) volte più alto in donne con basso controllo che in donne con alto controllo sui tempi di lavoro [Ala-Marsula, 2002]. La comunicazione con i compagni di lavoro ed il social support da parte dei supervisori riducevano il rischio di pensionamento per invalidità in un periodo di follow-up di quattro anni dopo aver controllato per fattori socio-economici, malattie presenti e stile di vita [Krause 1997].
In 139 operai di un’industria manifatturiera esaminati con JCQ, 24 maschi e 15 donne ebbero un infortunio sul lavoro. Nelle donne infortunate, la job demand e il job strain erano significativamente più elevati e il social support era significativamente più basso rispetto alle donne che non avevano avuto infortuni. Nei maschi invece non vi erano significative differenze tra infortunati e non infortunati [Murata, 2000].
Infine, un recente studio [Amick, 2002] ha evidenziato una relazione di bassa job demand e bassa decision latitude con un aumento di mortalità per tutte le cause (OR=1 .35; IC=1 .06- 1.72).
L’altro questionario proposto, già anticipato in precedenza, per la valutazione della percezione individuale dello stress lavoro – correlato, è l’ERI (Effort-Reward Imbalance) di Siegrist.
Tale questionario nasce dal modello sullo stress sviluppato da Siegrist (1996) in base al quale l’esperienza di stress è determinata dalla discrepanza tra l’impegno profuso nel lavoro dal lavoratore e le ricompense ottenute. Il questionario ERI, è composto da 23 domande, 6 relative all’impegno lavorativo (scala E, effort), 11 alle ricompense (scala R, reward), e 6 all’eccessivo impegno (overcommitment). La scala E è composta di 5 domande per le professioni impiegatizie, 6 per i “blue collar workers”; la differenza è una domanda sullo sforzo fisico nel lavoro. La scala R è composta da 11 items. Pur essendo sufficientemente uni-dimensionale, nel suo ambito è possibile riconoscere 3 subscale: stima (cinque domande); promozione e salario (quattro domande); stabilità del lavoro (due domande).
La variabile “overcommitment”, che esprime il fatto di sentirsi obbligato ad uno sforzo superiore alle proprie capacità di realizzazione rappresenta una condizione di allarme che può sfociare in stati diesaurimento fisico, psichico o sociale.
Le risposte alle domande delle questionario vengono espresse mediante una scala Likert a cinque livelli. Le scale derivano dalla somma dei punteggi dati dalle risposte (Magnavita, 2008). Come si evince dalla tabella allegata questo strumento è stato tradotto in diverse lingue ed utilizzato nella ricerca in molti paesi, anche in Italia.
Sono stati compiuti diversi tentativi allo scopo di ridurre il numero delle domande, uno dei quali anche in Italia ma con risultati insoddisfacenti.
Magnavita (2008) propone un confronto tra il questionario ERI e il questionario JCQ. I due modelli forniscono contributi differenti e complementari alla valutazione dello stress da lavoro. E’ stato anche compiuto un tentativo di combinare i due modelli, ricavando un unico questionario (mediante analisi fattoriale e regressione logistica) ma, non ha fornito risultati incoraggianti, in quanto le domande provenienti da ERI dominano il quadro; ERI risulta dunque più potente del JCQ, specie se applicato alle condizioni di lavoratori dei servizi (white-collar). Il questionario JCQ, sembra si presti maggiormente ad effettuare il confronto dei livelli di stress in popolazioni lavorative eterogenee (Magnavita, 2007).
La grandezza di maggiore interesse fornita dal questionario ERI è la discrepanza tra sforzo e risultati, che si calcola come un rapporto pesato tra le precedenti variabili. Ma in alcuni casi, come negli studi di campo, può essere utile esplorare separatamente gli effetti dello sforzo e della ricompensa,
perché a volte una sola delle componenti è significativamente associata alle variabili di effetto nella popolazione esaminata.
L’autore conclude affermando che quando è possibile indagare lo stress con entrambi i questionari si ottiene una migliore definizione, anche se a prezzo di una maggiore complessità operativa.
LA VALUTAZIONE DELLO STRESS LAVORO CORRELATO: PROSPETTIVE DI INTERVENTO A PARTIRE DAL DECRETO LEGISLATIVO DEL 9 APRILE 2008, N°81 – © Serena Molari