La sindrome dell’impostore

La sindrome dell’impostore è ciò che ci mette i bastoni tra le ruote.

 

La sindrome dell’impostore, quella sensazione che forse anche chi sta leggendo ha, che i successi siano arrivati per sbaglio, che non si siano davvero meritati e che qualcun* potrebbe scoprirlo in ogni momento e smascherarci.

Il lavoro pionieristico che ha scoperto la sindrome dell’impostore è quello delle studiose Pauline Clance e Suzanne Imes che, nel loro pionieristico lavoro di analisi di 250 donne con eccelsi risultati accademici erano convinte che i risultati fossero arrivati per un errore, uno sbaglio della commissione.

Questo lavoro parla di donne e della difficoltà che esse hanno nel raggiungere determinati risultati. Donne che raggiungono voti eccelsi, standard di formazione e training elevatissimi, ma che continuano a credere che ci sia stato un errore, che loro non meritino i risultati che hanno ottenuto.

Negli studi originali viene riportata la situazione di una delle donne prese in carico che, arrivata alla discussione di tesi di dottorato, era finalmente sollevata del fatto che avrebbe fallito e avrebbe smesso di essere “un’impostora”, dopo tutti quegli anni in cui era evidente che era lì senza meritarselo.

Deaux (1976) esplora per prima la presenza della sindrome dell’impostore in donne e uomini e nota, con grande meraviglia, varie cose:

  1. le donne hanno internalizzato perfettamente lo stereotipo per il quale non possono raggiungere determinati risultati eccelsi quanto gli uomini;
  2. mentre gli uomini attribuiscono il loro successo a delle capacità interne e abilità le donne lo attribuiscono a un caso fortuito, a un errore della commissione che le sta giudicando, sentendosi impostore;
  3. il fallimento per gli uomini viene vissuto come causato da una situazione esterna (un compito troppo difficile, troppo poco tempo) mentre per le donne viene visto come una mancanza di qualità e caratteristiche interne (non sono abbastanza intelligente, non sono sufficientemente preparata);
  4. nonostante i ripetuti successi la donna rimane comunque convinta che i traguardi che ha raggiunto non siano farina del suo sacco e che prima o poi la scopriranno per quello che è.

Le studiose sono andate ad analizzare le differenti tipologie di famiglie in cui le donne sono cresciute e in cui è germinata la sindrome dell’impostore. Sostanzialmente ne hanno trovate di due tipologie. La prima famiglia in cui la persona più intelligente tra fratelli e sorelle non era lei ma sempre qualcun altro che, in realtà, aveva sempre successi e riconoscimenti minori dei suoi. La seconda in cui lei stessa era la persona più intelligente, capace, bella di tutte le altre, i cui genitori dicevano che sarebbe riuscita a raggiungere qualunque cosa, così alla prima cosa non raggiunta sono crollate.

I differenti tipi di esperienze familiari portano allo stesso risultato, con la differenza che nel primo caso nelle donne rimane comunque la voglia di riuscire a farcela, nonostante sappiano che non sono mai abbastanza per il loro obiettivo. Nel secondo caso, invece, le donne si sentiranno sempre non in grado di farlo e sempre sull’orlo del tracollo e di essere scoperte.

La sindrome dell’impostore è un problema solo femminile?

La risposta è: no!

Da delle review che raggruppano tutti gli studi che trattano l’argomento (a prescindere dallo strumento utilizzato per misurarlo e dall’età del campione preso in considerazione) hanno trovato dei punti molto interessanti che dobbiamo assolutamente tenere a mente.

Innanzi tutto la sindrome dell’impostore si può trovare trasversalmente sia negli uomini che nelle donne, in quasi egual misura. La sindrome dell’impostore si presenta solo in tempistiche e in modi differenti per gli uni e per gli altri, ma li affligge allo stesso modo.

Un particolare interessante emerso da questi studi è che la sindrome affligge maggiormente le minoranze etniche.

Da dove nasce il fenomeno della sindrome dell’impostore.

La sindrome radicata all’interno delle nostre culture in modo profondo e che iniziamo a internalizzare all’incirca intorno ai 7/10 anni d’età.

E’ quello il momento in cui viene insegnato che ruolo abbiamo nella nostra società, in cui impariamo che cosa deve fare una donna e che cosa deve fare un uomo, in cui apprendiamo che chi è diverso da noi deve essere trattato in modo diverso.

Le disparità si radicano dentro di noi e ci insegnano che dobbiamo avvicinarci ad uno standard culturale che ci viene imposto altrimenti non saremo mai dei veri uomini e delle vere donne.

Ad esempio Margaret Mead (1947) osserva che una donna di successo e indipendente è vista come “una forza ostile e pericolosa all’interno della società”. Gli studi di Martina Horner’s (1972) che supportano i risultati e le osservazione di Margaret Mead, vedono il fatto che i successo per una donna sia fonte di paura e disagio. I suoi studi suggeriscono che, spesso, per paura di essere rigettate dalla società ed essere considerate meno femminili, non ci provano neanche.

Gli uomini, probabilmente, si trovano ad affrontare il risvolto dello stesso stereotipo. Laddove è l’uomo che deve portare avanti la cultura patriarcale, essere sempre infallibile e non mostrare alcun segno di cedimento è evidente che, al primo inevitabile scricchiolio che a tutti accade nelle vite, inizia ad instillarsi il dubbio di non avere le qualità per essere nel punto in cui si è.

Un problema culturale radicato in molte persone che si trovano ad essere convinte di non meritare quello che hanno e che, un giorno o l’altro, verranno scoperte da chi en sa più di loro. Due lati dello stesso problema, seppur in forme differenti, che si ripercuote sulle vite delle persone.

Allo stesso modo le minoranze etniche hanno lo stesso problema. Esse, infatti si vedono in base allo stereotipo della stessa minoranza, che non può rivestire determinate posizioni di rilievo o ottenere dei risultati importanti.

Quali sono i sintomi della sindrome dell’impostore?

Questa sindrome causa una serie di sintomatologie che a lungo andare posso portare a situazioni gravi come il burnout.

C’è un alto tasso di comorbidità con depressione, ansia, una bassa stima di sé stessi, sintomi somatici e disfunzione sociale. Negli studi ce hanno coinvolto gli studenti universitari c’era un alto tasso di persone con pensieri suicidari o con degli effettivi tentativi precedenti di suicidio.

Anche lo stesso burnout porta con sé tutta una serie di problematiche e sintomatologie molto gravi.

Bisogna quindi stare molto attenti perché questa sindrome strisciante e dilagante, che affligge tutte le persone all’interno di una società è pericolosa.

Che cosa fare in caso di sindrome dell’impostore?

Far emergere questa sindrome non è facile anche nei confronti di noi stessi. Ammettere che crediamo che i nostri risultati non siano merito nostro è qualcosa di complicato da raggiungere, figuriamoci dirlo anche a qualcun altro.

Il sapere che, in qualche modo, siamo tutti sulla “stessa barca” dovrebbe aiutare a smorzare la tensione. Serve a vedere nell’altra persona non più un competitor ma qualcun* che nel profondo può capirci e vive le stesse cose che viviamo noi.

Andare a parlare con un* psicolog* è un passaggio fondamentale per andare alla radice della sindrome, per riuscire a sbarazzarsene una volta per tutte.

Un modo molto utile con cui si può agire all’interno delle aziende è creare dei gruppi di confronto. Qui le persone si possano parlare liberamente e condividere le proprie difficoltà lavorative e parlare della sindrome stessa. Il sapere che anche le altre persone la vivono come te è rincuorante, permette di non sentirsi soli e isolati come invece accade per la sindrome.

La sindrome dell’impostore fa parte di quello che in PNL chiameremmo ‘credenza limitante’, una credenza profondamente radicata in noi che non ci permette di crescere e di goderci la nostra vita. E’ una situazione che può non solo impedirci di raggiugnere il nostro risultato e obiettivo ma anche che, una volta raggiunto, ci impedisce di goderne i frutti. Chi ne soffre non prova quel senso di ‘scopo nella vita’ che dovremmo invece riuscire a raggiungere.

Il primo passo è renderci conto che la sindrome esiste, anche se non ha ancora una voce a sé stante in nessun manuale diagnostico. Prendere consapevolezza che potremmo averla anche noi e chiedere aiuto parlandone con qualcuno e un professionista sono le tappe obbligate per riuscire a raggiungere i nostri obiettivi.

 

Bibliography:

  1. Levy, N. (2022). Impostor syndrome and pretense. Inquiry, 1-16.
  2. Chakrabarti, A., & Finkelstein, L. M. (2022). Are All High-Potentials Successful Leaders? Exploring the Underlying Effect of Impostor Syndrome and Evaluative Concerns on the Relationship Between HiPo Designation and Leadership Self-Efficacy. 
  3. Hook, G. (2022). It’s NOT Luck: Mature-Aged Female Students Negotiating Misogyny and the ‘imposter Syndrome’in Higher Education. In The Palgrave Handbook of Imposter Syndrome in Higher Education (pp. 465-480). Palgrave Macmillan, Cham.
  4. Clance, P. R., & Imes, S. A. (1978). The imposter phenomenon in high achieving women: Dynamics and therapeutic intervention. Psychotherapy: Theory, Research & Practice, 15(3), 241–247. https://doi.org/10.1037/h0086006
  5. Bravata, D.M., Watts, S.A., Keefer, A.L. et al. Prevalence, Predictors, and Treatment of Impostor Syndrome: a Systematic Review. J GEN INTERN MED 35, 1252–1275 (2020). https://doi.org/10.1007/s11606-019-05364-1

Stress e Burnout: riconoscere i sintomi e prevenire il rischio – Guida ISPESL

Stress e Burnout: riconoscere i sintomi e prevenire il rischio

Guida ISPESL per gli operatori sanitari

Sul portale dell’INAIL nella sezione dedicata agli approfondimenti è presente una pubblicazione INAIL – ex ISPESL dal titolo “Stress & Burnout“.

La guida vuole essere un contributo al processo di conoscenza e prevenzione dello stress e burnout oltre che uno strumento di formazione degli operatori e di diffusione delle informazioni.

Già da molti anni gli psicologi del lavoro hanno evidenziato che nell’uomo moderno il contesto sociale e lavorativo è quello maggiormente in grado di attivare risposte di stress, sia dal punto di vista comportamentale sia da quello fisiopatologico.

Gli studi che si sono occupati in particolare delle professioni sanitarie (attività che presuppongono un’azione diretta sulle persone e una relazione d’aiuto terapeutico) parlano di un fenomeno di disaffezione al proprio lavoro, chiamato (sindrome dell’operatore “ bruciato” ).

Il burnout è generalmente definito come una sindrome di esaurimento emotivo, di depersonalizzazione e derealizzazione personale, che può manifestarsi in tutte quelle professioni con implicazioni relazionali molto accentuate (possiamo considerarlo come un tipo di stress lavorativo).

Generalmente nasce da un deterioramento che influenza valori, dignità, spirito e volontà delle persone colpite.

È una malattia in costante e graduale aumento tra i lavoratori dei paesi occidentalizzati a tecnologia avanzata, ciò non significa che qualcosa non funziona più nelle persone, bensì che si sono verificati cambiamenti sostanziali e significativi sia nei posti di lavoro sia nel modo in cui si lavora.

Molti operatori socio sanitari devono confrontarsi, nel corso della loro esperienza lavorativa, con condizioni di “ stress e burnout” . Dover affrontare una situazione difficile può infatti indurre una reazione di adattamento nel soggetto coinvolto (stress) e quest’ultima può cristallizzarsi in una vera e propria sindrome (burnout).

L’operatore socio-sanitario ne è esposto più di altri lavoratori principalmente a causa della peculiarità dell’utenza per la quale lavora, ma anche per altre cause di diversa origine, come quelle riconducibili alla struttura degli ambienti, ai tempi ed alla organizzazione del lavoro, oppure ai rapporti relazionali con colleghi e superiori o alle non infrequenti ambiguità e contraddizioni relative al ruolo ricoperto, nonché all’insoddisfazione per la remunerazione non sempre gratificante.

Tutti questi fattori agiscono singolarmente e, soprattutto, tra loro associati provocando sovente dei sintomi riconducibili alla sindrome del burnout, come l’apatia, la perdita d’entusiasmo, il crollo delle motivazioni e il senso di frustrazione.

Per questo motivo il burnout deve essere considerata una malattia correlata principalmente all’attività lavorativa e, come tale, da prevenire.

L’indice della guida:

3 Presentazione

5 Introduzione

7 Lo stress: una definizione

11 Cos’è il burnout

13 I sintomi

17 Le cause

23 La prevenzione

27 Qualche consiglio

29 Normativa di riferimento

31 Per saperne di più: bibliografia, contatti e link utili

33 Cosa ho imparato su stress e burnout?

Questionario di auto-apprendimento

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Stress Lavoro-correlato: Il manuale di valutazione dell’INAIL

Stress Lavoro-correlato: Il manuale di valutazione dell’INAIL

L’INAIL suggerisce un proprio modello.

L’INAIL ha messo a disposizione delle aziende un portale che, oltre a permettere la visualizzazione e la stampa del Manuale "Valutazione e gestione del rischio da stress lavoro-correlato", contiene linee guida, risorse e strumenti finalizzati a supportare le aziende nella valutazione e gestione del rischio da stress lavoro-correlato secondo quanto previsto dalla normativa (Decreto Legislativo 81/2008 e successive modifiche ed integrazioni).

La valutazione dello stress lavoro correlato è diventato un adempimento obbligatorio per le imprese a seguito delle disposizioni del Testo unico sulla sicurezza (dlgs 81/2008) e delle sue successive integrazioni e il dipartimento Medicina del lavoro (ex ISPESL) dell’INAIL ha messo adesso a disposizione una metodologia da seguire e specificatamente contestualizzata alle indicazioni di legge, si accede al portale mediante una semplice registrazione gratuita.

Lo strumento si basa sul modello Management standards approntato dall’Health and safety executive (Hse), il manuale predisposto mette a disposizione una lista di controllo da utilizzare nella fase della valutazione oggettiva, un questionario da utilizzare nella fase di valutazione della percezione soggettiva dei lavoratori e una guida per la predisposizione dei focus group (da utilizzare nella fase di gestione e monitoraggio per identificare soluzioni efficaci in base ai risultati emersi dalla valutazione).

Il portale, oltre a permettere la visualizzazione e la stampa del Manuale "Valutazione e gestione del rischio da stress lavoro-correlato", contiene altre risorse e strumenti utili nella valutazione e gestione del rischio da stress lavoro-correlato.

Le aziende registrate potranno autonomamente effettuare tale valutazione utilizzando direttamente online i software appositamente predisposti per l’inserimento e l’elaborazione dei propri dati raccolti.

Unico dubbio: l’utilizzo del questionario per la valutazione della percezione soggettiva non è di esclusivo appannaggio di uno psicologo regolarmente iscritto al proprio ordine professionale ? (vedi Legge n. 56 del 1989 – nella quale si sancisce che tutte le prestazioni di carattere psicologico devono essere necessariamente rese da Psicologi iscritti all’Ordine professionale).

 

L’indice del Manuale:

INTRODUZIONE

 

1. QUADRO NORMATIVO DI CONTESTO

1.1 Evoluzione della norma

1.2 Le indicazioni per la valutazione del rischio da stress lavoro-correlato

1.3 Considerazioni

 

2. PROPOSTA DI UN PERCORSO METODOLOGICO INTEGRATO PER LA VALUTAZIONE E GESTIONE DEL RISCHIO DA STRESS LAVORO-CORRELATO

2.1 Premessa

2.2 Fase Propedeutica

2.3 Valutazione Preliminare

2.4 Valutazione Approfondita

2.5 Pianificazione degli interventi successivi

2.6 Ruolo del Medico Competente

 

BIBLIOGRAFIA- SITOGRAFIA

 

APPENDICE 1

Lista di controllo utile alla valutazione preliminare del rischio da stress lavoro-correlato

APPENDICE 2

2A. Questionario- strumento indicatore (versione lingua italiana)

2B. Questionario- strumento indicatore (versione per le minoranze linguistiche della Provincia Autonoma di Bolzano)

APPENDICE 3

La documentazione della valutazione del rischio da stress lavoro-correlato nel Documento di valutazione dei rischi (DVR)

APPENDICE 4: Normativa di riferimento

– Accordo interconfederale per il recepimento dell’accordo quadro europeo sullo stress lavoro-correlato concluso l’8 ottobre 2004

– Indicazioni per la valutazione dello stress lavoro-correlato del 17/11/2010

– La “sicurezza dei dati” nel processo valutativo

 

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Violenza e molestie sul luogo di lavoro

Violenza e molestie sul luogo di lavoro

31/01/2011

Testo tratto da: "La violenza e le molestie sul luogo di lavoro aumentano in Europa"

Fonte: European Agency for Safety and Health at Work

La violenza, le intimidazioni e le molestie sul luogo di lavoro sono fenomeni sempre più comuni in Europa, stando a quanto emerge da una nuova relazione dell’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro (EU-OSHA), tuttavia, la risposta delle organizzazioni e dei governi nazionali è avvertita in larga misura come inadeguata.

La violenza e le molestie da parte di terzi riguardano dal 5% al 20% dei lavoratori europei, a seconda del paese, del settore e della metodologia impiegata.

La relazione "Workplace Violence and Harassment: a European Picture" (violenza e molestie sul luogo di lavoro: un quadro europeo) presenta statistiche internazionali raccolte dall’Osservatorio europeo dei rischi, che fa parte dell’EU-OSHA.

In base alla sua recente indagine paneuropea sui luoghi di lavoro, ESENER, il 40% dei dirigenti europei è preoccupato per la violenza e le molestie sul luogo di lavoro; tuttavia solo circa il 25% (e non più del 10% in molti paesi dell’UE) ha attuato procedure per affrontare questo fenomeno.

Il problema è ancora più accentuato nei settori dei servizi sanitari e sociali e dell’istruzione, dove per più del 50% dei dirigenti è rilevante in termini di salute e sicurezza.

La violenza e le molestie costituiscono minacce gravi per la sicurezza e il benessere dei lavoratori in Europa, ma non sempre vengono segnalate”, afferma Jukka Takala, direttore dell’Agenzia.

“La violenza, le aggressioni verbali o le minacce cui i dipendenti vengono sottoposti da clienti o pazienti sono problemi importanti per la salute e la sicurezza.

E le conseguenze psicologiche sono a volte più pericolose delle ferite fisiche.

Le molestie sul luogo di lavoro possono portare a stress, a congedi di malattia di lunga durata e persino al suicidio. Le ripercussioni economiche sono una ridotta produttività, un aumento delle assenze per malattia, un più rapido avvicendamento del personale e il pensionamento anticipato dovuto a disabilità spesso in giovane età.”

La relazione evidenzia inoltre che in numerosi paesi europei il fenomeno della violenza sul luogo di lavoro non è ancora sufficientemente riconosciuto e che le iniziative specifiche destinate ad affrontarlo sono scarse. A livello nazionale e tra le singole organizzazioni è necessario promuovere una sensibilizzazione e attuare politiche e procedure per far fronte e prevenire la violenza e le molestie sul lavoro.

 

Testo completo: La violenza e le molestie sul luogo di lavoro aumentano in Europa

© European Agency for Safety

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Dati Stress lavoro correlato

Dati Stress lavoro correlato

Articolo tratto da "Stress e rischi psicosociali" su European Agency for Safety and Health at Work:

Lo stress legato all’attività lavorativa, stress lavoro correlato, rappresenta una delle sfide principali con cui l’Europa deve e dovrà confrontarsi nel campo della salute e della sicurezza.

Interessa quasi un lavoratore su quattro e dagli studi condotti emerge che una percentuale compresa tra il 50% e il 60% di tutte le giornate lavorative perse è dovuta allo stress. Ciò comporta costi enormi in termini di disagio umano e pregiudizio del risultato economico.

Lo stress sul lavoro può colpire chiunque, a qualsiasi livello.

Può interessare qualsiasi settore e aziende di ogni dimensione.

Lo stress influisce sulla salute e la sicurezza delle singole persone, ma anche sulla salute delle imprese e delle economie nazionali.

Lo stress è il secondo problema di salute legato all’attività lavorativa riferito più frequentemente e colpisce il 22% dei lavoratori dei 27 Stati membri dell’UE (dati del 2005).

È probabile che il numero di persone che soffrono di patologie legate allo stress provocato o peggiorato dall’attività lavorativa aumenti in futuro.

I cambiamenti in corso nel mondo del lavoro sottopongono i lavoratori a pressioni sempre maggiori: si pensi al ridimensionamento delle imprese e all’esternalizzazione delle mansioni, al maggior bisogno di flessibilità in termini di impiego e competenze, all’accresciuto ricorso ai contratti a tempo determinato, alla più marcata precarietà del lavoro e all’intensificazione dell’attività lavorativa (con un carico di lavoro più intenso e un aumentato livello di pressione), nonché allo scarso equilibrio tra lavoro e vita privata.

Lo stress può essere fonte per le persone di malattia e disagio, in ambito sia lavorativo che familiare.

Lo stress, inoltre, può mettere in pericolo la sicurezza sul luogo di lavoro e contribuire all’insorgere di altri problemi di salute legati all’attività lavorativa, quali i disturbi muscoloscheletrici, nonché incidere in misura massiccia sul risultato economico di un’organizzazione.

Ridurre lo stress legato all’attività lavorativa e i rischi psicosociali non è solo un imperativo morale, bensì anche un dovere giuridico.

Lo stress influisce altresì fortemente sulla redditività. Nel 2002 il costo economico annuale dello stress legato all’attività lavorativa nell’UE a 15 è stato calcolato pari a 20 miliardi di euro.

La nota positiva è che questo problema può essere affrontato con la stessa logica e sistematicità riservate ad altre questioni di salute e sicurezza. Esistono nell’Unione europea molti esempi pratici di come sia possibile porvi rimedio.

Adottando il giusto approccio, i lavoratori possono vincere la battaglia contro lo stress.

 

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Glossario della valutazione dei rischi da stress lavoro-correlato

Glossario della valutazione dei rischi da stress lavoro-correlato

Elenco della parole utilizzate maggiormente nel processo di valutazione del rischio stress lavoro correlato.

ASPP

Addetto ai servizi di protezione e prevenzione

ANALISI DOCUMENTALE

Lettura dell’organizzazione del lavoro (organigramma, flussi produttivi, flussi comunicativi, gestione risorse umane, ecc.),

raccolta di indicatori aziendali di stress lavoro-correlabili (assenze per malattia, infortuni, turn-over, richieste cambio mansione, ecc.) edi informazioni sulla gestione della salute e sicurezza (verbali riunioni periodiche, piani di intervento annuali/pluriennali, relazioni biostatistiche annuali);

BURNOUT

Il burnout è generalmente definito come una sindrome di esaurimento emotivo, di depersonalizzazione e derealizzazione personale, che può manifestarsi in tutte quelle professioni con implicazioni relazionali molto accentuate (possiamo considerarlo come un tipo di stress lavorativo). Generalmente nasce da un deterioramento che influenza valori, dignità, spirito e volontà delle persone colpite.

È una malattia in costante e graduale aumento tra i lavoratori dei paesi occidentalizzati a tecnologia avanzata, ciò non significa che qualcosa non funziona più nelle persone, bensì che si sono verificati cambiamenti sostanziali e significativi sia nei posti di lavoro sia nel modo in cui si lavora.

COPING:

Termine che indica gli sforzi cognitivi e comportamentali compiuti da un individuo per "fronteggiare" (dall’inglese to cope) situazioni stressanti che comportano percezioni di minaccia, perdita o sfida per il soggetto stesso.

DATORE DI LAVORO     

Esso è definito dal D.Lgs n°81/2008 nell’articolo 2 comma 1 lettera b) come "il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l’assetto dell’organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell’organizzazione stessa o dell’unità produttiva in quanto esercita poteri decisionali e di spesa".

DISTRESS

o stress cattivo, quello che provoca grossi scompensi emotivi e fisici difficilmente risolvibili. Un esempio può essere un licenziamento inaspettato, oppure un intervento chirurgico

DOCUMENTO DI VALUTAZIONE DEI RISCHI     

Il documento di Valutazione dei Rischi, richiesto esplicitamente all’art. 28 comma 2 del D.Lgs 81/2008, è sicuramente quello più importante in un sistema di prevenzione e protezione, essendo in esso contenute e descritte sia le modalità operative necessarie alla valutazione dei singoli rischi presenti, sia la loro analisi e le relative conclusioni del datore di lavoro in termini di valutazione della loro incidenza sulle attività dell’organizzazione.

Nella sua stesura il Datore di lavoro si avvale della collaborazione dell’RSPP, del medico competente ma anche di tutti i soggetti che costituiscono il sistema di prevenzione e protezione dell’Organizzazione (ASPP, RLS, ecc..), potendo anche avvalersi di consulenti esterni, laddove le competenza tecniche richieste o la specificità del rischio in esame, non risultino soddisfabili con le sole risorse interne.

Esso deve trattare al suo interno i seguenti aspetti: Generalità dell’azienda, Struttura e responsabilità incluso l’organigramma della sicurezza, Descrizione degli ambienti di lavoro e del ciclo produttivo, Descrizione dei posti di lavoro e delle mansioni dei dipendenti con indicazioni delle sostanze impiegate, attrezzature, impianti e per ciascuno le specifiche misure tecniche di prevenzione adottate, La procedura adottata per la valutaione dei rischi, Programma di informazione e formazione dei lavoratori, istruzioni e procedure di sicurezza adottate, procedura di emergenza e pronto soccorso, dispositivi di protezione individuale e collettivi messi a disposizione dei lavoratori.

EUSTRESS

o stress buono, è quello indispensabile alla vita, che si manifesta sotto forma di stimolazioni ambientali costruttive ed interessanti

FATICA

diminuzione del potere funzionante provocata da un eccesso di lavoro ed accompagnata da una sensazione caratteristica di malessere

Oggettiva: diminuzione del rendimento

Soggettiva: sensazione individuale

Fisiologica: modifica di costanti organiche

Nervosa: stato di sofferenza psichica

Psichica: Fenomeno psicosomatico suscitato dalla vita di relazione nell’ambiente naturale, tecnico, sociale, lavorativo

FOCUS GROUP

Il focus group è una tecnica di ricerca che nasce negli Stati Uniti ad opera di due sociologi degli anni ‘40 del Novecento, K. Levin e R. Merton, al fine di focalizzare un argomento e far emergere le relazioni tra i partecipanti, non deve durare meno di 90 minuti e non oltre i 120 minuti, viene normalmente gestito da due persone: un animatore che conduce la discussione e un osservatore che esamina le dinamiche di relazione del gruppo. Possiamo definire il focus group come una sorta di intervista di gruppo oppure come un’osservazione fatta su un gruppo di soggetti.

FONTI DI STRESS

caratteristiche dell’attività lavorativa che possono provocare stress lavorativo

INDICATORI ORGANIZZATIVI

Indici infortunistici

Assenze per malattia (non maternità, allattamento, congedo matrimoniale)

Assenze dal lavoro

% ferie non godute

% trasferimenti interni richiesti dal personale

% rotazione de personale (usciti-entrati)

Procedimenti/sanzioni disciplinari

N. Di visite su richiesta del lavoratore al medico competente (d.lgs. 81/2008, art.41 c2 lett c)

Segnalazioni formalizzate del medico competente di condizioni stress al lavoro

Istanze giudiziarie per licenziamento/ demansionamento

 KARASEK: MODELLO DOMANDA/ CONTROLLO

Due fattori fondamentali nel processo che avvia la risposta di stress:

La DOMANDA: caratteristiche psicologiche, fisiche ed ambientali della mansione, ossia il carico di lavoro inteso come impegno fisico e psicologico  richiesto dal compito;

Il CONTROLLO: la capacità e la discrezionalità con cui l’individuo organizza e svolge il proprio compito.

LAVORI AD ALTO STRAIN: lavori che creano alta tensione psicologica, per via dell’alto carico lavorativo e del basso livello di controllo;

LAVORI ATTIVI: domanda psicologica elevata accompagnata da un alto livello di controllo;

LAVORI A BASSA DOMANDA E ALTO CONTROLLO: lavori che non danno nessun problema di tensione psicologica all’individuo;

LAVORI PASSIVI: lavori caratterizzati da basso livello di domanda e di controllo; non creano strain, ma determinano minore apprendimento e impoverimento delle abilità lavorative.

MOBBING

Il mobbing viene comunemente considerato come un insieme di comportamenti violenti (abusi psicologici, angherie, vessazioni, demansionamento, emarginazione, umiliazioni, etc.) attuati da uno o più individui nei confronti di un altro individuo, prolungato nel tempo e lesivo della dignità personale e professionale nonché della salute psicofisica dello stesso.

I singoli atteggiamenti molesti non  necessariamente superano la soglia del reato né debbono essere di per sé illegittimi, ma nell’insieme producono dannni anche gravi con conseguenze sul patrimonio della vittima, sulla salute e sulla qualità della vita.

Più in generale, il termine indica i comportamenti violenti che un gruppo (sociale, familiare, animale) rivolge ad un suo membro.

PROCESSO DI COPING

processo elicitato quando un certo stimolo o una certa situazione viene percepito come una minaccia, attivato per ridurre o per eliminare la minaccia stessa.

R.L.S.     

Responsabile dei Lavoratori per la Sicurezza. Dipendente che rappresenta i lavoratori in tutte le questioni relative all’igiene e la sicurezza nell’ambito di lavoro. Deve essere consultato dal Datore di lavoro in alcune questioni, può esprimere delle osservazioni sui sistemi di prevenzione, partecipa a riunioni periodiche del servizio di prevenzione. Viene eletto o nominato dagli stessi e deve ricevere dal datorei di lavoro una formazion specifica.

R.S.P.P.     

RESPONSABILE SERVIZIO PREVENZIONE E PROTEZIONE. In termini di destinazione degli obblighi di prevenzione è quello definito dal D.Lgs 81/2008 nell’articolo 2 comma 1 lettera f) come "persona in possesso delle capacità e dei requisiti professionali di cui all’articolo 32 designata dal datore di lavoro, a cui risponde, per coordinare il servizio di prevenzione e protezioni dai rischi.

STRAIN: sforzo psicologico e psicofisiologico di un individuo a fronte di alta domanda ambientale o a fronte di difficoltà adattiva.

STRAIN

sforzo psicologico e psicofisiologico di un individuo a fronte di alta domanda ambientale o a fronte di difficoltà adattiva.

STRESS LAVORO CORRELATO

  • in linea generale lo stress identifica una condizione in cui l’individuo non si sente in grado di corrispondere alle richieste o alle aspettative dell’ambiente;
  • nell’ambito del lavoro tale squilibrio si può verificare quando il lavoratore non si sente in grado di corrispondere alle richieste lavorative;
  • non tutte le manifestazioni di stress sul lavoro possono essere considerate come stress lavoro-correlato. Lo stress lavoro-correlato è causato da fattori diversi come il contenuto del lavoro, l’inadeguata gestione dell’organizzazione e dell’ambiente di lavoro, carenze nella comunicazione…;
  • acquista rilevanza una situazione di tensione prolungata nel tempo (non brevi e circoscritti periodi di disfunzioni organizzative, che possono transitoriamente verificarsi in qualsiasi contesto lavorativo);
  • la risposta individuale può essere molto variabile rispetto a situazioni stressanti simili

 

SINDROME GENERALE DI ADATTAMENTO

si intende la risposta automatica, inconsapevole e sistemica dell’organismo a qualsiasi tipo di stressors, anche a quelli che normalmente riteniamo utili e piacevoli.

Selye distinse la Sindrome Generale di Adattamento in tre fasi ancora oggi ritenute scientificamente valide:

  • • La prima fase detta di "allarme" attivata dalla presenza dello stimolo ambientale (positivo o negativo) innesca la risposta primordiale alla sopravvivenza, sia a livello fisico (aumento della frequenza cardiaca, della pressione arteriosa, della glicemia, del tono muscolare, del metabolismo e di alcuni neurotrasmettitori), sia a livello psico emotivo con l’aumento dello stato di allerta e di "tensione emotiva" e a livello comportamentale ad esempio con reazioni muscolari di difesa.
  • La seconda fase detta di "resistenza", mette in atto un complesso programma, sia biologico che comportamentale con l’attivazione di una risposta ormonale che ci aiuta a resistere a sostenere l’interazione con gli stimoli ambientali.
  • La terza fase detta "esaurimento" rappresenta, purtroppo, il fallimento dei tentativi attuati dai meccanismi difensivi per realizzare una risposta adeguata agli stimoli ambientali. Questa fase determina inconsapevoli alterazioni permanenti. L’organismo perde la capacità di adattarsi in modo funzionale agli stimoli ambientali, mantenendo una risposta ormai inadeguata che predispone allo sviluppo di malattie anche croniche, che possono interessare sia la sfera fisica che psicologica.

VALUTAZIONE COGNITIVA

processo valutativo che determina perché e fino a che punto una particolare situazione venga percepita come stressante

VALUTAZIONE OGGETTIVA

Fase della valutazione dello stress lavoro correlato che prende in esame elementi oggettivi e verificabili quali indicatori organizzativi e fattori di rischio attinenti l’organizzazione aziendale.

Gli elementi da considerare, sono quindi, in coerenza con le indicazioni dell’accordo quadro e del documento dell’Agenzia Europea 2009, aree di contesto e di contenuto del lavoro come indicatori di pericolo stress lavoro-correlato e indicatori aziendali come conseguenze dello stress sull’azienda e sui lavoratori.

VALUTAZIONE DELLA PERCEZIONE SOGGETTIVA

Fase della valutazione dello stress lavoro correlato che prende in esame elementi soggettivi. Si effettua tramite la somministrazione di questionari adeguati quali per esempio: OSI, JCQ, HSE MOHQ, ecc. o attraverso colloqui e/o focus group.

Misure psicologiche soggettive:

Questionari

Scale di valutazione

Test psicometrici

Focus group

Gruppi di discussione

 

 

© – Andrea Castello – Irene Borgia

 

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Lo stress lavoro-correlato: il lavoro nella cultura del sacrificio e dell’efficienza continua

Lo stress lavoro-correlato: il lavoro nella cultura del sacrificio e dell’efficienza continua

 

Negli ultimi due anni l’attenzione nei confronti del malessere dei lavoratori e dello stress che ogni individuo deve tollerare nei luoghi di lavoro ha indotto esperti umanisti, accademici, difensori dei diritti dei lavoratori e consulenti di varia provenienza ideologica e commerciale a proporre, o propinare, modelli che potessero dare risposte a problematiche psicofisiche prima e organizzative poi. La lettura della realtà, a torto o a ragione, ha però sempre avuto meno fantasia della realtà stessa, e ci ha condotto così per sentieri non sempre scevri da disincanto e disimpegno.

Parliamo spesso di società dell’opulenza, di società del benessere, ma in fondo tutti gli indicatori che vengono usati per definire in tal modo il sociale, sono solitamente indicatori obiettivi: reddito “pro capite”, consumi, possedimenti. Mancano invece soprattutto i parametri soggettivi con cui misurare il benessere. In un mondo in cui l’ozio è considerato sempre più in termini negativi; in cui occorre necessariamente e inderogabilmente organizzare e rendere utile ed efficiente ogni momento della nostra giornata, anche il tempo del divertimento e del riposo; in cui il tempo cessa di essere una risorsa per diventare limite, il costo più visibile che noi paghiamo viene comunemente chiamato stress.

Ma cosa si nasconde in realtà dietro queste cinque lettere, abusate, travisate e dai confini  così labili? Quando pensiamo alla stress immaginiamo disagio, bisogno, dolore, sofferenza, mancanza, eccitazione (eccessiva), energia non sufficiente, disattenzione, scarsità, depressione, malessere, malumore, irrequietezza, solitudine. La lista potrebbe continuare ma avrebbe poco senso e utilità farlo; essa è sufficiente a renderci consapevoli della poliedricità che la parola simboleggia. L’oggetto di osservazione resta però lo stesso l’uomo e il suo rapporto con il lavoro, che a secondo delle mode e del momento varie nelle sue diverse sfumature cromatiche

La dimensione lavorativa nei racconti di protagonisti che scendono in campo è caratterizzata da tratti distintivi di sofferenza: è consueto e logico essere ripresi per i nostri sbagli  mentre è raro essere premiati o essere gratificati per il buon lavoro svolto. La connotazione ontologica del lavoro come sacrificio è così ancora imperante e richiede all’individuo un adattamento  sempre più costoso. Eppure, rispetto a cento anni fa, il lavoro oggi ha maggiori possibilità di appartenerci, di essere nostro, ma inverosimilmente per esso occorre tenere basse le aspettative e le aspirazioni, perché ancora si crede che il successo e il merito si giochino sulle capacità individuali di riuscire a stare al gioco del sacrificio, della mancanza. Secondo tale prospettiva saremmo tutti più motivati a rincorrere la carota felici del bastone, anzi per motivare di più occorre deprivare di più. Se così fosse, dall’India al Brasile e dall’Australia all’Alaska gli uomini e le donne dovrebbero godere tutti e tutte di grandi successi e benessere, ma così non è.  Ci si fregia ancora della quantità più che della qualità.

La nostra società vuole ossessivamente  far coincidere il benessere con l’abbondanza e lo stress con la mancanza, al punto che per quest’ultimo sono previste azioni correttive di manuali ingegneristici da attivare in caso di necessità.

Un cambiamento, al contrario, necessario, sano e auspicabile proietta i lavoratori in una dimensione di gruppo che condivide le risorse e ottimizza gli sforzi individuali, orientandoli verso il sentiero della qualità  perseguibile e l’abbandono della logica di coppia, che troppo spesso nella dinamica diadica resta arpionata a personalismi e moralismi generatori di pressioni relazionali e di stress intersoggettivi. Gli esperti sono consapevoli che lavorare in gruppo divide gli sforzi e raddoppia il successo, amplifica gli effetti del clima e riduce conflitti.

I tempi sono moderni, come suggeriva Chaplin, per diffondere l’idea che il lavoro dovrebbe essere un mezzo per vivere, non per sopravvivere. E nemmeno un fine dove morire.

© Mariarosaria Izzo

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Articolo 17 – Valutazione dello stress lavoro correlato: Conclusioni

CONCLUSIONI

 

Il disagio lavorativo ed il malessere organizzativo sono ormai realtà che, non lo si può negare, stanno “emergendo” in termini preoccupanti.

Diviene pertanto necessario raggiungere l’obiettivo, individuato dall’Accordo Europeo del 2004, di “aumentare la consapevolezza e la comprensione di imprenditori, lavoratori e loro rappresentanti sulla questione dello stress lavoro – correlato”.

Le recenti disposizioni normative obbligano giuridicamente i datori di lavoro a tutelare la salute e la sicurezza sul lavoro. I datori di lavoro sono chiamati ad individuare le cause dello stress legato all’attività lavorativa, valutare i rischi, tra cui anche quelli collegati allo “stress lavoro – correlato”, ed adottare le misure preventive più opportune per prevenire la salute ed il benessere psicofisico dei lavoratori.

Ad oggi non si è ancora giunti all’individuazione di un modello preciso che le organizzazioni possano adottare negli interventi di gestione dello stress correlato al lavoro ma, a livello europeo, è stato individuato un modello che funge da “modello di riferimento” e che fornisce indicazioni concrete per favorire buone pratiche, utilizzabile quale base per lo sviluppo di importanti linee di condotta ed efficaci piani di azione e di intervento.

Per avere successo nella prevenzione e nella gestione dello stress occupazionale, il modello propone di adottare una strategia di “intervento globale” che integri i tre livelli di interventi identificati dalla letteratura scientifica quali: primario, secondario e terziario.

Viene ribadita l’importanza di individuare le fonti dello stress lavorativo (prevenzione primaria che coincide con gli interventi a livello organizzativo), fornire la formazione ai dirigenti ed ai lavoratori in merito alla gestione dello stress lavoro – correlato per ridurne l’impatto (prevenzione secondaria) e, per coloro che abbiano avuto problemi di salute, a causa di stress da lavoro, fornire risorse per gestire e ridurne gli effetti (prevenzione terziaria).

Inoltre per avere successo, occorre agire per favorire negli stakeholders europei (organizzazioni datoriali, sindacati, istituzioni governative), un’adeguata conoscenza, percezione e consapevolezza delle variabili organizzative e psicosociali come possibili fonti di stress occupazionale.

Il tema della percezione e consapevolezza del problema, da parte degli stakeholders, è essenziale soprattutto per i risvolti operativi che esso ha ai fini della gestione e valutazione del rischio.

L’Ispesl ha condotto nel 2004 (Iavicoli et al., 2004) una ricerca che ha messo in evidenza il gap percettivo esistente fra i lavoratori e gli stakeholders.

Dai risultati emerge che, la percezione dello stress lavoro – correlato come problema più frequentemente denunciato dai lavoratori europei, non sia condivisa da tutte le parti sociali.

I risultati sottolineano la carenza di un adeguata percezione e riconoscimento del problema dello stress la cui fonte è riconducibile ad alcune dimensioni organizzative, quali: possibilità di controllo sul proprio lavoro, carico di lavoro, sicurezza lavorativa e carriera, ecc..

E’ opportuno tenere in considerazione che alcune caratteristiche, quali: grado di comprensione del fenomeno, grado di controllo percepito sul rischio ed i suoi effetti, conoscenza del rischio, rivestono un ruolo fondamentale nei processi percettivi e valutativi e possono influenzare fortemente la percezione degli individui fino al punto di determinare valutazioni inadeguate, sottovalutazioni o non riconoscimento del grado effettivo di rischiosità di alcuni aspetti della vita organizzativa.

Diventa indispensabile pertanto, diffondere ulteriormente le conoscenze relative ai possibili effetti sui lavoratori della variabili organizzative potenzialmente stressogene, sulle quali esiste un ampia evidenza scientifica (Natali et al., 2007).

Assume in quest’ottica, all’interno processo di intervento nella gestione dello stress lavoro – correlato, un ruolo chiave la “valutazione del rischio” che riserva sempre maggiore enfasi ai fattori di rischio psicosociali.

In letteratura sembra ci sia accordo nell’adottare un modello integrato nella valutazione dei rischi che preveda da un lato la valutazione dell’organizzazione e dall’altro la valutazione delle percezioni del lavoratore.

Inoltre viene suggerita la possibilità di adottare un approccio multidisciplinare che veda coinvolte, oltre al medico del lavoro, altre figure quali: esperti in ergonomia, psichiatri ed esperti in psicologia del lavoro (es: Tangredi et al., 2007).

Negli ultimi anni la comunità scientifica europea ha dichiarato l’interesse, come priorità nella ricerca, nei fattori di rischio psicosociali correlati al lavoro con particolare attenzione ai metodi di misura e valutazione dello stress lavoro – correlato.

In particolare nell’attuale piano triennale 2008-2010 è stato dato maggiore rilievo alle tematiche correlate ai rischi psicosociali, sviluppando specifiche linee di ricerca orientate allo sviluppo di concreti strumenti per la misura, valutazione e gestione dei rischi psicosociali (Ispesl, www.ispesl.it).

L’obiettivoè quello di favorire l’applicazione delle conoscenze teoriche, ormai consolidate, alle realtà lavorative attraverso l’individuazione di “buone prassi”.

Tali obiettivi possono essere raggiunti sia attraverso una miglior definizione di indicatori oggettivi di stress occupazionale, sia favorendo un’adeguata percezione del problema fra gli stakeholders, sia attraverso la formazione manageriale e ai gestori delle risorse umane.

Per la realizzazione di strategie di intervento efficaci inoltre, nel modello proposto viene sottolineata l’importanza della disponibilità dell’organizzazione ad affrontare i cambiamenti necessari e l’importanza di realizzare interventi che possano essere adottati nella pratica lavorativa quotidiana favorendo l’implementazione di un “ciclo continuo” di miglioramento.

Il dialogo sociale assume in questo scenario un ruolo rilevante, al fine di permettere ai diversi protagonisti del mondo del lavoro di raggiungere obiettivi condivisi sulla gestione del problema dello stress occupazionale e di giungere ad un diffuso ed auspicabile livello di benessere lavorativo, mirando al radicamento di una cultura di tutela della salute e del benessere lavorativi.

Oggi la salute dell’organizzazione e quella dei lavoratori sono aspetti ormai da considerare inscindibili.

Così come, lo stress lavoro – correlato ed un mondo del lavoro in continua evoluzione e cambiamento.

Lo stress sembra essere un fenomeno destinato ad accompagnare la vita di ciascuno, come sosteneva Selye “la completa libertà dallo stress è morte. Contrariamente a quanto si pensa non abbiamo e, in realtà, non possiamo evitare lo stress, ma possiamo incontrarlo in modo efficace e trarne vantaggio imparando di più sui suoi meccanismi, ed adattando la nostra filosofia dell’esistenza ad esso” (Selye, 1974)

LA VALUTAZIONE DELLO STRESS LAVORO CORRELATO: PROSPETTIVE DI INTERVENTO A PARTIRE DAL DECRETO LEGISLATIVO DEL 9 APRILE 2008, N°81 – © Serena Molari

 

 

Articolo 16 – Valutazione dello stress lavoro correlato: Prospettive

Prospettive

 

In un mondo del lavoro in continuo cambiamento, caratterizzato da processi quali la globalizzazione mondiale, la flessibilità e la precarietà occupazionale, l’intensificazione del lavoro, i rischi psicosociali, lo stress correlato al lavoro e la violenza morale nei posti di lavoro costituiscono le principali preoccupazioni ai fini della protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori.

Come abbiamo più volte osservato i rischi psicosociali legati al lavoro comprendono aspetti di progettazione e gestione del lavoro e dei suoi contesti sociali ed organizzativi che possono potenzialmente causare danni fisici e psicosociali ai lavoratori.

Si auspica, quindi, un modello di organizzazione del lavoro e gestione delle risorse umane che metta in atto tutte le misure necessarie per garantire il benessere e l’equilibrio psicofisico e sociale dei lavoratori.

Oggi, quindi, le aziende europee, inserite in questo scenario, sono chiamate a rispondere, nella gestione dei rischi psicosociali e dello stress lavoro correlato, non solo ad aspetti puramente normativi o legati al profitto ma, sempre di più, ad aspetti legati alla loro responsabilità sociale verso le persone. Viene valorizzato sempre più un approccio volto allo sviluppo dell’organizzazione, come risposta alle necessità di cambiamento, che si prefigge la trasformazione di convinzioni, atteggiamenti e valori adottando una prospettiva di tipo educativo e formativo mirata ad agire sulla partecipazione, il coinvolgimento e l’apprendimento degli individui (Bennis, 1966 citato in Piccardo e Colombo, 2007).

Nel progetto PRIMA-EF sono stati individuati gli “indicatori della responsabilità sociale dell’impresa” ai quali, sarebbe opportuno ed auspicabile, che le aziende facessero riferimento, per la gestione dei rischi psicosociali, come da tabella sotto riportata.

Tabella 7: Indicatori della responsabilità sociale dell’impresa

LA VALUTAZIONE DELLO STRESS LAVORO CORRELATO: PROSPETTIVE DI INTERVENTO A PARTIRE DAL DECRETO LEGISLATIVO DEL 9 APRILE 2008, N°81 – © Serena Molari

Articolo 15 – Valutazione dello stress lavoro correlato: Prospettive di intervento – Conclusioni

CONCLUSIONI

 

Il disagio lavorativo ed il malessere organizzativo sono ormai realtà che, non lo si può negare, stanno “emergendo” in termini preoccupanti.

Diviene pertanto necessario raggiungere l’obiettivo, individuato dall’Accordo Europeo del 2004, di “aumentare la consapevolezza e la comprensione di imprenditori, lavoratori e loro rappresentanti sulla questione dello stress lavoro-correlato”.

Le recenti disposizioni normative obbligano giuridicamente i datori di lavoro a tutelare la salute e la sicurezza sul lavoro. I datori di lavoro sono chiamati ad individuare le cause dello stress legato all’attività lavorativa, valutare i rischi, tra cui anche quelli collegati allo “stress lavoro –correlato”, ed adottare le misure preventive più opportune per prevenire la salute ed il benessere psicofisico dei lavoratori.

Ad oggi non si è ancora giunti all’individuazione di un modello preciso che le organizzazioni possano adottare negli interventi di gestione dello stress correlato al lavoro ma, a livello europeo, è stato individuato un modello che funge da “modello di riferimento” e che fornisce indicazioni concrete per favorire buone pratiche, utilizzabile quale base per lo sviluppo di importanti linee di condotta ed efficaci piani di azione e di intervento.

Per avere successo nella prevenzione e nella gestione dello stress occupazionale, il modello propone di adottare una strategia di “intervento globale” che integri i tre livelli di interventi identificati dalla letteratura scientifica quali: primario, secondario e terziario. Viene ribadita l’importanza di individuare le fonti dello stress lavorativo (prevenzione primaria che coincide con gli interventi a livello organizzativo), fornire la formazione ai dirigenti ed ai lavoratori in merito alla gestione dello stress lavoro-correlato per ridurne l’impatto (prevenzione secondaria) e, per coloro che abbiano avuto problemi di salute, a causa di stress da lavoro, fornire risorse per gestire e ridurne gli effetti (prevenzione terziaria).

Inoltre per avere successo, occorre agire per favorire negli stakeholders europei (organizzazioni datoriali, sindacati, istituzioni governative), un’adeguata conoscenza, percezione e consapevolezza delle variabili organizzative e psicosociali come possibili fonti di stress occupazionale.

Il tema della percezione e consapevolezza del problema, da parte degli stakeholders, è essenziale soprattutto per i risvolti operativi che esso ha ai fini della gestione e valutazione del rischio.

L’Ispesl ha condotto nel 2004 (Iavicoli et al., 2004) una ricerca che ha messo in evidenza il gap percettivo esistente fra i lavoratori e gli stakeholders. Dai risultati emerge che, la percezione dello stress lavoro – correlato come problema più frequentemente denunciato dai lavoratori europei, non sia condivisa da tutte le parti sociali.

I risultati sottolineano la carenza di un adeguata percezione e riconoscimento del problema dello stress la cui fonte è riconducibile ad alcune dimensioni organizzative, quali: possibilità di controllo sul proprio lavoro, carico di lavoro, sicurezza lavorativa e carriera, ecc..

E’ opportuno tenere in considerazione che alcune caratteristiche, quali: grado di comprensione del fenomeno, grado di controllo percepito sul rischio ed i suoi effetti, conoscenza del rischio, rivestono un ruolo fondamentale nei processi percettivi e valutativi e possono influenzare fortemente la percezione degli individui fino al punto di determinare valutazioni inadeguate, sottovalutazioni o non riconoscimento del grado effettivo di rischiosità di alcuni aspetti della vita organizzativa.

Diventa indispensabile pertanto, diffondere ulteriormente le conoscenze relative ai possibili effetti sui lavoratori della variabili organizzative potenzialmente stressogene, sulle quali esiste un ampia evidenza scientifica (Natali et al., 2007).

Assume in quest’ottica, all’interno processo di intervento nella gestione dello stress lavoro – correlato, un ruolo chiave la “valutazione del rischio” che riserva sempre maggiore enfasi ai fattori di rischio psicosociali.

In letteratura sembra ci sia accordo nell’adottare un modello integrato nella valutazione dei rischi che preveda da un lato la valutazione dell’organizzazione e dall’altro la valutazione delle percezioni del lavoratore. Inoltre viene suggerita la possibilità di adottare un approccio multidisciplinare che veda coinvolte, oltre al medico del lavoro, altre figure quali: esperti in ergonomia, psichiatri ed esperti in psicologia del lavoro (es: Tangredi et al., 2007).

Negli ultimi anni la comunità scientifica europea ha dichiarato l’interesse, come priorità nella ricerca, nei fattori di rischio psicosociali correlati al lavoro con particolare attenzione ai metodi di misura e valutazione dello stress lavoro – correlato.

In particolare nell’attuale piano triennale 2008-2010 è stato dato maggiore rilievo alle tematiche correlate ai rischi psicosociali, sviluppando specifiche linee di ricerca orientate allo sviluppo di concreti strumenti per la misura, valutazione e gestione dei rischi psicosociali (Ispesl, www.ispesl.it).

L’obiettivo è quello di favorire l’applicazione delle conoscenze teoriche, ormai consolidate, alle realtà lavorative attraverso l’individuazione di “buone prassi”.

Tali obiettivi possono essere raggiunti sia attraverso una miglior definizione di indicatori oggettivi di stress occupazionale, sia favorendo un’adeguata percezione del problema fra gli stakeholders, sia attraverso la formazione manageriale e ai gestori delle risorse umane.

Per la realizzazione di strategie di intervento efficaci inoltre, nel modello proposto viene sottolineata l’importanza della disponibilità dell’organizzazione ad affrontare i cambiamenti necessari e l’importanza di realizzare interventi che possano essere adottati nella pratica lavorativa quotidiana favorendo l’implementazione di un “ciclo continuo” di miglioramento.

Il dialogo sociale assume in questo scenario un ruolo rilevante, al fine di permettere ai diversi protagonisti del mondo del lavoro di raggiungere obiettivi condivisi sulla gestione del problema dello stress occupazionale e di giungere ad un diffuso ed auspicabile livello di benessere lavorativo, mirando al radicamento di una cultura di tutela della salute e del benessere lavorativi.

Oggi la salute dell’organizzazione e quella dei lavoratori sono aspetti ormai da considerare inscindibili.

Così come, lo stress lavoro – correlato ed un mondo del lavoro in continua evoluzione e cambiamento. Lo stress sembra essere un fenomeno destinato ad accompagnare la vita di ciascuno, come sosteneva Selye “la completa libertà dallo stress è morte. Contrariamente a quanto si pensa non abbiamo e, in realtà, non possiamo evitare lo stress, ma possiamo incontrarlo in modo efficace e trarne vantaggio imparando di più sui suoi meccanismi, edadattando la nostra filosofia dell’esistenza ad esso” (Selye, 1974)

LA VALUTAZIONE DELLO STRESS LAVORO CORRELATO: PROSPETTIVE DI INTERVENTO A PARTIRE DAL DECRETO LEGISLATIVO DEL 9 APRILE 2008, N°81 – © Serena Molari