Soddisfazione lavorativa: quanto sei soddisfatto
Quanto sei soddisfatto?
Vi sono diverse definizioni che riguardano la soddisfazione lavorativa, secondo Locke essa sarebbe il risultato della percezione dell’utilità del lavoro per la realizzazione dei propri valori, secondo Schneider invece sarebbe un atteggiamento nei confronti di particolari risultati e situazioni riguardanti il lavoro (in De Carlo et al., 2013). Riguardo i suoi antecedenti ci sono diverse teorie: le teorie situazionali ritengono che derivi essenzialmente da elementi propri del contesto di lavoro e del lavoro stesso; quelle disposizionali ne attribuiscono l’origine alle caratteristiche di personalità; le teorie interazionali infine – le più accreditate – ritengono che derivi dall’interazione tra stimoli ambientali e disposizioni personali.
Tipicamente, la soddisfazione lavorativa si considera composta da cinque dimensioni: la retribuzione, la possibilità di fare carriera, le relazioni con i colleghi, la supervisione dei superiori e i contenuti della mansione.
In effetti, anche nello studio di Lee e Brand (2005) – che già abbiamo incontrato – i dati erano a supporto di una relazione positiva tra la percezione di coesione di gruppo e la soddisfazione lavorativa. Alle dimensioni sopra citate Locke aggiunge: i riconoscimenti, le condizioni di lavoro ed il management (in De Carlo et al., 2013).
Negli studi presentati finora abbiamo visto quanto questo costrutto sia influenzato sia dalla qualità dell’ambiente fisico di lavoro sia dalla percezione di controllo su di esso e della possibilità di personalizzarlo, abbiamo inoltre visto una relazione diretta tra la soddisfazione per l’ambiente fisico di lavoro e la soddisfazione lavorativa (Kamarulzaman et al., 2011; Samani, 2015; Wells, 2000).
Come riportato da Samani (2015), con soddisfazione per l’ambiente fisico di lavoro si fa riferimento al livello di soddisfazione o felicità degli utenti per il luogo di lavoro dal punto di vista fisico. Come già abbiamo visto, tra gli elementi in grado di influenzarla vi sono: l’illuminazione, il livello di privacy, la rumorosità, la temperatura, la qualità dell’aria, la percezione di controllo sullo spazio e la possibilità di personalizzarlo (Baroni, 2012; Lee e Brand, 2005, Noorian, 2009).
Ovvio poi che ciascun individuo possa avere delle preferenze personali al riguardo, che possono dipendere anche dal tipo di lavoro svolto, ad esempio sembra che i manager abbiano bisogno di maggiore privacy, ed anche i ricercatori sembra che preferiscano lavorare in luoghi più silenziosi rispetto a lavoratori abituati a lavorare in team (Noorian, 2009).
In effetti l’ambiente fisico è uno dei principali aspetti a cui dovrebbe porre attenzione un’organizzazione che miri all’aumento dell’efficacia dei propri impiegati. Questo tipo di soddisfazione sembra infatti essere associata a migliori performance e risultati lavorativi, minore turnover e umore più positivo (Kamarulzaman et al., 2011; Lee & Brand, 2005; Samani, 2015).
Un aspetto interessante riguardo l’umore è emerso dalla ricerca di An e colleghi (2016), dove si è visto che la relazione tra l’esposizione ad elementi naturali e la soddisfazione lavorativa è mediata dall’umore depresso; altri studi supportano l’ipotesi secondo cui sarebbe l’insoddisfazione lavorativa a favorire lo sviluppo di umore depresso (in An et al., 2016). In ogni caso ci sembra chiaro che la soddisfazione lavorativa giochi un ruolo importante per il nostro benessere. Anche nella letteratura analizzata da Wells (2000) viene ribadito infatti che la soddisfazione lavorativa è negativamente correlata con depressione, ansia e sentimenti di inadeguatezza e positivamente correlata con la salute fisica, tanto da essere, come già evidenziato, il principale indicatore dell’aspettativa di vita.
Vi sono a tale proposito diversi studi che hanno indagato la relazione tra la soddisfazione lavorativa e la soddisfazione per la propria vita più in generale, tra questi vi è la ricerca di Judge e Watanabe (1993) da cui è emersa una relazione significativa e reciproca tra i due costrutti, stesso risultato è stato ottenuto anche da Adams, King e King (1996). Un ruolo importante in questa relazione sembra essere ricoperto dalle cosiddette “core evaluations”, ovvero quelle conclusioni fondamentali e subconscie a cui gli individui giungono su se stessi, gli altri e il mondo. Più esattamente, gli autori si sono concentrati nell’analisi delle “core self-evaluations”, un concetto che comprende l’autostima, la percezione di self-efficacy, il locus of control ed il nonneuroticism (il neuroticism rappresenta il polo opposto dell’autostima e si caratterizza per la tendenza ad essere timidi, insicuri, colpevoli); esse risultano essere direttamente collegate sia alla soddisfazione lavorativa che alla soddisfazione per la vita in generale.
Ciò significa che il modo in cui le persone vedono se stesse e il mondo che le circonda influenza il loro modo di fare esperienza sia del lavoro che della vita; le core self-evaluations sono la base per le valutazioni specifiche che si realizzano nelle varie situazioni, di conseguenza più positive sono queste valutazioni tanto più gli individui risultano soddisfatti del proprio lavoro e della propria vita. Questo meccanismo si spiega anche con il fatto che le autovalutazioni di base (core self-evaluations) influenzano anche il modo in cui gli individui percepiscono gli attributi del loro lavoro (e.g. autonomia, significato del compito etc), attributi che, a loro volta, influenzano come essi valutano il lavoro. Ciò suggerisce che, quando le persone giudicano gli attributi del lavoro che svolgono, la loro prospettiva non è solamente esterna, ma anche, come minimo implicitamente, interna (Judge, Locke, Durham, e Kluger, 1998).