Burnout: settore sanitario

Burnout: Settore sanitario

Si è già detto dell’utilità di istituire con apposito atto normativo un’équipe psicologica di supporto per il corpo docente delle scuole. Qualora il legislatore non dovesse dare seguito a questa iniziativa, è bene ricordare che le Regioni stesse, dacché è stato modificato il Titolo V della Costituzione, possono intervenire in materia di sanità in quanto oramai considerata materia concorrente e non più esclusiva dello Stato. A questo proposito giova richiamare il recente documento siglato dalla conferenza delle Regioni che ribadiscono “…la loro esclusiva competenza in tema di salute mentale” (Documenti della Conferenza dei Presidenti delle Regioni del 18.01.02 e 28.02.02). […] Rispetto all’intervento terapeutico (la cui discussione non è oggetto di questo lavoro) va ricordato che possono essere diverse sia le fasi che i livelli d’azione, ma risulta evidente che tanto più questa sarà tardiva, tanto più complesso e articolato sarà necessariamente l’approccio al paziente. Tutti gli strumenti a disposizione (psicoterapia, farmacoterapia, gruppi di autoaiuto, interventi sull’ambiente circostante etc.) andranno scientemente dosati ai fini del reinserimento della persona nel proprio contesto esistenziale. Un breve ma significativo cenno deve essere riferito al consumo dei farmaci delle classi ansiolitici, ipnotici, sedativi e antidepressivi. Ricordiamo infatti come nello studio canadese (St-Arnaud et al.2000) emerge che nella gran parte dei casi, tra le coping strategies più in uso, vi fosse proprio il ricorso all’uso dei farmaci anzidetti. L’argomento tocca due punti importanti: la gestione della terapia e l’aspetto economico. Rispetto al primo è noto che durante la cura, nonostante i farmaci in questione prevedano l’obbligo di prescrizione, prevale spesso il principio dell’autocura sul controllo medico della terapia, determinando così l’assuefazione del paziente al medicamento e la cronicizzazione del bisogno piuttosto che la remissione della patologia. Anche in questo caso un’equipe psicologica di supporto appositamente affiancata dal medico potrebbe servire da orientamento al paziente. Anche l’aspetto economico non è di poco conto. Infatti nel 2000 (dati del Ministero della Salute tratti dal Bollettino d’informazione sui farmaci – Anno VIII N.4, 5 Luglio 2001) sono stati spesi 5.189 miliardi di lire di farmaci appartenenti alla classe C (quella a totale carico dell’assistito). Di questi, quasi 1.100 miliardi riguardano le classi summenzionate. Un grosso passo in avanti è stato fatto con l’abolizione della nota 80 (febbraio 2001), nella seconda revisione delle note CUF (Commissione Unica del Farmaco), con l’inserimento in fascia A (quella a totale carico del SSN) dei farmaci antidepressivi. Un’ulteriore agevolazione economica a favore della sola categoria degli insegnanti può essere adottata mediante una “nota” della CUF che, come ci ricorda il Ministero della Salute sul proprio sito (www.sanita.it), può introdurre le stesse per appositi motivi tra cui quello di prevedere la gratuità del farmaco a gruppi di popolazione per i quali appare prioritario destinare le risorse disponibili del Sistema Sanitario Nazionale per l’incidenza maggiore di una malattia (tratto dal sito del Ministero della salute alla voce “Note CUF”). Alla base del suggerimento stanno sia la notoriamente bassa retribuzione economica del corpo docente, sia il fatto che i prezzi dei farmaci di classe C siano soggetti ad aumento perché sottoposti solo a monitoraggio ma non a controllo delle autorità regolatorie (da qui deriva la scelta di talune aziende produttrici –afferma il Ministero- di commercializzare i medicinali in oggetto al di fuori del regime di rimborsabilità). Per concludere il capitolo farmaceutico, alla luce delle recenti disposizioni del Ministero (punto 9 della bozza del nuovo Piano Sanitario Nazionale che punta alla comunicazione sinergica sociale e di prodotto per finanziare progetti di educazione alla salute; DPEF 2001 e 2002; Dl 63/02 sulle limitazioni all’attività promozionale delle aziende farmaceutiche mediante sponsorizzazione di singoli medici a convegni e congressi) si potrebbero ravvedere tutti gli elementi perché le singole aziende farmaceutiche, piuttosto che le loro associazioni, sposino una campagna di ricerca finalizzata ad approfondire il fenomeno del burnout negli insegnanti, ottenendo altresì un miglioramento del loro goodwill nei confronti dell’opinione pubblica, contestualmente a dati sul profilo del consumatore tipo (età, professione, scolarità etc).» (Lodolo D’Oria et al., 2014)  

Per concludere, Lodolo D’oria e collaboratori (2014), asseriscono che: «la sindrome del burnout negli insegnanti richiede necessariamente ulteriori approfondimenti che non devono però servire a giustificare un atteggiamento di immobilismo collettivo. Le comunità nazionale e internazionale sono chiamate urgentemente ad adottare interventi per contrastarne crescita e diffusione, senza dover attendere l’ennesimo eclatante episodio di cronaca nera prima di attivarsi. Occorrono riflessioni che prospettino soluzioni operative, obbligatoriamente articolate, riguardanti i diversi aspetti di un problema composito. Legislatore, parti sociali, comunità medico-scientifica, associazioni di categoria, associazioni studentesche e familiari hanno il dovere di apportare il loro contributo e aprire un dibattito spinoso, ma indispensabile nella società che cambia, riconoscendo che un ulteriore ritardo non avrebbe giustificazioni ma solo conseguenze nefaste in termini di salute, economia, cultura. Particolarmente appropriato per la discussione risulta infine il momento attuale che, lontano da scadenze elettorali e facili promesse, prevede il tema della riforma scolastica all’ordine del giorno.» (Lodolo D’Oria et al., 2014).

Sempre in relazione al burnout nell’insegnamento, Zurlo e Pes (2012) nel 2007 hanno condotto uno studio su un campione di 476 insegnanti italiani appartenenti a 4 diversi livelli di insegnamento (scuola dell’infanzia, primaria, secondaria di primo grado e secondaria di secondo grado). Dallo studio (Zurlo e Pes, 2012) è emerso che il 21% degli insegnanti riportava di aver sofferto di disturbi fisici nei 12 mesi precedenti la rilevazione (in particolare disturbi gastrici, cardiovascolari, disturbi muscolo-scheletrici e dermatologici) e di disagio psicologico (il 20.2% presentava problemi di depressione, il 19.3% disturbi di somatizzazione e il 17% disturbi di ansia). Inoltre, il 22.7% degli insegnanti esplicitava l’intenzione di lasciare l’insegnamento, il 3% ammetteva di assumere antidepressivi, il 2% riferiva di assumere sonniferi. O ancora nello studio Camerino e collaboratori (2011), incentrato sul benessere organizzativo condotto nel 2011 nel Veneto indicava che nonostante gli insegnanti della scuola dell’infanzia intervistati lavorino con dedizione e impegno, si riscontrano problemi relativi ad un difficile accesso ai servizi di sostegno, a carenza di docenti precari e personale ausiliario, ad assegnazione di compiti amministrativi senza un supporto adeguato da parte degli uffici distrettuali, a mancanza di spazi fisici adeguati allo svolgimento di alcune specifiche attività didattiche. Uno studio, condotto nel 2009 da Lodolo D’Oria ed il suo gruppo di ricerca (2009), su un campione di 1.295 insegnanti originari da dieci diverse regioni italiane, mostrava che gli insegnanti sono per lo più inconsapevoli dei rischi per la salute legati al loro lavoro, per di più i tentativi da parte dei dirigenti scolastici tesi a proteggere la loro salute (obbligatori secondo la recente normativa italiana) vengono spesso intesi come mobbing, per via della carenza di conoscenze giuridiche adeguate. Un altro importante studio condotto in Italia su un campione di 697 insegnanti di diversi ordini scolastici, evidenzia il ruolo della fatica mentale nella mediazione tra le richieste di lavoro degli insegnanti e le conseguenze dello stress (Guglielmi et al., 2012). La letteratura sul burnout degli insegnanti da tempo difatti si interroga sui possibili moventi della sindrome, andando a ricercare fra una molteplicità di variabili (individuali, sociodemografiche, organizzative, relazionali) i principali predittori del burnout. Per quanto concerne le variabili socio-demografiche (ad esempio l’età di insorgenza della sindrome), alcune ricerche sugli insegnanti sostengono che il burnout si manifesti con maggiore frequenza nei primi anni di lavoro (Maslach e Leiter, 2000; Santinello, 2007); altre invece mettono in risalto un incremento della vulnerabilità al burnout che si verifica all’aumentare dell’anzianità di servizio, a causa delle ridotte energie e risorse da investire nelle attività lavorative (Mearns, 2003). Rimanendo sempre sulle variabili sociodemografiche (in questo caso il genere degli insegnanti) sembra che, secondo le ricerche di Skaalvik e Skaalvik, nel 2007 e di Pinelli nel 1999, gli insegnanti maschi tendano ad ottenere punteggi più alti nella scala della depersonalizzazione, mentre le insegnanti tendano a totalizzare punteggi più alti nell’esaurimento emotivo (Pedditzi et al., 2012).  Inoltre, gli insegnanti che lavorano con studenti di scuola secondaria di primo e secondo grado si indirizzano verso livelli più bassi di realizzazione personale rispetto ai colleghi della scuola primaria secondo la ricerca di Hall-Kenyon e collaboratori del 2013, ma anche secondo lo studio di Ullrich (2012), sperimentando frequenti sentimenti di depersonalizzazione (Pedditzi et al., 2012).  

Sul fronte della variabile delle relazioni interpersonali, diversi studi evidenziano come fonte di burnout dei docenti la mancanza di cooperazione con i genitori degli alunni, legata al disinteresse degli stessi genitori per la crescita educativa dei propri figli (Skaalvik e Skaalvik, 2007). Ma anche il rapporto con studenti problematici e l’incapacità dell’insegnante di far fronte alle condotte turbolente, iperattive, pericolose e indisciplinate di questi, la demotivazione allo studio, la scarsa cooperazione per il raggiungimento degli obiettivi didattici, la presenza di aule sovraffollate, può rappresentare un fattore di rischio (Di Pietro e Rampazzo, 1997; Francescato et al., 1994; Pinelli et al., 1999). Pertanto, alla luce di ciò diversi studi si sono concentrati sulle implicazioni che il burnout potrebbe avere sul piano educativo e dei processi di apprendimento scolastico: potrebbe avere impatto negativo non solo sullo stato di salute e benessere dell’insegnante e dell’organizzazione scolastica, ma anche sulla relazione docente-allievo e sul processo di insegnamento-apprendimento (Pas et al., 2010, Pedditzi, 2005; Spilt et al., 2011). Fra le variabili organizzative studiate in relazione al burnout dei docenti si osservano: le reti di supporto sociale, il conflitto, l’autonomia, la partecipazione alle decisioni, il sistema retributivo ed il clima (Aluja, 2005; Collie et al., 2010; Burns et al., 2013; Lodolo D’Oria V et al., 2004; Maslach e Leiter, 2000; Olivas e Martinez, 2012). Si evidenzia uno squilibrio fra le condizioni di elevato sforzo a fronte delle scarse ricompense percepite (Zurlo et al, 2007). 

Tra le variabili individuali si indagano l’immagine di sé e del proprio ruolo e le convinzioni personali dei docenti che, secondo Gong e colleghi (2012), risulterebbero interconnesse all’impegno nel proprio lavoro, sostenuto anche da Day e collaboratori (2005), così come da Spilt ed il suo gruppo di ricerca (2011), essendo  in grado di influenzare l’autostima personale e professionale. Si evidenzia inoltre il ridotto riconoscimento sociale della categoria professionale, sebbene in passato abbiano goduto di maggiore prestigio sociale (Favretto e Comucci Tajoli, 1990; Favretto e Rappagliosi, 1990). 

Anche il conflitto fra le esigenze familiari e quelle lavorative (Chan et al., 2000; Innstrand et al., 2008), sono state considerate in relazione allo stress dei docenti. A tal proposito, diversi recenti studi si concentrano sulle risorse che possono moderare gli effetti negativi dello stress e il conflitto famiglia-lavoro e in particolare: la resilienza, la flessibilità, l’autoefficacia dei docenti, le strategie di coping, la padronanza ed il supporto sociale (Greenglass et al., 1994; Clark, 2001; Eek e Axmon, 2013; Hultell e Gustavsson, 2011; Doménech Betoret e Gómez Artiga, 2010; Mearns J, Cain, 2003; Doney, 2013; Schaufeli et al., 2018; Schwarzer e Hallum, 2008; Simbula e Guglielmi, 2011). 

Conseguentemente a quanto appena riportato, il paragrafo successivo servirà da approfondimento per le anzidette tematiche individuali e contestuali.


© Il Burnout negli insegnanti – Federica Sapienza