Articolo 7 – Lo stress lavoro correlato: Prospettive di intervento – Gestione e Valutazione dello stress: La Misurazione
Articolo 7 – Lo stress lavoro correlato: Prospettive di intervento – Gestione e Valutazione dello stress: La Misurazione
La misura dello stress lavoro correlato e dei fattori di rischio psico-sociali, come abbiamo potuto osservare nel paragrafo precedente, costituisce un momento di fondamentale importanza ai fini della prevenzione e protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori e della promozione del benessere sul lavoro.
Tale misura, però, presenta non poche difficoltà di ordine pratico.
Molte sono le ricerche e i modelli, come illustrato nel secondo capitolo, che sono stati elaborati per giungere a delineare l’insieme degli indicatori più adeguati ed efficaci per svolgere un’analisi ed un monitoraggio dell’organizzazione del lavoro in grado di far emergere i rischi potenziali ed al contempo suggerire in quali aree e con quali strumenti ed azioni intervenire.
A questi studi risalgono i più recenti programmi di intervento che, rivolgono maggiore attenzione alle caratteristiche del contesto di lavoro oltre che a dimensioni strettamente individuali e soggettive.
La Commissione Europea (1999) ha definito lo stress lavorativo: “un insieme di reazioni emotive, cognitive, comportamentali e fisiologiche ad aspetti avversi e nocivi del contenuto, dell’ambiente e dell’organizzazione del lavoro. E uno stato caratterizzato da livelli elevati di eccitazione ed ansia, spesso accompagnati da senso di inadeguatezza.”, considera da un lato, le caratteristiche dell’ambiente di lavoro, quelli che vengono definiti stressors ambientali o fonti di stress (contenuto del lavoro,
organizzazione ed ambiente) e dall’altro, la valutazione soggettiva di tali stressors quale mediatore delle reazioni psicofisiche individuali.
La definizione condivisa dall’UE è in accordo con l’approccio psicologico ed in particolare con i modelli transazionali nella concettualizzazione dello stress lavoro correlato.
Nell’ambito di tale approccio, come illustrato nel secondo capito, lo stress viene definito come uno stato psicologico che
riflette ed è parte di un processo più vasto di interazione tra la persona ed il proprio ambiente di lavoro.
Coerentemente con gli aspetti determinanti di questo approccio, valutazioni e reazioni soggettive da un lato e variabili di tipo organizzativo e psicosociali dall’altro, la logica degli interventi, che si riflette sia nella fase di rilevazione sia nella fase di realizzazione ed implementazione dell’intervento, si concretizza nell’individuazione del “target di riferimento” dando origine sostanzialmente, come proposto da Avallone e Paplomatas (2005), a tre livelli di interventi:
A livello individuale: gli interventi mirano al potenziamento delle risorse individuali al fine di migliorare le strategie di fronteggiamento (coping) dello stress, attraverso attività di counseling, terapie cognitive, tecniche di rilassamento e di time management. A questo livello coincide quello che viene definito anche intervento di terzo livello che si configura, più che come strategia propriamente preventiva, come strategia riparativa.
A livello di interfaccia individuo-organizzazione: gli interventi si propongono di migliorare l’adattamento personaambiente e le relazioni nel contesto lavorativo, si riferiscono ed incidono su aspetti quali relazioni tra i colleghi, carico di lavoro, grado di partecipazione e livello di autonomia lavorativa. A questo livello coincide quello che viene definito anche intervento di secondo livello.
A livello organizzativo: gli interventi sono rivolti all’individuazione dei fattori lavorativi che causano stress e si concretizzano nella definizione di cambiamenti della struttura e delle pratiche organizzative, dei fattori fisici ed ambientali. Vanno ricondotti a questo livello gli interventi di job design, di ristrutturazione delle condizioni di lavoro e dell’organizzazione del lavoro nonché le politiche di gestione delle risorse, la formazione e lo sviluppo organizzativo. A questo livello coincide quello che viene definito anche intervento di primo livello, quello che maggiormente risponde ad una strategia più propriamente preventiva (Avallone e Paplomatas, 2005).
Figura 7: Ambiti di intervento
Fonte: Avallone, Paplomatas, 2005
Come si evince dalla figura riportata, che schematizza il modello degli interventi sullo stress nelle organizzazioni, nonostante venga attribuito un ruolo specifico alle caratteristiche di contesto lavorativo come “fonti di stress” viene contestualmente messo in evidenza il ruolo significativo e rilevante degli elementi soggettivi ed individuali “la valutazione cognitiva soggettiva degli stimoli stressogeni e le strategie individuali di coping”.
Questi elementi occupano un ampio spazio anche rispetto ai risultati attesi dall’intervento come “lo stato di salute e le performance individuali”.
E’ importante osservare che il processo di interazione persona – ambiente da origine ad una sequenza di rapporti: tra ambiente di lavoro oggettivo e percezioni del lavoratore; tra percezioni ed esperienza di stress; tra esperienza di stress, cambiamenti di comportamento e di funzione fisiologica e salute. Questa sequenza fornisce una base di misurazione in cui le percezioni e cognizioni individuali sono critiche e, le diverse misure ricavabili soggettive ed oggettive non possono essere combinate in modo facile o giustificabile in un singolo indice di stress (Cox e Griffiths, 1995).
Cox e Griffiths sostengono che, poiché i dati più facilmente reperibili sui rischi psicosociali ed organizzativi del lavoro sono generalmente dati soggettivi, la misurazione dello stato di stress dovrebbe essere basata innanzitutto sulle misure di auto-riferimento o self-report, come i questionari, che si focalizzano sul processo di valutazione e sull’esperienza emotiva di stress (Cox e Griffiths, 1995). Nel caso dello stress, infatti, entrano in gioco due variabili estremamente soggettive, che rendono la valutazione del pericolo, del rischio e soprattutto del danno ad esso associato estremamente complessa. Le due variabili soggettive sono la valutazione degli eventi, e la suscettibilità individuale allo stress.
Secondo gli autori le misure correlate alla valutazione dovrebbero inoltre considerare le percezioni dei lavoratori rispetto: alle richieste del lavoro, alla loro capacità di adattarsi a queste richieste, ai loro bisogni, alla loro soddisfazione lavorativa, al controllo che esercitano sul lavoro ed al supporto che ricevono in relazione al lavoro.
Dewe e Cooper (2007) in una recente rassegna hanno suggerito che la misurazione delle domande richiede più enfasi, per
catturare la natura degli elementi che causano stress, incorporando caratteristiche di misurazione come per esempio frequenza, intensità, durata, rilevanza e significato (Dewe, 1991, Lazarus, 1999 citati in Dewe e Cooper, 2007), il livello di specificità dell’occupazione (Beehr, 1995; Sulsky & Smith, 2005 citati in Dewe e Cooper, 2007) ed il rapporto cumulativo all’interno e tra elementi che causano stress (Dewe & Brook, 2000 citati in Dewe e Cooper, 2007). La misurazione di questi elementi consente una migliore differenziazione ed identificazione delle fasi di sviluppo dello stress tra elementi di crisi iniziali, cronici ed acuti (Jones & Bright, 2001; Kahn, 2002 citati in Dewe e Cooper, 2007). Inoltre, tali misurazioni devono essere usate in modo da permettere le interazioni tra percezioni, come richiesta con controllo (Karasek, 1979; Warr, 1992) o richiesta e controllo con supporto (Cox, 1985; Karasek e Theorell, 1990; Payne e Fletcher, 1983 citati in Cox e Griffiths, 1996). Deve essere considerata inoltre l’importanza per il lavoratore di adattarsi a particolari combinazioni ed espressioni di queste caratteristiche del lavoro (Sells, 1970; Cox, 1978 citati in Cox e Griffiths, 1996).
Malgrado la loro ovvia centralità ed importanza, le misure soggettive (self-report measures) di valutazione e l’esperienza
emotiva di stress, da sole, non sono sufficienti. La loro validità è stata in letteratura messa in discussione soprattutto in relazione al costrutto “dell’affettività negativa” (NA). L’affettività negativa può essere definita come “un tratto generale della personalità, più propriamente temperamento, che riflette le differenze individuali nell’emotività negativa e nel concetto di sé e si esprime in stati d’animo quali l’ansia, la depressione e l’ostilità.
Tali temperamenti si contrappongono a quelli estroversi (affettività positiva; PA) ossia a quelli che esprimono stati d’animo positivi quali entusiasmo, gioia, energia, fiducia, entrambi facenti parte del modello dei 5 fattori della personalità (Watson e Clark, 1992, citati in Brief e Weiss, 2002).
E’ stato dimostrato che l’affettività negativa, vista come tratto di personalità avente una certa stabilità, riduce la possibilità di percepire l’esperienza lavorativa come soddisfacente. Warr (1996) ha effettuato un bilancio di diverse ricerche empiriche, che misuravano l’affettività negativa, con l’utilizzo di questionari e ha riconosciuto come effettivamente sia più frequentemente correlata all’insoddisfazione lavorativa in relazione ad aspetti intrinseci del lavoro (Warr, 1996 citato in Sarchielli, 2003).
Brief e Weiss (2002), ritengono ragionevole pensare che i temperamenti influenzino la soddisfazione professionale sia attraverso stati d’animo al lavoro sia attraverso le interpretazioni delle circostanze lavorative, riconoscendo così che stati d’animo ed interpretazioni non sono indipendenti.
L’affettività negativa influirebbe non solo sulla percezione che i lavoratori dipendenti hanno del loro ambiente di lavoro, ma anche sulla loro valutazione in relazione al proprio stato di salute psicologico o di benessere, diventando così una variabile che potrebbe spiegare una quantità notevole di correlazioni tra i rischi e la percezione dei risultati.
Sulla base di tali evidenze una stima che si basa esclusivamente su misure di auto-riferimento rappresenta una prova molto debole e deve essere integrata con dati ottenuti da altri ambiti.
Tale integrazione può essere ottenuta applicando la “triangolazione” delle prove. Il concetto di triangolazione nella misurazione è correlato alla strategia di fissare una particolare posizione o di trovarla esaminandola da almeno tre punti di vista diversi. Il grado di accordo che si ottiene tra questi diversi punti di vista fornisce alcune indicazioni in merito all’affidabilità dei dati, e/o, a seconda delle misurazioni applicate, alla loro validità concomitante.
Allo scopo di ottenere risultati attendibili quindi è necessario che un potenziale rischio di natura psico-sociale o organizzativo sia individuato mediante il riferimento ad almeno tre diversi tipi di prove.
Ciò si può ottenere considerando prove correlate a:
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- gli antecedenti oggettivi e soggettivi dell’esperienza di stress
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- l’auto-riferimento dello stato di stress e
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- i vari cambiamenti nel comportamento, nella fisiologia e nello stato di salute che potrebbero essere correlati agli antecedenti
L’applicazione di questa strategia richiederebbe inoltre prove tratte dai tre campi con
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- un’indagine dell’ambiente di lavoro (inclusi gli aspetti sia fisici che psicosociali) che può includere dati di archivio (assenze per malattie, livelli di turn-over, numero di incidenti ecc..) ed osservazioni,
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- un’indagine delle percezioni e delle reazioni dei lavoratori al lavoro attraverso l’utilizzo di questionari auto-riferiti e (3) la misurazione del comportamento dei lavoratori rispetto al lavoro ed al loro status fisico e di salute attraverso l’impiego ad esempio di misurazioni biologiche (Cox e Griffiths, 1995).
Bayley e Bhagat (1987) hanno proposto un approccio a metodo multiplo per la misurazione dello stress, in linea con il concetto di triangolazione, favorendo la possibilità di bilanciare la prova dall’auto-rapporto. Hanno individuato alcune misure definendole non invadenti e non reattive, quali: dati di archivio (come quelli sull’assenteismo), registrazioni private (come diari) ed osservazioni e registrazioni non intrusive. Gli autori hanno sottolineato che le misure reattive spesso cambiano la natura reale del comportamento o delle altre risposte che vengono determinate (Bayley e Bhagat, 1987 citati in Cox e Griffits, 1995).
E’ importante considerare che ciò che viene misurato è un processo: “antecedenti – percezione ed esperienza (e fattori di moderazione) – risultati correlati ed effetti”. Ciò può essere semplificato concettualmente a “rischi sul lavorostress – dolore”. La schematizzazione del processo sottolinea sia la complessità della misurazione, quando approcciata scientificamente, sia l’inadeguatezza di applicare misurazioni singole dello stress (comunque definito).
In letteratura viene sempre e comunque ribadito che l’uso di qualsiasi misurazione deve sempre essere supportato dai dati correlati alla sua affidabilità e validità ed alla sua adeguatezza e correttezza rispetto alla situazione in cui viene impiegata (Dane, 1990 citato in Cox e Griffits, 1995).
Dewe e Cooper (2007) sostengono che mentre è importante catturare le caratteristiche e le qualità degli eventi stessi, quando si vuole capire l’adattamento, il significato di un elemento che apporta stress non può essere compreso senza considerare anche i significati individuali dati a tali eventi e come questi eventi sono valutati. Daniels, Harris e Brinner (2004) credono che comprendere come gli individui interpretano e di conseguenza “rappresentano” il loro ambiente di lavoro, può essere una strada promettente per chiarire il “rapporto tra lavoro e affezioni negative” (Daniels, Harris e Briner, 2004).
Viene inoltre sostenuto che, come gli individui valutano gli elementi che creano stress sul lavoro non ha ancora ricevuto l’attenzione che merita da parte dei ricercatori dello stress sul lavoro, malgrado il fatto che l’adattamento e le strategie di fronteggiamento siano significativamente dipendenti dalla valutazione (Lazarus, 1999 citato in Folkman & Moskowitz, 2004).
Tuttavia, ci sono stati pochi tentativi sistematici (Dewe & Ng, 1999; Lowe & Bennett, 2003 citati in Dewe e Cooper, 2007) di esplorare quanto questi elementi che causano stress sul lavoro siano stati valutati. Questo non perché i modelli dello stress sul lavoro non abbiano incorporato la nozione di valutazione degli elementi che causano stress nel loro contesto investigativo (Burke, 2002; Cooper et al., 2001 citati in Dewe e Cooper, 2007; Daniels, Harris & Briner, 2004), ma verosimilmente più perché la valutazione è il cuore del dibattito “se gli elementi che causano stress possano essere misurati oggettivamente o soggettivamente” (Schaubroeck, 1999).
Due elementi, non mutualmente esclusivi, catturano l’essenza del dibattito che circonda gli elementi che causano stress e la misurazione della valutazione. Il primo si focalizza sulla natura intra–individuale della valutazione: se si accetta che lo stress ha essenzialmente luogo a livello individuale, i ricercatori degli elementi che causano stress sul lavoro hanno una maggiore responsabilità nell’identificare gli elementi comuni alle percezioni ed alle esperienze della maggioranza degli addetti (Brief & Gorge, 1991; Harris, 1991 citati in Dewe e Cooper, 2007). Focalizzandosi sulle valutazioni anziché sulla natura oggettiva degli elementi che causano stress sul lavoro viene limitata la possibilità di generalizzare qualsiasi scoperta, oltre a ridurre la rilevanza della scoperta per la gestione pratica (Schaubroeck, 1999). Il secondo elemento sostiene che è la misurazione oggettiva degli elementi che causano stress, piuttosto che la loro valutazione, a rappresentare la grande promessa per l’intervento (Schaubroeck, 1999), fornendo risposte, procedure e linee guida per il modo in cui il lavoro può essere ridisegnato e la cultura organizzativa può essere sviluppata per ridurre l’esaurimento.
All’interno di tutti questi argomenti si riconosce che la ricerca sullo stress sul lavoro ha enfatizzato i fattori situazionali a spese dei processi individuali come la valutazione (Harris, 1991 citato in Dewe e Cooper, 2007) e che la ricerca invece può essere fatta avanzare riflettendo sul ruolo della valutazione (Schaubroek, 1999). Tuttavia, valutazione ed adattamento sono strettamente legati (Lazarus, 1999 citato in Folkman & Moskowitz, 2004) e in un ambiente di lavoro non è “semplicemente importante” ma “essenziale” misurare la valutazione, se si vuole meglio comprendere il processo dello stress (Perrewe & Zellars, 1999). Non farlo equivarrebbe ad ignorare una delle variabili che potrebbe dare più spiegazioni nel processo di adattamento (Dewe, 2001 Dewe e Cooper, 2007).
LA VALUTAZIONE DELLO STRESS LAVORO CORRELATO: PROSPETTIVE DI INTERVENTO A PARTIRE DAL DECRETO LEGISLATIVO DEL 9 APRILE 2008, N°81 – © Serena Molari