Burnout, lavoro emozionale e ambiti di ricerca futuri: il contagio emotivo
Dalla rassegna condotta da Bakker e Westman (2008) sul crossover di burnout tra gli operatori di cura emerge che il fenomeno che il burnout si possa trasferire da un individuo ad un altro non è nuovo. Gli autori invitano ad operare una distinzione concettuale tra i termini crossover e contagio emotivo, precisando che la ricerca sul crossover si è concentrata principalmente sul trasferimento di stress e tensione dai lavoratori ai partner, e viceversa, mentre la ricerca sul contagio emotivo ha origine in laboratorio, ed è stato applicata allo studio del trasferimento del burnout dai dipendenti al loro colleghi.
Il contagio emotivo è stato definito come la tendenza a imitare in modo automatico e sincronizzare espressioni facciali, vocalizzazioni, posture e movimenti con quelli di un altra persona e di conseguenza convergere emotivamente (Hatfield, Cacioppo e Rapson, 1994; p.5 cit. in Bakker e Westman 2008). L’enfasi in questa definizione è su un processo non-conscio di contagio emotivo. La ricerca ha infatti dimostrato che, nelle conversazioni, le persone automaticamente imitano le espressioni facciali, voci, posture e comportamenti degli altri. Vi è, tuttavia, un secondo modo in cui le persone possono catturare le emozioni altrui. Il contagio può verificarsi anche attraverso un processo cognitivo cosciente di sintonizzazione alle emozioni altrui. Questo processo si verifica quando una persona cerca di immaginare come si sarebbe sentita nella posizione di un altro, e, di conseguenza esperire gli stessi sentimenti.
La prima indicazione empirica per un effetto socialmente indotto di burnout deriva da Rountree (1984, cit. in Bakker e Westman 2008 ) che ha studiato 186 gruppi di lavoro in 23 organizzazioni trovando che l’ 87,5% degli impiegati con i punteggi più elevati di burnout lavoravano in gruppi di lavoro in cui almeno 50% del personale era in una simile fase avanzata di burnout e che anche bassi punteggi di burnout hanno mostrato una tendenza simile ma con cluster meno marcati.
Sulla base di analoghi risultati Stevenson e coll. (1986, citato in Bakker & Schaufeli, 2000) hanno concluso che “… l’affinità dei gruppi di lavoro per i punteggi estremi sembra sostanziale” (p. 184). Quindi, gli individui con punteggi molto alti o molto bassi di burnout possono essere trovati spesso all’interno di un gruppo di lavoro, suggerendo la possibilità che i membri del gruppo di lavoro “si infettino con il virus del burnout”.
Tuttavia, come suggerito da Bakker e colleghi (2005) il risultato di trovare all’interno di un gruppo di lavoro individui con punteggi molto alti o molto bassi di burnout non implica necessariamente un processo di contagio emotivo, ma potrebbe invece essere imputabile all’elevato carico di lavoro di quel gruppo.
Uno studio più sistematico volto ad indagare l’ipotesi che la sindrome di burnout sia contagiosa è stato condotto da Bakker , Le Blanc e Schaufeli (2005) su un unità diinfermieri di terapia intensiva. Gli infermieri di dodici paesi europei (N=1.849) hanno compilato un questionario per valutare le condizione di lavoro e benessere indicando al contempo la prevalenza di burnout tra i loro colleghi.
Le variabili analizzate in questo studio furono: domanda lavorativa, carico di lavoro oggettivo per gli infermieri, denunce di burnout percepita tra colleghi, burnout.
L’analisi della varianza ha indicato che la varianza tra gruppo su una misura di burnout percepito tra i colleghi era statisticamente significativa e sostanzialmente più grande della varianza all’interno dei gruppi. Ciò implica che vi sia un accordo considerevole nell’unità di terapia intensiva per quanto riguarda la prevalenza di burnout. Inoltre, i risultati delle analisi multilivello hanno mostrato che le denunce di burnout tra colleghi nelle unità di terapia intensiva hanno dato un contributo statisticamente significativo e unico a spiegare la varianza nelle esperienze individuali dell’infermiere del burnout, ossia esaurimento emotivo, depersonalizzazione e ridotta realizzazione personale. Inoltre, sia per esaurimento emotivo e depersonalizzazione, le denunce di burnout percepite tra i colleghi sono state il fattore predittivo più importante del burnout a livello individuale, anche dopo aver controllato l’impatto dei fattori di stress organizzativo come concettualizzati nel modello di domanda-controllo.
Gli autori hanno concluso che il burnout è contagioso dato che può essere trasferito da un infermiere a un altro.
Un altro studio che ha testato l’ipotesi che il burnout possa trasferirsi da un individuo all’altro è quello condotto da Bakker, Westman e Schaufeli, (2007) articolato in due studi sperimentali.
Nel primo studio gli insegnanti vennero esposti in modo casuale ad un finto articolo di giornale, in cui un collega forniva la sua esperienza negativa del suo lavoro (condizione di burnout) o ad un tema non correlato al lavoro (condizione di controllo). I risultati dimostrarono che coloro che avevano partecipato alla condizione sperimentale (burnout) avevano punteggi più alti nelle dimensioni dell’esaurimento e della depersonalizzazione rispetto ai partecipanti alla condizione di controllo. Un setting analogo venne impostato per il secondo studio su un campione di soldati, da cui emerse che il contagio di burnout è intensificato dalla somiglianza con la persona stimolo.
Hatfield e coll. (1994, cit. in Bakker e Westman, 2008 ) hanno sostenuto che vi sono circostanze diverse nelle quali le persone dovrebbero essere particolarmente suscettibili al contagio emotivo, come, per esempio, prestare attenzione agli altri e percepire se stessi in interazione ad altre persone piuttosto come indipendenti e unici. Tenuto conto dell’aumento nelle organizzazioni di modelli di squadra è infatti probabile che i dipendenti sperimentino maggiori livelli di interdipendenza, diventando maggiormente sensibili agli stati emotivi dei propri colleghi. Dalle rassegna sul contagio emotivo tra gli health care professional condotta da Bakker e Westman (2008) emerge che le condizioni che rendono più probabile il contagio emotivo sono:
Empatia, Westman e Vinokur (1998, citato in Bakker & Westman ,2008) hanno sostenuto che l’empatia può essere un moderatore del processo di contagio. Starcevic e Piontek (1997, cit. in Bakker & Westman, 2008) definiscono l’empatia come la comunicazione interpersonale, che è prevalentemente di natura emotiva ed implica la capacità di essere influenzati dallo stato affettivo degli altri. Questa variabile non è stata testata direttamente in relazione al burnout, ma uno studio condotto da Bakker e Demeruti (2009), su un campione di 175 coppie di lavoratori tedeschi, ha ipotizzato che l’empatia fosse un moderatore del crossover del work engagement, considerato come il diretto opposto del burnout. In questo studio l’empatia venne misurata usando due scale dell’interpersonal reactivity index (Davis, 1980, cit in Bakker e Demeruti 2009). La prima volta a misurare la tendenza ad adottare il punto di vista di un’altra persona nella vita quotidiana (perspective taking), la seconda a misurare la tendenza a esperire sentimenti di preoccupazione e compassione per le altre persone (empathic concern). Nello specifico gli autori trovarono che solo la prima dimensione dell’empatia aveva un effetto di moderazione.
Suscettibilità, Bakker e Schaufeli (2000) nel loro studio su 154 insegnanti tedeschi di scuola superiore, hanno ipotizzato che la suscettibilità personale degli insegnanti al contagio aumentasse il rischio del contagio di burnout. Nello specifico si ipotizzò che gli insegnati che erano maggiormente vulnerabili alle emozioni e agli stati d’animo negativi espresse dai loro colleghi avessero maggiore probabilità di essere a loro volta affetti da burnout. Questa variabile venne misurata attraverso sette item della scala sul contagio emotivo sviluppata da Stiff e al. (1988, citato in Bakker & Schaufeli, 2000)
Frequenza degli scambi di opinione, questa variabile è stata analizzata da Bakker e Schaufeli (2000) i quali hanno testato l’ipotesi che la prevalenza di burnout tra colleghi avesse un impatto positivo sull’esaurimento emotivo, la depersonalizzazione e la riduzione del’efficacia personale per quegli insegnati che frequentemente parlavano con altri relativamente ai problemi correlati al lavoro. Questa variabile venne misurata con quattro item riferiti alla frequenza con la quale gli insegnanti parlavano con i loro colleghi dei problemi incontrati nel loro lavoro. L’analisi di questo processo, non esplorato nella presente ricerca, potrebbe configurarsi pertanto come suggerimento per future ricerche.